La migrazione degli slavi in Italia nella storiografia Jugoslava  [*]

 

Ferdo Gestrin

 

 

(Quaderni storici, Vol. 14, No. 40 (1), 1979, pp. 7-30)

 

 

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Abstract

 

The Author has been frequenting from a lot of years the archives of the Western Adriatic Coast. He explains the process of a big migration flow direction East-West connected besides the «flight» of South Slavs owing to the presence of the Turkish peoples in the Balkans, also to the research of best life conditions in Italy. The article examines the problem of XlVth and XVIIIth centuries, at the light, above all, of the Jugoslav historiography.

 

 

            1. Il movimento della popolazione nell'area europea, nei secoli, ha avuto le più diverse forme ed intensità. Nel suo ambito un posto particolare è occupato dagli spostamenti di popolazione tra le due sponde dell'Adriatico, dato che essi si protraggono per diversi secoli ed hanno non poche conseguenze.

 

La corrente migratoria slava, proveniente dai territori dell'Adriatico orientale (non solo dalle regioni costiere, ma anche da una vasta area dell'entroterra), già uniti da stretti vincoli all'opposta sponda italiana, si indirizza verso le città e le campagne italiane. Tale processo si protrae dal basso Medioevo sino al XVIII secolo ed anche agli inizi del XIX. Nello stesso periodo si ha pure l'afflusso di popolazione italiana nelle città della costa orientale ed anche nell'interno. Con il termine «migrazioni» intendiamo riferirci a tutte le forme di passaggio della popolazione da una sponda all’altra ed allo stanziamento, temporaneo o stabile, nel nuovo ambiente. Qui interessano solo le migrazioni slave in Italia, anche se la presentazione degli spostamenti della popolazione italiana nello spazio adriatico non sarebbe certo meno interessante.

 

In questo lungo periodo le migrazioni slave si svolgono, in genere, senza scosse rilevanti. Di solito si tratta di emigrazioni di singoli o di piccoli gruppi, ma vi sono periodi e situazioni nei quali gruppi maggiori prendono la via dell'Italia, spostando migliaia di Slavi.

 

Lo studio delle migrazioni slave in Italia e dei problemi connessi è presente, nella storiografia jugoslava, già dalla metà del XIX secolo.

 

 

*. Questo articolo corrisponde quasi interamente al testo della relazione introduttiva al «VII Convegno degli Storici Italiani e Jugoslavi», tenutosi a Ljubljana nel maggio 1978. Tra i contributi specifici sul tema qui affrontato da F. Gestrin, vanno ricordati quelli di S. Anseimi, M. Spremić, M. Šunjić, Bandino G. Zenobi, C. Verducci, M. P. Niccoli, che usciranno su riviste italiane e jugoslave. Il testo di F. Gestrin, ora pubblicato, è stato tradotto da Daniela Milotti.

 

 

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Gli dà origine la «scoperta» di tre colonie slave nel Molise, da parte dello scrittore raguseo Orsatto Pozza (Medo Pucić) che ne scrive all'inizio degli anni Cinquanta [1], ma gli storici ed i geografi italiani conoscono resistenza di questi centri già dal XVIII secolo [2]. La notizia suscita un vasto interesse e da allora in poi gli studiosi jugoslavi prendono ad occuparsi della questione, anche se non la trattano sistematicamente ed in tutta la sua complessità. La storiografia jugoslava sulle migrazioni slave in Italia può essere divisa in tre periodi. Nel primo, che va fino alla prima guerra mondiale, troviamo al centro dell'interesse e dello studio le suddette colonie nel Molise, benché vengano esaminati anche stanziamenti più antichi. Per lo studio di queste colonie molisane gli storici si valgono in gran parte delle ricerche da essi stessi compiute in Italia e seguono gli sviluppi della problematica legata allo studio delle migrazioni attraverso la letteratura storica italiana ed in particolare nelle opere dello storico russo V. Makušev [3], che aveva raccolto molto materiale negli archivi italiani.

 

Il primo a studiare a fondo la questione è R. Kovačic [4], che riassume i risultati delle ricerche compiute fino ad allora (1884). Dopo di lui dobbiamo soprattutto ricordare J. Smodlaka, J. Gelcich (Gelčic) e M. Rešetar [5], le cui opere sono le migliori del periodo, perché espongono estesamente quanto si sa sulle migrazioni slave in Italia e descrivono da molteplici punti di vista le colonie del Molise. Anche se i risultati di questi studi sono ancora in gran parte scientificamente validi, non si può fare a meno di osservare che in essi si manifesta tutto l'entusiasmo nazionale romantico e vi sono espressi gli attriti serbocroati circa l'origine degli emigrati e le loro aspirazioni nazionali. Cosi, ad esempio, J. Smodlaka scrive:

 

«Sorge il problema se vale la pena di impegnarsi acciò che essi (gli Slavi del Molise) conservino la propria lingua. Molti diranno che, siccome vivono in Italia, si assimilino agli Italiani; quanto prima, tanto meglio. Io considero la questione sotto un altro punto di vista. In quel luogo risiedono cinquemila nostri fratelli, cinquemila buoni ed onesti conterranei. Se perdono la propria lingua, per noi sarà come se fossero morti; proprio perché gli auguriamo la vita e non la morte, credo che debbano essere sostenuti nel momento in cui si risolvono a diventare un elemento vivo del popolo di cui, anche se abbandonati e dimenticati, hanno conservato la fede per quindici generazioni» [6].

 

Per contro M. Rešetar formula un giudizio più spassionato:

 

 

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«[...] i nostri coloni sono in primo luogo Italiani, che amano la propria nuova patria [...]. Nessuno, da parte nostra, deve attentare a questo loro sentimento nazionale italiano, ed anche se ciò fosse possibile — ma credo che non lo sia in nessun modo — sarebbe una grave colpa se qualcuno cercasse di allontanarli dal loro sentire italiano» [7].

 

Va sottolineato anche lo studio di questo problema da parte degli storici sloveni. Oltre ad esaminare la colonizzazione degli Sloveni e la stabilizzazione del confine etnico italo-slove- no, essi svolgono, parallelamente, ricerche dettagliate sugli stanziamenti dei contadini-coloni che nel Friuli fondano una settantina di villaggi sloveni [8].

 

La seconda fase abbraccia non solo l'epoca tra le due guerre, ma procede oltre e la sua tematica si intreccia in parte con quella del terzo periodo. In questa fase le ricerche sulle migrazioni e sulle loro tracce, compiute direttamente in Italia, passano in secondo piano, a causa, tra l’altro, anche della situazione politica. Lo studio perciò si basa soprattutto sui materiali degli archivi jugoslavi, gli unici, allora accessibili. A ciò si deve la «limitatezza» dei problemi sollevati e l'aumentato interesse per la storia delle città costiere e dei loro dintorni, e più in particolare per le migrazioni in queste città, dovute a cause economiche e, più tardi, specialmente al «pericolo turco». Il secondo problema al quale gli storiografi prestano un'attenzione particolare, a parte la bibliografia già esistente sulla questione della schiavitù nelle terre jugoslave [9], è quello della vendita di schiavi, attraverso le città costiere, ai mercanti italiani e della sorte dei ceti più poveri che «vanno a servizio» in Italia. G. Čremošnik [10] e più tardi M. Dinić [11] richiamano l'attenzione su questo argomento, pubblicando materiale d'archivio. Diversi sono gli autori che scrivono su questi due aspetti delle migrazioni [12], e tra gli altri anche il miglior conoscitore di questo problema per il Mediterraneo, lo storico belga Ch. Verlinden [13], che usa principalmente le fonti pubblicate dal Čremošnik e dal Dinić. Tra gli autori italiani va ricordato il Teja, al quale si rifà pure il Verlinden. Gli studi, a causa del carattere delle fonti, risultano abbastanza unilaterali e per tale motivo anche il problema delle migrazioni viene trattato solo parzialmente. In un certo senso si pone troppo l’accento sulla «misera sorte» della popolazione slava che, a causa della schiavitù e della servitù, si trova a dipendere e ad appartenere a padroni italiani.

 

Nel terzo periodo, che risale ad appena due decenni fa, la base della storiografia jugoslava per lo studio delle migrazioni si amplia di molto [14].

 

 

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Il cambiamento dei rapporti, anche politici, porta ad una maggiore apertura dei confini e ad una più franca coesistenza tra le due repubbliche adriatiche, crea i presupposti per un lavoro nuovo e più approfondito. Da una parte gli studiosi jugoslavi possono nuovamente usufruire dei materiali degli archivi italiani, che sono la fonte principale da cui si può trarre un quadro della vita degli Slavi emigrati in Italia, dall'altra allargano sensibilmente il campo delle proprie ricerche. Gli storici non si interessano più alle migrazioni come fenomeni isolati, ma le concepiscono come uno degli aspetti dei legami storici secolari che uniscono le terre italiane e slave delle opposte sponde. Di qui lo studio delle relazioni economiche, commerciali e marittime, degli avvenimenti politici, dei rapporti e dei contrasti nell’Adriatico, delle influenze culturali reciproche, senza il quale le secolari migrazioni degli Slavi in Italia non potrebbero essere né comprese né valutate esattamente. Di qui anche un più grande interesse per problemi quali il modo in cui gli Slavi giunti in Italia si creano le basi materiali per resistenza nei luoghi in cui si fermano; come e perché si inseriscono nel nuovo ambiente e si adattano al nuovo modo di vivere; cosa danno a questa società e cosa rappresentano per essa; perché in alcune località si mantengono tanto a lungo e conservano addirittura la propria indipendenza linguistica in una minuscola isola etnica; perché si riuniscono in comunità, creano forme più o meno chiuse di vita quotidiana e religiosa; ed infine il modo in cui scompaiono e si assimilano alla massa della popolazione italiana. D’altro canto anche gli storici italiani che si occupano di storia adriatica iniziano lo studio di questi temi.

