La Bulgaria del basso Cesano tra tarda antichità e alto medioevo

 

Roberto Bernacchia

 

In: POLIDORO. Studi offerti ad Antonio Carile a cura di Giorgio Vespignani

Fondazione Centro italiano di studi sull'alto Medioevo

Spoleto 2013

 

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    Premessa

Fonti e letteratura sulla Bulgaria cesanense  773

Le ‘Bulgarie’ italiane  777
Analogie e differenze rispetto alla Bulgaria cesanense 
781
Le fonti sull’immigrazione dei Protobulgari in Italia 
786
La letteratura sui Protobulgari in Italia 
787
I centri della Bulgaria cesanense
(S. Gervasio di Bulgaria; S. Pietro in Bulgaria; Piolo; Stacciola - Mons Anastasiole; Monte Campanaro; Mondolfo - Castrum Martis; Casteldimare; Castellare Bulgari/de Bulgaria)  791
   Conclusioni 
795

Fig. 1 - La Bulgaria del basso Cesano (o vico dei Bulgari) nel secolo XI
Fig. 2 - Ipotetica estensione della Bulgaria del basso Cesano nell'alto medioevo (dallo studio del 1981)
Fig. 3 - Foto aerea relativa alla chiesa di S. Gervasio di Bulgaria e a un tratto del diverticolo della Flaminia Cagli-mare
Fig. 4 - Foto aerea relativa al versante ovest della valletta del Rio della Stacciola e ai siti dei nuclei fortificati
Fig. 5 - Immagine elaborata da Google Earth illustrante la disposizione dei nuclei fortificati sul versante ovest della valletta del Rio della Stacciola

 

 

    Premessa

 

Questo saggio rappresenta per me ‘un ritorno alle origini’, avendo trattato il tema qui proposto già nella tesi di laurea elaborata a Urbino sotto la guida del prof. Carile nei lontani anni 1974-1976, e avendolo quindi affrontato nell’ambito del convegno sull’alto medioevo marchigiano del 1981.

 

La ripresa di tematiche legate al popolamento e alla transizione tra antichità e medioevo è dovuta sia all’evoluzione del dibattito storiografico degli ultimi anni in questo settore di studi, dibattito che ha fatto registrare l’intervento di numerosi studiosi italiani e stranieri, sia anche agli apporti dell’archeologia medievale in Italia, apporti con i quali è necessario confrontarsi per una verifica di ipotesi formulate qualche decennio fa.

 

L’area presa in esame corrisponde alla bassa valle del fiume Cesano, più precisamente alla riva sinistra dal mare al Rio Maggiore (affluente del Cesano), inserita negli attuali comuni di Mondolfo e di San Costanzo (PU), frazione della Stacciola. Vi si distinguono il fondovalle del fiume Cesano, una porzione di litorale adriatico e un settore collinare, più esteso, nel quale si collocano i principali insediamenti umani.

 

 

Fonti e letteratura sulla Bulgaria cesanense

 

La prima fonte scritta che nomini questa Bulgaria è un diploma di Ottone III diretto all’abbazia di San Lorenzo in Campo, dell’anno 1001 [1] :

 

 

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tra i possessi dell’ente ecclesiastico si menziona il castello di San Pietro in Bulgaria. Del 1085 è invece una charta traditionis di due coniugi di legge salica, che lasciano alla loro figlia vari beni nel territorio senigalliese, fra cui alcune terre in vico Bulgarum qui vocatur Sclavinorum [2]. Seguono altri documenti del secolo XII, un privilegio di Pasquale II dell’anno 1112 [3], col quale il papa conferma all’abbazia di San Lorenzo in Campo la curtis di San Pietro in Bulgaria, e due carte d’enfiteusi dello stesso ente del 1120 [4] e 1127 [5], le quali fanno altresì riferimento al vico dei Bulgari.

 

Tali documenti vanno necessariamente integrati con altre tipologie di fonti: narrative (Procopio di Cesarea, Agatia di Mirina, Paolo Diacono, Teofane, Niceforo, Landolfo Sagace), che però fanno solo generico riferimento ad un’area territoriale più vasta nella quale si trovava inserita la Bulgaria, che non nominano in maniera esplicita; itinerarie (la Tabula Peutingeriana e l’Itinerarium Antonini, che collocano in zona la statio di ad Pirum <Filumeni>); archeologiche e avanzi manufatti (materiali di San Gervasio, dentro e fuori della chiesa, nonché dei siti vicini; materiali di San Pietro della Stacciola e dei siti vicini). Proprio nella ricerca archeologica è riposta la speranza di reperire ulteriori testimonianze

 

 

1. Edizione in C. Pierucci, A proposito di un eremo mai esistito e di una pretesa dipendenza di Fonte Avellana da S. Lorenzo in Campo, in Benedictina, XVII (1970), pp. 341-345, part. pp. 343-345 (dall’originale); M.G.H., Dipl. regg. et impp. Germ., II/2, 2a ed., Berolini, 1957, pp. 822-824 n. 392 (da copie del sec. XVII); cfr. C. Micci, Il monastero di S. Lorenzo in Campo nella diocesi di Fano ora di Pergola, Ancona, 1965, pp. 30-35.

 

2. Carte di Fonte Avellana, 1 (975-1139), a cura di C. Pierucci e A. Polverari, Roma, 1972, pp. 167-169 n. 71.

 

3. Edizione in A. Vernarecci, Del comune di Sant Ippolito (prov. di Pesaro) e degli scalpellini e dei marmisti del luogo, Fossombrone, 1900, pp. 191-194 (cfr. p. 20); regesto in P. F. Kehr, Italia pontificia sive Repertorium privilegiorum et litterarum a Romanis pontificibus ante annum MCLXXXXVIII..., IV, Umbria Picenum Marsia, Berolini, 1911, p. 190 n. 4; cfr. anche Micci, Il monastero di S. Lorenzo cit. (nota 1), pp. 39-46.

 

4. Firenze, Archivio di Stato, Ducato di Urbino, cl. III, filza 2, n. 7, ff. 35r-36r: si tratta di una carta di enfiteusi con cui Mainardo abate di S. Lorenzo in Campo conferma ad alcuni laici 3 moggi di terra siti nel comitato di Senigallia nel fondo S. Pietro in <vico> Bulgarorum; cfr. Micci, Il monastero di S. Lorenzo cit. (nota 1), pp. 49-50.

 

5. Firenze, Archivio di Stato, Ducato di Urbino, cl. III, filza 2, n. 8, ff. 37r-38r: concessione enfiteutica disposta da alcuni laici e rivolta all’abate Mainardo, relativa a beni siti in vico Bulgarorum infundo Zonestella et infundo Cartecosa. Cfr. Micci, Il monastero di S. Lorenzo cit. (nota 1), pp. 50-51, che la considera una donazione.

 

 

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sugli insediamenti e sull’organizzazione economica e territoriale del basso Cesano in quest’epoca di transizione.

 

Il primo studioso a proporre i documenti circa l’esistenza della Bulgaria cesanense fu, nel 1969, mons. Alberto Polverari, il quale si era prefisso il compito «di dimostrare una seconda componente etnica fondamentale della stessa popolazione a sinistra del Cesano» [6], ossia quella dei Bulgari e degli Sclavini, il cui insediamento veniva collegato a quello dei Longobardi esteso a tutto il Senigalliese, al punto che l’A. si sentiva autorizzato a parlare di ducato longobardo di Senigallia, basandosi pure su documenti e cronache relativi al duca Sergio (fine secolo VIII) [7]. Per quanto riguarda la Bulgaria, il Polverari riteneva che tale termine potesse riferirsi all’intera porzione del territorio senigalliese esistente alla sinistra del Cesano (esteso quindi ai comuni di Mondolfo, Monte Porzio, parte di San Costanzo e parte di Monterado); oppure che indicasse le due località attorno alle chiese di San Gervasio e di San Pietro, la prima tuttora esistente e sita in comune di Mondolfo nel fondovalle cesanense tra le località Centocroci e Ponte Rio, la seconda scomparsa e ubicata, secondo Polverari, nel territorio di Monte Porzio «presso il castello o fondo Montis Porci» [8]. Lo stesso Polverari, comunque, non nutriva dubbi sulla derivazione del toponimo Bulgaria dall’etnico Bulgaro, convinzione rafforzata in seguito dalla conoscenza delle tesi del glottologo Francesco Sabatini [9].

 

Negli stessi anni in cui usciva il contributo di Polverari A. Guillou portava a termine il suo lavoro sull’Esarcato d’Italia: egli riteneva che elementi protobulgari fossero stati stanziati dalle autorità bizantine nella valle del Cesano per riempire i vuoti prodotti

 

 

6. A. Polverari, Una Bulgaria nella Pentapoli. Longobardi, Bulgari e Sclavini a Senigallia, Senigallia, 1969, p. 6.

 

7. Polverari, Una Bulgaria cit. (nota 6), pp. 21-31; Id., Senigallia nella storia, II, Evo medio, Senigallia, 1981, pp. 53-65.

 

8. Polverari, Una Bulgaria cit. (nota 6), pp. 9-14.

 

9. F. Sabatini, Riflessi linguistici della dominazione longobarda nell’Italia mediana e meridionale, in Atti e Memorie dell’Accademia toscana di scienze e lettere La Colombaria, n. ser. — XIV, XXVIII (1963-1964), pp. 123-249, cfr. part. pp. 166-167. Il Polverari ripubblicò qualche anno dopo il suo saggio col titolo Longobardi, Bulgari e Sclavini nel vol. Una città adriatica. Insediamenti, forme urbane, economia, società nella storia di Senigallia, a cura di S. Anselmi, [Jesi], 1978, pp. 71-85.

 

 

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tra le popolazioni delle campagne decimate dalle guerre, carestie ed epidemie nel corso del VI secolo [10].

