L’antica Bussento oggi Policastro-Bussentino e la sua sede episcopale

 

Rocco Gaetani

 

 

Gli studi in Italia, Periodico didattico scientifico e letterario

Anno V. - Volume I. - Fasciolo III. - Marzo 1882, 366-385

 

Scans in .pdf format (1.9 Mb) from digitale.bnc.roma.sbn.it

 

 

- __I_

- __II_

 

 

 I.

 

Il Bussento antichissima città della Lucania celebre nei fasti cristiani, vanta due periodi di episcopato, il primo di cui teniamo discorso, ch’ è sconosciuto nella sua origine e fine, ed il secondo che vive vita novella ed incominciò con s. Pietro Salernitano, e della grandezza di quel primo s’incorona. (1) Il sito, la postura geografica, la topografia del Πυξοῦς dei Greci rispondente al Buxentum dei Latini fu oggetto di svariate opinioni e controversie, e finché questo punto resta conteso saranno inutili tutti gli studi che riguardano la sede Episcopale, e la quistione invece di sciogliersi sempre più si avvilupperebbe in guisa da non poterne mai ritrovare il bandolo; mentre rintracciata la topografia del Pixo sarà facile conchiudere esser quivi esistito fin dai primi secoli la cattedra Bussentina.

 

Che dunque si è pensato della topografia del Bussento? Son diverse le sentenze. Il Bizantino nel suo Libro delle città credette un Bussento nell’Enotria ed un altro nella Sicilia fondato da Mianto. (2)

 

 

367

 

Carlo Stefano nel suo Dizionario - storico - geografico - politico diè vita agli errori del Bizantino ed aggiunse di più essere il Bussento un paese nel seno di Posidonia, ed un paese nella Lucania ad Laum fluvium; (3) il Valatterano nei Commentari delle città lo stabili fra Squillace e Metaponto; (4) Balbo e con lui Frontino nell’ opera De coloniis l’assegnò fra i Brusii; ed a farla breve il Nicolao sostenne che il Bussento fosse Pisciotta, e lo storico Giuseppe Antonini volendo dar termine ad ogni quistione chiamò fuori una nuova opinione, ricercando il Bussento colà ove sono le rovine dell’ antica Molpe, città della Lucania. Ai primi, l’ abbaglio dei quali è troppo manifesto, non rispondiamo, agli ultimi due, al Nicolao cioè ed all’Antonini con rispettosa critica dimostreremo che il Bussento, senza altro, bisogna investigarlo nel nostro Policastro, che tuttora si distingue con l’aggiunto di Bussentino e che i vescovi policastrensi sono i legittimi successori dei vescovi bussentini.

 

In prima, per qual cagione il Nicolao ricercò in Pisciotta l’antico Bussento? (5) La ragione è nota per sè: perchè appartenendo Pisciotta alla sede di Capaccio-Vallo, la Chiesa Bussentina non sarebbe più quella dell’ odierno Policastro, bensì una sede distrutta ed annessa alla Caputaquense di cui il Nicolao era vescovo. (6) Ma si può in Pisciotta ricercare il Bussento? Non lo credo. Il viaggiatore di Amasia, che dall’Armenia descrisse insino ai confini della Tirrenia posti dirimpetto alla Sardegna e mosse dall’Eusino a quelli dell’ Etiopia, il geografo Strabone, l’ autorità del quale in tal genere di cose è superiore ad ogni altra, chiaramente determina il Bussento così:

 

Al di la del promontorio Palinuro trovasi una rocca, un porto, ed un fiume tutti e tre coll’istesso nome di Pixo. Fondatore ne fu Micito principe di Messina nella Sicilia, ma i coloni colà venuti con lui se ne : partirono poi di nuovo eccettuati pochi.

 

 

368

 

Μετὰ δε Παλίνουρον Πυξοῦς ἄκρα, καὶ λιμήν, καὶ ποταμός· ἔν γάρ τῶν τριῶν ὄνομαὤκκσε δέ Μικυθος, ὁ Μεσσήνης ἄρχων τῆς ἐν Σικελίᾳ, πάλιν δ᾿απῆραν οἰ ἰδρυθὲντες πλῆν ὀλίγων. (7)

 

Si ponga ben mente che il greco scrittore, qui nell’ assegnare i confini della Lucania marittima discende dall’occidente all’oriente; dalle foci del Silari vien giù a Posidonia, all’isola Leucosia, al golfo Posidonate, a Velia; ed all’oriente, appresso, al tergo, dietro (nel passaggio da un luogo ad un altro, questo significato ha la particella greca μετά, usata nel testo) dopo il promontorio, che dal timoniere di Enea

 

Aeternumque locus Palinuri nomen habebit,

 

egli, il geografo, ritrova il promontorio Pixo (μετά Παλίνουρον Πυξοῦς ἄκρα), il porto (καὶ λιμῆν), ed il fiume (καὶ ποταμός), tutti e tre luoghi omonimi (ἐν γάρ τῶν τριῶν ὄνομα); mentre Pisciotta trovasi situata all’occidente di Palinuro, parte opposta del Bussento assegnato tanto precisamente da Strabone, e trovasi in tali circostanze da non poterci in verun modo indicare il fiume, il promontorio ed il porto: e però troppo semplice si fu il Nicolao che si lasciò pigliare dall’ apparente analogia che sembra avere Pisciotta con Πυξοῦς o Buxentum, e da altri leggierissimi motivi, i quali, ancorché non esistesse questo decisivo passo, non hanno ragione di essere, nè reggono alla più bonaria critica. E dissi con studio essere apparente l’ analogia.

