Alberto M. Cirese

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Articles from the journal «La Lapa. Argomenti di storia e letteratura popolare», 1955

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1. A. M. Cirese, Notizia sugli albanesi del Molise. Tradizioni dei paesi slavo-molisani  (La Lapa 3.1/2 : 1955, 55-58. Testo anastatico)  (.pdf file from www.amcirese.it)

- Notizia sugli albanesi del Molise

- Tradizioni dei paesi slavo-molisani  

 

2. A. M. Cirese, Nota sui paesi slavo-molisani  (La Lapa 3.1/2 : 1955, 58. Testo poligrafato)  (.pdf file from  www.amcirese.it )

 

 

1. A. M. Cirese, Notizia sugli albanesi del Molise. Tradizioni dei paesi slavo-molisani  (La Lapa 3.1/2 : 1955, 55-58)

 

 

            - NOTIZIA SUGLI ALBANESI DEL MOLISE

 

Lo stanziamento degli Albanesi nel Molise è il più settentrionale tra quanti ve ne sono in Italia (se si eccettua Villa Badessa, frazione di Rosciano in provincia di Pescara); esso rimonta agli anni immediatamente seguenti alla morte di Giorgio Castriota Skanderbeg (1468). Furono allora, o in periodo immediatamente successivo, popolate o ripopolate le località Ururi, Portocannone Campomarino, Montecilfone, Santa Croce di Magliano (un tempo detta «dei Greci») e i casali, oggi distrutti, di Sant’Elena e Colle di Lauro in agro di Larino, e di San Barbato, in agro di Casacalenda. Oggi in Santa Croce non si parla più albanese; conservano invece la lingua originaria gli abitanti di Campomarino, Montecilfone, Portocannone, Ururi: paesi tutti a sud di Biferno — ad eccezione di Montecilfone — e prossimi a Chieuti, paese albanese della provincia di Foggia.

 

La lingua parlata dagli Albanesi del Molise è un dialetto di tipo tosco, e presenta interessanti fenomeni di conservazione. Il rito religioso è oggi latino ma si hanno tracce della conservazione del rito greco fino al primo trentennio del 1700.

 

Non molto ci risulta sia stato fatto per lo studio della poesia popolare e delle tradizioni dei paesi albanesi del Molise: su queste ultime dette qualche notizia Enrico Melillo alla fine del secolo scorso; e dei primi fornirono saggi raccolti a Montecilfone, Portocannone e Campomarino, G. I. Ascoli e M. Marchianò.

 

Per le notizie generali e la bibliografia sulla storia e la lingua delle colonie albanesi in Italia si vedano in Enciclopedia Italiana le voci Italia (XIX, 931 sgg), Albania (II, 123 sgg.), Albanesi d’Italia (II, pp. 92 sgg.). Una ampia nota bibliografica è in GIOVANNI BRONZINI, Tradizioni popolari in Lucania, Matera, 1953, p. 249 n. 1. Per informazioni sugli albanesi del Molise v.

·       G. A. TRIA, Memorie storiche di Larino, Roma, 1744;

·       MAGLIANO, Considerazioni storiche sulla città di Larino, Campobasso, 1895;

·       G. MASCIOTTA, Il Molise, I, p. 355 sgg.; e IV, alle singole monografie comunali;

·       G.I. ASCOLI, Studi critici, II, Roma 1877, pp. 70 sgg.;

·       E. MELILLO, Costumanze molisane: Montecilfone, Portocannone, Ururi, in La N. Prov. di Molise, li, 1882, n. 21;

·       IDEM (su Campomarino), in La Crisalide, numero stenna, a. IV, Napoli, 1. genn. 1883;

·       M. MARCHIANÒ, Canti popolari albanesi della Capitanata e del Molise in Apulia, II, 1911 pp. 75-84, 207-219; III, 1912, pp. 40-47, 156-166.

