Milovan Gavazzi e la "pagliara" slavo-molisana

 

Alberto M. Cirese

 

 

Stud. ethnol. Croat., Vol. 7/8, str. 47–52, Zagreb, 1995/1996.

 

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ALBERTO M. CIRESE

Università “La Sapienza”

Antropologia Culturale

Piazza Aldo Moro S, Roma, Italia

  

L'autore di questo contributo, Alberto M. Cirese, emerito professore di Roma (Università La Sapienza), ha scambiato lettere ed ha lavorato sullo stesso problema con M. Gavazzi studiando l'origine della pagliara slavomolisana (Cirese in Italia - Fossalto e tre colonie croate a Molise; Gavazzi in Croazia). Alla fine Cirese spiega e sottolinea che dall'opera scientifica di Gavazzi, e proprio dal suo articolo sulla pagliara, ha tratto una molteplice lezione - teorica e metodologica.

 

- Milovan Gavazzi i slavensko - moliška “pagliara”. Sažetak (Jelka Vince-Pallua)

 

Nel 1955 - dopo le ricerche condotte a Fossalto e nelle tre colonie slavo-molisane: Kruč o Acquaviva Collecroce, Mundimitar o Montemitro, e Stifilić o San Felice del Molise - pubblicai due scritti sulla “pagliara” di Maggio [1], e cioè sul giro cerimoniale del mascheramento conico di erbe (su cui gli spettatori gettavano acqua) che era ancora vivo a Fossalto, ma che era già attestato agli inizi del secolo nei paesi slavo-molisani dal fondamentale studio di Milan Rešetar [2], e restava ancora nella memoria degli informatori slavo-molisani più anziani. Per l'assenza del mascheramento conico di erbe nel resto d'Italia, e per la sua presenza invece al di là dell'Adriatico, mi pareva di poter avanzare l'ipotesi che la cerimonia fosse un portato dell'immigrazione slava nel Molise. A confronto, nel secondo dei due scritti comparvero anche (segnalatemi e procuratemi a Ljubljana dall' amico Milko Matičetov) una fotografia del cono di erbe del “Verde Giorgio” sloveno (“Zeleni Jurij”), e quella dalla Croazia (“Zeleni Juraj”), pubblicata già molti anni prima dal prof. Milovan Gavazzi [3]. Poco dopo, per sua richiesta di cui si fece tramite Milko Matičetov, inviai al prof. Gavazzi alcune fotografie relative alla “pagliara” di Fossalto, e ne ebbi in risposta seguente biglietto dattiloscritto:

 

 

1. La “pagliara maie maie” in “La Lapa”, a. III (1955), n. 1–2, pp. 55–56, La pagliara del primo maggio nei paesi slavo-molisani, in “Slovenski etnograf’, a. VIII (Ljubljana, 1955), pp. 207–224.

 

2. Die serbokroatischen Kolonien Süditaliens, Schriften der Balkankommission, Linguistische Abteilung, Wien, 1911.

 

3. Godina dana hrvatskih narodnih običaja, vol. 1, Zagreb, 1939, pp. 48–49.

 

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Zagreb, 27 novembre 1956.

 

Egregio Signore!

 

La ringrazio molto per il suo gentile invio di fotografie della “paglirara” nel Molise. Il nostro istituto (seminario di etnologia) prepara appunto un volumetto sul “Giorgio verde" ‘“zeleni Jurai”) in Croazia, dove si trovano anche delle maschere coniche somiglianti a quelle della “pagliara ". Per questo caso vorrei chiederLo anche un permesso formale per poter riprodurre almeno una di quelle fotografie. Vorrei anche domandare se esse potrebbero essere restituite dopo qualche mese finché il volumetto sia stato impresso. In ogni caso Lei riceverà un esemplare come omaggio per la sua gentilezza d'averci messo a disposizione questi eccellenti documenti.

 

La prego voler gradire i miei più deferenti saluti

prof. Milovan Gavazzi

 

Il “volumetto” cui il prof. Gavazzi accennava vide poi la luce nel 1957, redatto con importante ricchezza analitica e documentaria da Višnja Huzjak e chiuso da una attenta pagina dello stesso prof. Gavazzi [4]. Ricevutolo, come il prof. Gavazzi mi aveva promesso, ne curai un rediconto [5] che doverosamente gli inviai. Ne ebbi in risposta una cartolina manoscritta che diceva:

 

Zagreb, 3.IX. 1958.

 

Ch.mo Signore!

 

Molitissime grazie per l'invio dell'estratto del Suo gentile rendiconto sul nostro “Zeleni Jurai". Spero che potrò trovare un pò di tempo per scrivere un piccolo contributo sui problemi riguardanti le origini della “pagliara" presso gli Slavi molisani (forse per il “Ce fastu?").

 

La prego di voler gradire i miei più deferenti saluti.

