Riccia nella Storia e nel Folk-lore

Berengario Galileo Amorosa

 

PRESENTAZIONE

 

 

Questa ristampa, voluta e realizzata da un gruppo di giovani preparati ed entusiasti facenti capo alla Associazione “P. Vignola”, giunge tempestiva, prima che dell’opera di Berengario Galileo Amorosa si perda anche il ricordo, per rilanciare l’invito e l’auspicio con cui l’Autore conclude la lettera proemiale indirizzata al Padre: Egli afferma, ed a buon diritto, di aver aperto agli studiosi di Riccia "una palestra suscettibile di più proficue ricerche” e non dubita "di avere continuatori più colti..... che sapranno integrare le vicende del luogo natio con più fortunate ed esaurienti indagini”.

 

Purtroppo nell’arco di oltre ottanta anni nessuno si è impegnalo nè nel compito, difficile e ponderoso, di colmare "le enormi lacune che frazionano la storia riccese”, nè nel compito più facile di continuare la narrazione di quelle vicende sino ai giorni nostri.

 

Certo le informazioni che ci restano a partire dai Sanniti fino al secolo dei lumi sono assai scarse e frammentarie, e le lamentate lacune non facilmente colmabili; ma dalla rivoluzione napoletana del 1799 in poi ulteriori indagini possono essere utilmente e senza eccessiva difficoltà esperite, per meglio seguire le vicende della nostra terra dalle nebbie del Medio Evo all’alba luminosa del Risorgimento, al progresso e alla prosperità del tempo che viviamo.

 

Sappiano i giovani, nel clima di generale concordia recentemente recuperata, raccogliere l’invito dell’Autore e continuarne l’opera.

 

            Aprile 1987.

 

            Saverio Reale

 


 

 

LETTERA PROEMIALE AD ALFONSO AMOROSA.

 

 

            Carissimo Padre,

se mi accinsi a narrare i casi del nostro paese, lo feci per vostra volontà e col peculiare contributo della vostra savia ed indefessa collaborazione; perciò nessun altro ideale tanto mi guidò nel difficile lavorio quanto quello di accontentarvi nel patriottico intendimento. Ho detto difficile non per accrescere importanza, se non di materia almeno di trattazione, al libro; ma per le condizioni speciali mie, della mia cultura e dell’argomento da svolgere. Infatti, di fronte alle enormi lacune che frazionano la storia riccese, ed alla svariata quantità di ricerche che s’imponevano per colmarle, l’opera mia doveva riuscire troppo débole ed imperfetta, sia perchè dedito ad altre forme di studi, sia perchè privo di tempo e mezzi adeguati a compiere quei riscontri, imposti anche dal fatto che, nella specie, io ebbi soltanto pochissimi precedenti.

 

Luigi Ciccaglione pubblicò una monografia di Riccia, a grandi sbalzi ed in poche linee; accennando alla vita del paese, senza preoccuparsi della sua integrazione. Monsignor Don Gennaro Fanelli, in un suo manoscritto, fece opera più, vasta e interessante, e, oso dire, completa per ciò che si riferisce alle Chiese ed ai Conventi, gettando pure qualche altro raggio di luce nel buio pesto delle patrie vicende. Vincenzo della Sala, raccogliendo i dolenti casi della Chiaromonte, non ci diede di riccese che il solo titolo e qualche impressione da paesista. Nicolino Fanelli, nelle sue inedite Memorie storiche di Riccia, fu più diffuso, sistematico, locale. Nè io ho la pretensione di aver fatto cosa completa e decisiva; poiché, se questo mio lavoro è più complesso e dettagliato, pur tutta volta non esce dai limiti del tentativo. Ad ogni modo posso coscienziosamente affermare di non essere venuto meno a qualsiasi investigazione, ed è débito di gratitudine ricordare coloro che mi coadiuvarono in tale lavoro di preparazione.

 

 

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Il reverendo Don Vincenzo Fanelli mise a mia disposizione tutte le notizie raccolte dal suo germano Monsignor Gennaro su Riccia, e le monete e gli oggetti antichi rinvenuti nel nostro agro. Il mio chiarissimo Professore, Dottor Michele del Lupo, risolse, con la mirabile competenza che lo distingue, i dubbi a lui sottoposti sull’ età preistorica; mentre l’Avvocato Giuseppe Moffa, con la scorta del comune ed illustre amico Nunzio Federico Faraglia, si compiacque farmi le ricerche presso il Grande Archivio dì Napoli. Il Professor Fiorindo Fanelli fu Gaetano cortesemente raccolse e mi inviò gl’ importanti materiali dell’Archivio archidiocesano di Benevento. I miei fratelli Manfredi ed Eutimio m’inviarono non poche note estratte da antichi volumi delle biblioteche napoletane, il Dottor Giacomo Sedati mi esibì gentilmente molti documenti e manoscritti di famiglia, ed altri, con pari gentilezza, corrisposero alle mie richieste per fornirmi i dati indispensabili ad intessere le biografie. Buona quantità di materia, pel Folk-lore mi fu verbalmente data da Pasquale Sammartino il quale, nella sua lunga vita, molte cose vide e ricordò, Debbo pure affettuose grazie all’ amico Nicolino Fanelli che mi comunicò gli studi da lui fatti sulla nostra Terra, e ad Achille Ciccagliene che mi offrì le fotografie per le illustrazioni di cui si doveva maggiormente corredare il volume, se il numero degli associati non fosse stato così scarso.

 

Costretto a dividere l’opera in tre parti, perchè la esposizione della materia riuscisse ordinata e chiara, assegnai alla prima di esse la storia, alla seconda le biografie e alla terza gli usi, i costumi e le superstizioni popolari, che — secondo il Macaulay — scolpiscono, più d’ogni altra cosa, la vera e sostanziale fisonomia d’un popolo e delle sue vicende.

 

Comprendo che questo mio lavoro, essendo d’interesse schiettamente locale, rimarrà pressocchè sconosciuto ; e comprendo pure che l’oscuro mio nome e la poca voglia che ha l’umanità di leggere, non gli procureranno quella fortuna che, del resto, non merita. Però un solo pensiero mi conforta, ed è quello di aver aperto agli studiosi del mio paese, una palestra suscettibile di più proficue ricerche; e se, al dire di Ovidio,

 

pius est Patriœ facta referre labor,

 

io non dubito di avere continuatori più colti, se non più innamorati, che sapranno integrare le vicende del luogo natio con più fortunate ed esaurienti indagini.

 

E con tale fiducia offro a voi, carissimo padre, questo storico tentativo, a tributo del gran bene che vi voglio.

 

Lanciano, 1902.

 

Affezionatissimo figlio

Berengario.

 

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