Alberto M. Cirese

 

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1. Il pianto funebre nei paesi serbocroati del Molise, 1957  (Testo italiano inedito della comunicazione tenuta al Congresso dei folkloristi jugoslavi di Varaždin, agosto 1957) 

 

2. O naricaljkama u hrvatskim mjestima pokrajine Molise u Italiji  (Rad Kongresa folklorista Jugoslavije, u Varaždinu 1957 / Atti del Congresso dei folkloristi jugoslavi, Varaždin 1957. Zagreb, 1959: 143-151)
(Traduzione in croato della Comunicazione del 1957 pubblicata negli Atti del Congresso di Varaždin (1959)

 

3. Il Congresso dei fokloristi jugoslavi a Varaždin, agosto 1957: fotografie

 

4. Ja se činia dani sagatra: pianto per il marito registrato a San Felice del Molise il 20 luglio 1954 voce di Peppina Manzo

 

1IL PIANTO FUNEBRE NEI PAESI SERBOCROATI DEL MOLISE  [*]

A. M. CIRESE

1957

 

Gli abitanti dei tre paesi serbocroati del Molise (Kruč, Mundimitar e Stifilič) hanno conservato in misura assai notevole l’uso della loro lingua d’origine; tuttavia il loro patrimonio di canti in serbocroato è molto limitato. Già all’inizio del secolo Milan Rešetar, nella sua opera fondamentale Die Serbokroatischen Kolonien Süditaliens [1], notava come i serbocroati del Molise cantassero prevalentemente in molisano e canti appartenenti alla tradizione italiana; la sua osservazione è stata confermata dalle indagini successive, come del resto dimostra il capitolo XVI del secondo volume dei Canti popolari del Molise nel quale — con la validissima collaborazione di Milko Matičetov che qui ancora una volta ringraziamo - abbiamo riunito tutti i testi di canti slavomolisani raccolti in circa cento anni di ricerche [2]: il numero complessivo dei testi che abbiamo potuto riunire sale appena a 32, anche se le numerose varianti attestano una forte vitalità tradizionale di alcuni di essi.

 

Se noi ora confrontiamo lo scarso numero dei canti popolari slavo-molisani con la abbondante messe di canti popolari in albanese raccolti nelle vicine colonie albanesi dello stesso Molise (e si veda in proposito il capitolo XV dei già citati Canti popolari del Molise), apparirà chiaro che i due gruppi alloglotti, quello serbocroato e quello albanese, hanno seguito un diverso processo di adattamento al nuovo ambiente culturale in cui sono venuti a trovarsi dopo la loro immigrazione nel Molise. Dall’esame dei documenti a nostra disposizione ci è parso di poter dedurre(e si vedano le osservazioni e le note che accompagnano i testi dei canti slavo-molisani nel nostro lavoro già ricordato) che i gruppi serbocroati del Molise da un lato sembrano aver ceduto assai più degli albanesi alla pressione della cultura italo-molisana, ma dall’altro mostrano di aver comunicato ai paesi molisani circostanti elementi caratteristici del loro patrimonio culturale originario, come appunto pare sia avvenuto nel caso della “pagliara” di maggio a Zeleni Jurij [3] .

 

Una conclusione precisa sulle modalità e sulla natura degli scambi culturali avvenuti tra gruppi serbocroati immigrati nel Molise e cultura tradizionale italo- molisana non è ancora possibile: occorrerebbe estendere l’indagine a tutto il complesso dei fatti folcloristici dei due ambienti: e mi sia consentito qui di auspicare che nel prossimo futuro possa svolgersi in loco una indagine accurata da parte di studiosi italiani e jugoslavi in stretta collaborazione.

 

 

*. Testo italiano inedito della comunicazione tenuta al: Congresso dei folkloristi jugoslavi, Varazdin 1957, poi pubblicata negli Atti del 1959 (O naricaljkama u hrvatskim mjestima pokrajine Molise u Italiji : vedi oltre)

 

 

2

 

Ma in attesa di ricerche più approfondite penso che sia utile segnalare all’attenzione degli studiosi un punto particolare che può avere notevole rilievo nello studio dei rapporti di cultura tra immigrati alloglotti e indigeni: si tratta della lamentazione funeraria che nel Molise ci è documentata da testi in dialetto molisano, in serbocroato e in albanese. Scopo della mia comunicazione è appunto quello di sottoporre agli studiosi qui convenuti alcuni documenti più significativi e talune osservazioni, che essi — slavisti e musicologi — potranno giudicare e collocare assai meglio di quanto non possa aver fatto io che non sono né slavista né musicologo.

 

I testi di pianti funebri slavo-molisani sin qui raccolti sono dieci: numero non piccolo, se lo si confronta con il totale dei canti serbocroati riuniti nel Molise. Ma la maggior parte di questi pianti funebri venne raccolta prima del 1911, e due soli di essi vennero registrati su nastro magnetico da noi personalmente nel 1954. Ad eccezione dei due ultimi (che sono abbastanza ampi ed articolati in forza dei sussidi meccanici di cui ci siamo avvalsi e della indiscreta insistenza che abbiamo adoperato verso le informatrici), tutti questi testi sono assai scarni da punto di vista del contenuto e delle espressioni: più che veri e propri testi di lamenti essi sono soltanto la annotazione delle esclamazioni più appariscenti e più frequenti. Ritroviamo così tutta una serie di moduli assai comuni e ricorrenti in un gran numero di lamenti: “Come farò senza di te?”, “Dove mi hai lasciato?”, “Dove ti rivedrò?”, ecc. Siamo ad un livello così elementare che le somiglianze tra questi moduli e quelli molisani non ci dice assolutamente nulla. Neppure ha grande valore di prova il fatto che in questi testi serbocroati più anticamente raccolti manchi ogni carattere “narrativo”: non ci sia cioè alcun riferimento preciso e specifico a fatti e vicende personali del morto o di coloro che lo piangono. Gli elementi personali e “narrativi” sono invero fortemente presenti nei lamenti molisani ed anche in quelli albanesi del Molise, come ben può vedersi nei testi che ne abbiamo pubblicato; ma non si può dire che essi manchino realmente nelle lamentazioni slavo-molisane: la loro assenza nei testi più anticamente raccolti deriva con quasi assoluta certezza dalla incompletezza delle registrazioni, ed essi sono invece presenti in certa misura nei due testi più completi registrati su nastro.

 

Veniamo dunque a questi ultimi che ci offrono un materiale di osservazione meno incompleto. Il primo fu raccolto ad Acquavica Collecroce (Kruč). Esso è una sorta di narrazione-lamento: infatti l’informatrice, Berenice Mirco, alternò la ripetizione recitativa delle formule abituali con la traduzione ed il commento di esse in italiano, e passò più volte dalla recitazione cadenzata alla lamentazione vera e propria, e cioè melodicamente atteggiata. La prima parte di questa narrazione-lamento è dedicata al marito; la seconda — con un passaggio non eccezionale in questa sorta di documenti — è invece dedicata alla figlia, ed è la parte più intima ed affettuosa.

