La «pagliara» del primo maggio nei paesi slavo-molisani

(The «pagliara» of 1st May in the Slavic-Molise countries)

 

Alberto M. Cirese 

 

 

 

(Slovenski etnograf, Ljubljana, 25, 1955, стр. 207-224)

 

 

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Ho compiuto recentemente (estate 1954) un giro di inchiesta etnografica e di registrazione etnofonica in varie località del Molise, [1] con lo scopo generale di arricchire il materiale documentario che confluirà nel secondo volume dei Canti popolari del Molise, [2] e con il proposito particolare di indagare — nella misura consentita dalla limitatezza del tempo e dei mezzi, e dalla esiguità delle sopravvivenze del costume — una particolare forma di celebrazione dell'inizio del maggio, diffusa nel Molise ma piuttosto eccezionale in area italiana, che consiste nel giro cerimoniale di auguri e di questua compiuto da un corteggio di cantori e suonatori che accompagna un uomo rivestito da un mascheramento di rami e di erbe disposti generalmente in forma di cono e dai caratteri più o meno spiccatamente antropomorfi.

 

Su questo punto particolare della mia inchiesta intendo qui brevemente riferire, nella speranza che esso possa presentare un qualche interesse anche per i lettori di Slovenski Etnograf : infatti il costume in parola — che oggi è vivo in una sola località molisana — era praticato sino a non molti anni fa nei tre paesi slavo-molisani di Acquaviva Collecroce, San Felice del Molise (già San Felice Slavo) e Montemitro. [3]

 

 

1. Il Molise, come è noto, costituisce la porzione meridionale della regione Abruzzi e Molise, ed ha come capoluogo Campobasso.

 

2. Il primo volume dell'opera è stato pubblicato nel 1933: Eugenio Cirese, I canti popolari del Molise, con saggi delle colonie albanesi e slave, vol. I, Rieti 1953. Il secondo volume è in preparazione.

 

3. Per le notizie storico-linguistiche su questi tre paesi e in genere sulle colonie serbo-croate nell'Italia meridionale rinvio all'ottimo studio di Milan Rešetar. Die Serbokroatischen Kolonien Silditaliens, «Kaiserliche Akademie der Wissenschaften, Schriften der Balkankommission», Band IX, Wien 1911.

 

Debbo qui segnalare anche la esistenza di un lavoro diffuso in poche copie dattiloscritte, in cui si sostiene, in opposizione al Rešetar, l'origine degli Slavi del Molise dall'Istria: Padre Teodoro Badurina V. O. R., Frentania Slava, a cura del sig. Italo Lalli da Montemitro, Roma 1948, pp. 62 dattiloscritte. Sono debitore della copia che ho consultata allo stesso sig. Italo Lalli, il quale, oltre a varie informazioni sui paesi slavo-molisani, mi ha anche fornito alcune notizie sul lavoro del padre Badurina da lui riorganizzato sulla base degli appunti manoscritti che questi lasciò al momento della sua partenza per gli Stati Uniti d'America. Non mi è riuscito fino ad ora di trovare traccia di una pubblicazione in limitato numero di copie che il padre Badurina avrebbe effettuato a Roma, secondo quanto risultava in modo incertissimo al Lalli. (V. la n. agg. a pg. 225.)

 

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A questi ultimi dunque, per evidenti ragioni di opportunità e di spazio, circoscriverò la mia relazione, contenendola inoltre entro i limiti della semplice esposizione del materiale documentario raccolto, e solo qua e là accennando, come a probabili prospettive di sviluppo, a considerazioni più generali di carattere comparativo o storico.

 

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L'esistenza nel Molise della particolare simbolizzazione più sopra rapidamente descritta — che è nota agli studiosi con i nomi di Verde Giorgio, feuillu, ecc. e che nel corso di questo lavoro indico spesso con il termine di «pagliara» [4] — non era del tutto ignorata: ne avevano infatti fornito notizia per i tre paesi slavo-molisani vari osservatori italiani e stranieri, e ne avevano parlato per Riccia e Lucito, due paesi molisani non slavi, uno storico locale ed un musicologo. [5] Ma localizzando sulla carta geografica queste scarse testimonianze (ed anche aggiungendovi l'attestazione della recente esistenza del costume in Fossalto che risultava dai ricordi personali di Eugenio Cirese), non poteva non colpire il fatto che notevoli spazi intermedi separassero le località in cui il costume appariva documentato. Di qui la prima idea di eseguire accertamenti più precisi sia attraverso indagini bibliografiche sia con ricerche in loco.

 

Il lavoro sin qui svolto, anche se non consente ancora una definitiva precisazione dell'area di diffusione del costume, ha tuttavia permesso di ampliare notevolmente le nostre conoscenze in proposito. Sulla base dei documenti che ho raccolto si può oggi affermare che il costume di celebrare l'inizio del maggio con il giro cerimoniale di augurio e di questua deiruomo rivestito di fronde e di erbe è ancora vivo in una località (Fossalto), ed è esistito sino a tempi più o meno recenti oltre che nei tre paesi slavo-molisani, anche nelle località molisane di Bagnoli del Frigno, Bonefro, Casacalenda, Castelmauro, Lucito, Riccia. [6]  

 

4. Il termine è impiegato, per indicare il rivestimento più che il «personaggio», a Fossalto, l'unica località Molisana in cui sia documentata la vitalità attuale della simbolizzazione; ma trova riscontri anche altrove: cfr. più avanti nel testo e le note nn. 15 e 42. Il nome del «personaggio» sembra essere, quasi ovunque, quello di majo: ma è noto che in area italiana il termine è sopratutto legato alla simbolizzazione del ramo o albero di maggio.

 

5. Per i paesi slavo-molisani vedi

·       M. Rešetar, op. cit. 6, 10, 121 sgg., 284 sgg. (e qui cfr. anche la nota n. 9).

Per Riccia e Lucito:

·       Berengario Amorosa, Riccia nella storia e nel folklore, Casalbordino 1903, pp. 303—305;

·       Vittorio De Rubertis, Maggio della Defènsa: studio su una vecchia canzone popolare molisana, estratto dalla «Rivista Musicale Italiana», vol. XXVIII, fasc. 1, 1920, Torino 1925.

 

6. Per una testimonianza concernente una località non molisana cfr. la nota n. 41.

 

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- »Majo« v vasi Acquaviva, pred letom 1911. — Il »majo« di Acquaviva Collecroce (M. Rešetar, Die serbokroatischen Kolonien Süditaliens, 158)

- Mladenič pod stožcem iz zelenja, Fossalto (Molise) 1.5.1954. — La »pagliara maje maje« di Fossalto (Foto: A. M. Cirese)

 

- Levo: Belokranjski Zeleni Jurij (1952). — II »Verde Giorgio« in Slovenia (Bela krajina). Foto: M. Badjura, Pomlad v Beli krajini

- Desno: Zeleni Juraj ali »Djuro« iz okolice Bjelovara (1928). — Il »Verde Giorgio« in Croazia. (Gavazzi, Godina dana hrvatskih narodnih običaja I, 48—49)

 

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CARTA DI DISTRIBUZIONE DELLA DOCUMENTAZIONI SULLA FESTA DEL MAGGIO NEL MOLISE

 

[[ Leggenda:

= cono di rami e di erbe: majo, pagliariello, pagliara

= rami o alberi di maggio

= reginetta di maggio

= canto di maggio tipico, ma senza notizie di cerimonie per il maggio ]]

 

        Località:

    9. Montemitro, 10. San Felice del Molise, 17. Acquaviva Collecroce, 21. Agnone, 24. Castelmauro, 26. Larino, 35. Montorio nei Frantani, 42. Lucito, 44. Casacalenda, 45. Montelongo, 56. Bagnoli del Trigno, 58. Fossalto, 64. Provvidenti, 66. Bonefro, 72. Duronia, 75. Torcila del Sannio, 84. Molise, 85. Castropignano, 89. Sant'Elia a Pianisi, 104. Pietracatella, 132. Riccia.