 

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- TRADIZIONI DEI PAESI SLAVO-MOLISANI

 

Ne] complesso quadro delle influenze culturali d’oltre Adriatico che si sono esercitate sul territorio molisano, un posto notevole occupa la colonizzazione serbo-croata, che toccò un tempo località disposte su un raggio assai più ampio di quello entro cui sono era circoscritti i tre paesi slavo-molisani ancora bilingui.

 

Le immigrazioni da cui derivano gli attuali abitanti di Acquaviva Collecroce, San Felice del Molise (già San Felice Slavo) e Montemitro non hanno naturalmente nulla a che vedere con la venuta di quei «bulgari» che guidati da Alzeco o Alzecone ottennero da Grimoaldo, nel secolo IX, le località allora disabitate di Isernia, Boiano e altre, come attesta Paolo Diacono; nè pare possano attribuirsi a ipotetiche iniziative dell’Ordine Gerosolimitano alta fine del secolo XIII (1). Sembra invece accertato che gli Slavi o Schiavoni attuali del Molise discendano da quelli venuti in Italia nello stesso periodo in cui sì verificò la immigrazione albanese, e cioè nella seconda metà del secolo XV (2). E c'è da notare che per lungo tempo gli storici e i geografi del regno napoletano, al pari dei volghi, contusero slavi e albanesi, si che a lungo rimase ignorata la presenza dei coloni serbo-dalmati nel Molise.

 

Non ci soffermeremo a ripercorrere la storia delle ricerche che sono state condotte dalla seconda metà dell’Ottocento in poi attorno a queste colonie molisane (3). Basterà qui ricordare che le prime notizie di una certa ampiezza furono date, per sollecitazione di Orsatto Pozza (Medo Pucic) che casualmente era venuto a conoscenza dell’esistenza dell'isola glottologica, da Giovanni De Rubertis di Acquaviva in alcune Lettere pubblicate a Zara nel 1856. Le notizie furono riprese da periodici tedeschi, e sollecitarono, dopo uno scritto di Domenico Comparetti, l'interessamento di Graziadio I. Ascoli che compì una visita nella zona, e ne dette conto nel Politecnico prima e poi nei secondo volume dei suoi Studi critici. Di quelle colonie slave si occupavano nello stesso periodo anche altri, e non mancarono neppure alcuni echi provinciali di questo più vasto interessamento; ne sono segno non solo la nota di L.A. Trotta (che invero solo di scorcio si occupa delle colonie slave ancora bilingui) ma sopratutto lo scritto di Michelangelo Fonzo rimasto fino ad ora ignorato. Ma le indagini più approfondite dovevano venire condotte sopratutto da osservatori e studiosi venuti talvolta assai da lontano: Rolando, Makušev e Drinov, Kovačic, Badouin de Courtenay, Smodlaka, Baldacci, Rešetar.

 

Il saggio più importante, che raccoglie anche i risultati di quasi tutte le precedenti indagini, è certo quello di Milan Rešetar, che esamina la diffusione degli slavi anche in zone centro-meridionali non molisane, pur fissando la sua attenzione sulle tre uniche ancora bilingui, e cioè Acquaviva, Montemitro e San Felice, che egli visitò nel 1907.

 

Il Rešetar sostiene la provenienza degli slavi del Molise dalla Dalmazia, e precisamente dalla zona tra la Cetina e la Narenta. Il padre Teodoro Badurina avanza invece la ipotesi della loro provenienza dall'Istria (4). Ma quale che sia l’origine etnica e la zona geografica di provenienza dì questi coloni, dal nostro punto di vista importa segnalare l’ampiezza del raggio della loro antica penetrazione nel Molise, ampiezza che si collega con la diffusione di certe tradizioni che paiono di sicura origine slava, e che sono ancora vive in paesi molisani non slavi.

