Storia civile di Messina colle relazioni della storia generale di Sicilia

Placido Arena-Primo

 

Osservazioni sulla Storia dell’Epoca Romano-Greca, e della Saracina.

 

 

I.

 

La Sicilia, divenuta provincia serva al dominatore romano, caduta dall’ antica grandezza, dimostrava nella stessa servitù gli ornamenti della primiera gloria, le sue leggi, i suoi magistrati, la sua religione. Quindi conculcata dai pretori, posta a ruba e a ruina nella guerra servile, resa campo di armi e di armati nella seconda guerra punica, e nelle guerre civili dei sanguinosi Triumviri, piombò nell’avvilimento; da cui gl’Imperadori,

 

 

VI

 

e le nuove colonie non poterono mai più farla risorgere; cosicché assorta nell’immenso pelago del romano imperio non ebbe più nome.

 

Trasferita da Costantino la imperial sede in Bizanzio, che da lui il nome prese di Costantinopoli ; quindi alla morte di lui diviso l’imperio in Oriente e in Occidente; sursero da per tutto imperadori, Cesari, ed augusti; i quali or comandarono concordamele, or si divisero le province, e più sovente vennero fra loro alle mani, corsero ai saccheggi alle battaglie sanguinose.—La nostra Sicilia soggiacque al destino degli altri pòpoli; videsi or soggetta a più imperatori, ed ora ad un solo; per lo che in coteste vicende gli ordini del governo le giungevano ora dalle città greche, ove gl’ imperadori dimoravano;, ora dalla istessa Roma, e d’altri luoghi occidentali,

 

 

VII

 

ove le armi, e gli accidenti politici faceano condurli. Per queste ragioni, viene da noi chiamata Romano-Greca l’epoca in cui seguirono a dominare il nostro paese i romani imperadori, e che saremo per descrivere.

 

La storia dell’ antica Sicilia, per Io spazio di cinque sècoli (che tanti ne corsero dall’ impero di Costantino alla invasion saracina) sarebbe intieramente silenziosa, se gli annali della Chiesa non avrebbero registrato le vicende della religione cristiana tra noi, le persecuzioni e le morti che soffrirono i proseliti della Croce, indi le svariate sette lanciatesi a danno della pura fede e del costume, che fomentate da coloro che sedevano in soglio, dilaniarono per gran tempo la chiesa di Dio. — Ecclissata dal primiero splendore la stessa Roma, la Sicilia estrema provincia dell’impero, venuta ancor’ella già da tant’alto,

 

 

VIII

 

non ricorda sotto i Bizantini avvenimenti degni di memoria ; meno che le grandi estorsioni comandate dall’ imbecille cesare Maurizio, i danni recati dalle cupidigie del pretore Giustino, le gravezze enormi, che Costante augusto, stanziando in Siracusa, pose sul collo ai Siciliani, e quelle più pesanti, che ancor levando per testa d’uomo, Leone Isaurico e Niceforo imperadori inventarono.

 

La storia dunque siciliana, mancando la fonte e l’argomento per lunghissimo periodo, tace. Nè di Messina entrerebbe neanco il nome in questo correre di anni, se gli scrittori non avrebbero narrato una sua generosa azione in soccorso di Arcadio imperadore, liberato dalle mani dei ribelli in Tessalonica.—Ma intanto per non lasciare un vuoto considerevole nelle successioni di epoche ad epoche,

 

 

IX

 

di governo a governo; se non possiamo descrivere i fatti della nostra nazione, nè della patria, perchè patria più i Siciliani non aveano, ingoiata già da dominatori stranieri; crediamo utile cosa toccare rapidamente le imprese di cotesti Cesari ed augusti, le loro virtù, ì loro delitti; i passaggi di principe a principe; conoscere qual fu sotto di essi la nostra civil consistenza; come vennero in decadimento le lettere, ed ogni sorta di sapere. Quindi l’Impero non avendo più forza, narreremo, come cominciò a crollare in rovina preda dei barbari, scatenati da ogni punto ad invadere i regni; come i Vandali ed i Goti la Sicilia allagarono, e alla fine i Saracini dall’Affrica giunsero prima ad abbatterla, poi a soggiogarla del tutto.

 

 

X

 

II.

 

La nimistà e gli odi di una fede diversa, il fanatismo di religione eh’è cieco, e ne vuole oltre ragione, fece che gli storici bizantini parlassero dei Saracini come di gente affatto barbara e incolta. Tali pregiudizi seguirono poi gli scrittori normanni, nè d’altro modo li descrissero; poichè sempre avviene che nel succedere di nazione a nazione gli ultimi dominatori vogliono oscurare il nome dei primi, onde entrar’ essi in più alto credito presso i popoli. Furono queste le cagioni politiche, per cui la fama dei Saracini, di già annebbiata, dai Normanni in poi rovinò intieramente, ed anzi che ad onore, non si tennero sempre che a disprezzo le cose di quella illustre generazione. Ma quando uomini celebratissimi sursero a propagare in Europa lo studio delle lingue,

 

 

XI

 

passate tutte a rivista le antiche biblioteche, allora fu levato il velo alle grandi cose di Oriente, e venuti a chiara luce gli scritti degli Arabi, ebbe tutto il mondo a conoscere, che i Saracini, maggiormente dal nono al duodecimo secolo, furono quella coltissima nazione, a niuna seconda per arti, per letteratura, per scienze.