 

    N.B. Nelle località nn. 17 e 56, oltre al cono di rami e di erbe, si impiegavano anche rami o alberi di maggio.

 

    I confini indicati nella carta sono quelli dei vari territori comunali.

 

 

Si deve poi aggiungere che a Montelongo esisteva una «festa dei fiori» che si celebrava il primo di maggio con il giro cerimoniale di una «reginetta» accompagnata da un uomo parzialmente rivestito di erbe e di fiori; che a Duronia e ad Agnone la simbolizzazione consisteva nel tradizionale e ben noto «albero» di maggio; e infine che a Larino esisteva un canto (raccolto qualche anno fa, ma in modo assai poco scientifico), che è sostanzialmente simile ai canti di maggio delle altre località ma dal quale non è possibile dedurre con certezza quale simbolizzazione esso accompagnasse. [7]

 

Per inquadrare spazialmente e morfologicamente la documentazione concernente i tre paesi slavo-molisani cui qui mi limito mi pare utile unire uno schizzo della distribuzione geografica delle testimonianze sino ad ora riunite,

 

 

7. Sono dunque presenti nel Molise tre delle principali simbolizzazioni che si incontrano nelle feste primaverili del folklore europeo: il «Verde Giorgio», l'albero o ramo, e la reginetta (o, altrove in Italia, «contessa»). Su tutte, oltre a Mannhardt e a Frazer, si veda la classificazione di A. Van Gennep nel tomo I, vol. IV, 2 del suo Manuel, a proposito del ciclo di maggio in Francia.

 

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nel quale indico anche le poche località per le quali i sondaggi sino ad ora eseguiti consentono di dire con ragionevole certezza che il costume non vive ormai più neppure nella memoria dei nativi. Tralascio invece di registrare alcune altre indicazioni che, per essere ancora non bene accertate e controllate, non gioverebbero molto.

 

Varrà invece la pena di osservare che gli spogli bibliografici che finora ho eseguito per il Molise non consentono di nutrire eccessive speranze su ulteriori apporti di documenti scritti (salve sempre le inattese e ben gradite «scoperte»); mentre invece molto resta da fare nel campo della indagine in loco. Quella che sino ad ora ho svolto personalmente si è basata su di un questionario preparato dopo aver assistito alla celebrazione della cerimonia in Fossalto il primo maggio 1954. [8] Il questionario in parola, mentre da un lato mira a raccogliere la maggiore quantità possibile di informazioni sulla morfologia della cerimonia, in generale e nei suoi particolari, dall'altro si preoccupa anche di documentare, per quanto si può, i rapporti che essa aveva o ha con la religione ufficiale, e di porre in luce gli elementi oggettivi o soggettivi che possano valere come segno di una permanente presenza, più o meno frammentaria e trasformata, di una antica e più intensa ritualità: fissità di itinerari, modi cerimoniali o comunque significativi di reperimento del materiale occorrente alla costruzione del mascheramento di fronde, sua conservazione o distruzione cerimoniale, atti significativi di inizio o di termine della cerimonia, e così via. Naturalmente il questionario ha potuto sino ad ora avere il suo completo sviluppo soltanto a Fossalto, dove la vitalità attuale della cerimonia ha consentito alla indagine di articolarsi variamente tra «attori» e spettatori, e di spingersi anche nella direzione delle modalità di reclutamento, di preparazione artistica ecc. dei partecipanti.

 

Nei paesi slavo-molisani invece ho dovuto contentarmi di notizie più sommarie che tuttavia mi sembra offrano un non trascurabile interesse comparativo.

 

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8. Il sopraluogo in parola fu effettuato da me per conto del Centro Nazionale Studi di Musica Popolare (Radio Italiana — Accademia Nazionale di Santa Cecilia) e le registrazioni eseguite in quella località assieme all'amico Maestro Diego Carpitella formano i nn. 1435—1457 dell'Elenco delle Registrazioni di musica popolare, Roma 1954. Le registrazioni dei canti e delle inchieste nei paesi slavo-molisani vennero invece eseguite con apparecchio fornito dalla rivista «La Lapa-Argonienti di storia e letteratura popolare», Rieti, che ne pubblicherà prossimamente l'elenco.

 

9. Furono particolarmente l'«italo-slavo» Giovanni De Rubertis (le cui Lettere, che trattano appunto del maggio in Acquaviva, non mi è riuscito di procurarmi, nonostante varie ricerche e nonostante il cortese interessamento del prof. Giuseppe Vidossi e del prof. Mirko Deanović) ; lo studioso russo V. Makušev; il prof. Risto Kovačić (il cui scritto in italiano — che il Rešetar non potè vedere ma che a me è riuscito di rintracciare — non contiene però il testo del canto di maggio che il Rešetar riferisce); il dott. Smodlaka; il prof. Baudouin de Courtenay; e infine lo stesso M. Rešetar. Per tutti vedi M. Rešetar, l. c.

 

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Ma vediamo ora quali siano i caratteri della celebrazione ad Acquaviva Collecroce. Gli osservatori precedenti [9] ci dicono che essa, nella seconda metà del secolo scorso e agli inizi del nostro, si svolgeva nel modo seguente. Il primo giorno di maggio un gruppo di uomini, tra suoni e canti, accompagnava il majo — e cioè l'uomo rivestito di erbe e di rami — innanzi tutto davanti la chiesa, dove veniva benedetto, e poi di casa in casa, per cantare strofette augurali di anno fecondo, e per ricevere donativi di cibarie da consumarsi poi in comune. Il «maggio» o majo era rappresentato da un uomo rivestito da una sorta di fantoccio di erbe e di rami sul quale si disponevano primizie e altri prodotti di stagione che, secondo queste notizie più antiche, il prete serbava per sè. Gli accompagnatori del majo recavano rami adorni di nastri, strumenti musicali e cestini per raccogliere le offerte. Dinanzi ad ogni casa essi si dividevano in due gruppi e cantavano alternativamente le strofe del canto tradizionale, mentre il majo faceva salti e scherzi. Terminato il canto, e ricevute le offerte, le donne, dalle finestre, annaffiavano il majo con acqua, e questo, fuggendo con i suoi accompagnatori, cercava di sottrarsi al getto. Vari particolari sulla morfologia del «fantoccio» e sull'equipaggiamento degli accompagnatori risultano abbastanza chiaramente dalla riproduzione fotografica che unisco (T. XII). [10]

 

Le informazioni che ho raccolte in loco, [11] mentre confermano queste notizie pili antiche, precisano anche qualche ulteriore particolare. Innanzi tutto risulta da esse che la cerimonia del majo era ancora viva in Acquaviva nel 1940: la guerra ne ha segnato, se non causato, la morte. Risulta poi che i componenti della comitiva degli accompagnatori erano piuttosto numerosi: mi si dice che fossero dieci o quindici, e per lo più contadini. [12]

 

Il materiale per la costruzione del mascheramento di erbe e rami veniva raccolto nelle campagne lontane, in prossimità del fiume, dove c'è abbondanza e varietà di vegetazione. Non mi è riuscito di accertare nessun fatto di particolare rilievo in connessione con la località o con le modalità di raccolta. In altre località del Molise invece questa fase preparatoria della cerimonia presenta qualche tratto più significativo: basti ricordare che a Lucito il materiale vegetale si raccoglieva nella «defensa», antico territorio feudale, ora divenuto proprietà comunale; e che a Fossalto ancora oggi nella «defensa» si costruisce il mascheramento del maggio.