 

Ben è vero che Πυξοῦς e Buxentum sono una cosa, e la diversità delle lettere deve ripetersi dalla affinità delle due lingue ellenica e latina ; di tal che il π ed il β si scambiano, l’ υ vale u, l’ ξ vale cs, laonde senza giuocare di fantasia Πυκ risponde a Buc, e quindi Πυξοῦς a Buxentum. (8) Ma questo stesso ragionamento non va fatto di Pisciotta potendosi altrimenti discorrere, e più naturalmente di quel che discorre il Nicolao.

 

 

369

 

Perchè dedurre Pisciotta da πυξοῦς, bossi? Sol perchè havvi copia di bosso in alcune parti del Pisciottano. Chi non ne vede piuttosto la vera etimologia da Piscis? Ed è notevole come presso quei lidi sieno abbondantissimi i pesci, come tra gli altri lo notò anche Giuseppe M.a Alfano nella sua istorica descrizione del regno di Napoli. Si sa inoltre che presso quelle spiagge trovasi Ischia, Ischitiello. Dunque chiaramente si scorge che Pisciotta in origine si chiamasse Isciotta, ed il Π iniziale della parola Πυξοῦς non sia affatto lettera radicale. E lasciando più ampie investigazioni ai filologi, potrebbesi Isciotta far derivare da ιχθύς, piscis.

 

Finalmente il Nicolao ci oppone la lettera di s. Gregorio Magno scritta a Felice vescovo di Acropoli, e l’ autorità di non pochi valenti scrittori. Ma e la lettera, e l’autorità saranno buoni argomenti a sostenere la sua tesi? S. Gregorio Magno, egli dice, commise al vescovo di Acropoli di visitare la chiesa Velina, la Bussentina, e la Blandana perchè a lui vicine; ora Pisciotta e non Policastro è ad Acropoli più vicino; dunque in Pisciotta bisogna ravvisare l’ antico Bussento : anche l’ Olstenio, Filippo Ferrara, Leandro Alberti e molti altri eruditi son dell’istesso sentimento; dunque Pisciotta è il Bussento. Così il Nicolao. Rispondiamo, che in questo caso la vicinanza non si misura a metri, giacché s’ è vero che Pisciotta è più di Policastro vicino ad Acropoli, è verissimo altresì che la chiesa Blandana, dai dotti riconosciuta presso Maratea, è anche più di Policastro lontana da Acropoli. S. Gregorio poi raccomandava a Felice quelle tre chiese, non perchè vicine ad Acropoli, ma perchè erano in quei contorni, e ciò vale in vicino sunt constitutae. Non poteva la sola vicinanza essere l’unico motivo per cui il santo Pontefice commetteva a Felice la visita delle tre chiese,

 

 

370

 

sapendosi che il medesimo Pontefice altre volte mandò Barbato vescovo di Benevento a visitare la chiesa di Palermo, distante più di cinquanta e di cento miglia di quel che Policastro non fosse da Acropoli.

 

Tale risposta piglia maggiore valore se ponesi mente all’origine di Pisciotta, che non sorge sopra antichi ruderi, ma può dirsi di età assai recente come confessano gl’indigeni, che per avventura scrissero della loro terra natale. (9)

 

Noi poi siamo lieti di aver veduta e consultata per cortesia del chiarissimo commend. Scipione Volpicella la migliore storia della Lucania che serbasi nella Biblioteca Nazionale di Napoli; è dessa il celebre manoscritto dell’ Agostiniano p. Luca Mannelli, invano cercato dall’Antonini in Salerno, dove gli venne, non si sa se per frode od ignoranza, mostrata una copia quasi cancellata per acqua di calce versatavi sopra; e pure il valente uomo da due pagine, che sole potè leggicchiare, comprese l’importanza di quell’ opera. Or noi pei primi a piena risposta al Nicolao, riferiamo quel tanto che nel Mannelli si appartiene a Pisciotta, e può considerarsi come la sintesi di quanto si è detto.

 

«Al presente, (Pisciotta) è la miglior terra di questi contorni, mentovata da molti scrittori, e se fosse possibile, salva la verità, affermar di essa, quel che ne dissero alcuni, bisognerebbe conoscerla di grande antichità, tuttavia non dovendosi pigliare per erudizioni gli errori dei moderni, mi conosco in obbligo discernere con maggior diligenza, perchè non resti fra le tenebre della menzogna oscurato il vero. Leandro Alberti mal pratico di questi luoghi, avendo appreso dagli antichi che nel tratto littorale vicino a Palinuro una città famosa detta Pixuntum, lasciandosi ingannare dalla somiglianza della voce disse che questa fosse la medesima Pisciotta.

 

 

371

 

Da Leandro l’apprese P. Merula illustre istoriografo d’ Olanda, il quale ricordandosi che fu di gran fama presso gli antichi un promontorio del medesimo nome, quivi sei finse, scrivendo così volgarmente essere chiamato : Quod nunc vulgo «caput Pisciottanum» capo di Pisciotta: soggiunge che appresso sia Palinuro, alterius Palinurus, ed altrove persistendo nel medesimo pensiero fece menzione della terra, dicendo fosse l’antico Bussento:

 

succedit oppidum in littore nunc Pisciolta, quod Buxentum Plinio, (male Livio) lib. 8, Bουξεντον Ptolomeo, Πυξοῦς Graecis, ut Strabo notat.