 

I tre paesi ancora bilingui, Acquaviva, San Felice e Montemitro, sono tutti a nord del Biferno ed a contatto con il Trigno e quindi con l'Abruzzo chietino, nel quale pure vi fu Immigrazione slava; distano pochi chilometri dall’Adriatico, e confinano con Montecilfone, l’unico dei paesi albanesi del Molise che sì trovi a nord del Biferno. Ma sembra certo che gli immigrati slavi in antico si siano localizzati anche a Montelongo, a sud del Biferno, e che, a nord del fiume, abbiano toccato non solo Petaceiato e San Giacomo degli Schiavoni, in prossimità del mare, ma anche, più all'interno, Mafalda (già Ripalda), Tavenna e Palata e, assai più addentro nel territorio molisano, anche San Biase. Si aggiunga poi che anche di Castropignano sì accenna qualche non ben chiaro contatto con questa o con altre immigrazioni di oltre Adriatico (in una lunga successione di «blasoni» popolari di origine culta, e assai nota un tempo, lo si diceva «Castropignan de' Bulgari»);

 

 

(1) L’ipotesi è del MASCIOTTA (Il Molise cit., I, pp. 354-5) if quale ripete la affermazione di G. D. MAGLIANO (Larino, etc., Campobasso, 1895 p. 183 e 240) che Acquaviva fosse abitata dagli slavi già nel 1297. L’asserzione di ambedue si basa sul fatto che in una Bolla di Bonifacio VIII, datata il 22 settembre del 1297, fa quale fa o conferma concessioni all’Ordine Gerosolimitano, sarebbe nominato un «Castrum Acquavivae habitatum cum vassallis Schiavonis». Ma sembra si tratti di un abbaglio, poiché nella Bolla non sì nominerebbe affatto Acquaviva, come attesta BADURINA (o. c. più avanti) il quale pubblica in appendice il testo della Bolla da lui attinto negli archivi vaticani.

 

(2) Cosi già il TRIA: cfr. le notizie sugli Albanesi del Molise in questo stesso fascicolo.

 

(3) Vedi comunque la nota bibliografica alia fine dell’articolo.

 

(4) L'autore si vale di confronti tra i cognomi presenti nella zona di influenza slava nel Molise e quelli riscontrabili in Istria; si vale anche di argomenti linguistici di taluni dei quali anche il profano giudica la scarsa consistenza (prestiti lessicali dal dialetto veneto che possono essere tranquillamente prestiti dal molisano), mentre di altri dovrebbe giudicare lo slavista.

 

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e infine si noti che anche Riccia conosce un «Borgo schiavone» (5).

 

La lingua parlata dagli attuali abitatori di Acquaviva, San Felice e Montemitro, è un dialetto di tipo štokavo-ikavo; il rito religioso è latino e non v’è traccia di rito greco nei documenti più antichi che li concernono. Il loro «livellamento» alla cut tura e alle abitudini dei paesi circonvicini appare assai maggiore di quel che non sia dato osservare tra gli albanesi molisani.

 

Ed in effetti non molto rimane del loro patrimonio autonomo di canti: i testi che sono stati raccolti nella seconda metà dell'Ottocento e quelli che si sono rivelati vivi ancora oggi ad una serie di inchieste eseguite in loco, sono assai poco numerosi, anche se spesso sono noti pure ai più giovani. C'è invece un abbastanza vario patrimonio di canti In dialetto molisano, per taluno dei quali si verifica anche il fenomeno della traduzione in slavo ad opera degli stessi cantori. Da notare anche la presenza di canti slavi, di musica canzonettistica, di recente immigrazione dall'altra sponda dell’Adriatico.

 

Tra i canti di sicura ed antica origine slava va annoverato il seguente ancora in uso quando si lavora in campagna:

 

O giovinetta che hai colto i fiori

e poi hai dormito,

alzati alzati, o giovinetta:

perchè hai dormito?

Il tuo amoroso si sposa,

e tu hai dormito.

— Lascialo sposare, lasciato sposare,

cosi vede il bene e li male

Un fulmine a ciel sereno

lo possa uccidere;

la nera terra si possa aprire

e lo possa Inghiottire.

