Riccia nella Storia e nel Folk-lore

Berengario Galileo Amorosa

 

RICCIA NELLO STATO ATTUALE

 

 

            Posizione e clima. — Prima di narrare le vicende del nostro paese, è necessario indicarne le attuali condizioni topografiche, climatiche e edilizie; e giova altresì rilevare la situazione dinamica, economica ed etnografica della sua popolazione. E questa esposizione primordiale è tanto più opportuna, quanto più modesto e poco noto è il sito in cui si svolsero i fatti, vissero le persone e si esplicano i costumi che in seguito saranno illustrati. E una premessa doverosa, appunto per non mettere i lettori non riccesi — se pure il libro ne avrà — nella condizione d’animo in cui si trovò il Curato di Pescarenico di fronte al nome di Carneade. E perciò, se ai concittadini parrà superflua la sintesi dello stato materiale del luogo natio ; agli studiosi d’altri paesi gioverà a meglio comprenderne la storia.

 

Riccia ha una latitudine boreale di 41° 29’ 30” ed una longitudine orientale da Roma di 2° 22’ 15”. È uno dei centri più popolati della provincia di Molise, e giace sulla china d’un colle nell’alta valle del Fortore. L’altezza sul livello del mare di circa 700 metri e la sua esposizione settentrionale ne rendono il clima assai rigido nell’inverno; ma in autunno e in primavera la temperatura ne è piacevole, ed i forti calori estivi vi sono sconosciuti. Soltanto il torrente Succida con altri rigagnoli che ne circondano il fabbricato, e varie alte colline che, recingendo il medesimo a semicerchio, lo soprastano, fanno sì che, dal dicembre al marzo, vi dominino le nebbie; ma, dissipate dai venti australi, non recano alcun nocumento alla salubrità dell’aria. E prova ne siano la incostanza di alcuni morbi endemici e la mite violenza spiegatavi dalle epidemie che, in diversi tempi, straziarono molte parti del Regno.

 

La stagione autunnale, sopra ogni altra, vi è deliziosa ;

 

 

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e prima del 1848 le famiglie de’ proprietari si recavano a godersela nei rispettivi casini di campagna, che in gran numero ne abbelliscono le contrade. Perciò, senza tema di esagerare, per condizioni climatiche così eccellenti, Riccia potrebbe essere una non disprezzabile stazione di villeggiatura, se non mancasse ogni spirito d’iniziativa di tal genere, non pure fra i suoi abitanti, ma fra tutti quelli del mezzogiorno d’Italia.

 

 

            Sviluppo edilizio. — Il fabbricato che descriveremo nel Capitolo III della nostra Storia, fu sufficiente, fino al 1600, ai ristretti bisogni d’una popolazione di circa 1500 anime. Ma essendo questa in continuo incremento, favorita anche, dopo la peste del 1656-57, dall’ intensiva cultura delle vaste estensioni di terre, l’abitato cominciò ad allargarsi verso mezzodì e ponente, sino a raggiungere le attuali proporzioni.

 

Rese, invero, inutili le opere di difesa dall’invenzione della polvere e delle artiglierie, i nostri avi si diedero ad innalzare dei casamenti nuovi, oltre i limiti circoscritti dalle mura e dalle torri, che, inadatte a resistere alla nuova arte ossidionale e prive di manutenzione, vennero, di anno in anno, deperendo. Sorse così un nuovo quartiere che si allargò successivamente, e chiuse fra le sue abitazioni il convento e l’orto dei Cappuccini. Contemporaneamente tutta la contrada di Colle della Croce, posta ad occidente, si coprì di fabbricati, divisi dall’altro quartiere dalla strada del Fosso, oggi via Filangieri. In seguito anche in contrada Airella, a ponente dell’ orto dei Cappuccini, e nella contigua contrada Neviera si elevò un grosso nucleo di piccoli abituri da quasi tutti quei coloni, cui la cultura delle ottenute zone demaniali aveva resi un po’ agiati.