 

 

            2. Come abbiamo già detto le migrazioni di Slavi in Italia iniziano nel basso Medio evo e continuano per secoli. Grazie ad esse giunge in Italia un elevato numero di Slavi che si stabiliscono sia nelle città che nelle campagne. Naturalmente questa corrente migratoria non ha sempre la stessa intensità, né lo stesso corso, né provoca le stesse conseguenze. Tutto il periodo può venir diviso in quattro epoche, che presentano ognuna caratteri particolari, nonostante che, per altri versi, siano molto simili.

 

Nel primo periodo, fino al XII secolo, gli Slavi si stabiliscono nell'Italia meridionale, in Calabria ed in Sicilia (a Palermo, nel X secolo, si parla di una «Porta Sclavorum») e nel Friuli. I primi immigrati arriverebbero nel sud della penisola, sulle coste del Gargano, già nel 642, quando, secondo Paolo Diacono, colonizzano i dintorni di Siponto [15].

 

 

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La loro successiva presenza sarebbe da collegare agli avvenimenti politici e bellici nell'Italia meridionale: dal periodo franco e specialmente dalle guerre tra Bizantini, Arabi e Normanni in poi. Senza scendere in particolari e siccome esistono in proposito molti punti ancora oscuri, vorrei porre in rilievo quanto segue: gli Slavi affluiscono in Italia in qualità di soldati al seguito degli eserciti, sia bizantini che arabi (e dalla Sicilia passano quindi anche nella Spagna araba), e poi normanni. È certo comunque che gli Slavi approdano in Italia anche come coloni, sebbene non sia dato sapere da chi parte quest'iniziativa, né chi li conduce. Resta il fatto che i Normanni portano seco nell'Italia meridionale, verso la fine dell'XI secolo, molta gente di Dalmazia e che si nominano gli Slavi nei dintorni di Bari proprio nell'XI secolo. Dal X in poi, gli Slavi colonizzano vasti territori della costa sia settentrionale che meridionale del Gargano. In base a tre documenti del monastero di Santa Maria nelle Tremiti, possiamo concludere che questi coloni sono abbastanza numerosi ed hanno propri centri (Siponto, Devia sul Monte d'Elio) e capi (gli župani), citati nei documenti e possiedono terre di cui fanno dono al monastero suddetto [16].

 

Lo stanziamento di contadini sloveni nel Friuli si deve invece allo zelo colonizzatore dei patriarchi di Aquileja dopo le incursioni degli Ungheresi. I patriarchi hanno grandi possedimenti in terra slovena (sono pure i capi religiosi di gran parte di tali regioni) e per risollevare le sorti delle province devastate lungo la «strada ungarica» (strata Hungarorum) popolano il Friuli di coloni sloveni. In base a un gran numero di documenti e di toponimi si può affermare che fino al XII secolo sorgono, in mezzo all'elemento romano, circa settanta villaggi sloveni, concentrati in particolare lungo la linea Gradisca-Palmanova, nel territorio tra Palmanova, Udine e Codroipo, quindi lungo la linea che da Belgrado, lungo il Tagliamento, va fino a Codroipo, ad est di Udine e nella Carnia. Questi villaggi hanno nomi sloveni oppure vengono chiamati secondo gli abitanti di origine slovena: ad esempio, Gorizzo, Goricizza, Lonca, Gradisca, Belgrado, Sella Sclabonica, Schiavonesco, Sclavons, Sanctus Vitus de Sclabonibus, Pasian de Schivonesco, ecc. Naturalmente, essendo inseriti nel contesto romano, questi paesi non uniti tra loro, non possono mantenersi a lungo con i loro caratteri. E così, nel XV secolo, quando si rafforza l’influenza di Venezia su queste regioni, vengono romanizzati e della loro origine testimoniano ora solo i toponimi, conservati nella forma originaria dalla popolazione friulana-romana [17].

 

 

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Nel secondo periodo delle migrazioni, cioè dal XIII al XIV secolo, mutano radicalmente i motivi che spingono gli Slavi in Italia, anche se continuano ad arrivare in Italia i soliti coloni e soldati. Le intense relazioni commerciali e marittime, che si intrecciano in quest'epoca tra le due sponde adriatiche, aprono nuove possibilità sia agli stanziamenti periodici, che a quelli stabili in Italia. Sono di questo periodo — dalla fine del XII e dall'inizio del XIII secolo in poi — anche i numerosi accordi commerciali tra le due coste, nei quali Ragusa ha sempre un posto di primo piano [18]. Se aggiungiamo ancora che le regioni italiane più sviluppate necessitano di una sempre più numerosa forza lavoro, sia nelle città che nelle campagne, abbiamo già indicato gli stimoli principali, cioè i motivi economici, delle migrazioni. Diversi commercianti, marittimi ed anche artigiani, che sono gli strati sociali più mobili ed adattabili, mettono radici nelle città italiane, acquistano lo status di abitanti e perfino quello di cittadini, come avviene anche per gli Italiani che si stabiliscono nelle città della costa orientale [19]. Gli strati più poveri della popolazione saturano le richieste di manodopera e svolgono i lavori occasionali o le funzioni militari nelle città. Molti tra essi (provenienti dalle zone più lontane dell'entroterra: Bosnia e Serbia), affluiscono dapprima nelle città della sponda orientale dell’Adriatico, da Trieste a Dulcigno (Ulcinj) [20], e solo più tardi si avventurano di là dal mare, spinti di frequente dalla povertà e dalla fame oppure da necessità momentanee. Nel 1378 i Ragusei decidono di trasportare nelle Puglie parte di questi sbandati («qui poterunt ire in Apuliam»), mentre altri vengono cacciati. Una decisione simile viene presa anche nel 1384, quando 130 persone vengono portate in Italia e altre sono rinchiuse in prigione [21].

 

Così si può forse spiegare la nascita delle colonie di Slavi in Italia, che già nel 1333 hanno una propria chiesa, quella di San Vito, in Terra d’Otranto, e la chiesa di San Nicolò degli Schiavoni, a Vasto, demolita nel 1638. Nel 1375 gli Slavi hanno anche una propria confraternita a Recanati [22]. A Fano risultano Slavi già nella prima metà del XIV secolo, e la loro presenza è testimoniata dai nomi dei membri della confraternita di San Michele, nel 1429 [23]. A Palermo invece si hanno notizie degli Slavi già dal 1270 [24].

 

In questo periodo molti coloni sono attratti dalla campagna e alcuni abitati slavi compaiono negli Abruzzi sin dal XIII secolo [25]. Nel 1313 esiste presso Otranto il villaggio di Sanctus Vitus de Sclabonibus, che solo nel 1863 prende il nome di San Vito dei Normanni [26].

 

 

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Di solito sono la fame e le ristrettezze che spingono queste popolazioni in territorio italiano; dalla fine del XIV secolo si aggiunge la paura dei Turchi. Per ora, però, non possiamo dire nulla di più preciso sulle dimensioni reali di questa influenza [27].

 

Questo periodo è caratterizzato anche da due altre forme di migrazione: da una parte la vendita di schiavi, dall'altra la fornitura di servi. Il motivo di esse va cercato in primo luogo, come confermano le fonti, nella mancanza di manodopera [28]. Gli schiavi destinati all'Italia vengono venduti in molte città della Dalmazia, da Ragusa a Zara: un importante mercato di schiavi è alla foce della Narenta. Gli schiavi provengono sia dalle città che dall'entroterra e una gran parte di essi è costituita da «patarini» della Bosnia. Schiavi si nasce o si diventa: molte persone infatti vengono vendute per i motivi più disparati, altre si vendono spontaneamente, altre ancora vengono catturate dai mercanti di schiavi e dai loro agenti. Il commercio degli schiavi inizia a decrescere nella prima metà del XIV secolo e diversi provvedimenti della fine del XIV e dell’inizio del XV secolo contribuiscono a limitarlo. La manodopera destinata all’Italia è ora composta da servi e non più da schiavi. Nonostante la maggior parte degli schiavi e dei servi sia composta da donne, il numero degli uomini è in costante aumento. Il ruolo di mediatori resta però affidato ai mercanti. La servitù stipula contratti per periodi più o meno lunghi, certe volte «usque ad mortem», per compensi relativamente bassi, e per i padroni questa manodopera è più conveniente dell'acquisto di schiavi.

 

Basandosi su dati concreti, specialmente di Ragusa, è possibile affermare che migliaia e migliaia di Slavi si trasferiscono in Italia, da Venezia [29] all'Italia meridionale, alla Sicilia [30], aree che si differenziano, sotto questo aspetto, dalle altre regioni italiane.

 

Ma le migrazioni connesse alla vendita di schiavi non cessano. Testimoniano di ciò le parole del doge Mocenigo, secondo il quale i Veneziani, nel XV sec. vendettero annualmente, ed ai soli mercanti di Milano, schiavi per 30.000 ducati, il che vuol dire almeno 1.000 persone. Le guerre con i Turchi sono una nuova fonte per questo commercio; l'Islam non ha ancora abolito la schiavitù (conservata sino alla fine del XIX secolo): essa esiste, dunque, anche nelle regioni ora jugoslave, allora sotto il dominio ottomano [31]. Specialmente i prigionieri delle guerre turche, combattute nei territori balcanici cadono in schiavitù e molti finiscono in Italia [32].

 

 

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Prigionieri turchi di origine slava, e destinati alla vicina penisola, vengono venduti anche nelle regioni slovene, dove servono come manodopera ai feudatari, che in seguito li rivendono. Così ad esempio il conte Jurij Sigmund Paradajser (Giorgio Sigismondo) vende nel 1674, per 690 fiorini, 6 prigionieri, ma sui mercati italiani, di solito, ne vengono inviati gruppi più numerosi. Nel 1684 il governatore della Camiola scrive una lettera d'accompagnamento (passbrief) per 21 prigionieri di guerra turchi spediti da Fiume a Napoli [33]. Nell'Italia meridionale si hanno notizie di schiavi provenienti dalle regioni balcaniche ancora nel XVII secolo. Solo più tardi la schiavitù scompare dall'Italia, sebbene se ne possano riscontrare tracce ancora all'inizio del XIX secolo [34].