 

Ecco il testo del lamento [4]:

 

 

3

 

1. Jo moj muže ke si umbra,

jo lipi moj mužu kako me tiaše dobro;

korko me činaše kliet,

ma ja pur činaho kliet tieb.

 

2. Jo Vidž moj di maš po,

teško me ke si osta četir dica, Vidž moj.

 

3. Marite mi, so rimaste co quattre figlie.

(Coma éia fà, m’éia avute fatià, p’uscìlu sole!)

 

4. Jo rikeca moja di si pola, šćer moj!

 

5. (Na figlia de dicidotte anne, na femmenazza e grossa.

E chiagne, e chiagne, a che vò chiagne chiù.)

 

6. Qui hoća ćut kako sa te plakala;

sa te plakala z dolurem, mà,

ma sa, ma sa kako ću plakat ke mi ne bižu suze!

 

7. Figlia me’ t’éi’ chiagnute co lu dulore tant’anne;

mo se me mette a chiagne, mo me scappene le lacreme

e z'affigge lu ćore.

 

8. Rikeca me, kore de mamma,

si imala umbri nako velia žemtina

za guaje do čelijadi.

 

9. Sa neka plati Bog sekoliko, mà,

ke mati te grde hramit, šćer moja, šćer.

 

10. Neka te vamme Blaženica, mà

ke ja se oprala ruke kanno Pilato,

kore de mamma.

 

11. Ricchezza me’, core de mamma, figlia me’:

hai avute muri pe li guaie de li gente.

Na figlia de dicidotte arme.

 

12. (Mo non pozze chiagne chiù pérchè mo se no l’uocchie

se fanne funtane).

 

Ed eccone la traduzione:

 

1. Oh marito mio che sei morto, oh bello marito mio quanto mi volevi bene; quanto mi facevi bestemmiare, ma io pure facevo bestemmiare te.

 

2. Oh Luigi mio dove vai, povera me che mi hai lasciato quattro figli, Luigi mio.

 

3. Marito mio, sono restata con quattro figli. (Come debbo fare, ho dovuto faticare, per [far] uscire il sole!)

 

4. Oh ricchezza mia dove sei andata, figlia mia!.

 

5. “(Una figlia di diciotto nni, una giovanotta robusta. E piangi e piangi, e che vuoi piangere più)”;

 

 

4

 

6. Costui vole sentire come ti ho pianto; ti ho pianto con dolore, mamma, ma adesso, ma adesso come posso piangere che non mi escono le lagrime!

 

7. “Figlia mia, ti ho pianto con il dolore tanti anni; ora se mi metto a fare il lamento, ora mi scoprono le lagrime e si affligge il cuore”.

 

8. Ricchezza mia, cuore di mamma, sei dovuta morire così giovane, donna grande, per i guai della gente.

 

9. Adesso che paghi Dio tutto, mamma, che mamma ti porta a seppellire, figlia mia, figlia.

 

10. Che ti prende la Madonna, mamma, che io mi sono lavata le mani come Pilato, cuore di mamma.

 

11. Ricchezza mia, cuore di mamma, figlia mia: hai dovuto morire per i guai della gente. Una figlia di diciotto anni.

 

12. (ora non posso più fare il lamento perchè altrimenti gli occhi si fanno fontane).

 

Come chiaramente risulta dall’ascolto della registrazione, le prime espressioni (capoverso 1) sono state dette in fretta; poi, spinti dalle nostre insistenze, la Mirco “lamentò” l’espressione del capoverso 2, che subito tradusse in dialetto molisano (capoverso 3) aggiungendo il commento che abbiamo chiuso tra parentesi. In seguito alle nuove sollecitazioni dei nostri collaboratori locali [5] la Mirco riprese a recitare le espressioni dei capoversi 4-7, subito commentandole o traducendole in dialetto molisano (capoversi 5: e 7). I capoversi 8-10 appaiono chiaramente “lamentati” sul modulo melodico, evidentemente assai logoro, già usato per il capoverso 2.

 

E’ facile rilevare come in questo lamento siano presenti in notevole misura elementi di personalizzazione di cui abbiamo fatto cenno: Berenice Mirco non ci dà esclamazioni generiche, ma si tiene stretta alla sua storia personale. Sarebbe anche abbastanza facile dimostrare come esista una notevole omogeneità di concetti tra questo lamento e i componimenti molisani. Tuttavia, come abbiamo già osservato, si tratta di una analogia piuttosto generale e scarsamente caratteristica.

 

Il secondo lamento registrato su nastro fu raccolto a San Felice (Stifilič) dalla voce di Peppina Manzo. Il testo, dal punto di vista del contenuto, è chiaramente diviso in due parti. Eccone la prima:

 

 

5

 

1. Ja se činia dani sagatra

ke s abijala muža vani ni mi je doša doma.

 

2. A je poša vani je pa moj muž,

a lipo me je umbra, kumpanj moj.

 

3. A kumpanj moj je nada vodu mene,

a kak mami čini senca tebe, kumpanj moj.

 

4. A ja ću poći na nu kampanju, kumpanj moj,

ne ću te naći tebe, kumpanji moj.

 

5. A reci mi, moj kumpanji,

a di mam te počeka veći, kumpanj moj.

 

6. A ja ću te počekat zdola kampanara,

a maš mi činit na sinje na ni kampusanti, kumpanj moj.

 

7. a ti mač mi vrniti vi sinji, kumpanj moj,

a ti maš mi doći večeri doma, kumpanj moj.

 

Ed eccone la traduzione:

 

1: E s’è fatto giorno stamattina che ho mandato il marito fuori, non mi è venuto in casa.

 

2: Ed è andato fuori mio marito e bello bello mi è morto, compagno mio.

 

3: E il compagno mio fiora mi conduceva (?), e come debbo fare senza te, compagno mio?

 

4: E andrò in campagna, compagno mio, e non ti troverò più, compagno mio.

 

5: E dimmi, o mio compagno, dove ti debbo andare ad aspettare più, compagno mio.

 

6: Io andrò ad aspettarti sotto il campanile e tu mi farai un segno in quel cimitero, compagno mio;

 

7: e tu risponderai a quel segno, compagno mio, e tu devi tornare la sera a casa, compagno mio [6].

 

Anche qui compare qualche elemento di personalizzazione: si veda l’accenno al fatto che il marito morì in campagna (capoversi 1 e 2). Ma più caratteristico è il passo (verso 5-7) in cui si compie una malinconica idealizzazione del distacco dal morto: “A reci mi, moj kumpanji...”. Questo tipo di fantasia non si incontra nei lamenti molisani, e possiamo dire che questo è forse il punto di maggiore differenza tra lamenti serbocroati del Molise e lamenti molisani che ci sia accaduto di notare.