 

Verso il 1820 Pasquale Palange, vasellaio di Campobasso, venne co’ suoi figli ad impiantare le sue fornaci nella località detta Casale. Quivi, per la nuova industria e per lo sbocco della strada che mena a Campobasso, man mano l’abitato si allargò e fu ricongiunto al resto del paese con l’attuale corso del Carmine, che è una delle più belle strade interne. Apertasi, dopo il 1870, la strada in contrada Calemme, vennero le sue isole laterali occupate da nuove case, fattevi edificare, per lo più, da coloni ed artigiani tornati dalle Americhe.

 

Come le torri e le mura di cinta, così le porte andarono, man mano, disfacendosi per la inutilità di esse e per la costruzione dei nuovi rioni fuori della loro linea. Di fronte alla Fontana della Piazza, fra una cantonata della casa Fanelli e il muro di cinta, si apriva una gran porta, demolita con la vicina taverna nel 1820. A poca distanza, nell’imboccatura della via Colombo, che mena alla Chiesa madre, ve n’era una seconda detta della Catena; perchè, nei giorni festivi, incatenati ad una contigua colonna cilindrica di pietra calcarea, venivano esposti in berlina i malfattori.

 

 

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Si atterrò dopo il 1860, insieme alla colonna, e questa fu adoperata come stipite della porta di un sottano che è dietro il palazzo de Paola. Una terza porta era sita fra la Chiesa madre e la casa dei Fantauzzi, oggi posseduta dall’Avv. Giuseppe Moffa. Una quarta era collocata nel punto ove la Salita Pelorosso s’incontra con quella del Colle. Una quinta, detta del Casino, è l’unica rimasta in piedi e del tutto simile alle altre, e metteva nella Caccia murata. Al di sotto del Castello e presso l’ospedale ve n’erano due altre più piccole, dette Portelle. Più antiche erano : l’Arco del Filosofo, porta munita di torre, 3ita presso l’imboccatura della via che dalla piazzetta della Chiesa madre va ad innestarsi con la prossima via del Castello, quella di S. Antonio e l’altra di S. Giovanni, che si aprivano alle due estremità della suddetta via del Castello. Tutte queste porte si chiudevano ad un’ ora di notte per riaprirsi all’alba successiva; e le abbiamo enumerate per non farne perdere la memoria.

 

Tutto il fabbricato più sopra descritto si eleva sopra colline digradanti verso settentrione e la via Filangieri. Le case, oltre del pian terreno, quasi tutte costano di due altri piani superiori, e ve ne sono molte costruite e ripartite con architettura discreta. Ripide, alquanto anguste e mediocremente mantenute sono le strade interne, tutte selciate a piccoli sassi irregolari, salvo quelle poche rese carrozzabili dal Comune dopo il 1870, e che hanno bell’aspetto sia per larghezza, sia per non disgradevole eleganza di varie abitazioni che le fiancheggiano.

 

Vi ha due piazze, una, poco larga ma assai frequentata, che occupa l’antica piazzetta e il suolo della taverna baronale ; l’altra, molto più spaziosa e ridotta a pubblico giardino, è sita sopra una gran parte dell’ orto dei Cappuccini. Da quest’ ultima piazza e dalla contrada Calemme partono due chiaviche, le quali, riunendosi presso l’estremità superiore della via Filangieri, imboccano la fogna maggiore che, alla distanza di circa 300 metri, si scarica presso la diruta chiesa di S.ta Barbara. Per la costruzione delle strade rotabili interne e delle chiaviche il Comune spese L. 127403, mutuate in gran parte dalla Cassa Depositi e Prestiti. Ma queste opere non riuscirono di piena comodità, sia perchè la trazione dei veicoli è in alcuni punti delle nuove strade assai difficile, sia perchè le fogne, non purgate in estate dalle acque, dan luogo a febbri infettive ; perciò dalla pubblica igiene sarebbe reclamato il prolungamento della fognatura sino alla fiumana non solo, ma il continuo lavaggio di essa.