 

Nel terzo periodo, dal XV al XVII secolo, le migrazioni di Slavi in Italia raggiungono il culmine. Oltre alle antiche cause, sempre presenti (legami economici, povertà, fame, ecc.), acquistano grande importanza diverse motivazioni politiche, prima fra tutte l'avanzata dei Turchi e la loro conquista dei Balcani, già alla fine del XIV secolo. Ma anche altri avvenimenti politici svolgono un ruolo importante, quali l’insediamento del potere veneto in Dalmazia (che dopo il 1420 determina l'aumento dell’emigrazione dalle città dalmate [35]), la rivolta di Grbalj del 1448-1452, le ricorrenti guerre tra Veneziani e Turchi. E non vanno dimenticati i massicci spostamenti di popolazione entro il territorio dell'attuale Jugoslavia (i cosiddetti movimenti metanastasici) che accelerano la già secolare emigrazione in Italia. Ad eccezione di avvenimenti straordinari, le fonti slave non registrano questo intenso processo. Del gran numero di persone in fuga di fronte all’avanzata dei Turchi e del trasporto di queste moltitudini di là dal mare, si possiedono poche ma impressionanti notizie.

 

Qualche esempio. Dopo la rivolta di Grbalj (1452) la gente fugge in massa nelle Puglie a bordo di navi ragusee e di Budua [36]. Nel 1453-1454 la fame spinge la popolazione della Bosnia a cercare una possibile occupazione a Ragusa, costringendo la Repubblica a varare leggi speciali a difesa dei propri abitanti [37]. Negli anni 1454-1455 i Ragusei trasportano a proprie spese nell'Italia meridionale la popolazione che fugge dai possedimenti dello herceg Štefan Vukčić-Kosača [38]. Masse di fuggiaschi affluiscono anche a Spalato (e sicuramente in altri porti), che, nel solo 4 luglio 1454, paga due navi per trasportare in Puglia e nelle Marche rispettivamente 100 e 76 bosniaci poveri [39]. Altri dati confermano che nell'anno suddetto un gran numero di Slavi prende la ria dell'Italia da Spalato.

 

 

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Nel settembre 1454 le autorità comunali pagano al padrone di una nave tre staia di fave che egli ha fatto distribuire ai bosniaci trasportati nelle Puglie [40]. La gente fugge, sempre per via mare, anche a Venezia e nel territorio della repubblica veneta. Una fonte del gennaio 1455 ricorda le numerose donne e i bambini, provenienti dalle regioni balcaniche, che dormono sotto il colonnato del Palazzo Ducale e della chiesa di San Marco [41].

 

 

            3. La massiccia migrazione slava in Italia non cessa neppure in seguito. Dopo il crollo della Bosnia (1463) e durante la guerra tra Venezia e i Turchi nella Morea, che produce due decenni di forte pressione turca in Dalmazia, le genti in fuga riaffluiscono nelle città della costa. Le autorità ragusee decidono nuovamente di trasportarle a proprie spese nelle Puglie, nelle Marche e in territorio veneziano, costringendo anche i capitani ragusei, che navigano alla volta dell’Italia, ad imbarcare emigranti [42]. La massa degli Slavi in fuga è tale, che tutte le località costiere cercano di impedirne l’afflusso sul proprio territorio. Così ad esempio, nel 1493, il principe di Spalato proibisce ai proprietari di navi (per fermare l'arrivo di sbandati) di trasportare la gente in Italia, ma poco dopo l'ordine viene revocato e le cose riprendono l'antico corso [43]. Migrazioni così massicce si registrano ancora nel XVI secolo. Ad esempio, numerosi abitanti si trasferiscono, dal territorio di Zara, nelle Marche ed in Puglia sia nel 1525 che nel 1541 [44].

 

In questo periodo le migrazioni interessano un vasto territorio: non solo la Dalmazia continentale, il litorale raguseo e montenegrino, ma anche le isole, ed in misura maggiore la Bosnia e il Montenegro, le regioni croate, con l'Istria, e le terre slovene. Meno numerosi sono invece i fuggiaschi dalla Serbia e dalle altre province ortodosse. La via per l'Italia non passa solo per le città dalmate, ma anche per le terre slovene e per l'interno, verso il Friuli (Udine). Alla fine del XIV secolo incontriamo a Trieste, Capodistria e Pirano abitanti provenienti dal territorio di Zagabria e dalla Slavonia (Krapina, Požega, Srem) e, attorno al 1400, persone di questi luoghi compaiono a Venezia, nelle Marche e nel Friuli veneto. Attraverso queste città vanno in Italia anche genti delle regioni slovene: Lubiana, Cilli (Celje), Ptuj, ecc. Nel nuovo ambiente vengono indicati con l'appellativo di teutonicus, teotonico, tedesco; se ne conoscono i nomi [45]. Il fatto che in questo periodo la struttura dell’antica popolazione medievale della Dalmazia cambia quasi compietamente è senz’altro da collegare all'emigrazione in Italia degli antichi abitanti [46].

 

 

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Gli spostamenti interni invece determinano lo spopolamento di estese zone della Bosnia e della Croazia, che vengono quindi ricolonizzate da genti nuove, anche di fede ortodossa.

 

Gli Slavi si stabiliscono, più o meno densamente, in tutte le regioni della costa adriatica, in parte del regno di Napoli, a Roma [47]: di norma nelle città, ma anche nei paesi; di essi possiamo contarne un centinaio, solo nelle Marche [48]. In alcune località fondano nuovi villaggi, oppure ripopolano antichi abitati, come accade nel Molise, dove nasce una colonia slava abbastanza unita. Il numero di questi coloni raggiunge, almeno per un breve periodo, valori apprezzabili. Dai dati raccolti possiamo dedurre che a Fano, nella seconda metà del XV secolo, circa il 15% della popolazione è slava. Le fonti offrono un quadro simile anche per Pesaro nella prima metà del Cinquecento. Per quanto riguarda la provincia esistono dati quantitativi, indicanti la presenza di molti immigrati [49] e qua e là compaiono toponimi slavi. A Polverigi, ad esempio, ve ne sono tanti che nel 1522 una zona del contado è indicata come «contrada dieta da Pago» [50]. Allo stesso modo possiamo parlare di una più vasta colonizzazione slava nelle campagne e nei luoghi in cui, in veste di pastori spirituali, compaiono sacerdoti slavi, numerosi pure nelle città e nei monasteri.

 

Già nel 1453 Jurij (Giorgio), figlio di Ivan (Giovanni) da Zara, è cappellano della chiesa di Santa Maria a Sansepolcro [51]. Nel 1478 il vescovo di Ancona fonda per i numerosi fedeli slavi una parrocchia «slava», appoggiandola alla chiesa di San Germano [52].

 

Nel 1502, a Fano Jakob (Giacomo) da Ragusa è sacerdote; a Jesi (1540) lo è Ivan (Giovanni) Galić da Pago [53]. Anche a Roma, specialmente presso la chiesa di San Gerolamo, officiano sacerdoti slavi, come, ad esempio (1532), Alessandro Segotta da Arbe [54]. Nel 1540 a Montacuto, nei pressi di Ancona, ove risiedono molti slavi, c'è il sacerdote Jakob (Giacomo) Skorpić da Pago [55]. È possibile che in questo centro i sacerdoti slavi vengano impiegati spesso, dato che, nel 1544, anche il cappellano della chiesa locale è un certo Anton (Antonio), figlio di Tomaž (Tommaso) da Sebenico [56]. A Poicarino presso Ariano, in provincia di Avellino, la comunità del paese si pronuncia contro la nomina, nel 1584, di un sacerdote e pretende che venga inviato un pastore di origine slava o dalmata, com'è in uso già da tempo. E si sa anche che nel 1549 è parroco del villaggio fra Marco da Dragonitiis (Draganić), sicuramente slavo [57].

 

 

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            4. I commercianti delle coste orientali hanno proprie basi in diverse città italiane; in certe località, come ad Ancona, Pesaro, ecc. creano vere e proprie colonie di importanza e peso economico variabili [58]. Ancora più numerosi gli artigiani, tra i quali risultano anche orafi e tessitori. Gran parte degli Slavi che si stabilisce nelle città portuali opera sul settore marittimo; vi sono «paroni» che navigano per conto dei mercanti italiani o si dedicano al piccolo cabotaggio [59], marinai ed anche capitani [60]. Anche gli equipaggi delle navi da guerra e dei mercantili veneziani (come delle galee fiamminghe) sono in gran parte composti da marinai slavi [61]. Frequenti anche i calafati ed i falegnami [62]. Singoli emigrati lavorano alla costruzione di porti, come «magister Michael Paschalis de Ragusia, architector», per il quale nel 1512, trasportano materiale da costruzione alcuni «paroni» dalmati [63]. Gli Slavi, interessati alle attività marittime, lasciano legati testamentari per la costruzione dei porti; un esempio è dato da Nikolaj Luka (Nicola Luca), figlio di Andrea Istriano, che lascia 3 bolognini per la costruzione di quello di Pesaro [64]. Molto più numerosi sono i lavoratori portuali, specialmente i facchini.

 

I marittimi e le altre persone legate alla marineria provenienti dalle attuali regioni jugoslave si inseriscono in vari modi nell'attività dei porti italiani. Nelle città vengono anche impiegati nell'amministrazione [65] e si dedicano a lavori occasionali: pescatori, garzoni, serve, corrieri, conduttori di bestiame, carrettieri, facchini, prostitute, ecc.; o hanno funzioni militari. A Fano per esempio, solo negli anni 1434-1455, prestano servizio circa 350 soldati di origine slava, provenienti dai luoghi più disparati [66]. Soldati slavi però si trovano sicuramente anche in molti altri centri [67].

 

Non vanno dimenticati gli studenti, che giungono abbastanza numerosi nelle varie università italiane (Bologna, Padova, Fermo, ecc.) e che in parte rimangono poi in Italia. Su questo argomento, però, si sa ancora poco [68]. Durante la Controriforma sorgono particolari collegi per gli studenti slavi. Nel 1552 opera a Roma il «Collegium Germanicum-Hungarorum» e c'è anche un «Collegium Graecum» per gli unitariani, presso il quale compie gli studi anche il gesuita Jurij (Giorgio) Križanić. Il canonico zagabrese Szondy fonda a Bologna nel 1552/1553 il «Collegium Ungaro-Illyricum»; un’istituzione simile opera per un breve periodo anche a Pavia. A Loreto invece viene fondato nel 1580 il Collegio degli Schiavoni («Collegium Illyricum») attivo sino al 1782, considerato la miglior scuola per sacerdoti slavi, frequentata anche da Bartolomej Kašić.