 

Ma l’elemento più caratteristico, dal punto di vista del contenuto, che si incontra nel lamento di Peppina Manzo è costituto dal fatto che la seconda parte è assolutamente parodistica. La lamentatrice, sollecitata insistentemente da noi a proseguire nel pianto, continuò il lamento con la medesima cantilena sino ad allora adoperata, lo trasformò deliberatamente in parodia.

 

Ecco come si espresse:

 

 

6

 

8. A ka te mi poni muža na kampisant,

ke ja se pure lačna,

ke maju mi doni koj kunsuol ke mam ist.

 

9. Sa ću vaze kruh tr ću ist

e ne ću stat sudjetta nikorumo.

 

10. Ma bi tita pur štokodri drugo

ka mam si friskat ovi kanarin.

 

11. Kumpanj moj, sa se te zgubila,

sa nimam nikora, sa [svragem di si] posa.

 

Ed eccone la traduzione:

 

8: E quando vorranno portarmi mio marito al cimitero, che io ho anche fame, che mi debbono portare il consuolo (termine con cui nell’Italia meridionale in genere si disegnano i cibi che gli amici offrono alla famiglia in lutto recente) che devo mangiare.

 

9: Adesso prenderò il pane e mangerò e non sarò soggetta a nessuno.

 

10: Ma vorrei pure qualche altra cosa per rinfrescarmi la gola.

 

11: Compagno mio, adesso ti ho perduto, adesso non ho più nessuno, adesso [ al diavolo dove sei] andato.

 

L’ultimo capoverso fu pronunciato, in armonia con il suo contenuto, in una sorta di frettolosa concitazione. Le parole tra parentesi quadre sono solo formalmente congetturali: non essendo comprensibili nella registrazione quelle realmente pronunciate, contengono però il senso che l’informatrice dette in italiano.

 

Il fenomeno è assai interessante: si tratta evidentemente di una “improvvisazione”, così come del resto di “improvvisazione” può parlarsi a proposito del lamento di Berenice Mirco, là dove essa, continuando a rivolgersi alla figlia morta, aveva inserito nel suo lamento anche noi e la nostra richiesta di sentirla piangere; “Ovi hoca cut kako sa te plakala”. Non è questo il luogo per discutere del problema della “improvvisazione” nei lamenti funebri: ci basterà dire come anche nel Molise, nei lamenti in dialetto molisano, appaia chiaro che assiste un ordito di motivi stilistici e di contenuti tradizionalmente fissato, su cui si ritenesse una trama adatta al caso funerario specifico; e la struttura ritmica dei lamenti molisani è appunto tale che consente, pur rimanendo sostanzialmente la stessa, degli ampliamenti e delle contrazioni che permettono e insieme condizionano l’introduzione di nuovi concetti.

 

Dalla considerazione dei contenuti giungiamo così al problema della struttura formale: è possibile identificare quella dei lamenti slavo-molisani? Il Rešetar, pubblicando i testi a lui noti, già si era proposta la questione. In un primo momento egli ironizzò la divisione in versi che G.I. Ascoli aveva fatto del testo da lui raccolto, e negò che quel testo potesse chiamarsi “canto”, poiché non era cantato; ma poi, dinanzi alle trascrizioni di lamenti del Kovacic dovette riconoscere l’esistenza di una certa regolarità metrica, ed inoltre si avvide dell’esistenza di formule e moduli ostanti e ricorrenti. In sostanza il Rešetar avvertì che nei testi che aveva sott’occhio c’era un certo ritmo, c’era una certa comune regolarità, ma non riuscì a ricondurre quel ritmo e quella regolarità ad una qualsiasi norma costante o ad uno qualsiasi degli schemi metrici noti.

 

 

7

 

Qualche cosa di analogo avvenne per i lamenti in dialetto molisano sin qui raccolti: dal punto di vista formale e strutturale essi presentano qualche cosa di comune, hanno una loro “regolarità”, ma non possono essere ricondotti a nessuno degli schemi metrici più noti ed abituali. Non si può parlare di versi (ottonari, endecasillabi, ecc.), né di strofe (distici, quartine o sentine, ecc.), come invece avviene per i lamenti funebri di altre zone; si può però parlare — se sono giuste le analisi che abbiamo condotte — di una struttura ritmica costante le cui caratteristiche essenziali sono nella coincidenza del periodo logico con un modulo melodico, nella esistenza di una unità logico-melodica ad andamento ritmico costante, ma con numero variabile di sillabe e di membretti. Più che una descrizione varranno degli esempi. In un lamento molisano di Fossalto, che porta il numero 517 nella nostra raccolta, lo schema fondamentale dell’unità logico-melodica sembra essere fornito dalla espressione:

 

E come vuglia fà senza de te, Pascale mine mamma.

 

ossia:

 

E come voglio fare senza di te, Pasquale mio, (di) mamma

 

Sembra possibile riconoscere uno schema ritmico costitutivo da due periodi divisi da cesura: il che presenta una lieve cesura interna, rimane aperto su sillaba fortemente accentata mentre il secondo si risolve in cadenza parossitona: gli accenti ritmici cadono infatti sulle sillabe che indichiamo in corsivo e con accento:

 

E còme vùglie fà / senzà de tè, // Pascàle mìne màmma.

 

Se indichiamo con il segno della lunga le sillabe ritmicamente forti, se segniamo con apici quelle su cui cade un ulteriore accento particolarmente deciso, e se conserviamo alle sbarre semplici e doppie il compito di indicare le cesure rispettivamente lieve e netta, potremo costruire il seguente schema:

 

       

 

Ora il fatto interessante è che lo schema generale rimane inalterato anche se varia notevolmente il numero delle sillabe sia nel primo che nel secondo periodo. In un altro punto del lamento si ha:

 

E t’arecurde quandi iavam’a zappa / ne tutte e du, Pascale mine mamma [7]

 

in cui il primo periodo schematicamente risulta così:

 

       

 

E’ evidente la sostanziale identità dello schema, anche se il numero delle sillabe è diverso.

 

 

8

 

In altri casi varia invece il secondo periodo, come nel punto che suona:

 

E come èia fà senza de te, marite mine bilie mamma [8]

 

in cui lo schema dopo la cesura risulta:

 

       

 

In sostanza quella che abbiamo chiamato l’unità logico-melodica appare tale che consente, pur rimanendo identica, sostanziali variazioni del numero delle sillabe che la compongono, consentendo così l’inserimento e l’adattamento di contenuti diversi e nuovi nello schema tradizionale.