 

Nel 1981, in occasione del Convegno promosso dalla Deputazione di storia patria per le Marche su Istituzioni e società nell’alto medioevo marchigiano, due interventi cercarono di approfondire i problemi relativi all’organizzazione territoriale della bassa valle del Cesano e all’estensione spaziale della Pentapoli bizantina: il primo dello scrivente, che vedeva nel vico dei Bulgari una circoscrizione nata con lo stanziamento spontaneo di Bulgari e Longobardi, avvenuto nell’ultimo decennio del VI secolo, sulla sponda sinistra del Cesano e lungo il Rio Maggiore, senza che questa circoscrizione corrispondesse ad alcun distretto amministrativo precedente, vico assorbito in parte nel comitato di Senigallia e in parte in quello di Fano sul finire del secolo X, nel contesto del riordinamento amministrativo attuato dagli Ottoni: [11]; il secondo di E. Baldetti il quale, partendo dal dato linguistico di Bulgarus quale etnico della popolazione slava dei Bulgari e dei relativi toponimi associati con toponimi longobardi, considerava la Bulgaria una circoscrizione formatasi dopo la disfatta dei Longobardi ed estesa fra Mondavio, Orciano, San Giorgio di Pesaro e il mare [12].

 

 

10. A. Guillou, Régionalisme et indépendance dans l’Empire byzantin au VII siècle. L’exemple de l’Exarchat et de la Pentapole d’Italie, Roma, 1969, pp. 92-94, 107-108; cfr. Id., L’Italia bizantina dall’invasione longobarda alla caduta di Ravenna, in P. Delogu-A. Guillou-G. Ortalli, Longobardi e Bizantini, Torino, 1980 (Storia d’Italia, diretta da G. Galasso, I), pp. 217-338, cfr. p. 256.

 

11. R. Bernacchia, L’assetto territoriale della bassa valle del Cesano nell’alto medioevo, in Istituzioni e società nell’alto medioevo marchigiano, in Atti e Memorie della Deputazione di storia patria per le Marche, 86 (1981), pp. 683-714.

 

12. E. Baldetti, Per una nuova ipotesi sulla conformazione spaziale della Pentapoli. Rilievi topografico-storici sui toponimi di area pentapolitana, in Istituzioni e società cit. (nota 11), pp. 779-894, part. alle pp. 793-794 e 838 nota 173. Cfr. Id., Aspetti topografico-storici dei toponimi medievali nelle valli del Misa e del Cesano, Bologna, 1988, pp. 25-27, 206-207 (ripubblicato dal comune di Serra de’ Conti nel 2004). Il Baldetti è poi tornato sull’argomento dell’estensione e dell’organizzazione territoriale della Pentapoli con lo studio La Pentapoli bizantina d’Italia tra Romania e Langobardia, in Atti e Memorie della Deputazione di storia patria per le Marche, 104 (1999), pp. 9-94, cfr. pp. 39-43, nel quale formula l’ipotesi che Cesinas/Sesenas, inserita nell’elenco delle città relativo alla promissio Carisiaca (fonte Liber pontificalis), debba identificarsi con una distrettuazione situata nel basso Cesano, corrispondente quindi alla Bulgaria.

 

 

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Le ‘Bulgarie’ italiane

 

Era stata già notata altrove, in Italia, l’esistenza storica di altre aree denominate Bulgaria. La più nota, situata lungo il corso del Ticino tra Novara e Pavia, era stata nel 1967 oggetto di studio di A. Cavanna, che l’aveva reputata una circoscrizione regia longobarda, trasformata dai Carolingi in comitatus e come tale documentata dall’età carolingia [13]. L’origine etnica del toponimo Bulgaria e il collegamento con l’insediamento longobardo erano stati, ancor prima, sostenuti dal Muratori [14] e dallo Schneider [15], mentre in seguito glottologi come il Serra [16] e l’Olivieri [17] sostenevano l’origine del toponimo da burgus, almeno in area lombarda, in ciò contraddetti da I. Petkanov per quanto attiene alle tre aree dell’Italia settentrionale, della Toscana e del Beneventano [18].

 

Questa Bulgaria ticinese è stata fatta oggetto di studio da parte di molti storici dopo l’epoca del Muratori; pur tuttavia essa rimane, per quanto riguarda l’alto medioevo, un territorio con diversi punti oscuri. E in effetti i vari studiosi che se ne sono occupati non sono concordi nella soluzione da dare alle questioni sul tappeto: l’origine del toponimo, la collocazione geografica e l’estensione della Bulgaria,

 

 

13. A. Cavanna, Fara sala arimannia nella storia di un vico longobardo, Milano, 1967, pp. 114-118 e passim.

 

14. L. A. Muratori, Antiquitates Italicae medii Aevi, sive Dissertationes de moribus...(Diss. I), t. I, Mediolani, 1738, col. 14; Id., Annali d’Italia dal principio dell’era volgare sino all’anno MDCCXLIX, t. V, Milano, 1753, p. 165.

 

15. F. Schneider, Die Entstehung von Burg und Landgemeinde in Italien. Studien zur historischen Geographie, Verfassungs- und Sozialgeschichte, Berlin-Grunewald, 1924, pp. 34-35.

 

16. G. Serra, Contributo alla storia dei derivati di burgus: borgale, borgaria, borgoro, in Filologia romanza, a. V, fasc.i, n. 17 (1958), pp. 1-48. Il Cavanna, Fara sala arimannia cit. (nota 13), pp. 75-118, accogliendo in parte le osservazioni del Serra, riteneva impossibile che i numerosi toponimi italiani del tipo Bulgaro e Bulgaria avessero tutti un’origine etnica.

 

17.

·       D. Olivieri, La terminologia relativa al Villaggio, al Borgo, alla Parrocchia e ad altre circoscrizioni consimili riflessa nella toponomastica lombarda, in Archivio storico lombardo, a. LXXXVII, s. VIII, X (1961), pp. 5-20, cfr. pp. 11-13;

·       Id., Ancora sui derivati e presunti derivati del nome Bulgarus, in Lingua nostra, XXI (1960), p. 122;

·       Id., Dizionario di toponomastica lombarda, 2a ed., Milano, [1961], pp. 115-116.

 

18.

·       Petkanov, Bulgar(us) e suknja nelle parlate italiane e neolatine, in Ricerche slavistiche, III (1954), pp. 43-50, part. pp. 43-47;

·       Id., Bulgarus nell’onomastica e nella toponomastica italiana, in Lingua nostra, XXI (1960), pp. 17-20;

·       Id., Di nuovo su Bulgarus, in Lingua nostra, XXII (1961), p. 93.

 

 

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la natura della circoscrizione e dei poteri pubblici che vi si esercitavano [19]. Sembra comunque probabile che il comitato, attestato dall’877 al 969, si estendesse allora su entrambe le rive del Ticino [20].

 

Oltre a questa Bulgaria ticinese vi sono in Italia altri territori il cui nome sembra richiamarsi all’etnico Bulgaro. Uno di questi è il cosiddetto ‘gastaldato di Alzeco’ ovvero i fines Vulgarenses tra Sepino, Boiano e Isernia [21]. Su questo territorio si tornerà in seguito, per alcuni confronti e a proposito delle immigrazioni dei Protobulgari in Italia.

 

Altro esempio il castello di ‘Bulgaretta’ nella valle del Turano [22]: circa la sua origine si è pensato ad una colonia di Bulgari messa in relazione con il consolidamento del confine tra ducato longobardo di Spoleto

 

 

19.

·       G. Giulini, Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città e campagna di Milano ne’ secoli bassi, I, Milano, 1854, pp. 289-290;

·       E. Riboldi, I contadi rurali del Milanese (Sec. XI-XII), in Archivio storico lombardo, ser. 4a, a. XXXI, I (1904), pp. 1574, 240-302, cfr. pp. 275-280;

·       Colombo, Vigevano e il comitato bulgariense, Vigevano, 1914;

·       F. Pezza, Profilo geografico della Bulgaria italiana nell’alto medioevo, Novara, 1935;

·       F. Gabotto, Per la storia del Novarese nell’alto Medio Evo, I, Ducati e Comitati, in Bollettino storico per la provincia di Novara, XI, fasc. 1-2 (gen.-apr. 1917), pp. 5-37;

·       Ramponi, Saggio di ricerche su Borgolavezzaro capitale del contado di Bulgaria, in Bollettino della sezione di Novara, in R. Deputazione subalpina di storia patria, XXXVI, 1-2 (1942), pp. 34-63;

·       F. Cognasso, Novara nella sua storia, in Novara e il suo territorio, Novara, 1952, pp. 1-531, cfr. pp. 55-58.

 

20. Il Cavanna, Fara sala arimannia cit. (nota 13), pp. 38-39, pensa ad un «continuo fluttuare dei confini bulgariensi», per cui conviene « rinunciare a delinearne un rigido andamento confinario»; cfr. G. Sergi, I confini del potere. Marche e signorie fra due regni medievali, Torino, 1995, pp. 150-151, 174-176: l’A. tratta soprattutto la questione dell’appartenenza della Bulgaria alla marca anscarica di Ivrea nei secoli X e XI, osservando che tale marca non poteva comprendere l’intero comitato bulgariense e che pure il suo inserimento fra le diocesi di Novara e di Pavia complicava ulteriormente la sua collocazione istituzionale; A. Bedina, Signori e territori nel Regno italico (secoli VIII-XI), Milano, 1997, pp. 93-117: riassume i termini della questione sottolineando i diversi punti oscuri e avanzando il dubbio che si sia trattato di un «comitato senza conti», ossia un’area solo geograficamente comitale nei secoli IX-XI, un territorio di natura fiscale utilizzato dai sovrani per remunerazioni vassallatico-beneficiarie a soggetti laici e ancor più ecclesiastici.

 

21.

·       V. D’Amico, I Bulgari trasmigrati in Italia nei secoli VI e VII dell’Era Volgare, Campobasso, 1933; Id.,

·       Importanza della immigrazione dei Bulgari nella Italia meridionale al tempo dei Longobardi e dei Bizantini, in Atti del 3° Congresso internazionale di studi sull’alto medioevo, Spoleto, 1959, pp. 369-377.

 

22. Sabatini, Riflessi linguistici cit. (nota 9), p. 167.

 

 

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e ducato bizantino di Roma [23]. Il sito si trovava nel gastaldato Turano (nei dintorni del lago del Turano), facente parte del territorio reatino: qui i toponimi Vulgarecta e rivus de Sclavis appaiono nel secolo XI in stretta connessione spaziale [24].