 

Caduto invece dalla memoria un altro canto raccolto nel secolo scorso:

 

Camminavo per la strada

e vidi una bella giovinetta:

— Dove vai bella giovinetta mia? —

Ed essa ridendo, ridendo,

mi volse te spalle

nè una parola

mi volle dire.

 

Ed ecco un pianto funebre registrato dalia voce di una donna settantenne:

 

Quando mai s’è fatto giorno stamattina

che mio marito non è tornato a casa,

che è andato in campagna ed è caduto,

è bell'è morto il compagno mio.

Compagno mio lontano da me

come dovrò fare senza di te!

Andrò In campagna, compagno mio,

e non ti troverò più, compagnio mio

E dimmi o mio compagno,

dove ti dovrò aspettare,

Io andrò ad aspettarti sotto il campanile

e ti farò un segno di saluto in quel [cimitero:

e tu risponderai ad esso

che la sera tornerai a casa.

 

Tra i canti religiosi spicca questo che è tuttora in uso:

 

Andiamo, giù c’è una chiesetta,

le palombelle tubano,

e la Madre di Dio svegliano:

Alzati! Donna!

Il figlio ti portano sulla croce!

Dalla croce il sangue cola a gocce

e nei buchi si raccoglie delle pietre.

Gli angeli in terra lo raccolgono

e al cielo lo sollevano.

 

Quest’ultimo canto era un tempo legato alle processioni dei venerdì di maggio, una tradizione che sembra essere stata caratteristica dei paesi slavo-molisani. Giovanni De Rubertis già riferiva come ad Acquaviva vi fosse la tradizione che gli Slavi fossero giunti nel paese il primo venerdi di maggio: nel che starebbe la ragione della particolare solennità di quella giornata e degli altri venerdì del mese. Si hanno vari documenti sul particolare rispetto di questi giorni sia a San Felice che a Montemitro, sia anche nei paesi non più bilingui come San Giacomo degli Schiavoni e San Biase (6).

 

Tra le costumanze che si segnalano come ancora vive o da poco scomparse in questi paesi val la pena di ricordare la questua di fanciulli di casa in casa al giorno dei Morti, con la richiesta ripetuta: bumlice, bumblice! e l’offerta di frutta e dolci, o anche pane, cui appunto si dà il nome di bumblice. L’uso non è particolare dei paesi slavi, giacché si riscontra, oltre che in tante altre località italiane, anche in paesi più o meno prossimi del Molise e degli Abruzzi. Cosi non singolare dei paesi slavo-molisani è anche l’altro costume, di cui abbiamo avuto notizia diretta, di offrire una minestra di grano, ceci, fagioli, ceci e granoturco, chiamata varak per la testa di San Donato, al sette di agosto (7).

 

 

(5) B. AMUSORA, Riccia, ecc., pp. 39-40. La nascita del «borgo» che ancora oggi costituisce una zona dell'abitato principale vien fatta risalire al VII secolo. In effetti in quell'epoca è documentato da Paolo Diacono uno sbarco a Siponto di slavi che non poterono essere respinti dal duca longobardo Aione. Ma Paolo Diacono ci testimonia anche che Radoaldo, successore dei morto Aione, distrusse gli slavi invasori. Onde non si spiega su quali documenti si basi l’ipotesi che una parte scampasse al «macello» e penetrasse fino a Riccia. In difetto di documenti precisi è più prudente supporre che anche questo «borgo» risalga al XV secolo.

 

(6) V. lo scritto di T. BADURINA, cit. in bibliografia.