 

Ma l’adeguamento dello schema ritmico alla varietà dei contenuti avviene anche in altro modo: oltre a variare il numero delle sillabe che compongono ogni periodo, si può moltiplicare il numero dei periodi. Così in un lamento di Bagnoli del Trigno (che nella nostra raccolta porta il n. 527) si ha il seguente capoverso iniziale:

 

E Eriminia di la ne(nna)

chinda èia da fane ine, ne(nna),

senza de teni cori di la nenna [9]

 

che forniscono il seguente schema, seguito poi in tutto il lamento, anche se con numero di sillabe variato:

 

       

 

Ma le variazioni avvengono anche variando il numero dei membretti che compongono l’unità logico-ritmica, e particolarmente con la ripetizione di B. Il capoverso 5 infatti suona:

 

E Eriminia di la ne(nna),

e io vado fori la matina, ne(nna),

quindi ti alzi, cori di la ne(nna),

sia vò ine a la macchia a la cerva, ne(nna),

a mett’a magnane a l’animani, nenna scia [10],

 

fornendo il seguente schema:

 

       

 

 

9

 

Qualche cosa di simile sembra avvenire anche nei lamenti albanesi del Molise, tra i quali solo in un caso (al n. 599 della nostra raccolta) sembra possibile riconoscere una quartina con versi e rime.

 

E per i lamenti slavo-molisani? E’ bene dire subito che non siamo in grado di fare considerazioni particolarmente conclusive. I testi più antichi non offrono possibilità di indagine, giacché manca per essi la registrazione del modulo melodico che é essenziale per un’analisi del genere. I due testi registrati su nastro permettono invece qualche osservazione, ma sono troppo pochi e troppo logori per essere del tutto probanti. Sono tuttavia sufficienti a sollevare degli interrogativi, a porre delle questioni.

 

Il primo di essi, la narrazione-lamento di Berenice Mirco, come abbiamo già notato, presenta il fenomeno dell’inserimento di un contenuto del tutto muovo della registrazione, la lamentatrice, allorché dice “Ovi oca cut kako sa te plakala”, non usa la melodia del lamento, ma evidentemente dispone il nuovo contenuto in una cadenza ritmica del tutto analoga a quella impiegata in altre parti della lamentazione.

 

C’é poi da notare che i capoversi 2, 8, 9, 10 — i soli che siano stati “lamentati” nella cadenza melodica tipica — offrono una qualche analogia con i procedimenti dei lamenti molisani, due membretti di cadenza analoga, ma di variato numero di sillabe, nei capoversi 2 e 9; l’aggiunta di un terzo membretto nei capoversi 8 e 10.

 

Ma il secondo lamento offre qualche elemento più significativo. Il modulo melodico é infatti assai logoro, ma per tutto il lamento resta evidente una cadenza costante che sembra offrire gli stessi caratteri di identità di ritmo e di diversità di numero di sillabe che abbiamo riscontrato nei lamenti molisani. C’é anzi sembrato possibile riconoscere anche in questo lamento quelle unità logico-melodiche che appaiono nei lamenti molisani: unità logico-melodiche distinte costantemente in due periodi:

 

Je se činia dani sagatra //

ke s abijala muža vani ni mi je doša doma..

 

Anche la parte parodistica presenta il medesimo andamento; ma è significativo il fatto che appunto in questa parte, più evidentemente “improvvisata”, lo schema venga una volta violato, e l’unità logico-melodica si divida in tre periodi invece che in due, in un modo che — almeno a quanto é possibile giudicarne — sembra del tutto analogo al procedimento seguito nei lamenti molisani:

 

A ka te mi poni muža na kampisant, //

ke ja se pure lačna, //

ke maju mi doni koj kunsuol ke mam ist.

 

 

10

 

Le osservazioni che abbiamo fatto non sono in alcun modo conclusive: servono soltanto a sollevare l’interrogativo della possibilità di una analogia strutturale e formale tra i lamenti molisani e quelli slavo-molisani. In sostanza, in tutta l’area del Molise non esistono lamenti che abbiano una organizzazione metrica di tipo noto: versi di precisa misura, rime e assonanze, strofe organizzate: l’unica eccezione in questo senso è rappresentata dalla quartina albanese che abbiamo ricordata.

 

Ora, per ciò che concerne gli slavi del Molise, questa assenza di versi precisi e di strofe è un fatto originario o un frutto del logoramento della tradizione? Nella loro patria d’origine esistono lamenti funebri che abbiano una struttura comparabile non solo e non tanto con i loro esempi slavo-molisani, quanto con gli esempi — anch’essi logori ma ancora abbastanza organizzati — di pianto funebre molisano? E le analisi che di questi ultimi abbiamo tentato trova conferme o smentite nella comparazione?

 

Sono queste le domande che miravamo a sottoporre con la nostra comunicazione: la quale dunque si conchiude con l’augurio che, sollecitati da questo contributo iniziale, musicologi e slavisti affrontino più compiutamente e più autorevolmente il problema.

 

Pubblicato sul sito www.amcirese.it  il 9 ott. 07

 

 

11

 

            NOTE

 

1. Die Serbokroatischen Kolonien Süditaliens, “Kaiserliche Akademie der Wissenschaften, Schriften der Balkankommission”, Band IX, Wien 1911. Ora anche in italiano: M. Rešetar, Le colonie serbocroate del Molise, introduzione italiana, prefazione, note, bibliografia a cura di Walter Breu e Monica Gardenghi, Amministrazione provinciale, Campobasso 1977.

 

2. A.M. CIRESE, Volume secondo dei canti popolari del Molise, Rieti 1957, pp. 191-261 (anche in estratto: A. M. CIRESE, Canti popolari delle colonie slavo-molisane, pubblicati con la collaborazione di Giovanni Maver e Milko Matičetov, Rieti 1957)

 

3. A.M. CIRESE, La “pagliara” dei primo maggio nei paesi slavo-molisani (Prvomajska “pagliara” ali Zeleni Jurij v Slovanskih vasch Južne Italije), estr. da Slovenski Etnograf, VIII, Ljubljana 1955.

 

4. Per la trascrizione si è impiegata la forma oggi corrente dell’alfabeto serbocroato in caratteri latini, ad eccezione del solo segno dj.

 

5. Come chiaramente risulta dall’ascolto della registrazione, dicendole i collaboratori locali “cu vit kako ce krivis” (fa’ vedere come ti lamenti), la Mirco protestava: “Oh, nomo rec tako” (Oh, non mi dire così).

 

6. Per una illustrazione del testo (e per il chiaro lapsus della informatrice ai capoversi 6 e 7, dove si sarebbe dovuto avere e io... e tu, (o viceversa) vedi le pp. 260-261 del secondo dei canti popolari del Molise.

 

7. E ti ricordi quando andavamo a zappare tutti e due, Pasquale mio, (di) mamma.

 

8. E come debbo fare senza di te, marito mio bello (di) mamma.

 

9. E Erminia della sorella, che cosa debbo fare io, cara, senza di te cuore della sorella. Le sillabe tra parentesi non vennero pronunciate dalla lamentratrice che così otteneva la terminazione ossitona che risulta dallo schema.