 

M. Gavazzi

 

Fortunatamente per gli studi etnografici al di qua ed al di là dell'Adriatico, il prof. Gavazzi trovò il tempo, ed il “piccolo contributo” di cui parlava comparve col titolo Sull'origine della “pagliara” slavo-molisana [6]. Commentando le prospettive di studio ulteriori con cui avevo concluso il mio secondo lavoro del 1955, il prof. Gavazzi le condivideva così riformulandole (pp. 5-6):

 

            1. Quali sono realmente tutte le componenti delle usanze riguardanti il l. Maggio nella summenzionata provincia (il Molise), prendendo in esame tutte le sue varianti.

 

            2. Se qui si trova veramente una componente estranea (slava o croata) - e tutto fa presuporre che sia così - scoprire da quali regioni sia giunta qui.

 

 

4. V. Huzjak, Zeleni Juraj, Publikacije Etnološkoga seminara, n. 2, Zagreb, 1957.

 

5. In “Lares”, a. XXIII, 1957, fasc. 3–4, pp. 106–107.

 

6. Estratto da “Ce fastu”, XXXIII-XXXIV, 1957–58, n. 1–6, Tipografia Doretti, Udine, 1959.

 

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La prima indagine, osservava il prof. Gavazzi, era compito soprattutto degli studiosi italiani, ed egli perciò dedicava la sua attenzione alla seconda. Si tratta di poche pagine che però costituiscono una fruttuosa lezione di metodo, oltre che di competenza etnografica. Se la “pagliara” molisana era un portato degli slavi immigrati, occorreva ricercarne gli antecedenti nelle zone georafìche di partenza di quella immigrazione: la Dalmazia, secondo una tesi condivisa anche da Rešetar, o l'Istria, secondo la tesi proposta nel 1950 da Teodoro Badurina. Il prof. Gavazzi esamina la documentazione etnografica disponibile per le due possibili aree d'origine, ed in ambedue trova riscontri a singoli elementi della “pagliara” molisana, ma non al loro collegamento in un unico complesso. In Dalmazia (e in Istria) infatti è attestato il getto di acqua che nei periodi di siccità si faceva cerimonialmente su “un ragazzetto coronato tutto di verde (chiamato a Kotari prpac)", ma mancava il revestimento conico e il collegamento con il mese di Maggio; nell' area del “Verde Giorgio” - il territorio della Slovenia ...e della Croazia (o piuttosto del dialetto kajkavo) - c' è il mascheramento conico ma manca il getto dell' acqua, i testi cantati per le poporuše, dodole ecc. sono diversi da quelli in uso per la “pagliara” [7] che però troavano riscontri in strofette croate o slovene per il “Verde Giorgio”. La conclusione è che occorreva studiare ancora: si potrà dire qualche cosa di più sicuro sull'origine di queste cerimonie del 1. maggio e delle loro componenti, scrive il prof. Gavazzi, solo basandosi ... su una cauta indagine comparativa e su conclusioni tratte da tutti gli indizi che sono stati elencati in questo contributo, e più speccialmente dopo aver ottenuto una definitiva rappresentazione del tipo “pagliara” e dei suoi elementi in Italia come anche delle cerimonie affini al “Verde Giorgio" ecc. della Croazia e della Slovenia (p. 11).

 

Non saprei dire se il prof. Gavazzi o altri studiosi non italiani siano tornati ad occuparsi del tema della “pagliara” e affini; nessuno cumunque in Italia, per quanto ne so, e personalmente non ebbi più modo di occuparmene perchè l'insegnamento in Sardegna mi impose di studiare le tradizioni dell' isola che mi ospitava. Oggi, a quasi quaranta anni di distanza, mi è caro ricordare quel remoto episodio per portare un sia pur minimo contributo alle celebrazioni per il primo centennaio della nascita del prof. Gavazzi. Giacché l'episodio è certo poca cosa nel quadro della così vasta opera scientifica svolta dal prof. Gavazzi; ma non fu poca cosa nel quadro della mia formazione. Me ne giungeva, in sintonia con quanto mi veniva da altri studiosi della sua generazione e della sua levatura, una molteplica lezione: tanto più proficua perchè non fatta di anunciazioni amministrative e incorporata invece nel modo di praticare l'indagine.

 

C'era anzitutto la lezione del rigore critico e documentario, e la cautela comparativa, dichiarata e praticata. Nè il valore dell' insegnamento perde la sua forza per il fatto che quell' indagine si collocava in un quadro “diffusionistico”, che oggi troppo spesso è guardato con presuntuosa sufficienza. Intanto c'è il fatto che un abito scientifico rigoroso, una volta acquisito su un terreno, si applica anche quando si passi ad altri terreni. Inoltre - e lo si lasci dire a me che sono responsabile di tante indagini morfologiche e strutturali -

 

 

7. Rotas tenet opera arepo sator, Roma, 1950.

 

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il problema non è se essere diffusionisti o anti-diffusionisti, ma di decidere se lo studio delle correnti di cultura abbia ancora diritto di cittadiananza in campo etnologico o etnografico o come altro dir si voglia. Ora quel diritto c'è pienissimo, e solo totalitarismi o terrorismi ideologici potrebbero negarlo. Ne segue che, non il diffusionismo come teoria, ma lo studio storico-geografico dei processi di diffusione continua ad essere importante, ed importante resta l'opera di chi egregiamente lo praticò, come appunto il prof. Gavazzi.