 

 

10. Non mi è riuscito di rintracciare ad Acquaviva una copia della fotografia del «majo» eseguita dal dott. A. Vetta (e pubblicata in M. Rešetar, o, c. 138) della quale tuttavia molti si ricordavano. Sono quindi costretto a valermi di una riproduzione della fotografia pubblicata dal Rešetar, con evidenti conseguenze di scarsa chiarezza.

 

11. Debbo particolare gratitudine alla gentilissima signorina Matilde Silvestri, insegnante, e al giovane Aldo Vetta, studente dell'Istituto Orientale di Napoli: il loro aiuto mi fu prezioso durante la mia permanenza in Acquaviva e poi.

 

12. Anche in altre località del Molise la categoria sociale degli «attori» della festa del maggio è in prevalenza quella dei contadini; tuttavia a Fossalto, oggi, il principale componente del gruppo della pagliara è un artigiano.

 

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Lo scheletro conico del «fantoccio» di Acquaviva veniva costruito con canne; su questo poi si disponeva il rivestimento di erbe e di fiori. L'insieme assumeva l'aspetto di un grosso pupazzo, sopratutto a causa dei rami che, partendo dalla cima del cono, si ripiegavano a forma di anse, o di braccia, sui fianchi, come appare chiaramente anche dalla fotografia. In cima al cono si poneva una croce di spighe di grano. Il tutto era poi adornato ed arricchito con rami di ciliegio, fave, forme di formaggio e persino nidi di uccelli e lumache.

 

Il particolare carattere antropomorfo del majo di Acquaviva trova qualche riscontro in altre località molisane: le informazioni su Riccia, pur senza darci altri particolari, ci dicono che il majo era un «fantoccio»; quelle su Lucito che il «maggio» era «sormontato da un ciuffo di ginestre che vuol essere il capo e le braccia, e pare nel complesso un cimiero antico con frappe». [13] Ma altrove invece ogni carattere antropomorfo pare assente: così a San Felice del Molise, e così a Fossalto. In quest'ultima località come del resto può ben vedersi dalla fotografia che mi pare opportuno unire, [14] il cono di erbe e di rami non ha sagoma umana: è veramente un pagliaio o una pagliara, come lì lo chiamano; [15] e ricorda infatti assai da vicino le piccole capanne coniche, in uso in quelle campagne, che sono adibite a ripostiglio di attrezzi agricoli o di paglia e, talora, a ricovero temporaneo di persone, ed alle quali si dà appunto il nome di «pagliare».

 

La croce che sormonta il majo di Acquaviva, e che si riscontra anche a Fossalto e in altre località molisane, è un attributo di notevole interesse: alla antica festa pagana si è unito il simbolo cristiano, e non vi è traccia, nella coscienza attuale degli informatori di ogni categoria, di eventuali antichi contrasti; [16] del resto più avanti si vedranno segni di un ancor più stretto legame della celebrazione del maggio con la religione ufficiale.

 

Ma gli elementi simbolici di cui il corteggio era fornito non si limitavano, ad Acquaviva, al solo fantoccio: gli accompagnatori portavano rami verdi ai quali erano appesi biscotti; baccelli di fave, spighe verdi di grano. Della cosa ci danno notizia anche i precedenti osservatori, e nella fotografia ben si distinguono questi rami, che forse meglio si direbbero giovani alberelli.

 

 

13. B. Amorosa, Riccia etc., p. 303. G. Piedimonte, Notizie civili e religiose di Lucito, Campobasso 1890, p. 14.

 

14. La fotografia venne eseguita il 1° maggio 1954, in occasione del sopraluogo già menzionato.

 

15. Più esattamente pagliara maj maj, ossia «pagliara maggio maggio».

 

16. Non ve ne è traccia nei Sinodi diocesani concernenti il Molise che sino ad ora ho potuto consultare. Un lungo colloquio con il pairooo di Fossalto mi ha accertato come oggi la festa, che lì è ancora viva, sia considerata religiosamente indifferente e vista con occhio benevolo «perchè si fanno gli auguri al parroco e a tutti». Non è escluso tuttavia che ricerche più approfondite possano portare a rintracciare nella nostra zona qualche antico contrasto tra la festa e la religione ufficiale.

 

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Gioverà notare che, allo stato attuale della documentazione, solo in un'altra località molisana risulta un simile accoppiamento di simbolizzazioni; infatti non vi è traccia di rami o alberi nelle cerimonie di maggio di San Felice, Fossalto, Riccia, Casacalenda, Lucito, ecc., mentre soltanto a Bagnoli del Trigno ho raccolto la precisa indicazione che al seguito dell'uomo rivestito del cono di erbe si portavano rami o addirittura alberelli di ciliegio. I pochi documenti di cui sino ad ora disponiamo non ci permettono di dire se le due simbolizzazioni, il rivestimento di erbe e l'albero o ramo, che nelle feste primaverili del folklore europeo si rintracciano ora unite ora separate, si trovino accoppiate nelle due località molisane perchè vi giunsero unite, o perchè costituiscono il risultato dell'incontro nella zona di due correnti culturali. Luna portatrice del cono di erbe e l'altra del ramo o albero. Possiamo soltanto notare che delle due località molisane, più sopra ricordate, in cui la festa del «maggio» era celebrata soltanto con rami o alberelli, una, e cioè Duronia, confina con Bagnoli del Trigno, ove appunto rami di maggio e rivestimento di erbe appaiono congiunti.

 

Ma torniamo alla festa di Acquaviva: gli accompagnatori del majo portavano strumenti musicali: nella fotografia si scorge chiaramente il tamburello, ma le informazioni che ho attinto direttamente parlano anche di fisarmoniche: si tratta evidentemente di un ammodernamento, di una recente sostituzione dell'organetto che troviamo invece documentato in una località immediatamente confinante (Castelmauro). In altri paesi compaiono strumenti ancor più tradizionali: a San Felice la «scupina» e il «bufù» (vedi oltre), ed a Fossalto è ancora in uso la zampogna.

 

Se passiamo ora ad esaminare le modalità di svolgimento della cerimonia, potremo notare alcuni tratti di un certo interesse. Innanzi tutto il fatto, già segnalato anche dagli osservatori precedenti, che il corteggio del majo, prima di iniziare il suo giro nel paese, si recava davanti alla casa del parroco; la seconda tappa era costituita dalla casa del sindaco. Ora è più che naturale che il giro di auguri si iniziasse dalle autorità religiose e civili del paese, e ciò si verifica, o si verificava, in varie altre località molisane, pur se con qualche diversa particolarità. Ma la cosa notevole è che ad Acquaviva il majo ricevesse la benedizione religiosa; anzi, dalle mie informazioni risulta che, dopo la benedizione, il majo restava fuori della chiesa, ma tutti i componenti del corteggio vi entravano «per rivolgere invocazioni ai santi». Il fatto mi pare degno di nota, sia per la significativa distinzione per cui il majo viene «benedetto» ma non è ammesso in chiesa, sia per la particolare intensità di legami con la religione ufficiale che la festa sembra aver raggiunto in Acquaviva. A San Felice infatti incontreremo di nuovo la benedizione, ma non l'ingresso in Chiesa; a Casacalenda troviamo le «lodi all'Altissimo», ma nessuna benedizione; e nelle restanti località molisane, a quanto sino ad oggi ci risulta, non si hanno, o si avevano, nè benedizione, nè ingresso in chiesa, nè invocazioni o lodi alla divinità o ai santi. [17]

 

 

17. Da notare tuttavia che a Riccia la festa del maggio non si celebra il primo giorno del mese, ma nella prima domenica del mese, in coincidenza con la festa del patrono san Vitale: cfr. B. Amorosa, l. c.