 

10. E Erminia della sorella, e io vado fori la mattina, cara, quando ti alzi, cuore della sorella, se vuoi andare al bosco della quercia (?), cara, a mettere a mangiare gli animali, sorella mia. — Il senso del passo è solo sommariamente chiaro

 

 


 

 

2. O NARICALJKAMA U HRVATSKIM MJESTIMA POKRAJINE MOLISE U ITALIJI

ALBERTO M. CIRESE (Roma)

In: Rad Kongresa folklorista Jugoslavije, u Varaždinu 1957

[Atti del Congresso dei folkloristi jugoslavi, Varaždin 1957].

Zagreb, 1959: 143-151

 

POSEBNI OTISAK

RAD KONGRESA FOLKLORISTA JUGOSLAVIJE U VARAŽDINU 1957.

ZAGREB 1959.

 

 

Stanovnici triju hrvatskih mjesta u pokrajini Molise (Kruč, Mundimitar i Stifilić) sačuvali su u jakoj mjeri upotrebu svoga jezika; unatoč tome njihova baština pjesama na hrvatskom jeziku vrlo je malena. Već je u početku ovog stoljeća Milan Rešetar u svom fundamentalnom djelu »Die Serbo-kroatischen Kolonien Süditaliens« (Beč, 1911) bio opazio, da Hrvati u Moliseu pjevaju ponajviše u molizanskom dijalektu i to pjesme, koje pripadaju talijanskoj pjesničkoj tradiciji; to njegovo opažanje potvrdila su i istraživanja, koja su slijedila poslije njegova, kao što uostalom pokazuje i XVI. poglavlje druge knjige »Molizanskih narodnih pjesama« u kojemu smo — uz dragocjenu pomoć prof. Giovannija Mavera i prijatelja Milka Matičetova, kojima i na ovom mjestu još jednom zahvaljujemo — sabrali sve slavensko-molizanske tekstove sakupljane i istraživane otprilike stotinu godina; [1] ukupni broj tih pjesama ne prelazi brojku 32, iako brojne varijante potvrđuju jaku tradicionalnu životnost poneke od njih.

 

Usporedimo li sad ovaj mali broj slavensko-molizanskih pjesama s obilnom žetvom albanskih narodnih pjesama, koje su bile sakupljene u susjednim albanskim naseobinama u istom Moliseu (a tom zgodom treba pogledati XV. poglavlje navedene već knjige »Molizanskih narodnih pjesama«) bit će nam jasno, da su dvije inojezične skupine, ona hrvatska'kao i ona albanska, doživjele različite procese, pri svome prilagođivanju novoj kulturnoj sredini, u kojoj im se bilo naći, poslije dolaska u Molise.

 

Iz dokumenata, koji su nam stajali na raspolaganju, čini se, da se može zaključiti (pogledajte opažanja i bilješke, koje se nalaze uz tekstove slavensko-molizanskih pjesama u našem već spomenutom radu), da su se hrvatske skupine u Moliseu u jednu ruku mnogo lakše predale utjecaju talijansko- fcnolizanske kulture od albanskih, a u drugu ruku da su s nekim elementima svoje izvorne kulturne baštine znali utjecati na okolna sela u Moliseu kao što re čini, da se desilo u slučaju svibanjske »pagliare« ili Zelenog Jurja. [2]

 

Konačan točan zaključak o načinu i prirodi ovih kulturnih razmjena, koje su se zbile između hrvatskih skupina naseljenih u Moliseu i tradicionalne talijansko-molizanske kulture, nije još moguć; trebalo bi proširiti proučavanje

 

 

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i na čitav kompleks folklorističkih činjenica dviju sredina; i neka mi bude ovdje dopušteno zaželjeti, da talijanski i jugoslavenski učenjaci to brižno pripremljeno istraživanje izvrše na licu mjesta u blizoj budućnosti.

 

Nego očekujući dublja istraživanja u tom pravcu, mislim da je korisno svratiti pozornost učenjaka na jednu posebnu pojavu, koja bi mogla biti veoma važna u proučavanju kulturnih odnosa između inojezičnih doseljenika i domorodačnog življa; radi se o pogrebnoj naricaljki, koja je u Moliseu potvrđena u tekstovima molizanskog narječja, te hrvatskog i albanskog jezika. Razlog ovoga mog saopćenja nalazi se u tome, što ja hoću da pred ovdje sakupljene učenjake podrastrem neke najvažnije potvrde kao i neka opažanja, koje će oni — slavisti i muzikolozi — moći prosuditi i odrediti mnogo bolje nego ja, koji nisam ni slavist ni muzikolog.

 

Tekstova slavensko-molizanskih, dosad sakupljenih naricaljki ima deset; broj nije malen, ako se uporedi s ukupnim brojem hrvatskih pjesama, sabranih u Moliseu. Ali veći dio ovih naricaljki sakupljen je prije god. 1911., a samo dvije od njih snimio sam na magnetofonsku vrpcu ja osobno god. 1954. Za razliku od dviju posljednjih (koje su dosta duge i razgovjetne zahvaljujući mehaničkoj pomoći, koja nam to jamči, kao i indiskretnom navaljivanju, kojim smo se poslužili radeći s kazivačicama), sve su ove potvrde veoma oskudne i s obzirom na sadržaj i s obzirom na izraz: više nego pravi i istinski tekstovi naricaljki, oni su samo zapisi obilnih i prividnih uzvika. Nailazimo tako na čitav jedan niz veoma uobičajenih modulacija: »Šta ću činiti bez tebe?«; »Gdje si me ostavio«; »Gdje ću te ponovo vidjeti?« i t. d. Nalazimo se na tako uobičajenoj razini, da nam sličnost između ovih modulacija kao i onih molizanskih, ne kazuje apsolutno ništa. Niti ima velike vrijednosti činjenica, što ovim hrvatskim tekstovima sabranim prije, nedostaje svaki »narativni« karakter: to jest nema u njima nikakva određena ni osobita odnosa između zgoda i života pokojnika i onih, koji ga oplakuju. Osobnih i narativnih elemenata ima zaista mnogo u molizanskim naricaljkama kao i u onim albanskim u Moliseu, kao što se to lijepo može vidjeti u tekstovima, koje smo objavili, ali ne može se reći, da njih stvarno nema u slavenskim molizanskim naricaljkama; njihova odsutnost u prije sakupljenim tekstovima proizlazi s gotovo apsolutnom sigurnošću od nepotpunih zapisa, a ti su elementi međutim prisutni u stanovitoj mjeri u dvama tekstovima, koji su potpunije snimljeni na vrpci.