 

 

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Presso l'università di Fermo, che sotto questo profilo possiamo forse ritenere una specie di «università adriatica», almeno per un certo periodo, viene costituito per gli studenti slavi («natio dalmatina») il «Collegio Illirico ed Albanese», approvato anche dalla Romana sacra congregazione di propaganda fide [69].

 

Parecchi Slavi acquisiscono lo stato di abitanti o cittadini, si assicurano un'esistenza agiata ed anche ingenti patrimoni, sia nelle città che in provincia, ma in genere non raggiungono i vertici delle società cittadine. Si adattano rapidamente al nuovo ambiente (relazioni economiche, matrimoni, collaborazione nella vita pubblica e religiosa) e naturalmente si amalgamano con esso. D'altro canto nelle località in cui sono più numerosi e dove il loro afflusso si mantiene costante per lungo tempo, gli Slavi conservano il proprio modo di vivere, creano comunità, riconosciute anche dalle autorità locali, mantengono stretti rapporti reciproci, ottenendo vari privilegi [70]. Allo stesso modo creano proprie istituzioni religiose e culturali. Fondano confraternite e congregazioni, costruiscono chiese o cappelle ed ottengono altari nelle chiese cittadine dove fanno celebrare messe ed altre cerimonie religiose. Cercano di farsi seppellire insieme in uno stesso comparto dei cimiteri e vogliono propri sacerdoti ove più consistente è la loro presenza.

 

Ad Ancona nel 1439, c'è un'«Universitas Sclavorum», che è citata ancora nel XVI secolo [71]. A Roma c'è una «Communitas Sclavorum», probabilmente sorta prima del 1451, quando si accenna anche alla «Societas confallonorum Sclavorum» nella contrada di San Pietro («burgo sancti Petri») ove gli Slavi vivono attorno a Castel Sant’Angelo [72]. Nello stesso periodo troviamo «Universitates Sclavorum» a Giovinazzo ed a Trani.

 

Il re di Napoli, Ferrante, concede nel 1468 alcuni privilegi alla comunità di Trani [73], ove operano ed abitano molti Slavi. Questi, assieme a Greci e Albanesi ottengono nel 1488, il diritto ad avere due dei quindici consiglieri [74].

 

Le confraternite e le congregazioni, riconosciute dalle autorità locali, sono certamente tra le più importanti forme di unione religiosa degli Slavi residenti nelle città italiane. Una di esse compare a Recanati nel 1375 e si mantiene sino alla fine del XVI secolo. I membri di questa, intitolata a San Pietro («Fraternitas Sclavorum Sancti Petri Martiris»), vengono esonerati nel 1452 dall'obbligo di sottomettersi all'«officio di manigoldi» [75]. A Venezia esiste la confraternita denominata «Scuola dalmata dei Santi Giorgio e Trifune» da prima del 1431.

 

 

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Essa è ancora in vita nel 1528, quando porta a termine la costruzione della chiesa in Calle dei Furiani [76]. Ad Udine c'è dall'inizio del XV secolo la confraternita di San Gerolamo, che si mantiene sino al XVIII secolo. Questa vita così lunga e lo statuto, presente sin dal 1452, testimoniano l’importanza della colonia slava nella città [77]. Anche a Roma una confraternita slava esiste prima della metà del XV secolo («Societas confallonorum Sclavorum»), alla quale i membri che la compongono lasciano diversi legati. Dal 1478 al 1520 opera anche la confraternita intitolata al Santo Spirito [78]. Queste istituzioni compaiono a Fano nella seconda metà del XV secolo, anche se, dato il grande numero di Slavi, forse esistono anche prima. La confraternita, dedicata a San Nicola e a Santa Lucia, è legata alla chiesa e al monastero di Sant’Agostino. Decade dopo il 1506 e si unisce a quello di Santo Spirito [79]. Dal 1490 in poi c'è una confraternita slava anche a Pesaro. Ha un patrimonio considerevole e la troviamo citata anche nel 1656 [80]. Una «Fraternitas Sancti Hieronymi Illyricorum terre Lanciani» compare a Lanciano, dove, in un censimento del 1488, troviamo 64 Slavi e Albanesi [81]. Sede della confraternita slava di Fermo è la chiesa della Fraternità, ora detta del Carmine [82]. Le istituzioni indicate non sono certamente le sole ad accomunare gli Slavi, che troviamo inseriti anche in altre confraternite delle città, come quella fanese di San Michele, già dalla fine del XIV secolo.

 

In varie località compaiono molto presto chiese e cappelle costruite da Slavi o indicate con l'appellativo «de Sclabonibus» (Otranto, Vasto). E in questo periodo ne troviamo anche a Brindisi, Bari, Loreto, Assisi, Bologna, Padova e Venezia [83]. Prima del 1480 esiste a Pesaro una «Capella de li Schiavoni», posita «in ecclesia cathedrali civitatis», dove c’è anche la sede della confraternita suddetta.

 

Gli Slavi seppelliscono i propri morti presso la cappella o nel cimitero della cattedrale e molti danno esplicite disposizioni testamentarie in merito [84].

 

La campagna attira gran parte degli Slavi immigrati in Italia, ed anche quelli stabilitisi nelle città si occupano, almeno in parte, di agricoltura. Ciò è comprensibile se si pensa che la maggior parte di essi proviene proprio dalla campagna ed è esperta solo nei lavori agricoli. Si indirizzano perciò verso i luoghi della provincia dove, per svariate ragioni, scarseggia la manodopera, dove il numero degli abitanti è fortemente diminuito e nelle zone abbandonate, dove si aprono nuove possibilità alla colonizzazione, attraverso il diboscamento ed i lavori di bonifica.

 

 

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Naturalmente solo in casi molto rari si stabiliscono tutti insieme su territori più vasti; quello del Molise è forse l'unico esempio di questo tipo. In genere si fermano in un luogo o singolarmente o in piccoli gruppi, a seconda della situazione e perciò risultano sparsi in villaggi delle più diverse regioni italiane, anche molto all'interno [85].

 

Non si sa se gli Slavi portano con sè qualche ricchezza o qualche mezzo di sostentamento; è certo comunque che molti giungono in Italia senza nient'altro che la forza delle braccia e la speranza di giorni migliori. Di sicuro non sono molti i casi in cui riescono ad ottenere subito buoni terreni. In genere non sono che manodopera impiegata nei modi più disparati dai padroni italiani: sono braccianti, servi, pastori (di bovini, maiali, pecore, capre); allevano animali in forma di soccida; diboscano terreni e li rendono fertili; prendono in affitto (come coloni e per un certo numero di anni) piccoli appezzamenti di terra ed anche veri e propri poderi [86]. Con l’andar del tempo molti Slavi migliorano la propria condizione e diventano proprietari di greggi, che danno a loro volta in soccida anche a conterranei appena arrivati o meno fortunati [87]. Acquisiscono proprietà dividendo le nuove aree fertili con i possidenti italiani, acquistandone altre con denaro risparmiato, grazie anche ad eredità o doti, diventando talvolta padroni di vasti possedimenti. Si creano così i presupposti per un inserimento diretto nell'ambiente locale.

 

Il processo di assimilazione degli Slavi inizia molto presto, se non nella prima, già nella seconda generazione con i matrimoni misti. Va rilevato però che in certe località questo processo è lento, tanto che incontriamo gente «slava» anche dopo diverse generazioni. Dappertutto l'assimilazione opera e più rapidamente quando gli Slavi sono pochi e si interrompe l'afflusso di immigrati.

 

Nell'ultimo periodo, che giunge sino al XIX secolo, le migrazioni slave diminuiscono repentinamente, per cessare poi del tutto, e verso la fine di quest'epoca si concludono anche i processi di assimilazione. Il calo dell'emigrazione è da collegare sicuramente alla lenta normalizzazione dei rapporti sul confine tra la Dalmazia veneta e l'impero turco, alla ripresa graduale delle relazioni economiche tra la fascia costiera ed il retroterra turco (al di fuori del territorio di Ragusa) ed anche alla possibilità di una colonizzazione, con le popolazioni eccedenti, del territorio sempre più esteso dei «Confini militari» (Vojna Krajina) e delle regioni che la monarchia asburgica va strappando ai Turchi.

 

 

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Ma già dalla fine del XVI secolo la corrente migratoria cessa di essere massiccia, per tornare ad essere fenomeno di singoli individui o di piccoli gruppi, indirizzati per lo più verso i porti italiani e sempre meno verso la campagna [88]. Così si può spiegare il fatto che singole istituzioni di Slavi (le confraternite) si conservino ancora nella seconda metà del XVII secolo e perfino nel XVIII (Pesaro, Udine). Non è possibile seguire il corso di questo sviluppo perché il periodo non è stato ancora studiato abbastanza. È però possibile affermare che il flusso migratorio diminuisce più rapidamente nelle campagne che nelle città, dove le relazioni commerciali e marittime attirano ancora molte persone. Questo lungo processo viene meno quando scompaiono le condizioni economiche e politiche favorevoli. L'elemento slavo è del tutto assimilato entro la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo; Punico relitto della sua persistenza in Italia è la piccola colonia di gente che parla la «nostra lingua», ma è di sentimenti italiani e vive nei tre villaggi del Molise: Acquaviva-Collecruce [Kruč], San Felice Slavo [Stifilić, Filić] e Montemiro [Mundimitar] [89]. Oltre a queste colonie solo le fonti storiche, i resti della toponomastica, dell'onomastica e singole parole slave, conservatesi in alcuni dialetti italiani, ricordano direttamente questo processo [90].