 

Due Bulgarie si registrano pure in area pentapolitana: terra Bulgarorum e fine Bulgarisca nel Riminese (secolo VIII) [25]. Nella zona in cui pare doversi ubicare terra Bulgarorum, alla destra del Marec- chia, sono poi documentati dal secolo IX il toponimo Bulgaria Nova (evidentemente così detta per distinguerla da un’altra Bulgaria) e la pieve di S. Giovanni in Bulgaria Nova [26]. Gli stessi nomi - Bulgaria Nova e Bulgaria (Vetus) - si ripetono in altra zona alla sinistra del Rubicone, ai confini col Cesenate,

 

 

23. T. Leggio, Il castello abbandonato di Bulgaretta, scheda in attesa di essere inserita in una pubblicazione e cortesemente inviatami dall’A., che ringrazio per avermi fornito altre notizie e indicazioni bibliografiche in merito.

 

24.

·       Il Regesto di Farfa di Gregorio di Catino, pubblicato da I. Giorgi e U. Balzani, III, Roma, 1883, pp. 162-163 doc. 450 (a. 1012?); pp. 263-264 doc. 555 (a. 1026);

·       Il Regesto di Farfa cit. (supra), V, Roma, 1892, pp. 131-132 doc. 1130 (a. 1092), pp. 155-156 s.n. (a. 1090-1099), pp. 301-302 doc. 1317 (a. 1116?).

·       Il Chronicon Fafense di Gregorio di Catino, a cura di U. Balzani, II, Roma, 1903, pp. 29, 211, 215.

 

Sul castello, localizzato nel comune di Ascrea (RI), cfr.

A. R. Staffa, Il territorio di Ascrea. Note di storia e topografia, in A. R. Staffa [et al.], Ascrea. Inventario di un territorio, a cura di R. Lorenzetti, Città di Castello, 1986, pp. 13-59, part. pp. 15-17,

inoltre

È. Hubert, L’«incastellamento» en Italie centrale. Pouvoirs, territoire et peuplement dans la vallèe du Turano au Moyen Age, Rome, 2002, pp. 31 nota 38, 180 nota 91, 220, 236 nota 326, 290 nota 126 e passim;

sul gastaldato Turano e i suoi fines

E. Taurino, L’organizzazione territoriale della contea di Fermo nei secoli VIII-X. La persistenza della distrettuazione longobarda nel ducato di Spoleto: i gastaldati minori, in Studi medievali, ser. 3a, XI (1970), pp. 659-710, part. alle pp. 707-709.

 

25. Breviarium Ecclesiae Ravennatis (Codice Bavaro). Secoli VII-X, a cura di G. Rabotti, Roma, 1985, p. 25 n. 43 (sec. VIII?) e p. 37 n. 73 (sec. VIII?). Sull’ubicazione di terra Bulgarorum sul Marecchia e di fine Bulgarisca v. Baldetti, Conformazione spaziale della Pentapoli cit. (nota 12), p. 805 nota 86, il quale interpreta fine come ‘confine’, il che ci porterebbe verso un’area di confine del Riminese; su terra Bulgarorum cfr. C. Curradi, Pievi e Bulgarie fra Verucchio e Corpolò, in Romagna arte e storia, II, 5 (1982), pp. 5-20, part. a p. 9.

 

26.

R. Benericetti, Le carte ravennati dei secoli ottavo e nono, Faenza, 2006, pp. 31-33 n. 14;

L. Tonini, Della storia civile e sacra riminese, II, Rimini dal principio dell’Era Volgare all’anno MCC, Rimini, 1856, pp. 297, 302, 336, 360, 371, Appendice, pp. 489-490 n. XXXX (data al sec. X), pp. 502-504 n. XXXXIIII (a. 994), pp. 531-535 n. LIII (a. 1059), pp. 542-545 n. LVII (a. 1069), pp. 570-574 n. LXXII (a. 1144).

Per il doc. del 1069 v. Guillou, Règionalisme cit. (nota 10), p. 100. Cfr. C. Curradi, Pievi e Bulgarie cit. (nota 25), pp. 7-11; Id., Pievi del territorio riminese nei documenti fino al mille, [s.l.], 1984, pp. 105-122.

 

 

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la quale potrebbe corrispondere appunto a fine Bulgarisca [27].

 

Un vicus Bulgarorum è attestato nel Pesarese, lungo la strada di fondovalle del Foglia che da Pesaro sale verso l’interno, sulla riva sinistra del fiume: qui era sita la pieve di San Lorenzo in Strada [28].

 

Oltre alle zone definite ‘Bulgaria’, i toponimi da Bulgaro sono del resto assai diffusi in Italia, dal Sannio fino alle Alpi, per lo più rinvenibili nell’Italia longobarda [29]. Si ritiene che pure la diffusione dell’antroponimo Bulgarus sia avvenuta di norma nelle stesse zone in cui compaiono toponimi ricondotti all’insediamento dei Protobulgari [30].

 

 

27. Una Bulgaria in territorio riminese (ma probabilmente ai confini col Cesenate) è documentata da tre diplomi imperiali, di Ottone III, Enrico II e Corrado II degli anni 1001, 1009 e 1037, per l’abbazia di S. Apollinare in Classe, pubblicati in M.G.H., Dipl., ed. cit. (nota 1), II/2, 2a ed., pp. 833-834 n. 400; M.G.H., Dipl. regg. et impp. Germ., III, 2a ed., Berolini, 1957, pp. 225-226 n. 191; M.G.H., Dipl. regg. et impp. Germ., IV, München, 1980, pp. 327-330 n. 239;

ultimamente in Le carte ravennati del secolo undicesimo, VII, Archivi minori (monasteri di Sant'Apollinare in Classe, San Giovanni Evangelista, canonica di Santa Maria in Porto), a cura di R. Benericetti, Faenza, 2011, pp. 3-5 n. 559, pp. 5-8 n. 560, pp. 16-21 n. 564. Docc. più recenti in M. Fantuzzi, Monumenti ravennati de’ secoli di mezzo per la maggior parte inediti, V, Venezia, 1803, pp. 292-293 n. xlix e pp. 301-303 n. liii; cfr. Curradi, Pievi e Bulgarie cit. (nota 25), p. 9.

 

28. Sabatini, Riflessi linguistici cit. (nota 9), p. 167; F. V. Lombardi, Le primitive pievi delle diocesi di Montefeltro e Pesaro, in Le pievi nelle Marche, Fano, 1978, pp. 158-173, cfr. p. 168. E. Baldetti, Longobardi contro Bizantini, in Strada in Sala, a cura di G. Allegretti, [Pesaro], 1991, pp. 15-20, penserebbe ad una derivazione di vicus Bulgarorum, alla sinistra del Foglia, dal gruppo etnico bulgaro, mentre Borgheria, alle porte di Pesaro e alla destra del Foglia, sarebbe collegato all’etimo burgus.

 

29. Oltre allo studio del Sabatini relativo alle tracce linguistiche dei Longobardi nell’Italia centromeridionale, vanno ricordati a titolo esemplificativo: per la Toscana, Schneider, Die Entstehung von Burg cit. (nota 15), pp. 134-136, Id., Die Reichsverwaltung in Toscana von der Gründung des Langobardenreiches bis zum Ausgang der Staufer (568-1268), I, Die Grundlagen, Rom, 1914, pp. 178-179; inoltre i saggi di C. A. Mastrelli, La toponomastica lombarda di origine longobarda, in I Longobardi e la Lombardia. Saggi, [Milano], 1978, pp. 35-46, part. a p. 36; di G. Mastrelli Anzilotti, Toponimi di origine longobarda nel Trentino-Alto Adige, in Italia longobarda, a cura di G. C. Menis, Venezia, 1991, pp. 227-267, part. a p. 229; e di S. Del Lungo, Il corridoio Bizantino e la via Amerina: indagine toponomastica, in Il corridoio bizantino e la via Amerina in Umbria nell’alto medioevo, a cura di E. Menestò, Spoleto, 1999, pp. 159-217, part. alle pp. 183-184.

 

30. Sabatini, Riflessi linguistici cit. (nota 9), pp. 167-168; Guillou, Régionalisme cit. (nota 10), pp. 98-100; Bernacchia, L’assetto territoriale cit. (nota 11), p. 698 nota 49.

 

 

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Analogie e differenze rispetto alla Bulgaria cesanense

 

È un fatto che negli studi storici condotti sulla Bulgaria del Ticino i vari autori abbiano generalmente fatto risaltare i caratteri longobardi di questa circoscrizione: cosa particolarmente evidente nell’ampio studio del Cavanna, che pure condivideva la tesi del Serra e dell’Olivieri circa l’origine ‘romana’ del toponimo [31].

 

Quantunque i toponimi del tipo Bulgaria appartengano a realtà geografiche italiane diverse e lontane fra loro, pure a fronte della grave penuria di fonti è possibile coglierne vicende e caratteristiche comuni.

 

Uno di questi elementi parrebbe essere la presenza di terre fiscali che, come fa osservare A. Bedina a proposito della Bulgaria ticinese, venivano usate dai sovrani come serbatoio per rimunerare soggetti laici ed ecclesiastici [32]. Per quanto riguarda la nostra Bulgaria, il diploma di Ottone III per San Lorenzo in Campo dell’anno 1001, già citato [33] e sul quale si ritornerà a proposito dei castelli, potrebbe far pensare a beni fiscali il cui possesso veniva appunto confermato all’abbazia. Anche le proprietà del monastero di San Gervasio di Bulgaria potrebbero in parte essersi originate da terre fiscali, tanto più che alcune si situano nei gualdi, documentati nell’ambito del territorio di Mondolfo (Gualdo, Gualdonovo e Gualdisiolo) e della Stacciola (Gualdo) [34].

 

L’esistenza di un vicus è riscontrabile sia nella Bulgaria ticinese (Vicus Gebuin, Vigevano) [35] che nella Bulgaria cesanense (‘vico dei Bulgari detto degli Sclaveni’, a cui si è già accennato).

 

 

31. Il Cavanna, Fara sala arimannia cit. (nota 13), a p. 75 scrive: «L’agro vigevanese, come tutta la Bulgaria, deve ai Longobardi i tratti più salienti e storicamente rilevanti delle sue vicende giuridiche»; sull’origine del toponimo cfr. ibid., pp. 98-118.

 

32. Bedina, Signori e territori cit. (nota 20), pp. 104, 116-117. Cfr. anche Cavanna, Fara sala arimannia cit. (nota 13), pp. 85-89.