 

(7) L'uso di distribuire onesta speciale minestra (che in molti luoghi del Molise si chiama «lessata» o «lessima» o, secondo una vecchia testimonianza sui paesi albanesi del Molise, «leisot», e molto diffusa nella zona, come del resto nel vicine Abruzzo e altrove: cfr. R . BATTAGLIA, La festa delle strenne in Italia, estr. da Folklore. a. III, 1949, nn. 3-4. Da notare che pur rimanendo fermi certi caratteri comuni (questua da parte di fanciulli e un tempo o in qualche località, adulti: composizione della minestra con diverse specie di vegetali — a Bagnoli d. Trigno debbono essere sette; ecc.) varia la data rituale della sua distribuzione: a Agnone e altrove è il primo maggio; a Sant'Elia a Pianisi, Santa Lucia; a Fossalto, Sant'Antonio di gennaio, ecc.

 

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Si segnalano inoltre il costume del ceppo natalizio (badnjak), di cui un esemplare fu anche alla Mostra di Etnografia Italiana (8), e quello di accendere rami di ginepro (smrčke) alla sera della vigilia di Natale e di portarli di casa in casa, fino poi a bruciarli nel focolare della casa della fidanzata (9).

 

Ma meglio nota, e più singolarmente caratteristica, è un'altra costumanza, ormai tramontata sia a San Felice che ad Acquaviva e a Montemitro: quella di celebrare il primo giorno di maggio con il corteggio di suonatori e cantori che accompagna un uomo completamente rivestito di fronde e di fiori. Dell’uso di questo tipo caratteristico di «maio» si discorre in altra parte di questo fascicolo; ma qui varrà la pena di ricordare ancora come appaia sommamente interessante, dai punto di vista dei contatti e degli scambi culturali che avvengono al livello della vita popolare tradizionale, il fatto che il costume che trova precisi riscontri anche morfologici al di la dell’Adriatico e che appare invece solato in area italiana, sia scomparso nelle colonie slave che ne furono con tutta probabilità portatrici, e sopravviva invece in paesi di origine non slava, pur se in qualche modo in contatta con le colonie slave (10).

 

E questo aspetto della ricerca attorno alle colonie serbo-croate del Molise ci pare degno d'un interesse maggiore di quel che non abbia suscitato sino ad oggi.

 

a. m. c.

 

 

(8) Vedi il Catalogo cit., p. 102 dove si afferma che i giovani portano il ceppo acceso di casa in casa, fino a deporlo poi nel focolare della fidanzata. È possibile che qui sia avvenuta confusione tra il «céppo» di Natale e le torce di rami di ginepro di cui si parla più avanti. Il costume di lasciar ardere li ceppo durante tutta la notte, anche in connessione con l'idea che l morti possano riunirvisi intorno mentre t vivi sono a messa, è o era diffuso nel Molise.

 

(9) Un costume analogo si riscontra a Bagnoli del Trigno, dove ancora oggi, alla vigilia di Natale i contadini sogliono riportare dalla campagna delle sorta di torce di legna (dette «ndocce» che si montavano su appositi treppiedi dinanzi alle case e si incendiano a un suono di campana; talvolta la famiglia ha anche due «ndocce»: oltre a quella «familliare », più erande, una più piccola se c’è un bambino. Un tempo si usava, e taluno usa ancora, portare la propria «ndoccia» dinanzi alla casa delta fidanzata.

 

(10) Vedi in questo fascicolo lo scritto sul «maggio» nel Molise.

 

(11) Durante la visita ai paesi slavi del Molise e poi ci furono di prezioso aiuto l’insegrante sig.na Matilde Silvestri ed Aldo Vetta di Acquaviva; gli insegnanti sig.ra Pasqualina Zara Barone signorina ins. Maria Genua, sig. Angelo Genova e Giulio Ferrante di San Felice; l’insegnante Valentino Piccoli e il signor Italo Lalli di Montemitro.

 

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2. A. M. Cirese, Nota sui paesi slavo-molisani  (La Lapa 3.1/2 : 1955, 58)

 

 

Le prime distinzioni tra Albanesi e Slavi nel Molise compaiono in TRIA o. c. e in L. GIUSTINIANI, Dizionario geografico del Regno di Napoli, Napoli, 1797 sgg., alle voci concernenti le diverse località, e in fondo all’opera.