 

Rimangono ancora molti problemi insoluti o non chiariti. Sarebbe necessario studiare più a fondo sia il corso delle migrazioni, che l'inserimento e l'assimilazione degli Slavi nel nuovo ambiente. Un ricco materiale d'archivio, specialmente in Italia [91], fornirà le risposte ai tanti interrogativi insoluti.

 

Ferdo Gestrin

 

 

   NOTE AL TESTO

 

1.

·       O. Pozza, Delle colonie slave nel regno di Napoli. Lettere del professore Giovanni de Robertis, in «Osservatore dalmate» (Zara) febb. 1856, p. 47 e ss.

Cfr. anche la traduzione di

·       S. Popović, Slavenske naseobine u Neapolju, [Colonie slave a Napoli], in «Sedmica» (Novi Sad) 1856.

Vedi ancora

·       M. Rešetar, Slavenske kolonije u Italiji [Colonie slave in Italia], Srdj 24 (1907), p. 1107;

·       Cronia, La conoscenza del mondo slavo in Italia. Bilancio storico-bibliografico di un millennio, Padova 1958, p. 64 e ss.

 

2. Cfr. M. Rešetar, Die serbokroatischen Kolonien Süditaliens, Kaiserliche Akademie der Wissenschaften. Schriften der Balkankommission, Linguistische Abteilung, IX., Wien 1911, p. 54.

 

 

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3. Alcuni degli autori italiani sono A. Baldacci, D. Comparetti, J. Aranza, G. Vegazzi Ruscalla, L. A. Trotta, A. Rolando, V. di Giovanni, L. d’Addabbo, E. Troilo, G. Leo ed altri. Tra le opere di V. Makušev sono da citare in particolare:

·       Slavjanah moliskavo grafstva v južnoj Italiji, in Zapiski imperatorskoi akademii nauk, 18 (1870), Sanktpetersburg, p. 31 e ss.;

·       Id., Italijanski archivi, in Zbornik imperatorskoi akademii nauk, 8 (1872), Sanktpetersburg;

·       Id., Monumenta historica Sclavorum Meridionalium, I, Warszawa 1874, in particolare le pp. 195-204.

 

4.

·       R. Kovaćić, Gli Slavi serbi dell'Italia, in «Ricordi», 1 (1884), Ancona;

·       Id., Srpske naseobine u Južnoj Italiji. Prvi izvještaj [Colonie serbe nell'Italia meridionale. Prima relazione], in «Glasnik srpskog učenog društva», 62 (1885), p. 272 e ss.

 

5.

·       J. Smodlaka, Ostanci jugoslavenskih naseobina u donjoj Italiji [Resti di colonie jugoslave nell'Italia meridionale], in «Hrvatska Misao», 3 (1903/4), p. 750 e ss.;

·       Id., Posjet apeninskim Hrvatima [Visita ai Croati appenninici], Zara 1906 (anche nel calendario Svačić per il 1906).

Cfr. ancora la relazione di

·       J. Barać, Hrvatske kolonije u Italiji [Colonie croate in Italia], Spalato 1904;

·       J. Gelcich, Colonie slave nell'Italia meridionale, in «Il Dalmata», n. 25-27, Zara 1908, edito quindi anche come pubblicazione a parte (Zara 1908);

·       M. Rešetar, Slavenske kolonije, cit., p. 1105 e ss.;

·       Id., Die serbokroatischen, cit., p. 1 e ss.

 

6. J. Smodlaka, Ostanci, cit., p. 755 e ss.

 

7. M. Rešetar, Slavenske kolonije, cit., p. 1109.

 

8. Il primo a scrivere su questo tema è S. Rutar, Zgodovina Tolminskega [Storia del Tolminotto], Gorizia 1882, secondo il quale tali colonie risalgono ancora al periodo della colonizzazione, dal settimo secolo in poi. All'analisi di questo problema egli dedica pure uno studio a parte: Slovenske naselbine po Furlanskem [Colonie slovene nel Friuli], in «Ljubljanski zvon», 3 (1883), pp. 53 e ss., 122 e ss., 188 ss. Fr. Kos, sulla rivista «Kres», 2 (1882), pp. 446-447, respinge la tesi del Rutar ed inquadra esattamente il problema.

 

9. Cfr.

·       B. Petranović, O robstvu po srpskim spomenicima i statutima primorskih dalmatinskih gradova [Sulla schiavitù secondo i memoriali serbi c gli statuti delle città costiere dalmate], in «Rad Jazu», 16 (1871), p. 59 e ss.,

·       K. Jireček, Die Bedeutung von Ragusa in der Handelsgeschichte des Mittelalters, Wien 1899, p. 68 e ss.;

·       K. Jireček - J. Radonić, Istorija Srba, III [Storia dei Serbi, III], Beograd 1923; p. 120 e ss.;

·       C. Truhelka, Državno i sudbeno ustrojstvo Bosne u doba prije Turaka [Ordinamento statale e giuridico della Bosnia prima dei Turchi], in «Glasnik Zemaljskog muzeja», 13 (1901), p. 91 e ss.,

·       Id., Još o testamentu gosta Radina i o patarenima [Ancora sul testamento dell'ospite Radin e sui patarini], ibid., 25 (1913), p. 363 e ss.;

·       S. Novaković, Trgovanje bosanskim robljem u srpskim državama srednjeg vijeka [Il commercio di schiavi bosniaci negli stati serbi del Medioevo), in «Prosvjeta», 9 (1913), p. 46 e ss.;

·       J. Tadić, Trgovina robljem u Dubrovniku u XV veku [Il commercio degli schiavi a Ragusa nel XV secolo), in «Politika», n. 8084, 4 nov. 1930;

·       Id., Otkupljivanje robija u Dubrovniku [Il riscatto degli schiavi a Ragusa], in «Politika», n. 8129, 22 die. 1930;

·       Božić, Turska i Dubrovnik u XIV i XV veku [La Turchia c Ragusa nel XV secolo], Beograd 1952, specialmente p. 326 e ss.

 

 

23

 

10.

·       G. Čremošnik, Istorijski spomenici Dubrovačkog archiva. Kancelarijski i notarski spisi [Monumenti storici dell'Archivio di Ragusa. Atti notarili e di cancelleria], Beograd 1932;

·       Id., Nova istorijska gradja iz Dubrovnika [Nuovo materiale storico di Ragusa], in Novitates musei sarajevoensis, Sarajevo 1933;

·       Id., Kancelarijski i notarski spisi 1278-1301 [Atti notarili e di cancelleria 1278-1301], Zagreb 1951.

 

11. M. Dinić, Iz Dubrovačkog archiva, III [Dall’Archivio di Ragusa, III], Beograd (SANU) 1967.

 

12.

·       G. Čremošnik, Istorijski spomenici i notarski spisi od 1278 do 1301 g. [Monumenti storici ed atti notarili dal 1278 al 1301], Beograd (SANU) 1932;

·       M. Dinić, Trg Drijeva i njegova okolina [Il mercato di Drijeva ed i suoi dintorni], in «Godišnjica N. Cupida», 47, Beograd 1938, p. 145 ss.;

·       B. Curčić, Trgovina robljem u srednjem vijeku u Bosni i Hercegovini [II commercio degli schiavi nel Medioevo in Bosnia ed Erzegovina], «Sarajevski novi list», n. 193, 1941;

·       Solovjev, Trgovanje bosanskim robljem do godine 1661 [Il commercio di schiavi bosniaci fino al 1661], in «Glasnik Državnog muzeja u Sarajevu», N. S., 1, 1946, p. 139 e ss.;

·       G. Čremošnik, Pravni položaj našeg robija u srednjem veku [Lo stato giuridico dei nostri schiavi nel Medio evo], in «Glasnik Zemaljskog muzeja u Sarajevu», N. S., 2, 1947, p. 69 e ss.;

·       Id., Izvori za istoriju robija i servicijalnih odnosa u našim zemljama srednjega veka [Fonti per la storia degli schiavi e dei rapporti servili nelle nostre terre nel Medio evo], in Istorisko-pravni zbornik, 1, 1949, p. 148 e ss.;

·       V. Vinaver, Trgovina bosanskim robljem tokom 14 veka u Dubrovniku [Il commercio di schiavi bosniaci a Ragusa durante il XIV secolo], in «Anali Historijskog instituta JAZU u Dubrovniku», 2, 1953, p. 125 e ss.;

·       Id., Ropstvo u starom Dubrovniku (1250-1650) [La schiavitù nell'antica Ragusa, 1250- 1650], in «Istorijski pregled», 1, 1954, p. 37 e ss.;

·       D. Dinić-Knežević, Prilog proučavanja migracija našeg stanovništva u Italiju tokom 13. i 14. veka [Contributo allo studio delle migrazioni della nostra popolazione in Italia durante il XIII e XIV secolo], in «Godišnjak filozofskog fakulteta u Novom Sadu», 16/1, 1973, p. 39 e ss.;

·       P. Zivković, Mletačka trgovina bosanskim robljem u srednjem vijeku [U commercio veneto di schiavi bosniaci nel Medio evo], in «Godišnjak Društva istoričara, BiH 21-27, 1976, p. 51 e ss.;

·       Božić, Turska i Dubrovnik u XIV i XV veku [La Turchia e Ragusa nel XIV e XV secolo], Beograd 1952, p. 326 e ss.

 

13.

·       Ch. Verlinden, L’esclavage sur la còte dalmate au bas moyen àge, «Bulletin de l’Institut historique belge de Rome», 41, 1970, p. 57 e ss.;

·       Id., Le relazioni economiche fra le due sponde adriatiche nel basso Medioevo atta luce della tratta degli schiavi, in Congressi salentini, II, Lecce 1973, p. 103 e ss.

 

14.