 

Posvetimo dakle pažnju najprije ovim posljednjim, koji nam pružaju manje oštećenu građu. Prvi je nađen u mjestu Acqua vi va Collecroce (Kruč), te je neka vrsta pripovijetke-naricaljke; zapravo kazivačica Berenica Mirko, miješaše ponavljanje recitativa uobičajenih formula s prijevodom i njihovim tumačenjem na talijanskom jeziku, a prijeđe i više puta s ritmovane recitacije k pravom i istinskom naricanju, t. j. k melodijskom predavanju teksta. Prvi dio ove pripovijetke-naricaljke posvećen je mužu; drugi je — s prijelazom uobičajenim u ovakvoj vrsti zapisa — posvećen kćerci, i to je čuvstveniji i intimniji dio. Evo teksta naricaljke:

 

 

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1. Jo moj muže ke si umbra,

jo lipi moj mužu kako me tiaše dobro;

korko me činaše kliet,

ma ja pur činaho kliet tieb.

 

2. Jo Vidž moj di maš po,

teško me ke si osta četir dica, Vidž moj.

 

3. Marite mi, so rimaste co quattre figlie.

(Coma èia fà, m’éia avute fatià, p’uscìlu sole!)

 

4. Jo rikeca moja di si pola, šćer moj!

 

5. (Na figlia de dicidotte anne, na femmenazza e grossa.

E chiagne, e chiagne, a che vò chiagne chiù.)

 

6. Ovi hoća ćut kako sa te plakala;

sa te plakala z dolurem, mà,

ma sa, ma sa kako ću plakat ke mi ne bižu suze!

 

7. Figlia me’ t’éi’ chiagnute co lu dulore tant’anne;

mo se me mette a chiagne, mo me scappene le lacreme

e z’affigge lu ćore.

 

8. Rikeca me, kore de mamma,

si imala umbri nako velia žemtina

za guaje do čelijadi.

 

9. Sa neka plati Bog sekoliko, mà,

ke mati te grde hramit, šćer moja, šćer.

 

10. Neka te vamme Blaženica, mà

ke ja se oprala ruke kanno Pilato,

kore de mamma.

 

11. Ricchezza me’, core de mamma, figlia me’:

hai avute murì pe li guaie de li gente.

Na figlia de dicidotte anne.

 

12. (Mo non pozze chiagne chiù pèrche mo se no l’uocchie

se fanne funtane).

 

Kao što jasno proizlazi iz slušanja ovog snimka, prve su riječi (1. odlomak) izrečene u žurbi; pa potaknuta našim navaljivanjima Mirko »zabugari« riječi 2. odlomka, koje je odmah prevela na molizansko narječje (3. odlomak), pridodavši objašnjenje, koje smo metnuli u zagrade:

 

 

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»Mužu moj, ostala sam sa četvero djece. (Što da radim, morala sam se mučiti, da mi sine sunce!). Zatim na nova nagovaranja naših pomagača iz sela, Mirko stade ponovo recitirati rijeci 4—7 odlomka naprečac ih prevodeći i tumačeći na molizanskom narječju, 5. odlomak (»Kćerka od osamnaest godina, djevojka čvrsta. I plači, plači a šta ćeš više plakati«); 7. odlomak: »Kćerko moja, oplakivala sam te s bolom toliko godina; pa ako sad počnem naricati, poteći će mi suze i bit će mi oiađeno srce«. Odlomci od 8-10 odbugareni po melodičkom obrascu, zacijelo jako trošnom, a koji je upotrebljen u 2. odlomku, 11. i 12. odlomak, na molisanskom narječju glasi ovako: »Blago moje, srce, kćeri moja; morala si umrijeti zbog zadijevanja ljudi. Kćerka od osamnaest godina; (»Sad više ne mogu naricati, jer će mi inače oči postati česma«).

 

Lako je razabrati, kako su u ovoj naricaljki u jakoj mjeri nazočni oni intimni elementi, na koje smo upozorili: Barenica Mirko se ne prepušta općenim uzvicima, nego se drži čvrsto svoje osobne povijesti. Bilo bi također lako pokazati, kako postoji pojmovna homogenost između ove naricaljke i molizanskih tvorevina. Pa ipak, kako smo već opazili, radi se više o općenitoj i nedovoljno značajnoj analogiji.

 

Druga je naricaljka, snimljena navrpcu, nađena u mjestu San Felice (Stifilić), a kazivala ju je Peppina Manzo. Tekst je, što se tiče sadržaja, nepobitno podijeljen na dva dijela; evo prvoga:

 

1. Ja se činia dani sagatra

ke s abijala muža vani ni mi je doša doma.

 

2. A je poša vani je pa moj muž,

a lipo me je umbra, kumpanj moj.

 

3. A kumpanj moj je nada vodu mene,

a kak mami čini senca tebe, kumpanj moj.

 

4. A ja ću poći na nu kampanju, kumpanj moj,

ne ću te naći tebe, kumpanji moj.

 

5. A reci mi, moj kumpanji,

a di mam te počeka veći, kumpanj moj.

 

6. A ja ću te počekat zdola kampanara,

a maš mi činit na sinje na ni kampusanti, kumpanj moj;

 

7. a ti maš mi vrniti vi sinji, kumpanj moj,

a ti maš mi doći večeri doma; kumpanj moj.

 

I ovdje izbija na vidjelo po koja intimna značajka; osvrnite se na činjenicu, da je muž umro u polju (1. i 2. odlomak). Najkarakterističniji je pasus (odlomci od 5-7), u kojemu dolazi do izražaja melankolično idealiziranje rastanka s mrtvim: »A reci mi, moj kumpanji...«.

 

 

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Na ovakav način fantaziranja ne nailazi se u molizanskim naricaljkama, pa možemo reći, da je ovo pojava, po kojoj se najviše razlikuju hrvatske naricaljke Molisea od molizanskih naricaljki, na što smo već upozorili.

 

Ali najkarakterističnija značajka, što se tiče sadržaja, u naricaljki Peppine Manzo jest ta, što joj je drugi dio potpuna parodija. Narikača, koju smo neprekidno poticali, da nastavi s plačem, proslijedi naricanje kantilenom, kojom se dotad služila, ali je navlaš pretvori u parodiju. Evo kako je to tada izrazila:

 

8. A ka te mi poni muža na kampisant,

ke ja se pure lačna,

ke maju mi đoni koj kunsuol ke mam ist.

 

9. Sa ću vaze kruh tr ću ist

e ne ću stat sudjetta nikorumo.

 

10. Ma bi tila pur štokodri drugo

ka mam si friskat ovi kanarin.

 

11. Kumpanj moj, sa se te zgubila,

sa nimam nikora, sa [svragem di si] posa.