 

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Ma ad Acquaviva dobbiamo notare anche un fatto che appare lievemente contraddittorio: il cono di rami e di erbe, una volta terminato il giro di canti e di questua, veniva abbandonato (così dicono le informazioni direttamente attinte) presso i ruderi di una chiesa; e qui i ragazzi «a poco a poco lo distruggevano». In verità ci saremmo aspettati che il majo, essendo stato oggetto di una benedizione religiosa, avesse acquistato una tal quale sacralità che ne imponesse una conservazione o utilizzazione o distruzione più spiccatamente rituali. Invece l'unico barlume di «sacralità», in questa fase finale, sembra essere costituito dal fatto che il luogo prescelto per l'abbandono del majo era una antica chiesa distrutta. Le informazioni di cui fino ad ora posso disporre sono ancora troppo scarse per poter giudicare adeguatamente della questione; e varrà la pena di approfondire l'indagine per accertare (cosa che non mi è riuscita fino ad ora) se la chiesa distrutta presso la quale il majo veniva abbandonato avesse un qualsiasi legame con il mese di maggio, come potrebbe essere ad esempio nel caso che fosse dedicata al culto dei santi Filippo e Giacomo, la cui festività ricorra appunto il primo di maggio. Noterò qui di passaggio che a Fossalto, dove pure non si procede oggi ad alcuna benedizione della pagliara, questa viene consegnata al parroco alla fine del giro di canti nel paese, [18] e viene deposta nell'orto della parrocchia; in tempi più antichi pare che venisse poi bruciata sui fuochi (o «laudi», come li vengono chiamati) che si usano accendere sulla piazza alla sera della festa di san Michele, l'otto di maggio.

 

Ma torniamo allo svolgimento della cerimonia ad Acquaviva. Ricevuta la benedizione, levate in chiesa le invocazioni ai santi, reso omaggio al parroco e al sindaco, il corteggio iniziava il suo giro per le vie del paese. Dinanzi ad ogni casa una sosta ed un canto (vedine più avanti il testo). Dopo il canto, gli ascoltatori e spettatori offrivano i loro doni: formaggio, prosciutto, salsiccia, farina, patate, fagiuoli, vino, ecc. Val la pena di notare che i nostri informatori ci dicono che i doni erano spontanei; d'altronde, nel testo del canto, pur se si riscontrano strofe di richiesta esplicita di donativi, non si trovano invece formule con le quali si invochino o minaccino guai sul capo di chi non faccia doni, come al contrario avviene in San Felice.

 

Le donne, dalle finestre, — come ci dicono le informazioni più antiche e come ci confermano le più recenti — gettavano acqua sul majo. L'esame di questo gesto, che indubbiamente è uno dei più caratteristici della cerimonia, ci porterebbe assai lontano sia sul terreno della comparazione morfologica che su quello dell'indagine storico-religiosa; [19] mi limiterò quindi ad osservare che nel Molise il gesto è distribuito in varia connessione con le cerimonie del maggio.

 

 

18. A Fossalto il giro di canti augurali è nettamente distinto dal giro di questua: il primo è limitato al paese e si compie con la «pagliara»; il secondo si estende anche alle case di campagna e si compie senza la «pagliara» che è stata appunto consegnata al parroco e deposta nel suo orto.

 

19. Sarebbero numerosissimi i riscontri da citare a proposito di questo getto dell'acqua che viene comunemente interpretato come una tecnica magica diretta a provocare la pioggia. Di particolare interesse sarebbero poi i paralleli con costumanze analoghe di oltre Adriatico (Rešetar, p. 122, richiama in proposito le ben note dodole).

 

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Se infatti in talune località (Acquaviva, San Felice, [20] Castelmauro, Fossalto) esso è connesso con la presenza del cono di erbe, in una (Montelongo) è invece legato al corteo di una «reginetta» di maggio; ed infine in altre, dove pur è presente il cono (Lucito, Casacalenda, Bonefro, Bagnoli del Trigno), esso manca del tutto. Inutile dire che non ve ne è traccia nelle località in cui la celebrazione del maggio si accentrava attorno alla simbolizzazione del ramo o albero (Agnone, Duronia). Questa varietà di distribuzione geografica e di legame con il cono di rami è, sino ad ora, poco significativa: solo una indagine più approfondita (ed estesa fuori dei confini regionali) potrà forse portare qualche utile contributo alla illustrazione dei modi di diffusione. Quanto poi al significato del gesto nella coscienza attuale degli informatori, noterò che ad Acquaviva me ne hanno dato la seguente motivazione: «che le foglie e i fiori che rivestivano il maggio dovevano essere sempre freschi». Nella quale spiegazione, se da un lato c'è un'eco appena avvertibile del significato magico originario del gesto, così ampiamente attestato da tanti e tanto più significativi documenti folkloristici ed etnologici, dall'altro ci sarebbe forse lo spiraglio per interpretarlo non tanto come una diretta invocazione della pioggia, quanto come un rito di «rigenerazione» della natura tutta intera. [21] Ma non è il caso di insistere qui su questa ipotesi che richiederebbe molta maggior copia di documenti per essere appena appena un po' consolidata.

 

Un'ultima osservazione, prima di passare ad esaminare il testo del canto di maggio. Ad Acquaviva, come del resto nelle altre località molisane considerate, non si dà oggi un nome specifico al «personaggio» rappresentato dall'uomo rivestito del cono di erbe; il canto però, e anche alcune testimonianze più antiche, fanno chiaramente intendere che questo dovesse essere majo o «maggio». Quanto al rivestimento di rami e di erbe in sé, ad Acquaviva gli informatori attuali non hanno saputo indicare alcuna denominazione. Questa esiste invece a Fossalto, ed è, come abbiamo detto, pagliara, mentre a San Felice, si usava il termine analogo di pagliariello.

 

Ma ecco ora il testo del canto di maggio quale ho potuto raccoglierlo da vari informatori:

 

   Chi te l'ha ditte che maje nn'è vinute,

iesce qua fore che lu trove vistute.

 

   Maje che ti vene de la Nivera,

vene a salutà lu protettore san Michele.

 

 

20. Nessuna precisa notizia abbiamo su Montemitro, come più avanti meglio si dice.

 

21. Si noti tuttavia che a Montelongo il canto del maggio, faceva esplicita richiesta di pioggia: «mànnace na vota l'acqua e bona», ossia «mandaci una volta pioggia abbondante».

 

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   Maje che ti vene cu l'allegrie,

vene a saluta la Vergine Marie.

 

   Maje che ti vene da Santa luste,

l'uorie è spicate e lu grane mo z'aiuste.

 

   Maje che ti vene di là da fiume,

l'uorie ha spicate e lu grane mo zi radune.

 

   Maje che ti vene di Larine,

salutamme li massare antiche.

 

   Maje che ti vene di là da mare,

salutamme a tutte li massare.

 

   E tu padrona gira pe la casa,

pija la pizzulella di lu casce.

 

   E tu padrona affaccete a lu nide,

si nun c'è l'ove, dacce la gallina.

 

   E tu padrona pija lu persutte,

si nun c'è curtelle, daccele tutte.

 

   Che pozza fà tante salme de grane

pe quanta prète stanne a lu campanare;

 

   che pozza fà tanta salme de vine

pe quanta prète stanne a lu campanine.