·       B. Gušić, Naše Primorje [Il nostro litorale], in «Pomorski zbornik», I (1962), p. 51-54;

·       F. Gestrin, Prispevek k poznavanju gradiva za slovensko zgodovino v tujini [Contributo per la conoscenza del materiale per la storia slovena all’estero. Archivi nelle Marche], in «Zgodovinski časopis», 18, 1964, p. 239 e ss.;

·       Id., Studentje iz jugoslovanskih deiel na univerzi v Fermu (1629-1774), [Gli studenti delle regioni jugoslave all'università di Fermo, 1629-1774], in «Zbornik za historiju školstva i prosvjete», 2, 1965, p. 83 e ss.;

·       Id., Slovani v službi pri Malatestovih organili v Fanu (1434-1455) [Slavi negli organi amministrativi dei Malatesta a Fano, 1434-1455], in «Zgodovinski časopis, 19/20, 1965-1966, p. 161 e ss.; vedi anche

·       Id., Slavi negli organi amministrativi dei Malatesta a Fano nella prima metà del secolo XV, in «Studia Picena», 36, 1968, p. 1 e scg.;

 

 

24

 

·       Id., Gospodarske povezave jugoslavanskih delel in Italije v 15. in 16. stoletju [Relazioni economiche tra le terre jugoslave e l'Italia nel XV e XVI secolo), in «Istorijski časopis», 18, 1971, p. 155 e ss.;

·       Id., Mitninske knjige 16. in 17. stoletja na Slovenskem [Libri daziari del XVI e XVII secolo in Slovenia], Viri za zgodovino Slovencev V, Ljubljana (SAZU) 1972;

·       Id., Prispevek h kulturnemu livtjenju Slovanov v Markah v Italiji (XIV.-XVII. stoletje) [Contributo allo studio della vita culturale degli Slavi nelle Marche in Italia, XIV-XVII secolo], in Spomenica Josipa Matasovića (1892-1962), Zagreb 1972, p. 89 e ss.;

·       Id., Le relazioni economiche tra le due sponde adriatiche tra Quattro e Cinquecento, in Congressi salentini, II, Lecce 1973, p. 87 e ss.;

·       Id., Trgovina slovenskih dežel z italijanskimi ob koncu srednjega veka in v XVI stoletju [Il commercio delle regioni slovene con quelle italiane alla fine del Medio evo e nel XVI secolo], in «Zgodovinski časopis», 29, 1975, p. 45 e ss.;

·       Id., Trgovina a kolami v Markah v 15. in v prvi polovici 16. stoletja [Il commercio delle pelli nelle Marche nel XV secolo e nella prima metà del XVI secolo], in «Zgodovinski časopis», 30, 1976, p. 23 e ss. ora in AA.VV., Le Marche e l'Adriatico orientale: economia, società, cultura dal XIII sec. al primo Ottocento, a cura di S. Anselmi, Ancona 1978, pp. 255-276;

·       Id., Migracije iz Dalmacije v Italijo v 15. in 16. stoletju [Le migrazioni dalla Dalmazia in Italia nel XV c XVI secolo], in «Zgodovinski Časopis», 30, 1976, p. 269 e ss.;

·       Id., Versko livljenje in institucije Slovanov v Markah od 15. do 17. stoletja [La vita religiosa e le istituzioni degli Slavi nelle Marche dal XV al XVII secolo), in «Zgodovinski časopis», 31, 1977, p. 277 e ss.;

·       M. Spremić, Dubrovnik i Aragonci, 1442-1495 [Ragusa e gli Aragonesi 1442-1495), Beograd 1971, pp. 190 e ss., 202 e ss., 291 e ss.;

·       Id., La famiglia De Fiorio de Manfredonia, in Italica Belgradensia, 1, 1975, p. 248 e ss.;

·       Id., Dubrovnik (Raguse) et la Sicilie postbyzantine, in «Byzantinische Forschungen», Internationale Zeitschrift für Byzantinistik, 5, 1977. p. 379 e ss.;

·       M. Šunjić, Prilozi za istori ju bosansko-venecijanskih odnosa 1420–1463 [Contributi per la storia dei rapporti bosniaco-veneziani 1420-1463], in «Historijski zbornik», 14, 1961, p. 119 e ss.;

·       Id., Dalmacija u XV stoljeću [La Dalmazia nel XV secolo], Sarajevo 1967;

·       Id., O migraciji «de partibus Sclavonie» u Markama do polovine XV stoljeća (Ancona) [Sulla migrazione «de partibus Sclavonie» nelle Marche fino alla metà del XV secolo (Ancona)], in «Radovi», 8, 1974-75, p. 487 e ss.;

·       D. Dinić-Knežević, Migracija stanovništva iz bližeg zaledja u Dubrovnik u XV veku [La migrazione degli abitanti dell’immediato retroterra a Ragusa nel XV secolo), in «Jugoslovenski istoriski časopis». 13, 1974, p. 19 e ss.

 

15. P. Diacono, MGH, Scriptores, Hannover 1878, p. 125.

 

16.

·       B. Gušić, Naše Primorje, cit., p. 51 e ss.;

·       V. Mažuranić, Prinosi za hrvatski pravno-povijesni rječnik [Contributi al vocabolario storico-giuridico croato], Zagreb 1922;

·       Id., Dodatci [Aggiunte], p. VI;

·       M. Spremić, Dubrovnik [Raguse], cit., p. 379 e ss.

 

17.

·       M. Kos, K postanku slovenske zapadne meje [Verso la formazione del confine occidentale sloveno], in «Razprave znanstvenega društva», 5. 1923, p. 336 e ss.;

·       Id., Zgodovina Slovencev od naselitve do petnajstega stoletja [Storia degli Sloveni dalla colonizzazione al XV secolo), Ljubljana 1955, p. 149 e ss.;

·       B. Grafenauer, Zgodovina slovenskega naroda, 2 [Storia del popolo sloveno. 2], Ljubljana 1965, p. 142 e ss.

 

18. Oltre ai lavori di B. Krekić e F. W. Carter vedi

 

 

25

 

·       P. Matković, Trgovinski odnošaji izmedju Dubrovnika i srednje Italije [Relazioni commerciali tra Ragusa e l'Italia centrale], in «Rad JAZO, 15 (18), p. 8 e ss.;

·       J. Lučić, Pomorsko-trgovačke veze Dubrovnika i Italije u XIII stoljeću [Relazioni marittimo-commerciali tra Ragusa e l'Italia nel XIII secolo], in «Pomorski zbornik», 5, 1967, p. 447 e ss.;

·       Id., Pomorsko-trgovački dometi Dubrovnika u XIII stoljeću [La portata delle attività marittimo-commerciali di Ragusa nel XIII secolo], in Spomenica Josipa Matasovića (1892-1962), Zagreb 1972, p. 156 e ss.;

·       Id., Pomorsko-trgovačke veze Dubrovnika na Mediteranu u XIII stoljeću [Relazioni marittimo-commerciali di Ragusa nel Mediterraneo nel XIII secolo], in «Rad JAZO, 359, 1971, p. 133 e ss.

 

19. Cfr. J. Lučić, Gli stranieri a Ragusa nel medioevo, in «Bollettino dell'Atlante linguistico mediterraneo», 13-15, 1971-73, p. 345 e ss.

 

20. D. Dinić - Knežević, Migracije stanovništva, cit., p. 36 e ss.

 

21. D. Dinić - Knežević, Prilog proučavanju migracija, cit., p. 58.

 

22. A. Cronia, La conoscenza, cit., p. 63.

 

23. Archivio di Stato, Fano (ASFa), AAC II/3, Elezione de pubblici ufficiali, 1339, f. 15: 31 luglio 1339.

 

24. M. Rešetar, Die serbokroatischen Kolonien, cit., p. 43.

 

25. B. Gušić, Naše Primorje, cit., p. 52.

 

26. M. Rešetar, op. cit., p. 32.

 

27. Ibid., p. 45; D. Dinić - Knežević, Prilog proučavanja migracija, cit., p. 58.

 

28. D. Dinić - Knežević, cit., p. 60.

 

29. P. Zivković, Mletačka trgovina, cit., p. 51 e ss.

 

30. I mercanti che acquistano schiavi vengono da: Ancona, Bari, Barletta, Bitonto, Bologna, Brindisi, Clarenca, Cremona, Esculi, Fermo, Firenze, Genova, Grado, Lecce, Molletta, Manfredonia, Mantova, Messina, Milano, Mola, Monopoli, Otranto, Pavia, Perugia, Polignano, Prato, Ravela, Rimini, Salerno, San Severo, Siena, Siracusa, Taranto, Trani, Vesti e dalla Sicilia.

 

31. A. Silajdžić, O slučajevima ropstva zabeljelenim u sudskvom protokolu sarajevskog kadije iz godine 1556-57 [Sui casi di schiavitù registrati nel protocollo giudiziario del cadì di Sarajevo per gli anni 1556-57], in «Glasnik vrhovnog islamskog starješinstva u FNRJ», 3, 1952, p. 241 e ss.

 

32.

·       Solovjev, Trgovanje bosanskim robljem, cit., p. 153 e seg.;

·       Božić, Turska i Dubrovnik, cit., p. 226. Cfr.

·       D. Klen, Pokrštavanje «turske djece» u Rijeci u XVI i XVII stoljeću [Cristianizzazione di bambini «turchi» a Fiume nel XVI e XVII secolo], in «Historijski zbornik». 29/30, 1976-1977, p. 203 e ss.

 

33. I. Voje, Vplivi osmanskega imperija na slovenske deiele v 15. in 16. stoletju [Influenze dell'impero ottomano sulle terre slovene nel XV e nel XVI secolo], in «Zgodovinski Časopis», 30 1976, p. 12 e ss.

 

34. Ancora nel 1661 dei mercanti veneziani acquistano schiavi bosniaci alle Bocche di Cattaro. Tra i 92 schiavi alcuni provengono dal territorio di Trebinje c Bi- leće ed anche dalla lontana Jajce. La maggior parte è composta da donne e bambini fino ai 15 anni d'età. Questi schiavi vengono venduti nel regno di Napoli. Vedi A. Solovjev, op. cit., p. 154 e ss.

 

35. Cfr. F. Gestrin, Migracije iz Dalmacije, cit., p. 269 e ss.

 

36. N. Jorga, Notes et extract pour servir à l'histoire des croisades au XVe siècle, 3, Paris 1902, p. 291 nota 1.

 

37. V. Čorović, Historija Bosne [Storia della Bosnia], Beograd 1940, p. 508.

 

 

26

 

38. S. Cirković, Herceg Stefan Vukčić-Kosaća i njegova doba [Lo Herceg Stefan-Vukčić Kosaća ed il suo tempo], Beograd 1964, pp. 215, 219 e ss.