 

La storia dei Saracini siciliani, che si estende pel corso di 230 anni, rimaneva in fino al caduto secolo intralciata e confusa, in guisa che dagli scrittori delle patrie memorie non altro nome davasi a quei popoli che quello di distruttori e di barbari. Non è mancato pure ai dì nostri chi, sconvenendo dall’arabica civiltà e letteratura, li abbia raffigurato come a’ selvaggi dei primi tempi del mondo, privi di ogni ordinata maniera di vita sociale. E tali infatti li dava a conoscere il padre abate Di-Blasi, scrittore dell’età nostra, nelle storie sue siciliane.

 

 

XII

 

Le carte arabiche deperdute per furore di guerre e di religione, le rimanenti sconosciute per più secoli, lasciavano ad ogni passo delle lacune, per cui immensi dubbi sorgevano sulle circostanze della conquista, sullo stabilimento e soggiorno dei Saracini nell’Isola, sulla religione che dominò allora la nostra gente, sulle leggi, sulle arti, sulle scienze, in somma sul nostro incivilimento nella famosa epoca degli Arabi. Il padre Fazello avea narrato alcune battaglie dei Greci contro i Saracini, ma nulla ci lasciò scritto del loro governo, della loro coltura, perchè nulla sapea. Pochissimi lumi somministravano gli scrittori della storia bizantina ; i quali, di lancio non di proposito, e con dati contrari, toccarono qualche accidente dell’ Isola nostra. Quindi dopo le ricerche di tanti industri investigatori di cose patrie,

 

 

XIII

 

Gianbattista Caruso dei baroni di Xiurami, che con indefesso studio attese ad illustrar la Sicilia (1) trasse dall’obblìo due delle cronache arabiche, con altre molte memorie, e nel 1723 le pubblicava nella pregevolissima raccolta col titolo di Biblioteca Istorica Siciliana. Non pochi lumi inoltre sulle cose saraceniche apprestarono il codice celebratissimo della biblioteca del Salvatore di Messina, la cronaca dell’ Escuriale, e quella della biblioteca di Cambridge, dal diligente Caruso nell’opera sua ritenute.

 

Ma non ostante tutte queste scoperte stavansi ancora sepolte nel buio e nel silenzio le più grandi maraviglie di quei tempi. Oggi però che le menti degli uomini altamente levaronsi a penetrare nelle ombre dei secoli,

 

 

(1) Fa onorata ricordanza di questo insigne lettorato lo egregio prof. Domenico Scinà nella Biografia degli uomini illustri di Sicilia tom. 1.

 

 

XIV

 

oltre ogni luogo, ed oltre ogni età, le ricerche dell’Herbelot del Casirio del Golio del Rampoldi del Meller e di molti altri geni Rinomatissimi hanno sparso d’una splendida luce le antichità dell’Oriente, tanto ad onor di quei popoli che della umana civiltà.

 

Ottenuti così felici risultamenti per gli scienziati stranieri, surse ancora fra noi rattissimo ingegno del Gregorio, il quale dissotterrando le più arcane reliquie dei tempi, a preferenza di qualunque altro, ci ha lasciato, come per tesoro raccolti, tutti gli arabici monumenti della Sicilia, opera, a dir vero, aureamente condotta, e degna di eterno culto nella siciliana letteratura (1). Dopo di ciò poco o nulla rimanea più da desiderare ai cultori delle patrie memorie per distendersi la storia dei Saracini-sicilioti.

 

 

(1) Gregorio Rerum Arabicarum ampla collectio.

 

 

XV

 

Con molta accuratezza, e fiore d’erudizione levossi a scrivere sulla dominazione degli Arabi Pietro Lanza principe di Scordia, giovine, che colla mente e col cuore ha fatto in miseri tempi ricordare a Sicilia esser terra di generosi (1). Finalmente ad un lungo elaborato lavoro diè mano Carmelo Martorana, che con lieti eventi veniva a portare in luce le Notizie Istoriche dei Saracini siciliani (2). Al quale diligente scrittore voglio io prestare quegli elogi che gli si devono, e le doglianze aggiungo di non aver veduto finora compite l’altre due parti del suo pregevole lavoro,

 

 

(1) Degli Arabi e del soggiorno loro in Sicilia, memoria letta nell’Accademia di scienze e lettere; e pubblicata in Palermo per Pedone e Muratori an. 1832.

 

(2) Furono pubblicati i primi due libri in due volumi nell’anno 1832 e 33 in Palermo per Pedone e Muratori.