 

Così per rinnovellare il nome di Pissunton e Bussento città che diede al suo promontorio il nome, bisognò si fingesse che una spiaggia marittima in promontorio si spingesse in mare. Abramo Ortelio non così francamente, ma con dubbiose parole di Bussento discorre, riferendo quel che ne lesse. Buxentum, colonia, Ptolomeo, Velleio, Livio auctoribus, Lucanorum, in Italia oppidum a graecis Pyxus vocatur, foresta Ligorius. Così questi grandi ingegni oltramontani, che per altro diligenti si scorgono, restarono ingannati da uno italiano, credendolo bene informato delle cose di questi paesi. Ma se avessero fatto un po’ di riflessione in considerare che Pisciotta è di qua di Palinuro e Bussento di là, avrebbero veduto chiaro l’abbaglio di Leandro.» (10)

 

Questo sarebbe suggello a disingannare ognuno, se l’Antonini, non avesse nella sua storia difeso che l’antico Bussento devesi ricercare ove fu la Malfa, Melfa, Melpi, Molopo o come dicesi la Molpa. L’erudito Barone di san Biagio scrisse da suo pari sulla regione Lucana, pure qualche volta esagera, non serba la fedeltà storica, e non riesce esente di difetti. Gli sian rese somme lodi, per aver durato tanta fatica a raccogliere nei suoi viaggi un prezioso tesoro di documenti, che, tolta l’opera sua, presto o tardi certamente sarebbero andati in gran parte dispersi;

 

 

372

 

nondimeno non gli si può mandare buono l’esagerato arbitrio, e il travolgere che fa talvolta i documenti, come nel caso che abbiamo alle mani.

 

Argomenta l’Antonini che la Molpa sia il Bussento da un frammento epigrafico in un cippo messo a strettoio delle uve, e situato quindi fuori il suo primitivo posto:

 

.... XENT. IN. REM

VRBIC. SILV.

IVG. LX. ADSIG.

DDI. S. K.

 

che interpetra:

 

Buxento. In. Rem. Urbicariam. Silvarum. Jugera. LX. Adsignata. Dextra. Decumanus. Primus. Sinistra. Cardo. (11)

 

Ma bisognava dimostrare che sia quello il posto primitivo del cippo e non altro; difatti potè esservi trasportato. Ritenuta poi la interpretazione, e concesso, come pare, che le lettere XENT. siano da supplirsi Buxento, osserviamo che il frammento porta due termini locali, il Bussento ed i sessanta jugeri; dunque il cippo era terminale perchè non era presso il Bussento, ma sessanta jugeri al di là; dunque il luogo dove fu trovato non era il sito del Bussento, ma un confine da esso ben sessanta jugeri lontano. Allega poi, ma forse ci sta a pigione, un frammento della Cronaca di san Mercurio:

 

Hic (parlando del Bussento) usque ad praesentem diem monstratur ruinosa aedes, ubi natus est imperator Severus Libius, et ejus acus fuit familiaris Herculii similiter imperatoris, qui Melpam ad habitaculum elegerat, postquam renuntiavit imperium. (12)

 

Ma il cronista, riferendo l’ hic al Bussento, par che distingua piuttosto due luoghi, dicendo che nell’uno (al Bussento) vedeansi i ruderi della casa in cui nacque l’imperatore Libio Severo, e nell’altro (alla Molpa) erasi ritirato l’ imperatore Massimiano. Ad ogni modo su questo brano ci è poco da far commenti.

 

 

373

 

Ma le ragioni più forti l’ Antonini le svolge nel discorso intitolato «Il Bussento» nel quale con ogni diligenza si studia contradirci e far risplendere la sua sentenza. (13) Gli lasciamo tatto ciò che non fa all’uopo, gli lasciamo i tanti famosi versi di Silio Italico, che qui sarebbero inutili, gli lasciamo tutta la magna eloquenza, e ci riduciamo a vagliare due argomenti, che sono la parte formale della sua lunghissima dissertazione. Ritornando un passo indietro, ricordiamoci il riferito brano di Strabone, che con la scorta di classici storici abbiamo sul luogo diligentemente studiato. Ascoltiamo dunque l’ Antonini il quale espone che

 

«il promontorio, il porto ed il fiume del medesimo nome debbonsi intendere, per a porto il seno della Molpa, pel promontorio quello di Palinuro e pel fiume quello che tuttora chiamasi Mengardo.»

 

Si falsa un testo di classico a fine di sostenere una privata opinione! Sia una volta e per sempre ripetuto: son due i promontori e non uno, sono distinti per forma, per postura, per nome; sono disgiunti e non uniti; sono là il promontorio di Palinuro e quello degl’Infreschi, secondo furono determinati dal Geografo: Παλίνουρον Πυξοῦς ἄκρα, καὶ λιμήν, καὶ ποταμός. Quindi anche il porto ed il fiume Pixo non sono dove li cerca l’Antonini, ma debbono altrove cercarsi, come fece il Romanelli, e come in quest’ultimi tempi ha fatto il chiarissimo Nicola Corcia:

 

«Se noi, dice il primo commentando il passo straboniano, faremo attenzione a tutta la curva di questo seno troveremo il promontorio ed il porto Pyxus a nel Capo degl’Infreschi, troveremo il fiume Pyxus o Buxentum nel fiume ancor detto Bussento, e finalmente Pyxus a città nell’odierno Policastro. Questi luoghi son disposti l’un dopo l’altro, ed in poca distanza fra loro come Strabone a l’aveva descritti. Il Cluverio convenne ancora pel promontorio, che disse Capo della Foresta, nome certamente a preso da carte straniere, o come vuole l’ Olstenio dalle carte nautiche degli Olandesi, mentre nelle carte nautiche o dell’Alangini, del Cartari e di altri il promontorio si appella Capo l’Anfresca(14)