 

33. Vedi sopra alla nota 1.

 

34. Bernacchia, L’assetto territoriale cit. (nota 11), p. 697; Id., Ambiente rurale, signoria e comunità nel territorio della Stacciola (secoli XIII-XIV), in Atti e Memorie della Deputazione di storia patria per le Marche, 106 (2001-03), pp. 33-52, cfr. p. 41. Va sottolineato che nel fondo Gualdonovo sono persistite proprietà collettive, ovvero communalia, fino ad epoca moderna. Sul toponimo gualdo e sulla sua accezione giuridica di ‘terra del fisco’ cfr. Sabatini, Riflessi linguistici cit. (nota 9), pp. 171-186, e Mastrelli, La toponomastica lombarda cit. (nota 29), pp. 41-42.

 

35. Cavanna, Fara sala arimannia cit. (nota 13), pp. 46-56.

 

 

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In area marchigiana il termine vicus, già usato nell’antichità romana per indicare un agglomerato rurale sviluppatosi lungo una strada (ma anche ripartizioni o vie urbane e suburbane) [36], sembrerebbe riferirsi nell’alto medioevo a siti di antico insediamento e ai territori organizzati attorni ad essi [37].

 

Se proprio si vuole identificare un tratto comune fra tali zone, questo sembra essere proprio l’assenza di un centro urbano, rilevabile in quasi tutti i casi. Le uniche due eccezioni, se così si può dire, sono rappresentate dalla Bulgaria ticinese, territorio a proposito del quale il Gabotto aveva sostenuto che altro non fosse che il comitato di Novara in età longobarda, quando esso aveva perduto il nome della sua città [38]; e dalla ‘Bulgaria’ del Sannio. Tuttavia, nel primo caso la tesi è stata decisamente contestata da altri studiosi [39]; d’altro canto, quantunque la ‘Bulgaria’ meridionale sia l’unica zona in cui si trovavano sicuramente città antiche, come Isernia, Bovianum e Saepinum, queste apparivano profondamente decadute alla metà del secolo VII, al centro di spatiosa et deserta loca, e non pare che abbiano svolto un ruolo significativo nel governo di quel territorio in età longobarda [40].

 

 

36. Festo (Sexti Pompei Festi De verborum significatu quae supersunt cum Pauli epitome, ed. W. M. Lindsay, Lipsiae, 1913, pp. 502 e 508) conosce tre specie di vici: rustici, suburbani, urbani, cfr. G. Mengozzi, La città italiana nell’alto Medio Evo. Il periodo longobardo-franco. In appendice: Il comune rurale del territorio lombardo-tosco, Firenze, 1973, p. 77. Isidoro di Siviglia, Etymologiae, XV, 2, 12, definisce il vico un insieme di habitationes e viae sine munitione murorum, quantunque anche le habitationes urbis possano essere chiamate vici. Riconosciuto, dunque, il significato polivalente del termine, G. Mennella, Il vicus di Pisaurum, in Epigraphica, XLV, 1-2 (1983), pp. 146-151, ritiene che gli impianti urbanistici a cui esso allude debbano essere definiti caso per caso: nel caso specifico del vicus di Pisaurum, attestato da fonti epigrafiche, si tratterebbe di «una zona suburbana abitata in prevalenza dal basso ceto dei lavoratori manuali e degli artigiani». Sulla ripartizione dei pagi in vici cfr. U. Laffi, Considerazioni sulle articolazioni del contesto urbano e del contesto rurale nell’Italia romana, in Id., Studi di storia romana e di diritto, Roma, 2001, pp. 617-622, e Id., Problemi dell’organizzazione paganico-vicana nelle aree abruzzesi e molisane, ibid., pp. 623-629, art. già pubblicato in Athenaeum, n. ser., LII (1974), pp. 336-339.

 

37. R. Bernacchia, Incastellamento e distretti rurali nella Marca Anconitana, Spoleto, 2002, pp. 161-164. Sulla continuità storica tra i vici romani e preromani e quelli medievali si veda E. Sereni, Comunità rurali nell’Italia antica, Roma, 1955, pp. 344 nota 11, 362 nota 39, 388 nota 2, 393, 407-409.

 

38. Gabotto, Per la storia del Novarese cit. (nota 19), p. 11.

 

39. Cfr. Sergi, I confini del potere cit. (nota 20), pp. 175, 201 e nota 38.

 

40. Il duca di Benevento Romualdo fece insediare i Bulgari di Alzeco in «spatiosa ad habitandum loca, quae usque ad illud tempus deserta erant» (Pauli Hist. Lang. [V, 29], in M.G.H., Script. rer. Lang. et Ital. saec. VI-IX, ed. L. Bethmann-G. Waitz, Hannoverae, 1878, p. 154);

 

cfr. V. von Falkenhausen, I Longobardi meridionali, in A. Guillou [et al.], Il mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, Torino, 1983 (Storia d’Italia, diretta da G. Galasso, III), pp. 249-364, alle pp. 290-292, dove a nota 3 precisa che si tratta di Bovianum Undecimanorum e non di Bovianum Vetus (od. Pietrabbondante). Su Aesernia, Bovianum (Undecimanorum) e Saepinum nel tardoantico cfr. I. M. IASIELLO, Samnium. Assetti e trasformazioni di una provincia dell’Italia tardoantica, Bari-S. Spirito, 2007, pp. 118-121, 124-129, 132-139, part. le pp. 121, 129 e 138-139.

 

Da notare, tuttavia, che la Falkenhausen, I Longobardi meridionali cit. (supra), p. 292, include il gastaldato di Boiano tra i gastaldati longobardi esistenti fino al IX secolo: il che apparirebbe non illogico se si considera che Bojano occupa una posizione centrale nell’ipotetico territorio che si estende, con andamento nord-ovest sud-est, da Isernia a Sepino ai piedi dei monti del Matese e nelle valli del Biferno, Tammaro e Volturno (tra le attuali regioni del Molise e della Campania), mentre confinerebbe Isernia in una posizione marginale. Da notare, infine, che il cronista Erchemperto definisce Bojano castrum riferendosi a situazioni del tardo sec. IX: Erchemperti Historia Langobardorum Beneventanorum [48, a. 880-882], in M.G.H., Script. rer. Lang. et Ital. saec. VI-IX, post G. H. Pertz iterum ed. G. Waitz, Hannoverae, 1878, pp. 231-264, part. a p. 255.

 

 

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La presenza di centri fortificati (castella) è un segnale importante per queste zone: presenza tanto più significativa se anteriore all’epoca ‘classica’ dell’incastellamento (secoli X-XIII) e se rientra in un sistema di difesa territoriale ascrivibile allo stato tardoantico. Nella Bulgaria cesanense questa caratteristica sembra essere presente, come si vedrà in seguito, come pure nella Bulgaria ticinese [41]: ragion per cui è stata ipotizzata per quest’ultima una funzione sta- tegico-militare in età longobarda [42]. È comprensibile il motivo per cui alcuni studiosi abbiano attribuito ad ogni ‘Bulgaria’ un carattere e una funzione militare sulla base della derivazione del toponimo da burgus, vuoi in riferimento allo stato di insicurezza diffusosi nel periodo del basso Impero e al conseguente presidio di strade e punti nevralgici,

 

 

41. Bedina, Signori e territori cit. (nota 20), pp. 104 e 109-116.

 

42. G. P. Bognetti, S. Maria foris portas di Castelseprio e la storia religiosa dei Longobardi, in Id., L’età longobarda, II, Milano, 1966, pp. 11-673, cfr. p. 342, pensava che non solo la Bulgaria ticinese, ma anche altri insediamenti dei Bulgari rispondessero «a tutto il piano di difesa che lo scacchiere politico imponeva a Grimoaldo». Anche lo Schneider, Die Entstehung von Burg cit. (nota 15), p. 35, aveva sottolineato come lo scopo di questa Bulgaria fosse la difesa della capitale longobarda, escludendo tuttavia che la circoscrizione potesse essere di origine romano-bizantina per l’assenza di un castrum e di una sede amministrativa. Cfr. Cavanna, Fara sala arimannia cit. (nota 13), pp. 79-82, 114-118. Infine Bedina, Signori e territori cit. (nota 20), pp. 100-101 e nota 40, considera decisivo «per l’organizzazione della difesa in quei primi anni del decimo secolo» in quest’area il timore delle incursioni ungariche, quantunque potesse trattarsi «del ripristino di strutture difensive preesistenti ed in parte in stato di parziale degrado».

 

 

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vuoi in riferimento ai conflitti longobardo-bizantini [43].

 

Quanto all’estensione spaziale, la Bulgaria cesanense appare come un territorio di modeste dimensioni nel secolo XI, circa 26 kmq, se identificato con il vico dei Bulgari corrispondente all’odierno territorio di Mondolfo con l’aggiunta della Stacciola di San Costanzo (fig. 1). Gli unici luoghi sicuramente ubicati nella Bulgaria dalle fonti dei secoli XI-XII sono San Gervasio (Mondolfo) e San Pietro (Stacciola); dalla carta del 1085, poi, risulta che il vico dei Bulgari non oltrepassava il Rio Maggiore [44]. Ma ciò potrebbe essere il risultato di una riduzione territoriale prodottasi negli ultimi secoli prima del 1000: se invece prendiamo in considerazione l’area di diffusione dei toponimi bulgari, essa è più ampia e comprende la bassa valle alla sinistra del Cesano dal mare alla frazione San Michele al Fiume di Mondavio (fig. 2) [45]. Potrebbe, in altre parole, essere accaduto ciò che accadde anche alla Bulgaria ticinese, in età carolingia comitatus esteso su entrambe le rive del Ticino, in seguito, con la ripresa della designazione comitale, designato quale contado rurale di Milano (fine secolo XII) [46]. Essa doveva comunque abbracciare una superficie nettamente più vasta di quella della Bulgaria cesanense [47]. Lo stesso dicasi dei fines Vulgarenses del Sannio, che tra Isernia e Sepino dovevano includere un territorio considerevole (spatiosa loca, secondo la testimonianza di Paolo Diacono) [48]. Le dimensioni delle altre Bulgarie sembrano invece commisurate all’entità territoriale della Bulgaria cesanense.