 

   Scusate amici che lu canto è poco,

doverne i canta a n'altro loco. [22]

 

È facile riconoscere tre temi tipici. Il primo è costituito da una sorta di presentazione del majo: chi ti ha detto che maggio non è venuto? Eccolo qui fuori tutto rivestito. Eccolo che viene da questa o da quella località, e porta il suo saluto ai santi, alla Vergine, ai massari. Eccolo che viene: e l'orzo ha già spigato mentre il grano appena comincia. Il secondo tema è costituito dalla richiesta dei donativi avanzata con la solita punta scherzosa: se non trovi l'uovo dacci la gallina; se non hai il coltello per tagliare il prosciutto, daccelo intero, ecc.

 

 

22. Traduzione:

 

Chi ti ha detto che maggio non è venuto, / esci qui fuori che lo trovi vestito. / Maggio che ti viene dalla Nivera (nome di contrada), / viene a salutare il patrono san Michele. / Maggio che ti viene con allegria, / viene a salutare la Vergine Maria. / Maggio che viene da Santa Giusta (nome di contrada), / l'orzo ha spigato ed il grano ora si aggiusta. / Maggio che ti viene di là dal fiume, / l'orzo ha spigato e il grano ora si raduna. / Maggio che ti viene da Larino (paese vicino, capoluogo del Circondario), / salutiamo i massai antichi. / Maggio che ti viene di là dal mare, / salutiamo tutti i massai. / E tu padrona, gira per la casa, / prendi la piccola forma di cacio, / E tu padrona affacciati al pollaio, / se non trovi l'uovo dacci la gallina. / E tu padrona prendi il prosciutto, / se non c'è il coltello, daccelo tutto. / Possa (tu) fare tante salme (antica misura di capacità) di grano, / per quante pietre si trovano nel campanile. / Possa (tu) fare tante salme di vino, / per quante pietre si trovano nel campanile. / Scusate, amici, se il canto è breve: / dobbiamo andare a cantare in un altro luogo.

 

216

 

 

Il terzo è l'augurio di felici e abbondanti raccolte, strutturato sulla tradizionale formula di auspicare tante misure di grano, di vino, ecc., quanti sono certi oggetti (o anche accadimenti, gesti, ecc.) di comune esperienza e particolarmente numerosi: nel caso nostro le pietre del campanile.

 

Solo di passaggio posso qui accennare che questo «tipo» di canto di maggio si rintraccia con formule pressoché identiche non solo in quasi tutte le località molisane documentate, ma anche ben al di là dei confini del Molise; e che non è dunque esclusivamente legato al costume specifico della «pagliara». E devo qui limitarmi ad osservare di nuovo come nel testo di Acquaviva manchi ogni formula di più o meno scherzosa minaccia a chi non offra doni; e manchi pure ogni riferimento ai movimenti di danza che il majo compiva: ambedue gli elementi si rintracciano invece nel canto di San Felice. Solo ad Acquaviva si incontrano invece le strofe di saluto alla Vergine e a san Michele: [23] non ve ne è infatti traccia nei testi raccolti a San Felice, Lucito, Fossalto, Bagnoli, Agnone; e non ve ne è traccia neppure in quelli in dialetto slavo-molisano raccolti ad Acquaviva dagli osservatori più antichi. [24] Nel testo del canto ora pubblicato si riproduce e si riflette dunque quell'accentuato legame della festa popolare del maggio con la religione ufficiale che ho già rilevato a proposito della benedizione e dell'ingresso in chiesa,

 

 

23. La festa di San Michele ad Acquaviva si celebra con particolare solennità il 29 settembre; cfr. anche Rešetar, op. cit., p. 125 e foto a pp. 129—130.

 

24. Vedili in M. Rešetar, op. cit., 284—286 e 521—322. In uno solo di questi y'è una traccia di carattere religioso, là dove si dice: «Bog čuva naše grade i naše stine». Quanto ai rapporti tra il testo italiano, da me raccolto e qui sopra pubblicato, e i testi slavo-molisani in discorso, appaiono evidenti le sostanziali somiglianze di contenuto. In qualche caso si tratta addirittura di traduzione in slavo-molisano del testo italiano; procedimento questo già messo in rilievo dal Rešetar, e del quale ho potuto fare diretta esperienza appunto ad Acquaviva dove una giovane contadina mi cantò una canzone narrativa molto diffusa in Italia, prima nella versione slava che diceva fatta da lei stessa (Angiulina lipa) e poi in quella italiana originale. Tuttavia, per tornare al canto di maggio, non vanno trascurate certe immagini che si incontrano nelle lezioni slavo-molisane, e non si riscontrano nella dialettale italiana:

 

Lipe gospodine naše,

hitite nami štogodi:

mi jesmo čeljade vaše!

[Signore nostro bello,

gettateci qualcosa:

noi siamo vostri figliuoli!]

 

Oppure:

Lipa moja lozica,

ka budeš čudo roditi,

izvan put ti 'š ma voditi.

[Bella mia vite

che in abbondanza frutterai,

fuori via tu mi guiderai.]

 

Sarà anche da segnalare che nel testo fornito dal De Rubertis appare evidente una diversità di metrica tra i versi cantati dal coro e quelli cantati dai primi quattro cantori; non vi è traccia invece di questa distinzione nel testo da me raccolto, nè in esso vi è segno alcuno di alternanza di canto tra i vari componenti del corteggio. Tuttavia è assai probabile che il canto fosse alterno anche in tempi recenti, così come avveniva al tempo di G. De Rubertis e così come avviene ancora oggi in Fossalto dove le strofe (metricamente uguali) vengono ripetute alternativamente dai due accompagnatori della «pagliara».

 

217

 

 

e che per questo rispetto sembra conferire ad Acquaviva il valore di punto culminante in seno alla documentazione molisana. Va tuttavia osservato che l'intera festa del maggio anche ad Acquaviva ha mantenuto netti e precisi i suoi caratteri folklorici: popolari, cioè, e non ufficiali. In questo bilanciarsi di elementi e di aspetti va forse rintracciata la sua caratteristica essenziale e la sua significazione esatta nel quadro della storia del sincretismo religioso delle popolazioni contadine dell'Italia meridionale.

 

*

 

Se passiamo ora a considerare le due restanti località slavo-molisane, e cioè Montemitro e San Felice, dovremo innanzi tutto notare che le informazioni fornite dai precedenti osservatori si riducono alla segnalazione della esistenza della festa (senza alcuna precisazione sulle sue caratteristiche e modalità) e alla indicazione che essa cessò in quei paesi attorno al 1890. [25] Per ciò che riguarda Montemitro anche oggi le nostre conoscenze non vanno pili in là: nessuna notizia mi è riuscito di raccogliere sul luogo, nè gli ulteriori tentativi che sto compiendo sembrano promettere molto. Per quanto concerne invece San Felice posso fornire una documentazione diretta che non ha tanto il pregio di essere l'unica fino ad ora raccolta e divulgata, quanto quello di essere stata attinta principalmente dalla voce di una vecchia quasi ottantenne, Filomena Zara, figlia di uno dei maggiori «attori» della festa del maggio di San Felice. [26]

 

La festa fu celebrata per l'ultima volta il primo maggio del 1888; l'anno è rimasto famoso nella storia locale per un omicidio che lo funestò ed al quale, secondo Filomena Zara, si dovrebbe attribuire la scomparsa della festa del maggio, sebbene non avesse connessione diretta con questa.

 

Le linee generali della cerimonia non differiscono gran che da quelle riscontrate ad Acquaviva, e mi limiterò dunque a rilevare solo alcuni aspetti più caratteristici. Il rivestimento di erba veniva chiamato pagliariello, ossia piccolo pagliaio; aveva forma conica (o cilindro conica, secondo alcuni) e non presentava caratteri antropomorfi; ricopriva il portatore fino alle ginocchia, ed aveva nella parte anteriore una finestrina che assicurava la visibilità (e la possibilità di accettare le offerte di vino).