 

 

374

 

Ed il secondo con più accuratezza determina la quistione conchiudendo che

 

«il promontorio Pissunto non può essere che l’odiorno Capo degl’ Infreschi e della Fenosa poco lontano e più sporgente della punta di Garigliano su tutta la costa, per lo più scoglioso e tagliato quasi a picco. Tra questa punta ed il detto promontorio si apre un sicurissimo seno detto Orecchia di Porco, ove i naviganti corrono a gara a ripararsi nelle burrasche, nè sembra più oltre andar ricercando il porto omonimo al promontorio ed al fiume.» (15)

 

L’Antonini però vorrebbe chiuder

 

«la bocca a coloro che ostinatamente vogliono che Policastro sia Bussento, soggiungere che se questo fosse stato, Alfano non avrebbe detto che restituiva il vescovado Bussentino, ma che restituiva l’antica sede vescovile.»

 

Ma che giuoco di parole è questo? Forse intendeva dire che l’arcivescovo di Salerno Alfano trasportava la sede della Molpa (che per l’Antonini è Bussento) in Policastro, e non giù che in Policastro ricostituiva l’ antica sede, esistitavi già una volta col nome di sede Bussentina. Ma basta leggere la lettera di Alfano, anzi la sola intitolazione, che è tutta a favor nostro, dalla quale senza alcun dubbio apparisce che l’ antica città di Bussento nella sua rinascenza si disse Policastro:

 

Alfanus Divina Providentia Sanctae Salernitanae sedis Archiepiscopus, omnibus fidelibus orthodoxis sacerdotali, clericalique ordini et plebi consistenti Buxentinae, quae modo paleocastren. dicitur, ecclesiae, per apostolicam institutionem nostro Archiepiscopatui subjectae, in Domino aeternam salutem.

 

E che non si tratti di traslazione di sede da un luogo in un altro, dalla Molpa a Policastro, ma di ricostituzione nel medesimo luogo,

 

 

374

 

si fa chiaro dalla stessa lettera di Alfano quando cum Civitate Buxentina, quae modo Paleocastrum dicitur, annovera i paesi che costituiscono i confini della Diocesi. (16) È imitile fare altri ragionamenti; la luce del sole non può esser tenebre; ed omettendo di addurre altre testimonianze di scrittori, come dell’ Arduino, del Malambra, dell’Olstenio, del Pellegrini, del Gatta, dell’Alfano, del Re, che unanimi attestano Policastro essere l’antico Bussento, raccogliamo piuttosto le superstiti memorie dell’antica Chiesa Bussentina.

 

 

 II.

 

Il tempo che traveste l’uomo e le sue cose, ma più la barbarie degli uomini di cui fu preda l’ infelice Italia con le sue città, quanti monumenti, quanta storia non ci fanno lamentare? Come cercare le origini della sede episcopale del Bussento, se più volte fu abbattuta, smantellata, distrutta a segno che poche città al par di lei sieno state soggette a tante compassionevoli disavventure? A suo danno che non operarono i Longobardi, i Saraceni, i Turchi ed altre efferate genti dedite a distruggere le celebri città lucane, e con la mina delle città anche i gloriosi fasti di quelle Chiese? (17) Avea ben donde Prudenzio nell’ inno ai santi Emeterio e Chelidonio, deplorandone la perdita degli atti, di addolorarsi di non potere tramandare ai tardi nipoti, l’ordine, il tempo, il modo del loro glorioso martirio. Così noi con non minor dolore nel compiangere il decadimento del Bussento, ci accoriamo di non poter filo per filo narrare i fasti della sua cattedra episcopale ! Quanto ci sarebbe caro conoscere la fondazione, il primo vescovo, i successori, le vicissitudini alle quali soggiacque ! Tuttavia è fortuna che in mezzo a tanto variare di uomini e di cose sappiamo che fosse esistita ; e della sua esistenza restali tuttora poche sparse memorie,

 

 

376

 

che parlano della sua grandezza ed antichità, e le raccogliamo come le sparse e lacerate membra di Absirte, per consegnarle non come l’ infelice Eeta alla sepoltura, ma piuttosto mostrarle ai nostri concittadini per ridestare in loro la memoria delle loro glorie; che sebbene dimenticate attraverso la barbarie degli uomini e la caligine dei secoli, pure palpitano ancora di aneliti che non sanno estinguersi, ma possono invece ridestare novella vita negli altrui petti. L’ Ughelli ch’ebbe tanta cura d’intessere la serie dei vescovi d’Italia, non potè (nè il potrebbe un uomo solo) di ogni Chiesa investigare accuratamente gli annali; ei poco seppe della nostra Bussentina, anzi tutto ignorò dell’antico Bussento, e credette incominciare la serie dei nostri vescovi da san Pietro Pappacarbone vissuto nella seconda metà del secolo XII. Ecco nondimeno due nomi della primitiva serie, anteriore al mille: Rustico sulla fine del V e sui principi del VI secolo, di cui sappiamo che nel 501 intervenne al Concilio Romano sotto papa s. Simmaco, sottoscrivendosi Rusticus Episcopus Buxentinus; e Sabbazio, che nella metà del secolo VII governava il Bussento, e nel 649 sedeva nel Concilio Lateranese sotto papa s. Martino I contro i Monoteliti, trovandosi sottoscritto: Sabbatius Episcopus Buxentinus subscripsi. Dunque nel secolo VII, ed anche prima, nel secolo V, esisteva la sede Bussentina. Se poi quel vescovo Agnello di cui fa menzione s. Gregorio (18) nella lettera scritta il 592 a Cipriano diacono e rettore del Patrimonio di s. Pietro in Sicilia, fosse vescovo del Bussento ovvero di Velia o Blanda, è incerto, nè si potrà decidere finché nuovi documenti non vengano ad accertarlo.