 

 

43. Cfr. G. Vismara, La disciplina giuridica del castello medievale, in Studia et documenta historiae et iuris, XXXVIII (1972), pp. 1-122, alle pp. 10-12.

 

44. Carte di Fonte Avellana, 1, ed. cit. (nota 2), pp. 167-169 n. 71.

 

45. Bernacchia, L’assetto territoriale cit. (nota 11), pp. 694-702.

 

46. Cfr. Sergi, I confini del potere cit. (nota 20), pp. 175-176.

 

47. Il Pezza, Profilo geografico della Bulgaria cit. (nota 19), p. 22, aveva calcolato che la Bulgaria alla sinistra del Ticino comprendesse una superficie di ca. 900 kmq nel sec. X, poi ridottasi a 810 kmq nei secc. XII-XIII e a 550 nel sec. XIV.

 

48. I fines Vulgarenses sono attestati in un doc. dell’anno 800 ca., pubblicato in Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, a cura di V. Federici, I, Roma, 1925, pp. 255-256 n. 38: a tale circoscrizione apparteneva almeno la località Gruttule, probabilmente l’attuale Grottole sulla strada tra Cusano Mutri e Cerreto Sannita (BN), quindi sul versante campano del Sannio ma non lontano da Sepino. Non è certo che la città di Isernia facesse parte di questa circoscrizione: cfr. P. Natella, Bulgari fra noi. Il Meridione medievale fra Longobardi e Bulgari. Stanziamento ed estinzione di una etnia fra VII e XV secolo, Salerno, 2009, pp. 16-17.

 

 

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La questione più ardua è se la Bulgaria cesanense sia mai stata una circoscrizione pubblica e se, di conseguenza, abbia avuto funzionari pubblici, come gastaldi e conti o loro sottoposti.

 

Bisogna ammettere che le fonti tarde sul territorio non consentono di attribuire ad esso un carattere di distretto per l’esercizio dei poteri pubblici delegati a funzionari locali. Esso appare nel 1085 come una articolazione del territorium civitatis di Senigallia utilizzata per l’ubicazione di beni fondiari oggetto di transazione. Sembra, tuttavia, insolita la tecnica ubicatoria adottata, solo in questo caso, dal notaio estensore del documento, rogato a Senigallia: in vico Bulgarum qui vocatur Sclavinorum, poiché non risulta da alcuna altra fonte una regolare suddivisione del Senigalliese in vici o ripartizioni altrimenti definite. È invece assai significativo che di questo vico si diano allora i confini, corrispondenti agli attuali confini del comune di Mondolfo con l’aggiunta, verso l’interno, del territorio della Stacciola, oggi aggregato al comune di San Costanzo [49].

 

Diverso è il caso della Bulgaria ticinese in quanto, come si è detto, qui è documentato un comitatus di età carolingia, quantunque si tratti di un distretto piuttosto enigmatico ovvero di un «comitato senza conti» [50]. Una situazione un po’ diversa si dovrebbe ipotizzare per i fines Vulgarenses in quanto, volendo prestar fede al racconto di Paolo Diacono, qui un gastaldo è rappresentato dal capo stesso dei Protobulgari installati dai Longobardi nel Sannio, ovvero Altzek [51]. Si ignora, tuttavia, se la sua nomina abbia dato origine ad una dinastia gastaldale/comitale o ad una serie di funzionari soggetti ai duchi e principi di Benevento.

 

 

49. Questi confini, ossia il mare, il fiume Cesano, il Rio Maggiore e il rio Sermulo, non possono considerarsi come gli stretti limiti dei beni traditi dai due coniugi alla loro figlia, misurati in appena 120 moggi di terra. Pertanto essi rappresentano probabilmente dei limiti naturali di un ambito territoriale ben più ampio delle terre oggetto di transazione, corrispondente ad un antico distretto o a parte di esso. La conferma sarebbe rappresentata dal fatto che si ritrovano gli stessi confini in un più tardo documento, del 1224 (Carte di Fonte Avellana, 3 (1203-1237), a cura di C. Pierucci, Fonte Avellana, 1986, pp. 154-155 n. 470), indicati come i confini delle corti di Castel Marco e Casteldimare, ossia dei principali castelli del territorio di Mondolfo, quindi del nascente comune di Mondolfo.

 

50. Bedina, Signori e territori cit. (nota 20), pp. 98-100.

 

51. Paolo Diacono, Hist. Lang., V, 29, ed. cit. (nota 40), p. 154, mette in rilievo nel suo racconto che si trattò di una ‘degradazione’, da duca a gastaldo, del condottiero Altzek, il quale in precedenza si fregiava appunto del titolo di dux: ciò fu imposto dal duca di Benevento Romualdo, figlio del re Grimoaldo.

 

 

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Le fonti sull’immigrazione dei Protobulgari in Italia

 

Paolo Diacono narra che Alboino portò con sé in Italia altri popoli, fra cui i Bulgari, e che da questi gruppi etnici presero nome alcuni vici. Lo stesso Paolo parla dell’ingresso di un altro gruppo bulgaro guidato da Alzeco poco prima del 668 e insediato, come già detto, nel Sannio [52].

 

Al contrario i cronisti bizantini Teofane e Niceforo, seguiti da Landolfo Sagace, a proposito del quinto figlio del khan bulgaro Kubrat, fanno terminare la migrazione della sua gente nella Pentapoli, non lontano da Ravenna, dove egli si sarebbe sottomesso all’impero dei cristiani [53]. Costui non può non ricordare l’Alzeco di Paolo Diacono, anche perché il periodo di riferimento è il medesimo, quantunque la meta del suo percorso in Italia sia diversa.

 

Tali avvenimenti sembrerebbero preceduti da una tragica storia narrata dallo Pseudo-Fredegario. Sconfitti in Pannonia dagli Avari, cinquemila Bulgari chiesero ospitalità al re franco Dagoberto (I, 629/30-639), il quale li mandò a svernare presso i Baiuvari; quindi, tenuto consiglio con i suoi, ordinò che in una notte fossero tutti sterminati. Scampò alla strage soltanto Alzeco (Alciocus) con settecento uomini e con le donne e i loro figli, i quali si rifugiarono nella marca dei ‘Winidi’, presso il dux Walluc, dove vissero per molti anni [54].

 

Questo Alzeco potrebbe essere il medesimo protagonista della migrazione bulgara in Italia, oppure, dato lo scarto cronologico,

 

 

52. Pauli Hist. Lang., II, 26, ed. cit. (nota 40), p. 87; per il secondo passo v. nota precedente. Altre fonti sui Bulgari stabilitisi nel Sannio sono l'Epitaphium Arichis ducis (Arechi II di Benevento, 787) in M.G.H., Poetae Latini aevi Carolini, rec. F. Dümmler, I, Berolini, 1881, p. 66-68 n. XXXIII, cfr. p. 67, vv. 33-38, e la Cronica Sancti Benedicti Casinensis, 2, in M.G.H., Script. rer. Lang. cit. (nota 40), pp. 467-488, cfr. p. 469. Su Alzeco si veda Gy. Moravcsik, Byzantinoturcica, II, Sprachreste der Türkvölker in den byzantinischen Quellen, 2te Auflage, Berlin, 1958, p. 357.

 

53. Theophanis Chronographia [297], rec. C. de Boor, I, Lipsiae, 1883, p. 357; Nicephori archiepiscopi Constantinopolitani Opuscula historica, ed. C. de Boor, Lipsiae, 1880, p. 34; Landolfi Sagacis Historia Romana [XXI, 19], a cura di A. Crivellucci, II, Roma, 1913, p. 154.

 

54. Chronicarum quae dicuntur Fredegarii Scholastici libri IV cum continuationibus [IV, 72], ed. B. Krusch, in M.G.H., Script. rer. Merov., t. II, Hannoverae, 1888, pp. 1-193, part. p. 157. Cfr. H. Ditten, Protobulgaren und Germanen im 5.-7. Jahrhundert (vor der Gründung des ersten bulgarischen Reiches), in Bulgarian Historical Review, VIII, 3 (1980), pp. 51-77, part. p. 69, che data il fatto all’anno 631/32.

 

 

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un individuo appartenente allo stesso gruppo familiare (il padre di un secondo Alzeco?) [55].

 

 

La letteratura sui Protobulgari in Italia

 

Le testimonianze sulla presenza di gruppi protobulgari in Italia nell’alto medioevo sono numerose e varie: non solo fonti scritte, da sottoporre al vaglio critico, ma anche fonti onomastiche e toponomastiche; da ultimo si sono aggiunte tracce archeologiche [56]. La questione fondamentale riguarda il canale politico attraverso il quale questi gruppi etnici penetrarono in Italia e i tempi del loro ingresso; secondariamente i luoghi in cui effettivamente essi si insediarono. Ma, a questo proposito, non è possibile dare una risposta generica, valida per tutte le situazioni: la questione va posta caso per caso.

 

Fino a tutta la metà del secolo scorso gli studiosi non mettevano in discussione il passo di Paolo Diacono (Hist. Lang., II, 26) relativo alla presenza dei Bulgari tra le schiere dell’esercito longobardo condotto in Italia da Alboino. Va comunque precisato che sia il Muratori che lo Schneider, già citati, si riferivano esclusivamente all’Italia settentrionale, in particolare alla zona a cavallo del Ticino, o tutt’al più (Schneider) alla Toscana, mentre il D’Amico aveva richiamato l’attenzione sull’altro grande insediamento bulgaro in Italia, attuatosi nel Meridione [57], su cui lo stesso Paolo (Hist. Lang., V, 29) aveva dato informazioni meno generiche.

 

 

55. Cfr. W. Pohl, Le origini etniche dell’Europa. Barbari e Romani tra antichità e medioevo, Roma, 2000, pp. 272-273. Sulla questione si veda Ditten, Protobulgaren und Germanen cit. (nota 54), p. 70, il quale colloca nel 663, o poco più tardi, la migrazione di Alzeco in Italia.

 

56. Si vedano i resoconti e le schede di specialisti, relativi alle necropoli nelle località Vicenne e Morrione di Campochiaro (CB) in Samnium. Archeologia del Molise, a cura di S. Capini-A. Di Niro, Roma, 1991: G. De Benedittis, Introduzione, pp. 325-328, V. Ceglia-B. Genito, La necropoli altomedievale di Vicenne a Campochiaro, pp. 329-334, B. Genito, Tombe con cavallo a Vicenne, pp. 335-338 (e altri contributi). Cfr. Natella, Bulgari fra noi cit. (nota 48), pp. 17-20.