 

 

            Agro, acque e strade. — Il nostro agro fa parte del bacino del Fortore, e confina ad oriente coi boschi di Gambatesa, Tufara e Castelvetere Valfortore, a mezzodì coi seminatorî di Castelvetere Valfortore,

 

 

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Colle Sannita e Castelpagano, a ponente con quelli di Cercemaggiore e Ielsi e a settentrione con quelli di Ielsi, Pietracatella e Gambatesa. Il confine meridionale segna la linea dello spartiacque tra il bacino del Fortore e quello del Tammaro. Di là origina il nostro torrente Succida che, percorrendo la contrada Escamara, e lambendo ad ovest le rocce su cui sorge l’abitato, discende, tra le contrade Pesco Elcina, Eivicciola, Chiusa de’ Preti e Morge di Stefano da una parte e quelle di Caccia murata, Croccila, Torre Madama e Lauri dall’altra, nell’agro di Gambatesa, per ivi riunirsi col torrente Tapino, tributario del prossimo Fortore. Esso si sviluppa da mezzogiorno a tramontana, e divide tutto l’agro in due parti quasi eguali.

 

Le contrade più estese del nostro territorio sono: Colle Meschino, Paolina, Castellana, Mazzocca, Escamara, S. Maurizio, lana, Celari, Lauri e Valle Finocchio. Le prime sette costituivano l’antico demanio frodato al Comune dai prepotenti principi de Capua, come narreremo, e quasi tutte erano boscose, salvo la parte montuosa, ad oriente della Succida, addetta a pascolo. Oggi, rimasto a bosco un appezzamento di circa 450 ettare, tutto il resto è coltivato a grano, granone, patate e fagiuoli. Le altre tre contrade poi, benché si prestino con minor successo all’ anzidetta coltura, pur tuttavia, per la mitezza del clima, si adattano meglio alla piantagione di vigneti, oliveti ed altri alberi fruttiferi. Però non molto bene intesa vi è l’agricoltura la quale, se unisse al gran lavoro i principi almeno pratici della scienza, migliorerebbe assai le condizioni dell’agro. La pastorizia vi si esercita con qualche successo, ma a fronte di quella dei tempi andati, l’attuale non regge al paragone. La progressiva distruzione dell’estesissimo bosco comunale, che avvicinava quasi l’abitato, e il deplorevole dissodamento dei saldoni e pendii rivestiti han prodotto l’assottigliamento di questo fecondo capo d’industria non solo, ma fan mancare a momenti il combustibile pei bisogni della popolazione nei rigori invernali. Per tale conseguenza non dubitiamo che gli Amministratori della cosa pubblica avranno il senno e il coraggio di sottrarre l’ultimo appezzamento boscoso all’avidità di quelli che agognano a dividerselo, come non è guari fu fatto di un’altra eguale estensione. La selvaggina comincia altresì a scarseggiare. I cinghiali, a cui si dava la caccia or non è molto nel nostro bosco e nei circostanti, sono scomparsi. Le lepri, le volpi, le beccacce, le starne, le quaglie ed altri volatili non si trovano più in quella quantità che rendeva l’agro di Riccia la terra promessa dei cacciatori.

 

Copiose sorgenti scaturiscono in tutto l’agro. Rimarchevoli sono quelle della Paolina, Sfonerata, Montefiglio e le altri pullulanti ad un raggio di circa mezzo chilometro dall’abitato, sufficlentissime all’ irrigazione degli ortaggi.

 

 

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Peccato ! che la coltura irrazionale di essi sia poco remunerativa, e permetta a qualche Comune limitrofo e alla provincia di Benevento d’importarci i prodotti dei loro orti, che ne compensano fra noi il difetto.

 

Riguardo all’ acqua potabile, allorchè il paese era ristretto fra il Castello e la Chiesa madre, la fontana che attualmente trovasi in piazza, soddisfaceva pienamente ai bisogni della esigua popolazione. Ma essendo questa cresciuta e la sorgente in gran parte dispersa a cagione delle fabbriche superiormente innalzate, quel filo d’acqua rimasto, inquinato dalle infiltrazioni dei cessi e vicoli soprastanti, non è potabile nè bastevole ad altri usi. Il Comune volle rimediarvi con la costruzione di due pozzi pubblici ; ma anche questi, se nell’inverno e nella primavera fornivano acqua, nelle altre stagioni si disseccavano. Di tali pozzi comunali rimane uno solo, essendo stato l’altro donato ad un Francese.

 

Ed oggi le nostre donne, per provvedersi d’acqua potabile, sono obbligate a recarsi alle fontane del Carmine, di Sabatella e del Colle della Macchia, che distano circa mezzo chilometro dall’abitato.