 

Il pagliariello veniva preparato il 30 di aprile, ed era costituito di uno scheletro di canne rivestito di foglie di acero ed adornato di mazzetti (o morre) di grano,

 

 

25. Vedi A. Baldacci, Die Slawen von Molise, in «Globus» XCIII, 1908, fasc. 3 e 4 (ora anche in A. Baldacci, Scritti adriatici I, Bologna 1945, pp. 188 sgg.

 

26. Debbo essere grato al sindaco di San Felice, insegnante Angelo Genova, alle insegnanti signora Pasqualina Zara Barone e signorina A. Maria Genua, al giovane Giulio Ferrante, tutti di San Felice, e alla signorina Franca Massa, studentessa dell'Università di Roma, che variamente collaborarono alla ricerca ed alle registrazioni di canti.

 

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di nidi di uccelli, [27] di pezzuole di formaggio, di ricotta, di primizie varie (ciliege, asparagi, fave), e infine di piciulate (o taralli: sorta di ciambelle di pasta) preparate dalle mogli degli «attori» della festa. Tutti i componenti del corteggio collaboravano alla preparazione del pagliariello: «chi andava cercando i nidi, chi le morre del grano . . . » , dice Filomena Zara.

 

Al mattino del primo maggio il corteggio usciva per il paese: aveva chiesto ed ottenuto l'autorizzazione del sindaco, e si recava ora a ricevere la benedizione del parroco. Questi la impartiva davanti alla porta della chiesa, ma, a differenza di quanto avveniva ad Acquaviva, nessuno vi entrava per preghiere o canti augurali ai santi. Poi si iniziava il giro. Il pagliariello era accompagnata da quindici o venti tra cantori e suonatori; e pare che gli strumenti impiegati fossero, oltre al tamburello, anche la scupina e il bufù. [28] I cantori si fermavano davanti ad ogni casa e cantavano le loro strofette:

 

   . . . [29]

ffacciàteve qua fore clie so vestute.

 

   E maje clii veni di Santa Iusta,

l'uorie è sipicate e lu grane mo z'aiusta.

 

   Ecchete maje viene di la difenza,

l'uorie è spicate, lu grane mo cumenza.

 

   Ecchete maje viene co l'allegria,

venime a saluta la padrona Lucia.

 

   Ecchete maje viene con affetto,

   venime a saluta lu patrone Giuseppe.

 

   La padrona gira dappertutto,

se nen hai la salsiccia, dacci lu presutto.

 

   La padrona gira pe lu nido,

se non trove l'ovo dacci la gallina.

 

   Bella padrona mia, vattinne a la cantina;

e va a caccia lu vucal di vine.

 

   E se niente nen ci vò dà,

l'altre maje nen ci pozza arriva. [30]

 

 

27. Secondo alcuni informatori s trattava di un solo nido posto alla sommità del cono, nel luogo che nel majo di Acquaviva è tenuto dalla croce. Comunque pare certo che il «pagliariello» di San Felice non si adornasse di alcun simbolo religioso.

 

28. Scupina: «strumento del genus inflatile: specie di oboe» (V. De Rubertis, Maggio della Defènsa cit. p. 17). Bufù: piccolo barile ricoperto da un lato da pelle tesa entro un foro della quale è posto un bastone che sfregato, produce un rumore caratteristico.

 

29. Manca evidentemente un verso che quasi certamente diceva: chi vi ha detto che maggio non è venuto.

 

30. Traduzione:

 

« . . . affacciatevi qui fuori che sono vestito. / E maggio che viene da Santa Giusta, / l'orzo ha spigato e il grano ora si aggiusta. / Eccoti maggio che viene dalla defensa, / l'orzo ha spigato e il grano ora comincia. / Eccoti maggio che ti viene con allegria, / veniamo a salutare la padrona Lucia. / Eccoti maggio, viene con affetto, / veniamo a salutare il padrone Giuseppe. / La padrona gira dapertutto, / se non hai la salsiccia, dacci il prosciutto. / La padrona gira per il pollaio, / se non trovi l'uovo dacci la gallina. / Bella padrona mia, vattene in cantina; / e va a cacciare il boccale di vino. / E se non ci vuoi dare niente, / non possa tu arrivare ad un altro maggio.»

 

219

 

 

Il canto non differisce sostanzialmente da quello raccolto ad Acquaviva; tuttavia si noterà l'assenza di ogni saluto alla Vergine o ai santi; e si rileverà la presenza, negli ultimi due versi, di un elemento che manca in quasi tutti gli altri testi di canti di maggio raccolti nel Molise: [31] una minaccia, una sorta di maledizione condizionale per chi neghi il suo dono al majo.

 

Ma pare comunque che tutti fossero generosi, e i doni erano quelli soliti. Alla sera, tutti i componenti della comitiva si riunivano per consumare, e forse dividersi, quel che si era raccolto: «si ristrignevane tutte l'amicizie», [32] dice Filomena Zara.

 

Non mancava poi il getto dell'acqua da parte degli spettatori; ma a stare al gesto che Filomena Zara faceva per illustrarcelo, qui non si trattava di un lancio di secchi d'acqua ma di una aspersione fatta sollevando l'acqua da un catino con il dorso della mano. Quale significato si attribuisse a questa aspersione nessuno degli informatori ha saputo dirmi; tuttavia nei loro ricordi predomina un certo sapore di scherzo: «scappa maje, ca mo ti véne l'acqua», [33] dicevano le donne spruzzando l'acqua; «scappa maje, balla maje, fà nu scherze maje». [34] E il maggio saltava, danzava girando intorno a se stesso, fuggiva. Non si può non notare qui l'accentuazione del fatto mimico che già compariva ad Acquaviva e che si riscontra in varia misura anche nelle altre località molisane.

 

Finito il giro di canti e di richieste, il pagliariello — a detta dei nostri informatori — veniva gettato. Rileverò ancora una volta come la cosa appaia un po' strana, data la benedizione di cui esso era stato oggetto;

 

 

31. Un unico riscontro trovo solo a Bagnoli del Trigno dove agli avari si augurava di avere un figlio «sanatore» e cioè «castraporcelli».

 

32. «Si riunivano tutti gli amici.»

 

33. «Scappa maggio, che ora ti viene (addosso) l'acqua.»

 

34. «Scappa maggio, balla maggio, fa' uno scherzo maggio.» Segnalerò qui un'altra espressione, ricordata da molti, che propone un piccolo problema: «Majo cata majo, lu mese di majo; volta majo e zompa majo» e cioè: «Maggio cata maggio, il mese di maggio; volta maggio e salta maggio.» Quel cata riesce incomprensibile: nessuno degli informatori ha saputo dame spiegazione, nè si trovano riscontri in altri canti o nel dialetto del Molise; a meno che non si vogliano considerare come tali le espressioni «ècchete majo» o «jècchete majo» e cioè «eccoti maggio» frequenti nei canti molisani di cui il cata majo potrebbe essere un inconsapevole residuo; e l'espressione «ju cutemajje» che si incontra nel vicino Abruzzo (Pescocostanzo: cfr. G. Finamore, Credenze, usi e costumi abruzzesi, Torino-Palermo 1890, p. 137) e che indica la minestra di diverse sorta di legumi in uso al primo maggio, nota anche nel Molise con il nome di lessima o lessata (ad Acquaviva la si usa per il 7 di agosto. San Donato, e la si chiama «varak»). Ma senza una indagine più precisa, e senza il parere degli esperti di filologia slava, non è possibile dir di più di quel cata.