 

57. D’Amico, I Bulgari trasmigrati in Italia cit. (nota 21); Id., I Bulgari stanziati nelle terre d’Italia nell’alto medioevo, Roma, 1942: in quest’ultima pubblicazione l’A. allarga la visuale alle altre ‘Bulgarie’ italiane, ai rapporti fra Longobardi e Bulgari e ai caratteri razziali.

 

 

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Nel dopoguerra, limitatamente agli stanziamenti bulgari nell’Esarcato, G. Fasoli propendeva a credere che si trattasse di colonie di mercenari bizantini piuttosto che nuclei di alleati dei Longobardi [58]. Ma la messa in discussione del passo del Diacono, di cui sopra, è partita soprattutto da linguisti quali il Serra e l’Olivieri, i quali sostenevano che gran parte dei toponimi italiani del tipo Bulgaro e Bulgaria derivasse dal tardo latino burgus, col significato di ‘castello’ [59]. Era quindi intervenuto il Bognetti, secondo il quale i Bulgari entrati in Italia non facevano parte dell’esercito di Alboino ma, venuti al servizio dei Bizantini nel secolo VII, avrebbero tradito l’Impero passando dalla parte del re Grimoaldo, che li avrebbe fatti stanziare in molti luoghi strategici, dal Comasco al Molise [60]. Anche il Cavanna, accogliendo in parte le osservazioni linguistiche del Serra, riteneva impossibile che i numerosi toponimi italiani del tipo suddetto avessero tutti un’origine etnica, in quanto un gruppo barbarico esiguo (come i Bulgari del condottiero Alzeco al tempo di Grimoaldo) non avrebbe potuto essere disperso su un’area così vasta, ma solo nel Sannio e, in misura minore, nell’Esarcato [61]. A. Guillou, prendendo in considerazione i gruppi avaro-sclaveni e bulgari le cui tracce rilevava nell’Esarcato, era giunto alla conclusione che gli Avaro-Sclaveni si sarebbero insediati nelle Marche (ossia nella valle del Cesano) già alla fine del VI secolo o più tardi nel corso del VII secolo, confondendosi in seguito con i Bulgari, che li avrebbero seguiti nell’Italia bizantina; ma, avendo notato la divergenza tra il racconto di Paolo Diacono e quello dei cronisti Teofane e Niceforo in relazione alla meta della migrazione di Alzeco, lo studioso ammetteva entrambe le versioni come

 

 

58. G. Fasoli, Tracce dell’occupazione longobarda nell’Esarcato, in Atti e Memorie, Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, n. ser., III (1951-53), pp. 33-55, cfr. p. 50.

 

59. Richiamo qui in breve i principali scritti dei due linguisti: Serra, Contributo alla storia dei derivati di burgus cit. (nota 16); Olivieri, La terminologia relativa al Villaggio cit. (nota 17). Ma avevano ribadito l’interpretazione tradizionale il Petkanov, Bulgar(us) e suknja cit. (nota 18), e il Sabatini, Riflessi linguistici cit. (nota 9).

 

60. Bognetti, S. Maria foris portas di Castelseprio cit. (nota 42), pp. 336, 338 e 342-343.

 

61. Cavanna, Fara sala arimannia cit. (nota 13), pp. 98-114.

 

 

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«le seul moyen (...) d’expliquer l’origine des toponymes et des noms de personnes bulgares relevés dans les actes de la pratique» [62].

 

Siffatte questioni hanno sollecitato pure l’interesse di studiosi bulgari contemporanei (si è già detto del Petkanov) [63]. In un recente saggio A. Vlaevska-Stantcheva e K. Stantchev, dopo aver condotto una critica puntuale e serrata alle teorie etimologiche del Serra [64] e riesaminato tutti i passi in cui Paolo Diacono menziona i Bulgari, ritengono abbastanza probabili i contatti fra questo popolo e i Longobardi prima del loro ingresso in Italia,

 

 

62. Guillou, Régionalisme cit. (nota 10), pp. 98-103. In un più recente saggio, Demografia e società a Ravenna nell’età esarcale, in Storia di Ravenna, II/1, Dall’età bizantina all’età ottoniana, a cura di A. Carile, Venezia, 1991, pp. 101-108, cfr. p. 101, lo stesso A. riconosce « la presenza di siti bulgari nell’Italia longobarda, senza poter precisare la data del loro insediamento», ipotizzando che possa trattarsi di un residuo dei limitanei assoldati dai Goti prima e dai Longobardi poi, dal momento che tra loro si trovavano pure Gepidi, Sarmati e Svevi, tracce delle armate dell’ultima fase dell’Impero d’Occidente.

 

63. Uno dei più significativi rappresentanti di questo filone di studi è I. Dujčev, Medioevo bizantino-slavo, I, Saggi di storia politica e culturale, Roma, 1965, vol. nel quale è inserito il saggio Protobulgares et Slaves. (Sur le probleme de la formation de l’État bulgare), pp. 67-82, già pubblicato su una rivista nel 1938.

 

63. A. Vlaevska-Stantcheva, K. Stantchev, ‘Bulgaro’ > ‘Castro Bulgaro’ > ‘Borgo Vercelli’ e la questione della presenza dei proto-Bulgari nell’Italia altomedievale, in Vercelli tra Oriente ed Occidente tra tarda antichità e medioevo. Atti delle Giornate di studio, Vercelli 10-11 aprile 1997, 24 novembre 1997, a cura di V. Dolcetti Corazza, Alessandria, 1998, pp. 117-158, part. alle pp. 117-134.

 

64. Il termine tardo latino burgus nel significato di ‘piccolo castello’ o ‘torre’ è attestato, nella quasi totalità dei casi, fuori d’Italia lungo il limes dell’Impero (uniche eccezioni due effimeri burgi nella provincia Valeria, dalla Notizia dignitatum), cfr. voce Burgus, in E. De Ruggiero, Dizionario epigrafico di antichità romane, I, Roma, 1895 (rist. anast., Roma, 1961), pp. 1053-1054. Il Mengozzi, La città italiana cit. (nota 36), p. 67, dava per scontata l’esistenza di burgariae equivalenti a terrae limitaneae, ma il primo termine non compare mai in fonti antiche o tardoantiche. Del resto, la costituzione di Arcadio e Onorio del 398 (Theodosiani libri cum constitutionibus Sirmondianis [VII, 14, 1], ed. Th. Mommsen, I/2, 3a ed., Berolini, 1962, p. 341) riguarda i burgarii che, come ha dimostrato M. Labrousse, Les burgarii et le cursus publicus, in Mélanges d’archéologie et d’histoire, LVI (1939), pp. 151-167, costituivano un corpo militarizzato di addetti alla manutenzione delle strade e delle strutture annesse: ciò spiega il motivo per cui nella citata costituzione vengono assimilati ai muliones ‘postiglioni’. Parimenti, i burgarii appaiono sì in connessione con i burgi, ma comunque all’interno di province ai confini della romanità. Infine A. A. Settia, Castelli e villaggi nell’Italia padana. Popolamento, potere e sicurezza fra IX e XIII secolo, Napoli, 1984, pp. 315-319, ha mostrato come burgus, a parte attestazioni isolate e di dubbio significato di epoca precedente, penetri in Italia soltanto nel sec. X, diffondendosi soprattutto nei secc. XI-XII: non più, però, col significato di ‘castello’, bensì in quello di sobborgo cittadino formatosi fuori delle mura o di analogo abitato connesso ad un castello o ad un insediamento religioso o, più raramente, in quello di centro rurale a sé stante.

 

 

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non escludendo, pertanto, che tali contatti fossero già in essere ai tempi dell’invasione longobarda della penisola [65]. Inoltre, dal riesame di Hist. Lang., V, 29, i due studiosi deducono che tale testimonianza derivi da conoscenze dirette di Paolo Diacono sui Bulgari stanziati nel ducato di Benevento, per i quali passano in rassegna altre prove archeologiche e documentarie [66]. Infine essi prendono in considerazione le tracce dei Protobulgari «nella Pentapoli marittima», quindi anche nella valle del Cesano, come il vico dei Bulgari qui vocatur Sclavinorum, o la chiesa di San Gervasio ‘di Bulgaria’, concludendo che «i proto-Bulgari di Alzeco (...) avrebbero fatto una sosta nella Pentapoli marittima prima di giungere nel Sannio» [67] e rilevando pure in questo caso il collegamento fra Protobulgari e Slavi [68].

 

L’opinione prevalente fra gli storici del Novecento, alcuni forse influenzati dal Bognetti, è che i Protobulgari (di Alzeco) si siano stanziati prima nella Pentapoli e che, in seguito, siano passati nel Beneventano accordandosi con Grimoaldo e con suo figlio Romualdo [69]. Una ricostruzione dei fatti che non convince del tutto: se tradimento vi fu nei confronti dell’Impero, in conseguenza del quale i Bulgari avrebbero dovuto abbandonare dopo pochi anni la Pentapoli per il Sannio (o per altre sedi dell’Italia longobarda), non si spiega come mai gli stessi abbiano lasciato tracce così durature nel basso Cesano.

 

Una possibile spiegazione consisterebbe, tuttavia, nel riconoscere nel basso Cesano una zona di occupazione longobarda o spoletina [70],

 

 

65. Vlaevska-Stantcheva, Stantchev, ‘Bulgaro’ cit. (nota 64), pp. 134-135.

 

66. Ibid., pp. 136-138.            67. Ibid., pp. 138-143.

 

68. Ibid., pp. 143-144. Cfr. M. Capaldo, Elementi della civiltà scrittoria slava nei manoscritti di Bologna e Parma, in Sulle tracce della scrittura. Oggetti, testi, superfici dei musei dell’Emilia Romagna, a cura di G. R. Cardona, Bologna, 1986, pp. 91-107, part. a p. 92.

 

69.