 

Per ovviare a questo inconveniente si pensò di portare a Riccia le copiose acque della Paolina, le quali avrebbero potuto anche servire a lavare in estate le fogne. A tal uopo il Comune fece eseguire un progetto, ma la enorme spesa non ne ha permessa la esecuzione. Si potrebbero, invece, con minor somma, derivare le acque della Sfonerata e di Montefiglio, eguali in bontà, e quantità a quella della Paolina, o nella peggiore ipotesi, avvicinare all’abitato quelle del Carmine e del Colle della Macchia.

 

Anche la quistione delle strade merita di essere convenientemente risoluta. Le vie campestri mancano di regolare manutenzione, e perciò d’inverno si rendono pressocchè impraticabili. Anticamente erano spaziose, ma oggi sono state ristrette dalla invasione dei frontisti. Occorrerebbe, perciò, reintegrare le zone laterali ed elevarne una pianta legale, che servisse, in avvenire, di guida al Comune per la verifica di altre possibili usurpazioni.

 

Siamo infine allacciati all’Appulo-Sannitica mediante un braccio stradale di cinque chilometri e mezzo, costruito dal Comune’ dopo il 1860. Mancando ad esso uno sbocco che ci unisca direttamente alla provincia di Benevento, il nostro interessante commercio con questa e le altre di Terra di Lavoro e Napoli soffre non poco detrimento. Eppure, senza grave spesa, vi si potrebbe rimediare, costruendo i 10 o 12 chilometri di rotabile, che ci separano da quella di Colle Sannita. Pare però che lo Stato e le due provincie di Molise e di Benevento si siano messi d’accordo per la immediata costruzione di tale strada.

 

 

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Siamo poi distanti circa quattr’ ore di carrozza dalla stazione ferroviaria di Campobasso e tre ore di cavalcatura de quella di S.ta Croco del Sannio ; però, se in un non lontano avvenire, si costruirà la ferrovia tra Bosco Redole e Lucerà, Riccia godrà il vantaggio di avere la stazione a poca distanza dall’abitato.

 

 

            Popolazione e sue vicende. — Dagli Stati delle anime dell’archivio parrocchiale si rileva che la popolazione di Riccia era di circa 1500 anime nel 1600, di 803 nel 1690, di 1050 nel 1700, di 2469 nel 1750, di 3506 nel 1780, di 4593 nel 1800 e di 7846 nel 1850. Il censimento del 1881 ne diede un numero di 8235. Dall’ultimo censimento, avvenuto il 9 febbraio 1901, si ottennero, invece, i seguenti risultati : famiglie numero 1908, popolazione presente con dimora abituale 8140, con dimora occasionale 45. Gli assenti dalla famiglia ma presenti nel Comune furono 9, quelli temporaneamente lontani dal Comune ma presenti nel Regno 79, e gli emigranti in linea provvisoria residenti all’estero 550. Abbiamo quindi attualmente una popolazione residente di 8775 abitanti.

 

Questo scarso aumento di 540 persone soltanto è dovuto all’enorme sviluppo dell’ emigrazione. Infatti furono esclusi dall’ultimo censimento i 3000 Riccesi che, con le rispettive famiglie, hanno definitivamente fissata la loro dimora nelle Americhe, e che porterebbero il totale della popolazione a 11775. Erano infine occupate 324 case a pian terreno, 116 a primo piano, 7 a secondo piano e 1461 comprese in più piani; mentre esistevano 290 case vuote a pian terreno, 76 a primo piano e 92 a più piani.

 

Non poche delle antiche famiglie civili sono scomparse, come quelle dei Regio, dei Guarini, dei Gigante, dei del Giudice, dei Mastroianni, dei Zaburri, degli Oderisio ecc... Altre, come la famiglia Rotondo ritirata in Gambatesa, trasportarono i lari domestici in altri paesi ; altre infine vennero a stabilire la loro dimora in Riccia. Al tempo delle estinte famiglie, la gran maggioranza degli abitanti attendeva unicamente alla coltura dei campi e alla pastorizia. Di semplici costumi, moderati nei desideri, laboriosi, parchi, leali, i nostri avi, vivendo patriarcalmente, godevano di un’ agiatezza modesta ma lieta. Però, dopo la rivoluzione francese, alcuni con l’onesto commercio, altri con fortunate vicende potettero conseguire delle rispettabili ricchezze.