 

Una seconda lezione (e ne ho già accennato) stava nel fatto che il breve saggio del prof. Gavazzi sulla “pagliara” slavo-molisana si concludeva dicendo che con i dati disponibili non era ancora possibile giungere a conclusioni. Lo spirito dell' indagine non era l'apologia di una tesi (o la proclamazione di una qualche “scoperta” più o meno infondata), ma la ricerca del certo come base indispensabile per tentare di cogliere il vero.

 

Una terza lezione, infine, che si lega alle altre e le corona: l'onestà intellettuale e l'atteggiamento oggettivo e spersonalizzante che considera e pratica la ricerca non a gloria del sè ma come contributo ad una costruzione comune. E dunque il dialogo con l'interlocutore (di cui si dà per scontato una analoga onestà d'intenti) che continua quell' aspetto in assoluto essenziale per ogni tipo di studio che intenda essere davvero tale, e cioè la cumulatività del sapere.

 

Queste le ragioni della mia sincera partecipazione agli onori che i colleghi di Zagreb hanno voluto giustamente dedicare all' alta opera scientifica del prof. Milovan Gavazzi.

 

Roma, Università “La Sapienza”, Settembre 1995

 

Alberto M. Cirese

 

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MILOVAN GAVAZZI I SLAVENSKO - MOLIŠKA “PAGLIARA”

 

Sažetak

 

G. 1955. autor ovoga priloga objavio je dva članka o ”pagliara” di Maggio, svečanome ophodu muškarca u stožastoj maski od zelenila i trave na kojega prisutni bacaju vodu. Taj je običaj autor zatekao u talijanskome mjestu Fossaltu (Molise) te u tri hrvatska sela u istoj pokrajini - u Kruču, Mundimitru i Štifiliću. Ne našavši “pagliaru” u drugim dijelovima Italije, Cirese u tim dvjema raspravama razvija hipotezu daje taj običaj slavenskim doseljenjem unesen u Italiju i da potječe s istočne strane Jadrana. Tako su se dva znanstvenika, Cirese, Talijan (upravo podrijetlom Moližan) i Gavazzi, Hrvat, našli u zajedničkoj temi pomažući si izvorima te međusobnim znanstvenim dopunjavanjem. Tako je i došlo do kratkog, ali plodonosnog dopisivanja (u ovome su prilogu otisnute dvije Gavazzijeve dopisnice Cireseu), u kojemu je vidljiv visok stupanj Gavazzijeva poznavanja i vladanja talijanskim jezikom.

 

Trebalo je, dakle, istražiti sve značajke običaja ophoda u Molisama 1. svibnja, što je bila zadaća talijanskih istraživača, dotično prof. Ciresea. Drugi je zadatak bio, a njime se trebao pozabaviti Gavazzi, usporediti i otkriti iz kojih je dijelova Hrvatske taj običaj mogao stići na drugu stranu Jadrana, u pokrajinu Molise. Gavazzi je u dostupnoj etnografskoj građi (o dodolama, prporušama, Zelenom Jurju itd.) mogao pronaći neke pojedinačne elemente slične moliškoj “pagliari”, ali nije bilo moguće pronaći paralelu i povezanost čitave kompleksne cjeline.

 

U ovome prilogu posebno se želi naglasiti da, premda je ova epizoda bila samo mali isječak iz širokog znanstvenog interesa prof. Gavazzija, ona nije bila mala stvar, kako on to sam ističe, u Cireseovu znanstvenome oblikovanju. Autor na Gavazzijevu raspravu o “pagliari” gleda ne samo kao na čisto etnološko istraživanje nego u njoj nalazi “plodno metodičko poučavanje”, izdvajajući tri pouke do kojih je ovdje došao. Prva, koju je odmah uočio, bio je Gavazzijev kritički i ozbiljan pristup građi i komparativna opreznost. Cirese se upravo u ovome kontekstu zalaže za pravo postojanj a difuzionističkoga istraživanja, dotično kulturno historijskoga istraživanja tokova rasprostranjenosti. Druga pouka koju je “izvukao” iz Gavazzijeve rasprave jest duh istraživanja koje nije obrana jedne teze bez pokrića, nego istraživanje sasvim izvjesnoga kao prijeko potrebnoga temelja na kojemu treba izgraditi istinu (il vero), naučavanje koje Cirese smatra još uvijek aktualnim. Treća pouka koja se nadovezuje na prve dvije i okrunjuje ih je intelektualno, znanstveno poštenje i objektivan, samozatajan stav prema istraživanju kojime se ne bavimo zbog vlastite slave, već zbog doprinosa zajedničkome ustroju, dijalogu i kumulativnosti znanja. U tome duhu Cirese završava svoj doprinos proslavi posvećenoj životu i djelu Milovana Gavazzija.

 

Sastavila: Jelka Vince-Pallua

 

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