·       O. Randi, Bulgaria. Storia, in Enciclopedia italiana, VIII, Milano-Roma, 1930, pp. 81-93, cfr. p. 82;

·       J. Ferluga, L’organizzazione militare dell’esarcato, in Storia di Ravenna cit. (nota 62), pp. 379-387, cfr. p. 382;

·       Vlaevska-Stantcheva, Stantchev, ‘Bulgaro’ cit. (nota 64), p. 142;

·       De Benedittis, Introduzione cit. (nota 56), p. 327.

 

Il Ditten, Protobulgaren und Germanen cit. (nota 54), pp. 72-73, non esclude, in particolare per la Pentapoli (possibile luogo di sosta intermedia), ulteriori afflussi di Bulgari in luoghi dove erano già insediati loro connazionali, dubitando tuttavia che Paolo Diacono, Teofane e Niceforo si riferiscano alla stessa migrazione (forse si trattava di migrazioni diverse, indipendenti l’una dall’altra).

 

 

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in cui i Protobulgari avrebbero potuto insediarsi stabilmente dopo essere passati dalla parte dei Longobardi.

 

Non si può nemmeno escludere che il loro stanziamento in zona si sia verificato alquanto prima, dal momento che contingenti protobulgari militavano nell’esercito bizantino in Italia durante la guerra gotica [71].

 

 

I centri della Bulgaria cesanense

 

È necessario, a questo punto, proporre schede di sintesi sui singoli luoghi della Bulgaria del basso Cesano, al fine di presentare dati di topografia storica e dare un’idea dell’antichità, evoluzione e funzione dei luoghi stessi.

 

            S. Gervasio di Bulgaria - ad Pirum (Filumeni) - vicus Bulgarum q.v. Sclavinorum. Ad Pirum (Filumeni) era una statio lungo il diverticolo della Flaminia Cagli-Adriatico, menzionata dall’Itinerarium Antonini (fine III sec.-inizi IV) e dalla Tabula Peutingeriana, f. IV (III-IV sec.) (C.I.L., XI/2, fasc. I, Inscriptiones Aemiliae Etruriae Umbriae Latinae, ed. E. Bormann, Berolini, 1901, p. 997). Ad Pirum ossia ‘presso Piro’ era il corrispettivo di fondovalle di PIRUM (v.). I materiali archeologici in situ rivelano una ricca stratigrafia, dal neolitico al medioevo, e testimoniano, quanto meno per l’età romana, dell’esistenza di un centro demico lungo il diverticolo e di relativa necropoli, probabile punto d’incontro e di scambi per le popolazioni circostanti. Nello stesso sito sorse nell’alto medioevo la chiesa, quindi il monastero, di S. Gervasio di Bulgaria (fig. 3), di cui sono state messe in rilievo fasi costruttive del sec. VI (anche il sarcofago conservato nella cripta è datato al primo quarto del sec. VI):

 

 

70. È la tesi che sostenevo in L’assetto territoriale cit. (nota 11), ripresa in I Longobardi nelle Marche. Problemi di storia dell’insediamento e delle istituzioni, in L’Italia centro-settentrionale in età longobarda. Atti del Convegno, Ascoli Piceno, 6-7 ottobre 1995, a cura di L. Paroli, Firenze, 1997, pp. 9-30, part. p. 20 e nota 59, e in Territori longobardo-spoletini e territori pentapolitani nelle Marche (secoli VI- VIII), in Ascoli e le Marche tra tardoantico e altomedioevo. Atti del Convegno di studio svoltosi in occasione della sedicesima edizione del «Premio internazionale Ascoli Piceno», Ascoli Piceno, 5-7 dicembre 2002, Spoleto, 2003, pp. 273-311, part. p. 302.

 

71.

·       Pertusi, Ordinamenti militari, guerre in Occidente e teorie di guerra dei Bizantini (secc. VI-X), in Ordinamenti militari in Occidente nell’alto medioevo, II, Spoleto, 1968 (Settimane di studio del CISAM, XV), pp. 631-700, cfr. pp. 636 e 644 (600 Bulgari nella spedizione di Narsete);

·       Carile, Il «Bellum Gothicum» dall’Isonzo a Ravenna, in Aquileia e Ravenna, in Antichità Altoadriatiche, XIII (1978), pp. 147-193, cfr. p. 174;

·       V. Beševliev, Bulgaren als Söldner in den italienischen Kriegen Justinians I., in Jahrbuch der österreichische Byzantinistik, 29 (1980), pp. 21-26.

 

 

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M. C. Profumo, Aspetti e problemi della cristianizzazione dell’area picena, in La cristianizzazione dell’Adriatico. Atti della XXXVIII Settimana di studi aquileiesi, 3-5 maggio 2007, a cura di G. Cuscito, «Antichità altoadriatiche», LXVI (2008), pp. 151-192, part. pp. 171-181. Nell’età esarcale-longobarda il luogo dovette assumere il nome di vicus Bulgarum q.v. Sclavinorum, attestato nel sec. XI: Bulgarum è un gen. plur. della III decl., seguita dagli scrittori e dai documenti dell’alto medioevo. L’emendatio del Guillou, Régionalisme cit. (nota 10), pp. 98-99, in Bulgarorum è ingiustificata e ha tratto in inganno Capaldo, Civiltà scrittoria cit., (nota 68), p. 92, che pure nella forma Sclavinorum riconosce un collegamento di questi Slavi con i Bulgari.

 

            S. Pietro in Bulgaria, castrum — Pirum. Il castello di S. Pietro in Bulgaria, possesso dell’abbazia di S. Lorenzo in Campo, è menzionato per la prima volta in un diploma di Ottone III del 1001: Pierucci, A proposito di un eremo cit. (nota 1), pp. 343-345. Pirum, dal verbo gr. πείρω ‘infilzo’ (G. Devoto, Avviamento alla etimologia italiana. Dizionario etimologico, Firenze, 1967, p. 318), assume il significato di ‘punta, cuspide’ e quindi di ‘altura, sommità’. Il toponimo S. Pietro è segnalato sia da mappe catastali che da I.G.M., Carta d’Italia, III S.E., che lo situano sulla sommità di una collina nel territorio della Stacciola, oggi comune di S. Costanzo (PU), ai confini con il comune di Mondolfo: Bernacchia, Stacciola cit. (nota 34), pp. 51-52. Dal punto di vista archeologico S. Pietro rivela una continuità insediativa dalla fase protostorica al tardo medioevo.

 

            Piolo, castellare. E di attestazione tarda come castellare o fondo (Fano, Sez. di Archivio di Stato, Codici malatestiani, 37, ff. 10v, 11r e passim, aa. 1398-1400). Sorgeva vicino a PIRUM (v.) e rappresenta un suo avamposto verso la valletta laterale del Rio della Stacciola: da qui il nome Pirolum, da cui Piolo: Bernacchia, Stacciola cit. (nota 34), p. 40. In situ si notano avanzi di materiale archeologico ascrivibile al tardo antico.

 

            Stacciola Mons Anastasiole, castrum. Nel 1237 è documentata la curtis Montis Nastasole: “Codice di San Gaudenzio”. Cartulario di un monastero riformato delle Marche (Senigallia, aa. 1106-1324), a cura di E. Baldetti, Apecchio (PU), 2007, p. 142 n. 177. Secondo Baldetti, La Pentapoli cit. (nota 12), p. 31 nota 74 e p. 41 nota 103, Anastasiola deriva dal gr. ἀνάστασις, col significato di ‘piccolo edificio’. Si tratta, comunque, di un altro avamposto di Pirum proteso verso la valletta del Rio della Stacciola, cfr. Bernacchia, Stacciola cit. (nota 34), pp. 37-40.

 

            Monte Campanaro, castrum. Sito nel comune di S. Costanzo, loc. S. Martino, insieme con Mondolfo sulla sponda sinistra del Rio della Stacciola. Di questo nucleo si conoscono dapprima i signori: Offo di Monte Campanaro nel 1198 (Fabriano, Archivio comunale, Coll. pergg., b. I, n. 30); quindi la curia nel 1265 ca. (Fano, Sez. di Archivio di Stato, AAC, Catasto sec. XIII, f.3r) e il castrum nel 1283 (Archivio segreto vaticano, A. A. Arm. C, 156). Il nome è probabilmente dovuto alla presenza di una torre dotata di campana.

 

 

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            Mondolfo - Castrum Martis — Castel Marco. Attestata nel 1141 l’altura come Mons Offi (Il patto con Fano. 1141, a cura di A. Bartoli Langeli, Venezia, 1:993, pp. 52-55 n. 2) e il castrum come Castellum de Marco nel 1152: Carte di Fonte Avellana, 2 (1140-1202), a cura di C. Pierucci e A. Polverari, Roma, 1977, pp. 79-8i n. 232. Esso appare nel sec. XII come un toponimo composto da mons e da un antroponimo, ma il personale Marco non compare mai nella dinastia signorile dominante il territorio dopo il 1000; a riprova di ciò, avverrà il cambiamento definitivo del nome del luogo in Monte Offo alla fine del sec. XIII (Offo è in effetti il nome ricorrente nella dinastia signorile). Per tali ragioni si ipotizza che il nome tardoromano fosse Castrum Martis, nucleo corrispondente alla prima cerchia di Mondolfo, le cui dimensioni e la regolarità dell’impianto urbanistico depongono per un nucleo fortificato già esistente nel tardoantico. Cfr. Bernacchia, Incastellamento cit. (nota 37), pp. 353-354.

 

            Casteldimare. Localizzato in comune di Mondolfo, loc. S. Irene, a ca. 1 km. dal mare; è attestato come castrum nel 1126 (Carte di Fonte Avellana cit. (nota 1), pp. 339-340 n. 158). Nel secolo seguente è designato prevalentemente come castellum e infine come fundus, il che lascia intuire un suo rapido declino. Cfr. Bernacchia, Incastellamento cit. (nota 37), pp. 351-352.

 

            Castellare Bulgari/de Bulgaria. Ubicato in comune di S. Costanzo, loc. Monte Bugaro alla destra del Rio Maggiore. La curtis Castellaris Bulgari è documentata alla metà del sec. XIII: Carte di Fonte Avellana, 4 (1238-1253), a cura di R. Bernacchia, Fonte Avellana, 1989, pp. 241-247 n. 689; la villa Castellaris nel 1253 (Carte di Fonte Avellana cit. (supra), 4, pp. 314-316 n. 719); la villa e il burgus nel 1265 ca. (Fano, Sez. di Archivio di Stato, AAC, Catasto sec. XIII, ff. 6v, 7r, 16r, 18v). Quest’ultimo doc. menziona proprietà del dominus Bulgarus, da cui presumibilmente il nucleo traeva il nome. Pur trovandosi al di là del Rio Maggiore, quindi oltre i confini del vico dei Bulgari, il Castellare viene detto de Bulgaria nel catasto del comune di Fano del 1348 (Fano, Sez. di Archivio di Stato, AAC, III, 23, Catasti, f.9r-v).