 

Oggi, con una popolazione dieci volte maggiore, venuta altresì a deperire la pastorizia, i nostri contadini, per assoluta ignoranza di ogni buon sistema di agricoltura, ritraggono dalla terra non solo un ricolto sproporzionato alle loro fatiche, ma insufficiente ai loro bisogni. Eppure essi lavorano con impressionante pertinacia a segno che profittano anche delle notti di plenilunio per coltivare vaste estensioni di terreno.

 

 

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Ma la terra, isterilita dalla mancanza di opportuno riposo, di concimi chimici e di razionale cultura, offre uno scarso compenso ai loro sudori; e perciò, stretti dal bisogno, varcano l’Atlantico per cercare, nelle lontane Americhe, una occupazione meglio retribuita. Intanto, scarseggiando le braccia, il prezzo della mano d’opera raddoppia, e i piccoli possessori di terreno si trovano in imbarazzo. Gli emigranti, invece, con l’intensità del lavoro largamente remunerato e la grande parsimonia, migliorano di giorno in giorno le proprie condizioni economiche. Infatti, molti di essi, che erano assai miseri, tornati dalle Americhe, fabbricaron case e acquistarono terre; altri che avevano impegnati i loro averi, se li riscattarono ; quasi tutti, infine, ebbero modo non solo di estinguere ogni loro obbligazione, ma di mutuare a privati i loro risparmi, o di depositarli presso la Cassa postale o presso la Banca cooperativa.

 

Intéllettualmente i Riccesi sono in continuo progresso. L’acume naturale delle loro facoltà mentali è raffinato dallo studio; e numerosi sono i giovani che percorrono con onore la carriera delle lettere e delle diverse scienze, portando un geniale contributo della intensa vitalità spirituale del momento nella vita del nostro paese o nelle pubbliche cariche.

 

 

            Uffici, scuole, industrie. — Riccia fa parte del circondario di Campobasso, ò capoluogo di Collegio elettorale e del mandamento a cui sono aggregati gli altri limitrofi comuni di Ielsi, Gambatesa e Tufara. Oltre alla Preturà, ha l’Agenzia delle Imposte, l’Ufficio del Registro e Bollo, la stazione dei Carabinieri comandata da un Maresciallo, l’Ufficio postale e telegrafico, un Carcere mandamentale, un magazzino di Privative, un Botteghino del Lotto, una Banca Cooperativa, una Congregazione di Carità, una Confraternita laicale ed un antico corpo musicale. Vi sono altresì due case di conversazione, una tipografia, quattro farmacie, qualche discreto albergo e vari caffè.

 

Il Comune tiene aperte cinque scuole maschili e quattro femminili per circa 500 fanciulli obbligati d’ambo i sessi. Esiste eziandio un asilo infantile e una casa di educazione per le bambine, entrambi diretti dalle Suore Stimatine, con segnalati vantaggi dell’educazione popolare. Anzi le Suore mantengono pure un orfanotrofio che strappa dai pericoli della miseria parecchie giovanette.

 

Il paese, come abbiamo accennato, è essenzialmente agricolo, e quindi le industrie vi sono scarse, poiché, tolte quelle poche che non soddisfano completamente neppure ai bisogni locali, come una fabbrica di cappelli, varie di stoviglie e laterizi, molte di paste alimentari ed altre minori, la sola ben sviluppata era quella dell’ingrasso dei suini pei macelli delle grandi città, e specialmente di Napoli e di Roma.

 

 

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Ma anch’ essa è deperita, per le perdite subite sui mercati del genere. I commerci vi sarebbero fiorenti, se la rotabile avesse uno sbocco ; non mancano però negozi ben forniti di qualsiasi genere, continue esportazioni di prodotti agricoli e mercati e fiere, fra le quali molto accorsate quelle di S. Matteo e d’Ognissanti.

 

La corriera postale fa giornalmente per Campobasso un viaggio d’andata e ritorno ; e se la viabilità sarà migliorata ed accresciuta, se il benessere procurato dalla emigrazione continuerà, se le asprezze dei partiti scompariranno, Riccia che attualmente è uno dei più importanti paesi del Molise, è destinato ad un non lontano avvenire d’incontrastabile prosperità.

 

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