 

Ova pojava je veoma zanimljiva: očito se radi o jednoj improvizaciji kao što se uostalom može govoriti i u slučaju naricaljke Berenice Mirko, tamo gdje je ona, nastavivši da se obraća mrtvoj kćerci, umetnula i nas u svoje jadikovanje kao i našu želju da je čujemo naricati: »Ovi hoća ćut kako sa te plakala«. Nije ovdje mjesto da se raspravlja o problemu »improvizacije« u naricaljkama: bit će dovoljno, kaže li se, da i u Moliseu, u naricaljkama, koje su složene narječjem toga kraja, izbija na vidjelo niz stilskih motiva i sadržaja predajom fiksiranih, na kojemu se ponovo tka potka, koja se prilagođuje posebnom pogrebnom slučaju, a ritmička struktura molizanskih naricaljki, upravo je takva, da podnosi, ostajući u suštini ista, i proširenja i skraćivanja, koja dopuštaju i u isto vrijeme uzrokuju unošenje novih pojmova.

 

Poslije raspravljanja o sadržajima naricaljki dolazimo tako do problema njihova oblikovnog ustrojstva: da li je moguće utvrditi takvo ustrojstvo i u slavenskim molizanskim naricaljkama? Rešetaru, kad je objavio tekstove njemu poznate, iskrsnulo je ovo pitanje. U prvi mah on je ironizirao Ascolijevu diobu na stihove teksta, koji je on bio zapisao, i osporio, da bi se taj tekst mogao nazvati pjesmom, jer nije bio pjevan; ali poslije, kad je vidio Kovačićevu transkripciju naricaljki morade priznati postojanje stanovite metričke pravilnosti, i štoviše osvjedočiti se u postojanje formula i stalnih modulacija, koje se ponavljaju. Ukratko Rešetar je opazio, da je u tekstovima, koje je imao pred sobom bilo nekog ritma, neke opće pravilnosti, ali nije uspio da taj ritam i tu pravilnost svede na bilo koje stalno pravilo ili da ih smjesti u bilo koju od poznatih metričkih shema.

 

Nešto slično dogodilo se i s naricaljkama molizanskog narječja, koje smo ovdje sabrali: s formalnog i ustrojstvenog stajališta one predstavljaju nešto općenito,

 

 

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imaju neku svoju »pravilnost«, ali se ne mogu privesti ni jednoj od najuobičajenih i najpoznatijih metričkih shema. Ne može se govoriti u njihovu slučaju o stihovima (osmercima, jedanaestercima, i t. d.), ni o strofama (dvostisima, kiticama od četiri stiha, ili od šest stihova i t. d.), kao što se to može, kad je riječ o naricaljkama, koje pripadaju drugim krajevima; može se međutim govoriti — ako su ispravne analize, koje smo proveli — o jednoj postojanoj ritmičkoj strukturi, kojoj su bitne značajke poklapanje logičnog perioda s jednom melodijskom modulacijom, o jedinstvu logično-melodijskom u postojanom, ritmičkom slijedu, ali s nejednakim brojem slogova i članaka. Više od nekog opisa vrijedit će primjeri. U jednoj molizanskoj naricaljki iz Fossalta, koja nosi br. 517 u našoj zbirci, osnovna shema logičko-melodijskog jedinstva čini se da je popunjena riječima ovako:

 

E come vuglie fà senza de te, Pascale mine mamma.

 

Čini se da je moguće utvrditi neki ritmički obrazac, koji se dijeli na dva perioda, prekinuta cezurom; prvi, koji predstavlja laku unutarnju cezuru, ostaje otvoren na jako naglašenom slogu, dok se drugi rastvara u kadenci, koja ima pretposljednji slog naglašen; ritmički akcenti padaju uistinu na slogove, koje označujemo kurzivom i koje naglašavamo:

 

E còme vùglia fà / senzà de tè // Pascàle mine màmma.

 

Označimo li znakom duljine ritmički jake slogove, a znakom kratkoće one, na koje pada akcenat posebno odlučan, a damo li tim jednostavnim i dvostrukim kosinama zadatak da označuju cezure, slabe odnosno jake, dobivamo ovaj obrazac:

 

 

Zanimljivo je, da se opći obrazac ne mijenja, premda je broj slogova varijabilan i u prvom i u drugom periodu.

 

Na drugom mjestu naricaljke imamo:

 

E t’arecurde quandi iavam’a zappa / ne tutte e du, Pascale mine mamma,

 

u kojoj je drugi dio shematski ovakav:

 

 

Očita je osnovna istovjetnost obrasca, iako je broj slogova različit.

 

U drugim slučajevima međutim mijenja se drugi period, kao na ovom mjestu, koji glasi:

 

E come éia fá senza de tè, // marite mine bìlie mamma

 

u kojemu obrazac poslije cezure izgleda:

 

 

Ukratko, čini se, da ono što smo nazvali logično-melodijskim jedinstvom, dopušta, ostajući unatoč tome isto, da se mijenja broj slogova, od kojih se sastoji,

 

 

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dopuštajući tako i umetanje i prilagođivanje različitih i novih sadržaja u već tradicionalni obrazac.

 

Ali usklađivanje ritmičkog obrasca s raznim sadržajima čini se da se zbiva i na drugi način; osim što se može promijeniti broj slogova, od kojih se sastoji pojedini period, može se umnožiti i broj perioda. Tako u jednoj naricaljki iz Bagnola del Trigno (koja u našoj zbirci nosi br. 527) imamo ovaj početni odlomak:

 

E Eriminia di la ne(nna)

chiuda éia da fané ine, ne(nna),

senza de teni cori di la nenna

 

a tvori ovaj obrazac, koji se ponavlja kroz čitavo naricanje, iako mu se mijenja broj slogova:

 

 

Ali promjene nastaju i umnožavanjem broja članaka, od kojih se sastoji logičko-metričko jedinstvo, a osobito ponavljanjem B. Odlomak 5 stvarno glasi:

 

E Eriminia di la ne(nna)

e io vado fori la matina, ne(nna),

quandi ti alzi, coro di la ne(nna),

sia vò ine a la macchia a la cerva, ne(nna),

a mett’a magnane a l’animani, nenna seia

 

pružajući nam ovaj obrazac:

 

 

Čini se, da se nešto slično događa i u albanskim naricaljkama u Moliseu, u kojima je samo u jednom slučaju (vidi br. 599 naše zbirke) moguće otkriti strofu od četiri stiha sa srokovima. A kako stoji sa slavenskim molizanskim naricaljkama? Moramo odmah kazati, da nismo u stanju u tom pogledu donijeti neka konačna mišljenja. Najstariji se tekstovi ne mogu proučavati, jer nemamo njihovih magnetofonskih snimaka kao ni zapisa melodijske im modulacije, koji su tako potrebni pri analizi takve vrste. Dva teksta snimljena na vrpci dopuštaju neka opažanja, ali ih je odveć malo i odviše su trošni, da bi bili u potpunosti vjerodostojni. Pa ipak su dostatni da se upute neka pitanja i postave neki problemi.