 

220

 

 

e forse v'è luogo a dubitare che a questo punto gli informatori non ricordino i fatti con troppa precisione. [35] In ogni caso pare escluso che i legami con il culto ufficiale, a San Felice, andassero oltre la benedizione davanti alla porta della chiesa.

 

E potrei qui chiudere questa rapida esposizione documentaria se non ci fossero da segnalare alcune particolarità. La prima è quella concernente il tipo e il nome dell'albero dal quale si traevano le foglie per comporre il pagliariello: si tratta dell'acero bianco al quale a San Felice si dà proprio il nome di majo; [36] il che potrebbe essere indice di un particolare legame tra la festa, il mese e la pianta, l'accenno ad un rapporto forse degno di analisi sia dal punto di vista linguistico (origine slava o locale della denominazione della pianta?) che da quello storico-religioso (quale effettivo rapporto di credenze si può stabilire tra l'acero, la festa ed il mese?).

 

Su un piano diverso sarà poi da notare che a San Felice anche le donne prendevano parte al corteggio del majo: il fatto è del tutto eccezionale nella nostra documentazione molisana. [37] E queste donne cantavano anch'esse: «Steva na ziana de li mii, dice Filomena Zara. Eva na surella carnale de pàtreme (...) e cantava sott'a la scupina.» [38] Da questa informazione si deduce anche che la pratica del cantare il maggio era in qualche misura affare di gruppi familiari ed aveva forse un certo carattere di professionalità: [39] tratto sociologico questo che non riuscirebbe senza valore ai fini della valutazione dell'effettivo significato della cerimonia a livelli storici recenti.

 

E in questa valutazione dovrebbe naturalmente rientrare al suo giusto posto anche quel senso di gioconda aspettazione che circondava la festa, e di cui è vivace documento, tra gli altri, il racconto di Filomena Zara:

 

«La mattina (il majo e i suoi accompagnatori) uscivano a ora de colazione, che steve li gente pe lu palese. Ca mo vanne tutte pe le macchie, che avéme ì a fatià; ma prima no, l'antichi non ci iàvene. Dice: aveme aspetta lu magge che ha da passa avante a casa nostra, lèva la nonna de Coline, lèva la nonna de Erneste (addita due dei presenti).

 

 

35. Tuttavia la cosa potrebbe essere messa in connessione con la minore accentuazione degli aspetti religiosi nella cerimonia di San Felice (assenza della croce sul «pagliariello», non ingresso in chiesa).

 

36. Il fatto non è registrato in O. Penzig, Flora popolare italiana, Genova 1924, 2 voll., in cui pure (vol. II, p. 324) si indicano varie piante, tra cui non vi è però l'acero, chiamate con il nome di majo (o maju) in diverse regioni italiane. Nè riscontri trovo in dizionari dialettali di zone viciniori (Finamore, Bielli, Rohlfs, ecc.).

 

37. Una donna si trova invece al centro della festa di Montelongo: ma qui si tratta di una simbolizzazione diversa dalla «pagliara», e cioè della «reginetta» di maggio ben nota.

 

38. «C'era una mia zia. Era sorella carnale di mio padre (...) e cantava al suono della scupina

 

39. Questi fatti affiorano con una certa evidenza a Lucito e a Fossalto.

 

221

 

 

Tutti aspettavane che aveva veni canta lu mese de magge.» [40]

 

Nel quale racconto, entro quell'atmosfera di mitizzazione del passato che Filomena Zara riesce a creare con tutto il suo tono e con quel suo parlare della gente della generazione precedente alla sua come degli «antichi», affiora una giovanile e ingenua festosità che vale a ricordarci che accanto agli echi più o meno evidenti della antica ritualità o al sapore tra magico, e religioso della cerimonia, c'è questo più ridente valore di pausa della «fatica» che non può essere dimenticato quando si tratti di collocare esattamente la festa del maggio, o quel che ne resta, nel quadro ideologico-affettivo del contadino molisano.

 

*

 

Per uscire — se mai lo potranno — dal frammentario e dal vago in cui in questo scritto di necessità sono costrette, le informazioni etnografiche che ho esposto reclamano tutta una serie di integrazioni a diversi livelli di ricerca. Ne ho accennato sparsamente alcuni temi nel corso della esposizione; qui vorrei indicare sinteticamente alcune prospettive che mi paiono più necessarie e promettenti.

 

Ad un primo ed essenziale livello si impone la estensione della indagine alle località non ancora esplorate e del Molise e delle zone circonvicine: [41] non solo e non tanto per illustrare particolari morfologici e modalità di svolgimento che restano ancora oscuri, quanto per accertare l'area di diffusione del cono di erbe e del più o meno necessariamente connesso getto dell'acqua, le intersezioni con le simbolizzazioni dell'albero e della reginetta di maggio — che già si delineano nella documentazione fin qui raccolta — ed il rapporto con il canto del maggio che tipicamente lo accompagna nel Molise, ma la cui area di diffusione è ben più vasta. [42]

 

 

40. Traduzione:

 

«La mattina uscivano allora di colazione, quando c'era gente per il paese. Perchè ora tutti vanno' in campagna, perchè dobbiamo andare a faticare (lavorare); ma prima no, gli antichi non ci andavano. Dicevano: dobbiamo asp'ettare il maggio che deve passare davanti a casa nostra. C'era la nonna di Colino, c'era la nonna di Ernesto. Tutti aspettavano che doveva venire a cantare il mese di maggio.»

 

41. Un primo sondaggio, appena iniziato, già mi consente di segnalare che nel primo trentennio del secolo scorso nel comune di Atessa in Abruzzo (e in zona toccata dalla immigrazione slava) il maggio si festeggiava sì con l'erezione di «alberi di maggio» sormontati da mazzi di spighe ecc., ma sopratutto con un corteggio di «villani» che accompagnavano un uomo che indossava una «paglialetta» o capannetta di verzura e fiori e primizie.

 

42. Sarebbe fuor di luogo accingersi a documentare in questa sede la diffusione del «tipo» di canto di maggio che si riscontra nel Molise. Basterà dire che i moduli che lo costituiscono si rintracciano talora a grande distanza (in Liguria o in Calabria, tanto per fare gli esempi che primi mi capitano tra mano) e senza connessione con pagliare, pagliarielli o paglialette. Mi corre qui l'obbligo di ringraziare il prof. Paolo Toschi per avermi segnalati e forniti alcuni testi quasi ignorati di grande importanza in sede di comparazione.

 

222

 

 

Si collegherà naturalmente con questa indagine l'accertamento della effettiva eccezionalità della simbolizzazione del cono di erbe in area italiana, e la misura delle sue somiglianze con il «Verde Giorgio» dell'altra sponda Adriatica; [43] giungendo così, eventualmente a rendere certa quell'ipotesi che sin da ora si prospetta come assai probabile, ma che attende il conforto di una adeguata documentazione: e cioè che la eccezionalità in Italia, la diffusione in sole zone di immigrazione slava, [44] la presenza di riscontri nel territorio slavo d'origine la indicano come probabile importazione dei coloni slavi, acclimatatasi in Italia ed inseritasi in tradizioni già esistenti (come potrebbero provare e il testo del canto e la presenza di «alberi» e «reginette» di maggio nello stesso territorio) tanto solidamente da persistere viva ancor oggi in almeno un paese.

 

Ad un livello di complessità maggiore si dispongono invece le indagini che volessero, attorno a questo tema specifico, lumeggiare un aspetto della condizione culturale del contadino dell'Italia meridionale: per chiarirne gli equilibri o le discordanze interiori, e il come e il perchè e a patto di quali alterazioni e obliterazioni, rinunzie e conquiste, elementi che sembrano e sono profondamente discordi possano coesistere senza apparente contrasto. E andrebbero allora più particolarmente indagate tutte le tracce dell'antico valore della festa primaverile che permangono anche in queste ultime estenuate propaggini; gli eventuali contrasti con la religione ufficiale ed il reciproco adattarsi e rimodellarsi della tradizione arcaica e del cristianesimo; e infine la significazione della festa nella coscienza di attori e di spettatori, e nel quadro della loro vita di «fatica».