 

 

Si tratta, dunque, di centri fortificati i quali, benché attestati nel basso medioevo quando alcuni di essi erano in fase di decadenza e abbandono [72],

 

 

72. Si notano toponimi formati da castrum/castellum più il predicato, tipo Castrum Marchi (o Marti), sostituiti quindi da nomi formati da mons più il predicato (Mons Offi): Bernacchia, Incastellamento cit. (nota 37), pp. 230-231 e nota 12. Normalmente i toponimi del primo tipo precedono quelli formati da mons o equivalenti, e potrebbero risalire all’alto medioevo, se non addirittura al tardoantico.

 

 

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risultano essere disposti secondo un certo ordine sui due versanti della valletta laterale del Rio della Stacciola [73], quindi lungo una fascia di arterie, le quali corrono sia nel fondovalle che sui crinali dei due versanti, per collegare le vallate del Cesano e del Metauro (figg. 4-5). Da notare che la presenza di nuclei fortificati ha una continuazione verso nord in territorio di San Costanzo (Tomba e Perello), fino al guado sul Metauro a Sant’Angelo di Caminate [74]. Questo percorso sembra essere stato utilizzato nella fase finale della guerra gotica da Narsete il quale, prima dello scontro cruciale di Taginae, giunto a Fano, «volse a sinistra», in quanto «le località della Via Flaminia (...) erano del tutto impenetrabili e intransitabili. Narsete lasciò pertanto la via più breve e si mise per la via praticabile» [75]. Vi è, d’altronde, una testimonianza di Agatia di Mirina sull’esistenza di castelli, φρούρια, nell’entroterra alle spalle di Fano: una testimonianza generica, ma significativa legata a eventi militari del 554, considerata la sorprendente conoscenza che il cronista dimostra di avere della topografia locale [76].

 

 

73. Isolato da questo contesto sembra essere Casteldimare. Ma la sua ubicazione trovava una ragion d’essere nella funzione di controllo della strada costiera e del tratto terminale del diverticolo Cagli-mare, oltre che nella funzione di prevenire attacchi dal mare: cfr. Bernacchia, Incastellamento cit. (nota 37), pp. 127-128.

 

74. Bernacchia, Incastellamento cit. (nota 37), p. 509: all’ombra del castro Sancto Angelo passava la via Fanestra attraversando il Metauro al guado sottostante.

 

75. La guerra gotica di Procopio di Cesarea [IV, 28], a cura di D. Comparetti, III, Roma, 1898, pp. 218-219. Secondo Pertusi, Ordinamenti militari cit. (nota 71), p. 645 nota 18, la strada seguita da Narsete per andare incontro a Totila sarebbe stata quella della Vallesina, da Falconara verso Fabriano e Camerino, oppure quella della valle del Misa, da Senigallia verso Sassoferrato. Ma la via cesanense, più prossima a Fano, permetteva una più agevole e veloce marcia verso il luogo detto Busta Gallorum, indicato da Procopio come il sito in cui Narsete pose il campo per la sua armata prima dello scontro decisivo.

 

76. Agathiae Myrinaei Historiarum libri quinque [II, 2], rec. R. Keydell, Berolini, 1967, p. 43: il passo descrive lo scontro tra Bizantini e Franco-Alamanni accaduto tra Pesaro e Fano nel 554, dopo il quale, approfittando del trambusto creatosi nel campo dei barbari posto presso Fano, i prigionieri romani fuggirono per rifugiarsi nei vicini castelli. Sulle precise conoscenze geografiche di Agatia si veda P. L. Dall’Aglio, Problemi storico-topografici in Agazia, in Padusa, XXIII (1987), pp. 57-65, part. pp. 60-61, nonché F. V. Lombardi, Lo scontro franco bizantino fra Pesaro e Fano nel 554 d. Ch. (Agathia, II, 23), in Studia Oliveriana, n. ser., XII (1992), pp. 55-62, part. p. 61.

 

 

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Conclusioni

 

La questione della presenza dei Protobulgari e degli Sclaveni nella valle del Cesano va inquadrata nel fenomeno più generale delle migrazioni dell’età tardoantica e altomedievale, più precisamente nei movimenti dei popoli delle steppe euroasiatiche [77]. Il loro insediamento, in questa come in altre parti d’Italia, può essere stato motivato dalla necessità di presidiare un territorio colmando i vuoti prodotti dalla crisi del popolamento antico, dalle carestie e dalle guerre, in particolare dalla guerra greco-gotica, i cui effetti furono indubbiamente disastrosi nell’antica provincia Flaminia [78].

 

In tale contesto lo stanziamento dei Protobulgari nel basso Cesano appare altamente probabile, quantunque non ci si possa nascondere che alcuni quesiti rimangono aperti, quelli precisamente riguardanti i tempi e i modi della loro venuta, la natura di circoscrizione altomedievale della zona e dei poteri pubblici che potevano esercitarvisi.

 

L’altro aspetto complementare riguarda l’esistenza di un sistema di difesa territoriale connesso con il sistema viario [79],

 

 

77. Pohl, Le origini etniche cit. (nota 55), pp. 183-198.

 

78. Sugli effetti della guerra gotica in campo economico e sociale si veda Carile, Il «Bellum Gothicum» cit. (nota 71), pp. 180-188. Il Guillou, Régionalisme cit. (nota 10), pp. 93-100, insiste sulla necessità di far fronte al deficit demografico, preoccupazione che egli attribuisce alle autorità bizantine: il che, nel caso specifico, può apparire discutibile, se si considera lo scarso interesse che l’Impero d’Oriente avrebbe avuto nel mantenere il controllo della valle del Cesano, priva di un approdo marittimo, nell’ambito del ducato pentapolitano. Ad ogni modo un’analoga finalità dovrebbero avere avuto i duchi longobardi di Benevento, se è vero che Romualdo indirizzò Alzeco e i suoi Bulgari verso luoghi «quae usque ad illud tempus deserta erant» (Hist. Lang., V, 29).

 

79. Sulla connessione tra sistema di difesa e sistema viario all’epoca della guerra gotica cfr. Carile, Il «Bellum Gothicum» cit. (nota 71), p. 189. Sul sistema di difesa territoriale dello stato romano lungo la Flaminia adriatica, ancora parzialmente in funzione nel sec. X, cfr. anche G. Vespignani, La Romània italiana dall’Esarcato al Patrimonium. Il Codex Parisinus (BNP, N.A.L., 2573) testimone della formazione di società locali nei secoli IX e X, Spoleto, 2001, pp. 92-97. A tal proposito accolgo con convinzione i rilievi critici e gli inviti a basarsi, in tali rilevazioni, su una più sicura base documentaria e su un rigoroso metodo di censimento dei toponimi e dei relativi siti espressi da A. A. Settia, Castelli e incastellamento nell’area umbro marchigiana, in Rocche e fortificazioni nello Stato della Chiesa, a cura di M. G. Nico Ottaviani, Napoli, 2004, pp. 3-34, part. alle pp. 6-12. Faccio comunque presente che l’esiguità dello spazio a mia disposizione e i tempi assai stretti per la stesura del testo non mi hanno consentito di illustrare in maniera compiuta i documenti utilizzati, di allargare l’esame a tutta la documentazione scritta relativa ad altri castra e castella appartenenti comunque al contesto ‘bulgariense’ e di riferire dettagliatamente i risultati di ricognizioni di superficie condotte nei siti di antichi nuclei fortificati.

 

 

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sistema già in funzione al tempo della guerra gotica (e che poteva risalire ad una fase precedente), al quale i Longobardi e i loro alleati protobulgari non avrebbero aggiunto alcun elemento, limitandosi forse ad adattarlo alle loro esigenze di difesa.

 

La Bulgaria potrebbe essersi territorialmente ridotta, dall’età longobarda al secolo XI, al nucleo strategicamente nevralgico del basso Cesano, quello che presidiava il collegamento viario con la valle del Metauro e il ramo principale della Flaminia, riprendendo i confini naturali di un antico pago (dedicato a Marte?) [80] e la denominazione di vicus.

 

La Bulgaria cesanense, infine, si caratterizza nell’alto medioevo come area di espansione delle istituzioni monastiche; ma dopo il 1000 l’aristocrazia laica vi diverrà sempre più protagonista dei processi economici e politici, grazie ai legami stretti con i monasteri e all’acquisizione di terre di origine pubblicistica.

 

 

80. Sui nomi dei pagi assunti da una divinità si veda Sereni, Comunità rurali cit. (nota 37), p. 340, e G. P. Bognetti, Sulle origini dei comuni rurali nel medioevo, in Id., Studi sulle origini del comune rurale, a cura di F. Sinatti D’Amico e C. Violante, Milano, 1978, pp. 1-262, a p. 73. I teonimi si registrano anche per i vici, cfr. F. Coarelli, Vici di Ariminum, in Mélanges Raymond Chevallier, II, 2, Tours, 1995 («Caesarodunum», XXIX), pp. 175-180, alle pp. 175 e 178.

 

 

TAV. I

 

Fig. 1 - La Bulgaria del basso Cesano (o vico dei Bulgari) nel secolo XI.

 

 

TAV. II

 

Fig. 2 - Ipotetica estensione della Bulgaria del basso Cesano nell'alto medioevo (dallo studio del 1981).

 

 

TAV. III

 

Fig. 3 - Foto aerea relativa alla chiesa di S. Gervasio di Bulgaria e a un tratto del diverticolo della Flaminia Cagli-mare.

 

Fig. 4 - Foto aerea relativa al versante ovest della valletta del Rio della Stacciola e ai siti dei nuclei fortificati.

 

 

TAV. IV

 

Fig. 5 - Immagine elaborata da Google Earth illustrante la disposizione dei nuclei fortificati sul versante ovest della valletta del Rio della Stacciola.

 

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