 

 

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Prvi od njih, pripovijetka-naricaljka Berenice Mirko, kao što smo već rekli, predstavlja pojavu umetanja jednog potpuno novog sadržaja u tradicionalni obrazac: kao što to jasno proizlazi iz slušanja snimka kad narikača kaže: »Ovi oća ćut kako sa te plakala«, ona se pritom ne služi melodijom naricaljke, nego očito smješta novi sadržaj u ritmičku kadencu, koja je potpuno analogna onoj, u kojoj je smještala druge dijelove naricaljke. Treba još istaknuti, kako se odlomci 2, 8, 9 i 10 — jedini koje je naricala u tipičnoj melodijskoj kadenci — odvijaju analogno slijedu molizanskih naricaljki: dva članka iste kadence, ali drukčijeg broja slogova u 2. i 9. odlomku; pridodatak trećeg članka u 8. i 10. odlomku.

 

Druga nam naricaljka pruža neke jače značajke. Iako je melodijska modulacija ustvari jako oštećena, ipak se čini da je naricaljka jasno ustrojena prema jednoj stalnoj kadenci, koja ima po svoj prilici iste osobine, što se tiče ritmijske istovjetnosti i nejednakog broja slogova, koje imaju i molizanske naricaljke. Bilo je čak moguće raspoznati u ovoj naricaljki i onu logično-melodijsku jedinstvenost, koja se ističe u molizanskim naricaljkama; logično-melođijsku jedinstvenost, koja se stalno dijeli na dva perioda:

 

Je se činia dan i sagatra //

ke s abijala muža vani ni mi je doša doma...

 

I parodijska njezina strana pokazuje isti slijed; ali je značajno, da je baš u ovom dijelu najbjelodanije »improviziranom«, obrazac jednom nasilno izmijenjen, a jedinstvenost logično-melodijska se podijelila u tri perioda umjesto u dva, i to na način, barem prema onome koliko možemo prosuditi, koji je potpuno analogan razvoju u molizanskim naricaljkama:

 

A ka te mi poni muža na kampisant, //

ke ja se pure lačna, //

ke maju mi doni koj kunsuol ke mam ist.

 

Opažanja, koja smo iznijeli nisu ni u kojem pogledu konačna; poslužila su nam samo da postavimo nekoliko pitanja u vezi s mogućnošću jedne strukturalne i formalne analogije između molizanskih naricaljki i onih slavensko-molizanskih. Uglavnom, na čitavom području Molisea ne postoje naricaljke, koje bi imale metričko ustrojstvo poznatog tipa; stihove točne duljine, srokove ili asonance, organizirane strofe: jedini izuzetak u tom pogledu jest albanska strofa od četiri stiha, koju smo već spomenuli.

 

Sada, što se tiče Hrvata iz Molisea, da li je odsutnost određenih stihova i strofa njihova izvorna osobina ili je plod oštećena naslijeđa? Postoje li u kraju, iz kojeg su potekli, naricaljke, koje imaju ustrojstvo, koje bi se dalo usporediti ne samo i ne toliko s oštećenim slavensko-molizanskim primjerima, koliko s primjerima, koji su također oštećeni, ali još dosta dobro organizirani, molizanskih naricaljki? I da li analiza, koju smo pokušali na ovim posljednjim izvršiti, potvrđuje ili opovrgava naša upoređenja?

 

 

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To su bila pitanja, na koja snio htjeli upozoriti ovim našim saopćenjem; koje se dakle završava sa željom, da ih, potaknuti ovim prilogom, koji je prvi takve vrste, potpunije uoče i muzikolozi i slavisti, koji su zato pozvaniji.

 

(Preveo Olinko Delorko)

 

 

            BILJEŠKE

 

1. A. M. Cirese, Druga knjiga molizanskih narodnih pjesama (Volume secondo dei canti popolari del Molise), Rieti 1957, str. 191-261 (i u separatu: A. M. Cirese, Narodne pjesme slavensko-molizanskih naseobina (Canti popolari delle colonie slavo-molisane), koje su objavljene uz suradnju Giovanni Mavera i Milka Matičetova, Rieti, 1952.

 

2. A. M. Cirese, La »pagliara« del primo maggio nei paesi slavo-molisani (Prvomajska »pagliara« ali Zeleni Jurij v Slovanskih vaseh južne Italije), separat iz Slovenskog Etnografa, VIII., Ljubljana, 1955.

 

 


 

3. Il Congresso dei fokloristi jugoslavi a Varaždin, agosto 1957: fotografie

 

Varaždin

Congresso dei folkloristi jugoslavi 27 agosto - 2 settembre 1957

 


 

 

Al Congresso dei folkloristi jugoslavi

Varaždin, Croazia - 27 agosto-2 settembre 1957

 

FOTO IN ALTO

Da sinistra: Famiglia Cirese (Alberto, Liliana Serafini e suo figlio Italo Antonozzi)

Robert Wildhaber (Basilea), Milko Matičetov (Lubiana), Niko Kuret (Lubiana)

 

FOTO IN BASSO

Da sinistra: si riconoscono Jelka Ribarič (Zagabria), Maja Boškovič-Stulli (Zagabria), Alberto, Liliana, Milko, e al centro Italo

 


 

 

Festa agraria croata

Varaždin, agosto-settembre 1957

(il pensiero va a mamutones e issocadores di Sardegna)

 


 

4. Pianto per la morte del marito

registrato a San Felice del Molise il 20 luglio 1954

dalla voce di Peppina Manzo di 76 anni

<ascolto>

 

2. Ja se činia dani sagatra

ke s abijala muža vani ni mi je doša doma.

 

2. A je poša vani je pa moj muž,

a lipo me je umbra, kumpanj moj.

 

3. A kumpanj moj je nada vodu mene,

a kak mami čini senca tebe, kumpanj moj.

 

4. A ja ću poći na nu kampanju, kumpanj moj,

ne ću te naći tebe, kumpanji moj.

 

5. A reci mi, moj kumpanji,

a di mam te počeka veći, kumpanj moj.

 

6. A ja ću te počekat zdola kampanara,

a maš mi činit na sinje na ni kampusanti, kumpanj moj.

 

7. a ti maš mi vrniti vi sinji, kumpanj moj,

a ti maš mi doći večeri doma, kumpanj moj.

 

8. A ka te mi poni muža na kampisant,

ke ja se pure lačna,

ke maju mi doni koj kunsuol ke mam ist.

 

9. Sa ću vaze kruh tr ću ist

e ne ću stat sudjetta nikorumo.

 

10. Ma bi tila pur štokodri drugo

ka mam si friskat ovi kanarin.

 

11. Kumpanj moj, sa se te zgubila,

sa nimam nikora, sa [svragem di si] posa. 

 

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