 

Le Lettere di GIOVANNI DE RUBERTIS furono pubblicate dapprima sull’Osservafore dalmato, Zara, 1856 e poi a parte, (Delle colonie slave nel regno di Napoli - Lettere del prof. G.D.R., Zara, febbr. 1856 pp. 47). Le notizie tedesche comparvero in Ausland, n. 35, 28 ag. 1857, p. 1840 (e cfr. anche Mitteilungen dei Petermann 1857, XII, p. 536; DIEFENBACH. Origines Europaeae, Francoforte, 1861, p. 207). D. COMPARETTI parlò di queste colonie slave in Rivista italiana, 1863, n. 134; G. I. ASCOLI, ne scrisse ivi, n. 140, e, dopo la visita ai paesi slavi e albanesi del Molise, compiuta nel 1864, prima nel Politecnico marzo 1867 (anche in estr.: Saggi ed appunti) e poi in Studi critici, Roma, 1877, pp. 76-82. Nei frattempo G. VEGEZZI RUSCALLA aveva pubblicato il suo opuscolo Le colonie serbo-dalmate del circondario di Larino (Torino, 1864). Cominciavano di li a poco le visite di osservatori stranieri o italiani: il russo V. Makušev e il bulgaro S. Drinov, nel 1871 (con pubblicazione delle notizie nelle Memorie, Zapiski, dell’Accademia di Pietroburgo, 1871); Michelangelo Fonzo da Campobasso nel 1872 (cfr. i due scritti non notare al Rešetar nè al Badurina, in Gazzetta della Provincia di Molise. 1872, nn. 77 e 85) di A. ROLANDO da Napoli nel 1875 (cfr. Escursione storico-etnografica nei paesi slavi della provincia di Campobasso, in Annuario del R. Liceo-ginnasio Principe Umberto, Napoli, 1875) e poi giù giù fino a M. REŠETAR ai cui ottimo lavoro (Die Serbokroatischen Kolonien Süditaliens, Kaiserliche Akademie der Wissenschaften, Schriften der Balkankommission, Linguist. Abteil., IX Vienna. 1911) rinviamo per le indicazioni bibliografiche precise su questi visitatori e sulle loro relazioni.

 

Tra gli scritti di italiani o in italiano, oltre l'opuscolo piuttosto sommario del molisano L. A. TROTTA (Su l’origine delle nuove città e terre e su le colonie albanesi e slave della provincia di Molise, Campobasso, s.a.) di cui si è fatto cenno nell’articolo, vanno ricordati gli scritti di A. BALDACCI, Die Slawen von Molise, in Globus, a. XCII 1908, nn. 3-4 (= A. B., Scritti adriatici. Bologna, 1943, I, p. 188 sgg.); di G. GELCICH, Colonie slave nell’Italia meridionale, Spalato, 1908 pp. 16; di A. COLETTI, Gli Slavi nostri: 2° I Molisani-slavi, in Vie d’Italia, XXIII, 1917, p. 143 (di cui dobbiamo la cortese segnalazione al prof. Giuseppe Vidossi).

 

In altro scritto ricordato in fondo a questa nota si era segnalata resistenza di un lavoro dattiloscritto del padre TEODORO BADURINA (Frentania slava, a cura di Italo Lalli da Montemitro, 1948, pp. 62 dattiloscr.); qui si aggiunge che il lavoro, senza grandi varianti è stato anche pubblicato a Roma (Tip. Pio X, 1950) con il titolo Rotas opera tenet arepo sator (ad Acquaviva c’è una antica pietra con il noto quadrato magico).

 

Per le notizie sul «maggio» nei paesi slavomolisani cfr. lo scritto di A. M. CIRESE citato in questo fascicolo a proposito della pagliara di maggio.

 

Per informazioni sommarie ma assai chiare sulle colonie slave del Molise v. anche Enciclopedia italiana, voce Italia, p. 930.

 

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