 

 

XVI

 

che tornerebbe più gradito ad ogni uomo di lettere ed ai Siciliani generalmente. — L’abate Ferrara, che avea tanto grido levato di sè per la stona naturale e per gravi scientifici lavori, poco, e male, scrisse delle cose arabe, al pari di tutte le altre cose di storia siciliana (1). Poco ancora, ma bene, scrisse Niccolò Palmieri, perchè propostosi a scrivere diplomaticamente ed ampliamente la storia regia e viceregia di Sicilia in quattro volumi, ammassò in un sol volume, toccando per salto, i grandi avvenimenti delle greche republiche, e della romana, e saracina dominazione (2).

 

Io adunque, per tuttociò che possa riguardare la storia di Messina,

 

 

(1) Storia generale di Sicilia in nove volumi pubblicata per Dato in Palermo anno 1830 e seg.

 

(2) Palmieri, Somma della Storia di Sicilia in cinque volumi per Spampinato anno 1835 e seg.

 

 

XVII

 

e che a me si concede di raccontare, per non uscire tropp’oltre da’confini di quello che al mio bisogno si dee, ho fatto uso delle antiche nostre Cronache, cui vollero ancora prestar fede il Fazello il Maurolico ed il Caruso (1), della Storia del Novairo (2), e di tutti i documenti arabo-sicoli,

 

 

(1) Caruso Bib. Ist. vol. I in proemio ad Univ. I Sarac. Hist. Qua de re omnes de rebus siculis assertores ad unum arbitrantur, per obscurum, et errorum caliginibus, rediculisque, ac fabulosis opinionibus corruptam, Saracenico siculam Historiam, et praecipue Fazellus, cuius opere, labore, ac studio non parum lucis eidem accessit ex inedito Mss. Codice Bibliotecae SS. Salvatoris Messanae, auctore Joanne Curopolate; quo pariter usus doctissimus Maurolicus, quam potuit hanno Siciliae consepullam Historiam suscitavit.

 

(2) Il Novairo morto nel 732 dell’Egira scrisse in arabo un’opera enciclopedica, della quale due esemplari mss. esistono nella Real biblioteca di Francia. Nella quinta parte che contiene la storia, nella sezione dell’Affrica evvi la storia di Sicilia al tempo degli Arabi. Si è fatto uso della bella traduzione francese dell’illustre professore L. L. A. Caussin con nuove e dotte sue note pubblicata a Parigi nel 1802.

 

 

XVIII

 

in somma di tutti quegli stessi materiali che ci lasciò il dotto Gregorio, e servirono di guida agli altri scrittori. In siffatta maniera abbozzai un breve cenno degli accidenti dell’età dei Saracini, del loro imperio, della coltura loro in riguardo ad arti, a letteratura, a scienze, e di tutte quelle grandi cose che formano il debito di uno storico.

 

Infine ci veggiamo astretti a dover di nuovo solennemente riprotestare, che noi nello imprendere ed eseguire la storia della città nostra, altro intendimento avuto non abbiamo che di accrescere gli allori, che cotanto fregiano le glorie della Sicilia, nostra madre e patria comune. Ed abbiamo creduto che la lettura delle nostre pagine fosse stata bastante a dissolvere ogni nebbia di municipio. Dapoichè Messina—se non si vogliano distruggere per via di supposti,

 

 

XIX

 

dettati all’infretta, fatti che informano di luce splendidissima il siciliano incivilimento — mostrerà ad ogni spassionato leggitore, fin dai tempi più vetusti, vicende che a gloria non dubbia ridondano dell’intiera Sicilia. Sarebbe invero noioso ufficio per me, che con lo intendimento più puro mi son dato a durar fatiche gravissime a benefizio della siciliana istoria, il dovere, perchè a taluno non piacciono le storie di municipio, perchè a tal’altro sembra molto spiacevole, chela storia di Messina sia, come in fatto ella è, la storia più importante tra quelle delle città siciliane, dico mi sarebbe noioso il dovere ad ogni piè mosso arrestarmi per render polemica la narrazione ; e dovere infarcirla con note e chiose e comenti, che ad altro non tenderebbero che a sgannare pochi ubbiosi e sofisti, e di nessuno utile tornerebbero alla comune dei leggitori,

 

 

XX

 

che vogliono istruirsi, non appannarsi la mente, e traviarsi il cuore con querele, che ad altro non tendono, che a disunire gli animi in tempi che abbisogna, che stiano fermamente e fortemente riuniti.

 

Egli è perciò che io non potendo, nè volendo minuire le glorie del luogo che descrivo, per accontentare i pochi, cui non vanno a sangue; nè volendo mentire alla verità, proseguirò come per lo innanzi ho fatto con incorrotta fede a narrare quanto Messina riguarda ; nè per odio, nè per amore, nè per patria, nè per non patria tradirò il santo ufficio di colui che deve tramandare ai posteri una effigie sincera delle cose che furono. Nè tornerò più su questo triste argomento, giacché per coloro, cui non vale la evidenza dei fatti, non so che farmi a convincerli per via di ragioni.

 

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