 

Dei tempi anteriori al V secolo nulla possiamo dire di particolare, solo potremmo investigare sulle generali notizie della storia dei Lucani e dei Bruzii tra il V e IV secolo;

 

 

377

 

ma nel tempo che decorse tra Rustico e Sabbazio ci è dato riconoscere le poche liete fasi della Chiesa Bussentina, poichè per buona sorte abbiamo il documento importantissimo della lettera di s. Gregorio Magno, la quale ci mostra la nostra Chiesa a somiglianza di altre finitime prive di pastori e desolata come da una tempestosa incursione barbarica. Il santo Pontefice scrive a Felice vescovo di Acropoli di visitare le vicine chiese di Velia, di Bussento, e di Blanda situate successivamente dopo Acropoli, di richiamarvi il disperso clero ed i fedeli, e di ristabilirvi il culto, e la regolare vita.

 

Quoniam Velina, Buxentina et Mandano Ecclesia, quae libi in vicino sunt constitutae, sacerdotali noscuntur vacare regimine (mancavano i loro rispettivi vescovi); propterea fraternitati tuae earum solemniter operam visitationis injunximus, illud prae omnibus commonentes, ut ubi praefaturum ecclesiarum sive doeceseos earum, vel diaconi, sive religiosae personae inventae fuerint, districte, canoniceque ut vivant, modis omnibus admonere studebis:

gli raccomanda di usare con moderazione delle sue facoltà, perchè in nessuna guisa potesse essere ripreso ed incolpato, di far perseverare i diaconi e le altre religiose persone nelle proprie costumanze ed esercizi,

ne passim eis in qualibel re sil excedendi licentia, sed tuo moderamine atque provisione inculpabiliter, in qua sunt conservatione vel habitu perseverent, sciturus quia si quid secus accesserit, tuo neglectui modis omnibus imputari:

gli concede la facoltà di ordinare presbiteri e diaconi coloro che ne fossero stimati degni,

presbyteros quoque vel diaconos, si in aliquibus ecclesiis praevideris ordinandos, si tales personae fuerint, quae canonicis regulis morum vel vita qualitate nullo modo reprobentur, habebis per omnia ordinandi licentiam:

ed infine assai caldamente gli raccomanda di ricercare le sacre suppellettili, necessarie alla celebrazione dei santi misteri, e rinvenutele, gliene dia tosto relazione per lettere, per vedere che dovesse farsi,

 

 

378

 

ministeria vero Ecclesiarum (i vasi sacri) ubi sint recondita sollicita indagatione perquire, quibus repertis ad nostram notionem perducere fest inalo, ut cognoscentes quid fiendum sit, adjutore Domino, disponamus. (19)

 

Dunque a tempo di san Gregorio era successa ima invasione barbarica sul littorale della Lucania, per modo che le chiese ne restarono abbandonate e deserte, il clero ed il popolo ne fuggirono e i sacri vasi furono occultati; lo che trova riscontro nell’altra lettera a Cipriano, di sopra citata, in cui s’allude a così fatte invasioni fatte nella Lucania, come pare, dai Longobardi, e precisamente da Zottone duca di Benevento per estendere i suoi domini nella Campania, nella Lucania, nella Calabria e nelle Puglie. Nè mancano altri riscontri di simili scorrerie su quei litterali a quel tempo, ed il medesimo s. Gregorio ricorda quelle fatte sui lidi campani nella sua lettera ad Adeodato abate del monastero di s. Sebastiano di Napoli, ove dice che i monaci del Falcidio di Pozzuoli, e quelli del Cratere di Napoli non erano sicuri per le incursioni che i barbari facevano su questa spiaggia. (20) Ordina però s. Gregorio ed Adeodato di raccogliere con sè nel suo monastero di s. Sebastiano i monaci Falcidesi e i Crateresi, soggiungendogli che quando i lidi fossero sgombri dal pericolo delle incursioni barbariche rimandasse di tratto in tratto nei rispettivi monasteri quei monaci a mantenervi il culto divino. Ricaviamo da ciò che nel V e VI secolo le chiese messe sul littorale del mar Tirreno, e quindi anche la Bussentina, venivano infestate dai barbari; nè questi erano solo i Longobardi, ma anche prima di essi quelli che muovevano dall’Africa, come i Vandali. Ed ora è a riflettere che ritrovando nel secolo VI notizie di Sabbazio vescovo Bussentino, dobbiamo conchiudere che la Chiesa Bussentina fu solamente per alcun tempo desolata, ma non distrutta. Dopo Sabbazio si riapre una maggior lacuna, e profondo silenzio e folta caligine copre gli annali della nostra Chiesa.

 

 

379

 

Conoscendosi intanto che il Bussento risorse per opera dei Normanni, ne deploriamo una distruzione tra il secolo VII ed il X per l’ ira dei Saraceni, di cui le nostre spiagge furono compassionevoli teatri. Si sa che quei barbari si avanzarono sino ad Ostia, che distrussero tra le altre le celebri chiese di Pozzuoli e di Miseno con tanta irreparabile rovina, che la seconda più non risorse, e la prima raccolse appena le sue monumentali reliquie in quella parte del territorio della città, che una volta ne fu semplicemente la cittadella; lo squallore si sparse pure sulla vecchia Cuma, la quale divenuta orribile covo saracinesco finì per non mai più risorgere. Gli stessi gemiti potremmo emettere sulle chiese littorali fra il Sele ed il Bussento, e la medesima scena è d’ uopo ci rappresentiamo nel Vili o nel IX o nel X secolo della Chiesa Bussentina. Aggiungiamo solamente che l’annalista salernitano parla di un tale Aliprando de Bussentio, il quale nell’823 fu sollevato all’Abbadia di Salerno; così pare che nella prima metà del secolo IX il Bussento non fosse del tutto desolato, dal vederlo dichiarato patria di questo nobile cenobita.