 

39. M. Šunjić, Prilozi za istoriju, cit., p. 137: «[.. .] pro conducendo ad partes Apulee personas 100 pauperum bossinensium pro panatico eorum [...]», «[...] pro conducendo ad partes Marchic personas 76 pauperes bossinensium [...]». Vedi ancora M. Šunjić, O migraciji «de partibus Sclavonie», cit., p. 487.

 

40. M. Šunjić, Prilozi za istoriju, cit., p. 138: «[...] pro tria staria fabe ab co empte et date pauperibus bossinensibus qui iverunt in Apuleam».

 

41. Ibid.

 

42. R. Jeremić - J. Tadić, Prilozi za istoriju zdravstvene kulture starog Dubrovnika, 2 [Contributi per la storia della cultura sanitaria dell'antica Ragusa, 2], Beograd 1939, p. 187.

 

43. Cfr. M. Šunjić, Pomjeranja mletačkih granica u Dalmaciji i odnosi sa susjedima tokom XV stoljeća [Gli spostamenti dei confini veneziani in Dalmazia ed i rapporti con i vicini durante il XV secolo], in «Godišjak Društva istoričara», BiH 15. 1966, p. 59.

 

44. M. Rešetar, Die serbokroatischen Kolonien, cit., p. 22.

 

45. Ad es. Hannes olim Vincentij de Vincentijs de Fano, ASFa, not. J. Roncoli, F, f. Ilv, 6 sett. 1485. Gregorius Petri de Idria Sclavonus, ASFa, not. P. D. Stati, Q. f. 91, 8 die. 1501. Loyse Istriano Ostuni, Archivio di Stato, Brindisi (ASBr), Catasto di Ostuni del 1578, ff. 227 e 254.

 

46. J. Cvijić, Balkansko poluostrvo i južnoslavenske zemlje. Osnovi za antropogeografiju. [La penisola balcanica c le terre jugoslave. Basi per l'antropogcografia], Beograd 1966, p. 181, 182.

 

47. Abitavano nelle seguenti arce: Friuli (M. Sanudo riferisce che nel XVI secolo i Montenegrini si stabiliscono sulla «terra ferma» veneziana, specialmente a Padova e a Vicenza: A. Cronia, op. cit., p. 63 e ss.; M. Rešetar, op. cit., p. 18; J. Gelcich, op. cit., p. 9); Emilia-Romagna, Marche, Umbria, Abruzzi, Campobasso, Puglia, Otranto, Basilicata, Calabria, come pure Caserta, Benevento ed Avellino. Per Roma vedi I. Crnćić. Imena Slovjenin i Ilir., cit., p. 12 e ss.; Id., Prilozi k ras pravi: Imena Slovjenin i Ilir. u našem gostinjcu u Rimu poslije 1453 godine [I nomi Slovjeni e Ilir, nella nostra foresteria a Roma dopo il 1453], in «Starine JAZU», 18, 1886, p. 1 e ss.; Id., Još dvoje o slovjenskom gostinjcu u Rimu izopačeno [Ancora due alterazioni sulla foresteria slava a Roma], in «Rad JAZU». 125, 1896, p. 1 e ss.

 

48. Qui di seguito diamo un elenco incompleto dei nomi di località compilato in base al materiale d'archivio di Ancona, Fano e Pesaro: Ancona, Ascolano, Ascoli Piceno, Bellocchi, Bonplano, Camburano, Cambellara, Camerino, Caminata, Candelara, Carignano, Cartoceto, Castelfidardo, Castro de Fcrrcctis, Castro Mali, Castro Podi, Castro Pulverigi, Castro Turrionibus, Cattabrighe, Centinarole, Ceresa, Cervia, Corinaldo, Crispiano, Cupramontana, Cucurano, Fabriano, Falconara, Fano, Fermo, Fiorendola, Fossombrone, Galignano, Ginestreto, Grottam- mare. Isola del Piano, Jesi, Macerata, Magliana, Marana, Marinella, Massignano, Marotta, Matetica, Monbaroccio, Mondolfo, Mondavio, Montagnola, Montebucari, Monteciccardo, Montegaudio, Montegroli, Monte Calvo, Monte Castagneti, Monteferreo, Montegalio, Montcguiduccio, Montclabbate, Monteluro, Montemarciano, Montemonico, Monte Maria, Monterado, Monte Roberto, Monte Siriaco, Monte Teneri,

 

 

27

 

Monte San Vito, Monticelli, Montigiano, Montigliana, Novilara, Numana, Offagna. Orciano, Orsa, Osimo, Paterno, Pergola, Petriano, Piagge, Pisiarelle, Poggio, Porto Fermo, Porto Recanati, Puzoli, Rancaglia, Recanati, Ripe, Ripalta, Rocosambacio, Ronticelli, Rosciano, Sahara, Sant'Angelo in Vado, San Gregorio, San Petriano, Sant'Andrea, San Marco, San Canziano, San Costanzo, Sansepolcro, Sappanico, Scapezzano, Sassoferrato, Serbolongo, Sirolo, Torrette, Trebiaintico, Urbino, Varano, Villa Nuova, Villa Santa Maria:

Cfr.

·       M. Šunjić, O migraciji, cit., p. 489 e ss.,

·       S. Anselmi, Schiavoni e Albanesi nell’agricoltura marchigiana dei secoli XIV e XV, in «Rivista di storia dell’agricoltura», 1976, 2, p. 8 e ss.

Si veda ora di S. Anselmi, Aspetti economici dell'immigrazione slava nell'Italia centro orientale in «Società e storia«, 1979. Secondo A. Cronia tutti gli archivi italiani, da Napoli a Roma, da Firenze a Milano, da Venezia a Genova, ecc. sono pieni di notizie sugli Slavi (op. cit., p. 74).

 

49. F. Gestrin, Le relazioni, cit., p. 99; S. Anselmi, Schiavoni e Albanesi, cit., pp. 11, 20 e ss.

 

50. Archivio di Stato, Ancona (ASA), not. G. Alberici, 28, f. 15, 8 febb. 1522.

 

51. ASFa, not. Manfredi di Borgo Sepolcro, f. 100, 6 ott. 1435.

 

52. N. Natalucci, Ancona attraverso i secoli, I, Città di Castello 1961, p. 510; Cfr. S. Anselmi, op. cit., p. 15.

 

53. ASFa, not. L. di Mastropaolo, D, f. 244, 2 agosto 1502; ASA, not. J. B. Alberici, 247, f. 45, 28 agosto 1540.

 

54. I. Crnčić, Imena Slovjenin i Ilir. cit., p. 31.

 

55. ASA, not. J. B. Alberici, 247, f. 45, 28 agosto 1540.

 

56. Ibid., 230, f. 165, 27 maggio 1544.

 

57. M. Rešetar, Die serbokroatischcn Kolonien, cit., p. 40 e ss.

 

58. Cfr. F. Gestrin, Trgovina s kožami, cit., p. 29 e ss.; Id., Trgovina slovenskih dežel, cit., p. 89 e ss.

 

59. Ad es. Archivio di Stato, Pesaro (ASP), not. M. Paladini, f. 142, 29 maggio 1449; ASFa. Codici Malatestiani, 107, f. 2, 4 aprile 1454, e f. 10, 29 sett. 1454; ASP, not. A. Milioni, 19/9, ff. 314 e 540, 12 marzo 1524 e 2 maggio 1524: Jeronim [Girolamo], figlio di Jakob Slovan [Giacomo Slavo] da Recanati vende la sua imbarcazione ad un cittadino pesarese. Archivio comunale di Recaxati (ACR), ser. IX.. Fiera, n. 1145, 19 nov. 1567; ACR, ser. X.. Porto, n. 1211, ff. 26-27, 20 maggio 1602, ecc.

Cfr. ancora

·       F. Gestrin, Prispevek k poznavanju našega pomorstva v 16. stoletju iz gradiva italijanskih archivev, Fano [Contributo alla conoscenza di notizie sulla nostra marineria nel secolo XVI fornite da materiale d’archivio italiano, Fano], in «Vjesnik historijskog archiva u Rijeci i Pazinu«, 14, 1969, p. 163 e seg.;

·       Id., K poznavanju reškega pomorstva v Markah v Italiji (XV.-XVII. stol.) [Contributo alla conoscenza dei legami marittimi tra Fiume e le Marche]; Ibid., 15, 1970, p. 41 e ss.

 

60. Cfr. per Fano: ASFa, not. P. A. Galassi, U, f. 326, 14 genn. 1485; not. J. Roncoli, F., f. 9, 6 sett. 1485; ibid., I, f. 71, 22 febb. 1491; ibid., M, f. 231, 31 marzo 1497; ibid., P, f. 56v, 3 genn. 1502; ASFa, not. P. D. Stati, K, f. 61, 4 febb. 1495; ibid., Q, f. 71. 24 nov. 1501; ibid., V, f. 275v e 355, 10 maggio c 1 agosto 1505; ibid., Y, f. 42v, 25 giugno 1505; ASFa, ser. Vili, Porto, n. 110, 26 febb. 1604. Per Pesaro cfr.: ASP, not. P. D. Ambrosi, 38/24, f. 100, 2 genn. 1520 (Jakob figlio di Jurij da Zara serve sulla nave di Giovanni Clara di Pesaro);

 

 

28

 

ibid., 38/3. f. 750, 23 die. 1520; not. B. Fattori 20/41, f. ?, 14 sett. 1540. Per Ancona cfr.: ASA, not. G. Giustiniani, 657, f. 264, 19 ott. 1530; ibid. 657, f. 333v, 17 die. 1530; ibid., 669, f. 224, 13 agosto 1535; ibid., 664, ff. 88 e 174, 22 aprile e 7 nov. 1536; not. J. B. Alberici, 247, ff. 21 e 124v, 7 giugno 1540 e 4 nov. 1541; ibid., 233, f. 74v, 12 maggio 1543; ibid., 230, f. 89, 5 aprile 1544; ibid., 235, f. 274v. 30 maggio 1545. Per i capitani vedi la nota 59. Nel 1540 il capitano Peter Schiavonus trasporta legnami a Termini c Giulianova per Tommaso Franti da Pesaro: ASP not. B. Fattori, 20/41, 14 sett. 1540.