 

 


 

Povzetek

PRVOMAJSKA »PAGLIARA« ALI ZELENI JURIJ V SLOVANSKIH VASEH JUŽNE ITALIJE

 

V neki vasi pokrajine Molise v južni Italiji je še danes navada, praznovati začetek meseca maja z obrednim obhodom — voščila in nabiranje darov sta pri tem dve bistveni sestavini — skupine pevcev in godcev, ki spremljajo moškega, zakritega s posebno preobleko iz vej in zelenja stožčaste oblike, imenovano »pagliara maje maje«. Še do nedavnega je bila navada, ki o njej govorimo, bolj razširjena v tej pokrajini; na temelju starejših vesti in avtorjeve ankete izdelana karta (gl. stran 209) kaže razširjenost navade, ki je bila živa še približno do leta 1890 v vaseh Montemitro in San Felice del Molise (poprej San Felice Slavo), do leta 1940 pa v vasi Acquaviva Collecroce. To so tri slovanske vasi v pokrajini Molise, kjer se je še ohranila izvirna govorica.

 

 

43. Per la quale indagine sono debitore di preziose indicazioni al prof. Milko Matičetov che ringrazio anche di aver gentilmente allegate due fotografie alla T. XII.

 

44. Si noti in proposito che a Riccia, la località molisana più remota dalla zona di stanziamento attuale degli slavo-molisani, esiste traccia di una più o meno remota presenza di »Schiavoni«: cfr. B. Amorosa, o. c. pp. 39—40.

 

Nota aggiuntiva : Trovo ora che lo scritto di T. Badurina che ho ricordato sopra nella nota 3 solo come dattiloscritto, è stato effettivamente pubblicato: P. T. Badurina, Rotas opera tenet arepo sator. Roma, tip. Pio X, 1950, pp. 54. L'opusculo ripete senza modificazioni sostanziali lo scritto che conoscevo.

 

223

 

Gornji članek podaja dokumentarno gradivo o tem obredu, nabrano v treh slovansko-moliških vaseh. V Acquavivi je travnati stožec imel na vrhu križ in je bil antropomorfno zoblikovan. Avtor nadrobno poroča, kako so ga naredili in razdrli, o spremljevalcih-godcih in pevcih in njihovih glasbilih; posebej podčrtava, da se v sprevodu pojavljajo majska drevesa in veje; nato zasleduje sprevod od cerkve — tu se je obredje začelo odvijati z blagoslovom maja; v cerkev pa so smeli vstopiti samo pevci — do posameznih hiš, kjer so peli voščilne kitice in sprejemali darove in kjer so ženske polivale maja z vodo. O razširjenosti tega dejanja v pokrajini Molise govori avtor posebej, obenem pa opozarja, da so zveze tega majskega obredja z uradno religijo v Acquavivi močnejše ko drugod v tisti pokrajini; končno jemlje v pretres besedilo majske pesmi, deloma v primerjavi s slovansko-moliškimi besedili, ki so jih zapisali starejši opazovalci.

 

Podobno avtor podaja tudi dokumentarno gradivo za San Felice del Molise (o obredju v Montemitru kljub nedavnemu iskanju ni skoraj nobenih podatkov). Splošne črte se tu ujemajo z Acquavivo, le da je manj poudarjen verski značaj praznika, izrazitejša pa mimika maja (katerega preobleko so imenovali »pagliariello«) in večja prazničnost obreda kot takega.

 

Kljub temu, da se je avtor v članku hote omejil na to, da poda dokumentarno gradivo, vendar tudi že nakazuje smer nadaljnjih raziskavanj: predvsem potrebo, da se preišče širše ozemlje v pokrajini Molise in v soseščini, s čimer bo mogoče določiti razširjenost simbolične podobe tipa »pagliara« (ali zeleni Jurij ali feuillu itn.), ki je nekaj izjemnega na italijanskih tleh; poiskati njene zveze — kažejo se že v Molisah — z majniškimi vejami ali drevesi in z majniškimi kraljicami; primerjati jo z »Zelenim Jurijem« na drugi strani Jadrana in s tem dokumentirati hipotezo — katere obrisi so že precej jasni — da gre za navado, ki so jo prinesli v ta kraj slovanski kolonisti.

 

Nadaljnji korak pa bi bila raziskavanja, ki naj bi ob omenjenih vprašanjih osvetlila kulturne razmere kmečkega življa v južni Italiji. Zato bi bilo seveda treba preiskati vse sledove nekdanjega obrednega namena te navade, morebitna nasprotja z uradno religijo in pomen, ki ga praznovanju pripisujejo aktivni udeleženci in gledalci.

  


 

[[ Summary

PRVOMAJSKA "PAGLIARA" OR GREEN JURY IN SLOVENIAN VASE OF SOUTHERN ITALY

(google translate, IT -> ENG)

 

In a village in the province of Molise in southern Italy, it is still customary today to celebrate the beginning of May with a ritual tour - greetings and collecting gifts are two essential elements - groups of singers and singers accompanying a man, covered with a special skirt of branches and greens shapes, called "pagliara Maya Maya". Until recently, the habit that we talk about is more widespread in this region; based on the older news and the author's survey, a map (see page 209) shows the prevalence of the habit that was still alive until about 1890 in the villages of Montemitro and San Felice del Molise (formerly San Felice Slavo), and until 1940, in the village of Acquaviva Collecroce. These are the three Slavic villages in the province of Molise, where the original custon has been preserved.

 

The above article gives documentary material about this ritual, collected in three Slavic-Molich villages. Acquaviva had a grassy cone at the top of the cross and was anthropomorphic. The author reports extensively how they made and broke it, about companions-singers and singers and their musicals; It is specifically underlined that the majo trees and branches appear in the procession; then pursues a procession from the church - this rite began to take place with the blessing of majo; Only the singers were allowed to enter the church - to individual houses, where they were singing witches and receiving gifts and where women poured water on majo. The prevalence of this act in the province of Molise speaks specifically to the author, but points out that the associations of this rite of the month of May with the official religion in Acquaviva are stronger than elsewhere in that province; finally takes into account the text of the May songs, partly compared to the Slavic-Molise texts written by older observers.

 

Similarly, the author also provides documentary material for San Felice del Molise (about the ritual at Montemiter, despite the recent search, there are almost no data). The general lines here match with Acquaviva, with the less emphasis on the religious character of the holiday but more pronounced mimics of majo (whose name is called "pagliariello") and the greater festivity of the ceremony as such.

 

Despite the fact that the author limited himself to writing documentary material in his article, but also indicates the direction of further research: the need to explore a wider territory in the province of Molise and the neighborhood, which can determine the prevalence of the symbolic image type "pagliara" (or Green Yuri or feuillu, etc.), something extraordinary on Italian soil; to find out its connections - they are already shown in Molise - with branches of small trees or trees and with queen majors; compare it with the "Green Yuri" on the other side of the Adriatic, and thus document the hypothesis - which contours are already quite clear - that this is a habit brought to this place Slavic colonists.

 

A further step would be research, which, on the above issues, would highlight the cultural conditions of peasant life in southern Italy. Therefore, it would of course be necessary to investigate all the traces of the former ritual purpose of this habit, possible conflicts with the official religion and the importance attributed to the celebration by active participants and viewers. ]]

 

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