 

Alcuni patrii scrittori si credettero avventurosi di segnare nei fasti della Chiesa nostra una memoria ricavata dai dialoghi di s. Gregorio, ove il santo Pontefice racconta il miracolo accaduto a suoi tempi di un morto ritornato a vita per intercessione di un monaco, che ogni anno dal monte Argenterò, luogo di sua dimora, attraversando la regione Aurelia, per recarsi alla basilica del Principe degli Apostoli, si fermava ad ospitare presso un corto Quadragesimo suddiacono Ecclesiae Buxentinae, che nell’Aurelia guardava il suo gregge. (21) Confesso che ancor io mi compiacqui di vedere tra le scorse memorie della Chiesa mia questo fatto, e quasi mi doleva che non avessi avuto io per primo la ventura di riconoscerlo; ma invece mi dovetti disingannare,

 

 

380

 

quando invano ricercando nel territorio Bussentino la regione Aurelia, ritrovava nelle dotte note dell’ Holstenio al Cluverio, che il nome Buxentinae fosse per errore detto invece di Bulcentinae o Vulcentinae ch’ è l’ antica Vulceja città dell’Etruria, a cui s’appartiene l’intera narrazione, perchè ivi colla regione Aurelia è il monte Argentare. (22) La correzione fu riconosciuta dal Campanari nelle sue notizie di Vulceja e dal Gerhard negli Annali dell’ Istituto di Corrispondenza archeologica. (23)

 

Se questo fatto però non spetta al Bussento, evvi altro di maggiore importanza. Squarciando il velo che copre i suoi fasti dòpo l’episcopato di Sabbazio, a me pare un altro non lieve elemento, che forse per la storia Bussentina sarà principio di novelle ricerche, e queste di felici risultati, dappoichè l’archeogo non fa altrimenti che come l’agricoltore, il quale se è lieto quando raccoglie, non è meno laborioso quando semina, e spesso sparge il seme, affinchè non egli ma altri ne raccolga il frutto, giusta il detto di Tacito: serit arbores, quae futuro saeculo prosint. Questo elemento dunque di ricerche bussentine è tutto greco e nasce dal titolo di Odegitria dato alla Vergine patrona della Diocesi di Policastro, e dal culto della s. Sofia. Io non vo’ dire qui del grecismo delle nostre Calabrie, di cui sarebbe necessario raccogliere la copia dai tanti documenti, specialmente dagli antichi cenobii basiliani; solo ricordo come il titolo dell’Odegitria (ὁδοῦἡγητήρ, scorta del cammino) viene a noi dalle greche colonie di cenobiti e di monache, che nell’ epoca degl’iconoclasti trasmigrando nella Magna Gregia invocarono a guida dei loro passi la Madre di Dio. Queste colonie talvolta nei luoghi ove si fermavano, dedicavano alla Vergine Odegitria un altare od un tempio e la rappresentavano talvolta con fuga in Egitto.

 

 

381

 

Ricordiamo fra i vari esempî le ascetrie armene, che fuggite in Napoli col corpo di s. Gregorio l’Illuminatore fondarono il sacello, che racchiuso oggi nel cenobio di s. Liguoro si chiama volgarmente S. Maria dell’ Idria, così detta per Odegitria; ricordiamo ancora la Chiesa del Buon Cammino in Napoli, eretta ad onorare la fuga di Maria in Egitto: l’immagine dell’ Odegitria in fine usavasi apporre sul principio delle vie come guida dei viandanti, e tuttora la Vergine pellegrina vedesi dipinta in alto all’ingresso della grotta che da Napoli mena a Pozzuoli.

 

La seconda cosa degna di molto studio per gli agiografi è il culto della santa Sofia, sempre diffuso nei luoghi che ricordano immigrazioni di cattolici dalla Grecia; ma chi sia la s. Sofia, che ha un culto così esteso nelle chiese occidentali d’Italia, ed in modo particolare nei paesi che furono fino ai tardi tempi soggetti all’ impero Bizantino, si disputa tra gli storici. Certo non è la Sofia romana, madre delle vergini Fede, Speranza, o Carità; non è la Sofia martire di Fermo, o altre di simile nome, il culto delle quali non è universale, ma speciale di alcuni luoghi. Anzi si avverta che la Sofia celebrata da tutti è tradizionalmente legata a memorie greche, e quasi sempre così oscura, che nelle città dove si venera, suole celebrarsi con officiatura comune, o delle vergini o delle vedove o delle martiri. Credettero alcuni che la Sofia di provenienza greca altra non fosse se non quella medesima, a cui l’imperatore Giustiniano dedicò il celeberrimo tempio di Costantinopoli, che non è già una Santa, ma la Sapienza, o Cristo, Sapienza del Padre, Χρηστὸς ἡ τοῦ Πατρὸς Σοφία. Checchè sia delle varie opinioni sulla santa Sofia, nella Diocesi di Policastro, precipuamente in Poderia, in Roccagloriosa ed in Torraca è celebre il culto di una santa Sofia. Fattisi i nostri ad indagare chi Ella fosse, a niuno meglio potevano rivolgersi che al dottissimo ellenista ed agiografo,