 

61. Cfr. V. Kostić, Dubrovnik i Engleska 1100-1650 [Ragusa c l'Inghilterra, 1300- 1650], Beograd 1975, pp. 18-20, 467-484.

 

62. ASFa, not. J. Roncoli, F, f. 73v e 152, 27 genn. 1486 e 7 giugno 1486, ibid., S. ff. 74, 118v e 190v, 9 nov. 28 die. 1502 e 28 feb. 1508; ibid., T, ff. 22 e 116, 6 febb. e 15 luglio 1512; not. P. D. Stati, NN, f. 236v, 10 ott. 1499; ibid., DD, f. 246v, 30 nov. 1509. ASP, not. M. G. Lepri, 11/23, f. 82, 1 agosto 1491, not. A. Milioni, 19/2, 7 genn. 1503; ASP, Catasto S. Terentii, 21-XII e 4 f. 140. ASA, not. G. Giustiniani, 660, ff. 38, 47 c 246, 21 ott. 1523, 21 sett. e 21 sett. 1528; ibid., 657, f. 202, 30 agosto 1530; ibid., 669, f. 184v, 5 luglio 1535; ibid., 661, f. 171, 31 agosto 1537; not. J. B. Alberici, 233, ff. 62 e 88v, 9 giugno 1542 e 27 aprile 1543; ibid., 230, f. 305v, 19 sett. 1544.

 

63. ACR, ser. VII, Instrumentorum, Cod. Ć05, c. 32, 16 luglio 1512. Cfr. ancora ACR, ser. X., Porto, n. 1208, ff. 20v, 21, 22, 20 e 29 agosto e 6 settembre 1564.

 

64. ASP, not. P. D. Ambrosi, 38/15, f. 524, 16 sett. 1529.

 

65. Plazarius (piazzaro), sprocanus, nuntius: Archivio comunale di Pesaro (ACP), n. 264, Libri degli introiti e spese, f. 108, 28 febb. 1461; vedi ancora f. 109; ASP, not. M.G. Lepri, 11/35, ff. 38 e 43, 25 genn. 1504. ASFa, not. J. Roncoli. I. f. 376v, 7 marzo 1493; ibid., not. P. D. Stati, Y, f. 364v, 30 die. 1506; ibid., Z, f. 304 , 30 die. 1507; ibid., BB. ff. 265 e 355v, 9 e 31 luglio 1508; ibid., HH, f. 85, 30 agosto 1511; ibid., LL, f. 209 , 20 nov. 1513. ASA, not. G. Alberici, 29. ff. 33 e 69v, 17 febb. e 11 aprile 1524; J. B. Alberici, 242, ff. 69v e 208, 19 febb. e 9 luglio 1548. Nel 1635 Nicola Istriano è «luogotenente delle militie de Pesaro»: ASP, not. N. Montani, 208/2, f. 156, 21 maggio 1635. Ancora alla metà del secolo XVII Francesco Schiavone è uno sbirro di Brindisi («preso infrascritta civitate Brundisio»), ASB, not. T.de Ferraria, 129, f. 55 e ss., 13 luglio 1654.

 

66. F. Gestrin, Slovani v službi. cit., p. 161 e ss.

 

67. Cfr. D. Gaspari, Fortezze marchigiane ed umbre nel secolo XV, in «Archivio storico per le Marche e per l’Umbria», 2, 1886, pp. 114 e seg., 126. 135, 145, 159: S. Anselmx, Schiavoni e Albanesi, cit., p. 10.

 

68. F. Gestrin, Studenti e iz jugoslovanskih dežel, cit., p. 83 e ss.

 

69. A. Cronia, op. cit., p. 193 e ss.; F. Gestrin, Studentje, cit., p. 87; si veda ora C. Verducci, Il collegio italiano di Fermo, in AA.VV., Le Marche e l’Adriatico orientale, cit., p. 175 e scg.

 

70. Cfr. I. Kukuljević, Izvestje o putovanju kroz Dalmaciju u Napulj i Rim [Resoconto del viaggio a Napoli ed a Roma attraverso la Dalmazia], in «Archiv za povjestnicu jugoslavensku», 4, 1857, pp. 347-48; R. Kovačić, Srpske naseobine, cit., p. 282; S. Anselmi, Schiavoni e Albanesi, cit., pp. 8 e 15.

 

71. M. Rešetar, Die serbokroatischen Kolonien, cit., p. 20.

 

72. I. Crnčić, Imena Slavjenin i Ilir., cit., p. 13 e ss.

 

 

29

 

73. Cfr. M. Spremić, Dubrovnik i Aragonci, cit., p. 202.

 

74. I. Kukuljević, Izvestje o putovanju, cit., p. 347 e ss.

 

75. F. Gestrin, Versko življenjenje, cit., p. 279; A. Cronia, op. cit., p. 63; M. Rešetar, op. cit., p. 21 e ss.

 

76. M. Rešetar, op. cit., p. 19.

 

77. Oko Trsta [Attorno a Trieste], Beograd 1945, pp. 183-190, (gli autori di queste pagine sono P. Skok e S. Skejuj). Cfr. ancora G. B. Della Porta, Toponomastica del comune di Udine, Udine 1928.

 

78. I. Crnčić, op. cit., p. 13 e ss.

 

79. F. Gestrin, Versko življenje, cit., p. 279 e ss.

 

80. Ibid., p. 280 e ss.

 

81. M. Spremić, Dubrovnik i Aragonci, cit., p. 291, nota 160.

 

82. F. Gestrin, op. cit., p. 282.

 

83. A. Cronia, op. cit., pp. 63, 70 e seg.

 

84. F. Gestrin, op. cit., p. 280. Sulle confraternite (o fratemite), sulla vita religiosa e su altri aspetti affini, cfr. i saggi di M. Sensi e M. Natalucci in AA.VV., Le Marche e l'Adriatico orientale, cit., p. 53 e seg., e p. 93 e seg.

 

85. Vedi la nota 48.

 

86. M. Šunjić, O migraciji, cit., p. 394 e ss. Per il capraro cfr. Archivio di Stato, Fermo (ASFe), Cassetta 6, n. 270, 11 aprile 1465; Cassetta 2, n. 120, 1465. Quando gli Slavi disboscano un terreno bruciano pure il carbone, cfr.: ASFa, AAC III, 10, Gabelle 1454, f. 60, 22 giugno 1454; AAC III, 11, Generale, f. 23, 13 giugno 1455; ibid., f. 34, 1 agosto 1455; vedi ancora ff. 35, 69, 69v; AAC III, 18, Gabelle, f. 64, 4 agosto 1479.

 

87. Cfr. ASFa, not. J. Roncoli, F, f. 222v 30 ott. 1486; I, f. 226, 15 ott. 1492; Q. ff. 384 e 392v, 13 e 22 genn. 1505; R., f. 207, 20 genn. 1506; T. f. 91v, 15 maggio 1512; ibid., not. P. D. Stati, K, f. 197, 26 marzo 1495; N. f. 198, 2 genn. 1499, R, f. 87v, 26 sett. 1502.

 

88. Cfr. ASBr, Catasto antico di Ostuni del 1578, ff. 29, 81, 124, 125v, 284, 335, 396, 401 ed altri. In questo periodo qui c'è ancora un paio di dozzine di Slavi. Ve ne sono diversi anche a Brindisi, cfr. Archivio arcivescovile de Leo, Battesimi, 1553-1596, e Matrimoni 1591. Gli Slavi compaiono nei catasti ancora nel XVII secolo, cfr. ASBr, Catasto antico Francavilla, 1636, f. 348v.

 

89. M. Rešetar, op. cit., p. 49 e ss.

 

90. Qui non si tratta solo di nomi storici, ma di toponimi tuttora in uso, ad es. nel Friuli (cfr. M. Kos, op. cit., p. 336 e ss.; Oko Trsta, op. cit., p. 183 e seg.; P. Skok, Miklošičevo zanimanje za slovenačku toponomastiku u Furlaniji [L'interesse del Miklošič per la toponomastica slovena nel Friuli] in «Slavistična revija», 4, 1951, p. 107). Similmente in diversi luoghi si possono ancora trovare degli ononimi dal soprannome «Slavo» (Schiavono, Sclavuccio, Dellaschiava, ecc.). Cfr. K. Strekeu, Zur Kenntniss der slawischen Elemente im italienischen Wortschatze, in «Archiv für slavische Philologie» 26/3, 1904, p. 407 e ss.; Ž. Muljačić, Su alcune voci italiane di origine croata, in «Atti del VII Convegno del Centro per gli studi dialettali italiani», Torino 1970, p. 191 e ss.; Id., Contatti linguistici fra la Croazia e l'Italia centrale e meridionale, in Congressi salentini, II, Lecce 1973, p. 235 e ss. e la bibliografia ivi citata.

 

 

30

 

91. Cfr. A. Cronia, op. cit., p. 74; L. Lume, Le fonti documentarie marchigiane per lo studio dei rapporti fra le due coste adriatiche, in Congressi salentini, II, Lecce 1973, p. 209 e ss.; P. di Baju, Gli archivi della provincia di Bari per la storia delle relazioni tra le due sponde, ibid., p. 227 e ss.; V. Makušev, Italijanskie arhivi i hranjščiasja v nih materiali dlja slavjanskoj istorii, in Zapiski imperatorskoi akademii nauk, 16/2, 19/2, Peterburg 1870 e 1871; Fr. Rački, Rukopisi tičući se južno-slovinske povjesti u arhivih srednje i dolnje Italije [I manoscritti che riguardano la storia jugoslava negli archivi dell'Italia centrale e meridionale], in «Rad JAZU», 18, 1872, p. 205 e ss.

 

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