 

 

382

 

il chiarissimo abate Basiliano di Grottaferrata D. Giuseppe Cozza Luzi, il quale soddisfece ampiamente alla richiesta dell’ illustre arciprete canonico Giovanni De Sanctis, facendo conoscere la memoria di una insigne s. Sofia greca, della quale benchè gli atti non esistano, pure il nome è celebratissimo, ed attesa la moltitudine dei prodigî nel restituire la sanità agl’ infermi fu distinta col nome di Sofia ιάτρια (curatrice), il perchè si disse dai greci Thaumaturga. (24)

 

A tutto ciò, poichè le grandi trasmigrazioni de’ Greci cattolici nelle nostre terre ebbero il maggior incremento nel secolo VIII, e da quel secolo appunto regnano sulle memorie del Bussento tenebre e silenzio, e le notizie cominciano talmente ad illanguidire che una densa caligine c’ impedisce d’ andare più oltre, avventurosamente potrebbe risplendere, qual raggio a chi volesse penetrar più in dentro, questo elemento di culto e d’agiografia greca, che ci fa con fermezza argomentare essere lo studio sui nostri cenobii greci un fonte di novello germe di storia patria. Sarà stato forse un Longobardo di alcun cenobio basiliano del Bussento quel Aliprando (longobarda è l’inflessione del nome) il quale nel secolo IX passava all’Abbadia di Salerno?

 

Non ardisco spingermi tropp’ oltre, lasciando ad altri, più di me valorosi e fortunati, d’intessere le memorie della Chiesa Bussentina; dirò solo che se esse sono scarse, non sono poche, anzi son molte dal momento che fino al secolo V se ne trovano cospicui frammenti, che ne potrebbero rivendicare l’ esistenza anche più innanzi e forse, come di tante altre città, ai primi secoli. Poiché innanzi all’epoca di s. Gregorio Magno vi ha memoria della Chiesa Bussentina, ed essa ebbe certamente fin dai primi secoli i suoi annali, i suoi fasti; quindi anche al Bussentino popolo possiamo ripetere con Tertulliano habes tuos census, habes tuos factos.

 

 

383

 

Non è mai a deplorare la scarsezza dei monumenti finchè giacciono inosservati tra ruderi informi, oppure obbliati in polverosi archivî, spesso trasmigrati ove meno arrivano le congetture; è a deplorare piuttosto l’ inerzia delle braccia, l’oziosità delle menti ed il nessuno anelito che per le memorie dei maggiori palpita nei petti dei neghittosi nipoti. Tutti vagheggiano il futuro, niuno esplora il passato; eppure norma del futuro fu sempre il passato, e niuna cosa più abbella il presente che il dichiararsi eredi di glorie che furono. Sarà sempre copiosa la messe da raccogliere nella storia e nella sacra archeologia, e quando tutti ne comprenderanno P importanza, quando ne saranno desti gli studi, quando dalle singole Chiese si leveranno altrettante braccia creatrici di un nuovo Ughelli.

 

Marzo 1882.

R. Gaetani.

 

 

            NOTE

 

(1) S. Pietro Salernitano mori ottuagenario ai 4 marzo 1122. Il giorno 7 ottobre dell’anno 1874 dopo grandi ricerche e stenti, dal p. Guglilemo Sanfelice, ora Arcivescovo di Napoli, ne fu scoperta la tomba. Il 25 aprile 1875 alcune di quelle venerate reliquie del Santo furono traslate nella sua cattedrale di Policastro. - Vedi Essai historique sur l’Abbaye de Cava par Paul Guillaume. - (Pag. 79, nota 4; pag. 8, nota 2 ; pag. 81, 82, nota 1.) - Vita di s. Pietro Salernitano pubblicata la prima volta dallo stesso Guillaume. (Da un Ms. Cavense, pag. 37, nota 3.) - Galante. Sulla Traslazione di alcune reliquidi s. Pietro Pappacarbone dall’ Abbadia di Cava a Policastro-Bussentino, (Nel periodico la Scienza e Fede, ann. 1879.)

 

(2) Πύξις πόλις ἐν μεσογεὶᾳ τῶν Οἰνώτριων, τό ἐθνικὸν, Πύζιος. — Πύξους πόλις Σικελίας κτίσμα Μιάνθου.

 

(3) Carolus Stephanus. Dictionarium historicum geographiam poeticum, v. Buxentum. - Il fiume Lao nasce alle falde del monte Mauro presso Viggianello e diede il nome all città omonima. (Corcia, Storia delle due Sicilie T. 3, pag. 67.). - Posidonia è Pesto; da Posidonia si ebbe il nome di golfo Posidoniate.

 

 

384

 

(4) Commentariorum Urbanorum Raphaelis Volaterrani, octo et triginta libri, pag. 70. «Deinde (post Veliam) promontorium Palinurus et Pyxuntes, qui etiam et portus et amnis est. Ex altera parte a Scyllaceo usque Metapontum Buxentum civitas.»

 

(5) Il Nicolao nel suo De Episcopo Visitatore fog. IV dice:

 

«Buxentum Romanorum Colonia, et Sedes Episcopalis; ejusque silus melius statuitur in loco, ubi nunc Pixuntum, vulgo Pisciotta, Dioecesis Caputaquensis, quam in eo tibi Sedes Policastrensis, cum evincit nominis analogia, cum litera Y apud Latinos mutatur in V, ut ex antiquis Geographis, qui Buxentum derivant a buxorum copia, quae ibi habetur, cui suffragantur recentiores. Tandem quia magis consonant cum epistola s. Pontificis (Gregorii Magni), dum Felici de Acropoli visitationem Buxentinae Sedis injungit, eam asseruit esse in vicino Acropolitanae. Policastrensem vero longuis distare, nulli erat dubium, ut ex concordi sensu abbatis a s. Paulo in laudatissimo Geographiae Sacrae opere, Lucae Holstenii loco adducto, Philippi Ferrarii v. Buxentum, Leandri Alberti in Ital. descript, pag. 198.»

 

(6) Giuseppe Volpi fu il primo che fece arrogare senza verun fondamento ai Vescovi di Capaccio il titolo di Bussentino. «Quanto al vescovo di Policastro dovuto per giustizia (dice Costantino Gatta Memorie Topografico-Storiche della Provincia di Lucnia pag. 34, 35 nota) tanto è improprio ed impertinente a quello di Capaccio.» Dopo la morte del Volpi, (autore della Cronologia de’ Vescovi di Capaccio) avvenuta ai 27 agosto 1741, fu eletto Vescovo di quella Sede Pietro Antonio Raimondi, che ben conoscendo l’uso improprio fatto da’ suoi antecessori del titolo di Episcopus Buxentinus, si scrisse: Petrus Antonius Ragmondi Episcopus Caputaquensis, Paestanus, Velinus, Acropolitanus.

 

(7) Strabone, lib. 6. - Volgarizamento di Francesco Ambrosoli, voi. 3, pag. 94. Collane degli antichi storici greci volgarizzati.

 

(8) Come si trova βατεῖν e πατεἷν, βικρόν e πικρόν, βυγή e πυγή, cosi Buxentum e Πυξοῦς, perchè le mute tenui si scambiano con le mute medie; nè ciò sembra strano se ci ricordiamo le leggi del Labialismo e del Dentalismo ove avviene lo scambio fra lettere di una stessa serie. (Cf. il Thesaurus Graecae Linguae ab Henrico Stephano constructus, lit. β pro π; l’ Epitomae Graecae Palaeographiae et de recta Graeci Sermonis Dissertatio di Gregorio Placentini; e l’ Insegnamento del greco in Italia, per Benedetto Bonazzi, pag. 67.)

 

(9) Pisciotta fu accresciuta da’ Molpesi nel 1474 quando la Molpa fu saccheggiata e distrutta da’ Corsari d’ Africa. Riferisce l’Antonini (voi. 1, pag. 330) che allora Pisciotta era un piccolo casale della Molpa stessa, e secondo si vede da una relazione fatta da Notar Giov. Antonio Ferrigno suo cittadino, avea pochissimi abitatori, e meno territorio, tutto essendo della Molpa.

 

 

385

 

(10) Dal Ms La Lucania sconosciuta del p. Luca Mannelli, vol. 2, pag. 130, cap. 9. Ineditor.

 

(11) Antonini, La Lucania di Polinuro e della Molpa. - Discorso 7, vol. 1, p. 370.

 

(12) Antonini, Vol. I, pag. 378. - Il detto frammento l’Autore dice aver avuto dal signor Agostino Carbone, (pag. 372.)

 

(13) Antonini, Discorso 9, pag. 393.

 

(14) Domenico Romanelli. Antica topografia istorica del regno di Napoli, pag. 371. - Qui troviamo la notizia d’una moneta che ha il tipo del bue da una parte e l’epigrafe Pyxoes, e dall’ altra il medesimo bue coll’ epigrafe retrograda Sirinos. Esisteva nel Museo del duca di Noja a Napoli, poi passò al Museo reale di Parigi.

 

(15) Corcia, Storia del Regno delle due Sicilie. Vol. II.

 

(16) Bulla il. Arch. Saler. anno 1079.

 

(17) Cf. Notizie di Policastro-Bussentino da noi pubblicato dalla Storia Lucana del Mannelli, pag. 27. - Vedi De Meo, Annali del regno di Napoli. Vol. 3, pag. 327.

 

(18) Lib. 4, ep. VI.

 

(19) Lib. 2, ep. XLIII.

 

(20) I monaci Falcidesi abitavano l’ antico pretorio di Falcidio, ove era la basilica di s. Stefano o di s. Procolo detta pure al Trivio, di cui tuttora si vedono i ruderi all’ estremo della via Campana. I Crateresi poi avevano il loro cenobio ove oggi è la Villa di Napoli, il quale negli ultimi tempi si disse di s. Leonardo a Chiaja; ora à interamente distrutto.

 

(21) Dial. l. 3, c. 17.

 

(22) Hujus deitatis nomen apud s. Gregorium pessime corruptum est, ubi Quadragesimus Buxentinae Ecclesiae subdiaconus pro Bulcentinae aut Vulcentinae legitur. - Holstenio, nelle note al Cluverio, pag. 78.

 

(23) Annali dell’ Instituto di Corrispondenza Archeologica. Anno 1829. vol. 2, pag. 201.

 

(24) Cf. l’ Officia recitanda in civit. et dioec. Polycastrensi. Die XV Maji. In festo s. Sofiae. Monitum ad futuram rei memoriam. - È tuttora in Torraca un luogo che chiamasi s. Sofia, ove la Santa in un tempietto a lei inalzato veniva onorata con speciale culto. Mi piace ricordare, come ho attinto delle scarsissime carte del nostro Archivio, che ai 30 luglio 1050 in occasione di un morbo contagioso che crudelmente mieteva vittime, i pii Torrachesi fecero pubblico voto alla Beata Vergine de’Cortici, a s. Rocco ed a s. Sofia di pagare annualmente sei ducati col poso di trenta Messe piane.

 

[Back to Index]