Associazione culturale Archeoidea

 

 

L'EVOLUZIONE URBANISTICA D'ISERNIA TRA L'ALTO MEDIOEVO E L'ETÀ CONTEMPORANEA

 

di Ulderico Iorillo e Enza Zullo

 

Magazine ArcheoMolise gennaio/aprile 2018, № 30 - anno IX

 via Francesco Longano 58, 86100 Campobasso

 

 

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Ricostruire l’evoluzione dell’intero nucleo abitato isernino non è un compito semplice e questo contributo non può essere considerato in nessun modo esaustivo, ma l’obiettivo è quello di riassumere i dati fino ad oggi in possesso degli studiosi (e riportare alcune delle teorie più significative), nella speranza di delineare un quadro unitario della formazione della città come la conosciamo oggi. Isernia ha una difficile storia di costruzioni e ricostruzioni, di saccheggi, terremoti, spopolamenti e momenti di grande fermento, e in questa ondivaga vitalità, gli edifici e i monumenti importanti hanno rappresentato delle salde ancore cui la popolazione si è sempre affidata.

  

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Fig. 7 Isernia agli inizi del XVIII secolo in una stampa

(G.B. Pacichelli, "Il Regno di Napoli in Prospettiva", Napoli 1703).

 

 

L’alto medioevo

 

Le indagini archeologiche e i documenti consentono di affermare che nel corso dei secoli dal VII al IX Isernia fu interessata da una rivitalizzazione testimoniata dalla nascita delle chiese Santa Maria delle Monache, della prima cattedrale e di Sant’Angelo (fig. 1). In questo senso si ritiene che la rinascita della nostra città si debba alla dominazione longobarda nel momento in cui il suo potere fu abbastanza stabile da consentire una organizzazione civile e religiosa.

 

Nel riproporre l’ipotesi formulata da Pagano, che riconosce nella zona dell’odierna cattedrale un’arce con due templi dislocati nella parte più alta dell’abitato quasi completamente abbandonati in epoca paleocristiana, si delinea un quadro in cui i primi evidenti segni di ricostruzione del tessuto cittadino imputabili ai conquistatori longobardi partirono dalla zona di Santa Maria delle Monache, con buona probabilità sin dal VII secolo. L’abitato, ridottosi notevolmente nell’alto Medioevo, si concentrò, quindi, nella zona del presunto foro, gravitante, appunto, nel rione Sant’Angelo, intorno al complesso monumentale di Santa Maria delle Monache. Solo il rinvenimento di una vasca in cocciopesto ritenuta, genericamente, di epoca tardoantica (ad oggi strappata e sistemata nella navata principale della chiesa di Santa Maria delle Monache) può aiutarci a sostenere l’idea che una piccola comunità, concentratasi in questa zona, abbia continuato ad abitare la città anche nel suo periodo di massimo abbandono. Il ripopolamento di Isernia tra il VII-VIII secolo sembra, quindi, aver interessato la parte bassa della città. In un periodo successivo, l’espansione del tessuto urbano comprese anche l’attuale cattedrale.

 

Gli scavi archeologici hanno confermato la sovrapposizione della prima basilica cristiana al tempio pagano con la zona absidale rivolta a sud secondo l’orientamento del tempio, e non a nord, come la seconda costruzione della chiesa e come la chiesa attuale. In una fase di ammodernamento della cattedrale, forse successiva al terremoto dell’847, questa fu dotata di due pastoforia, uno dei quali doveva ospitare un fonte battesimale, di cui rimangono alcune tracce. Il diaconicon ospitava quella che viene comunemente ritenuta una cripta, nonostante lo spazio non sia abbastanza grande per un luogo cultuale e quindi si possa ritenere che ci si trovi di fronte, piuttosto, ad una sepoltura privilegiata (fig. 2). Sempre ai conquistatori longobardi dobbiamo l’edificazione di Santa Maria Assunta con la sua cripta, un’area cimiteriale e ben presto una struttura conventuale.

 

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Fig. 1 Ricostruzione ipotetica dell’abitato nell’alto medioevo (elaborazione grafica: U. Iorillo).

 

 

Non si conosce l’esatta data di fondazione della chiesa di Santa Maria Assunta, ma il monastero ad essa adiacente è attestato già nel 738, anno in cui il principe di Benevento Godescalco donò alcuni beni affinché la moglie Anna trascorresse in quel luogo vita monacale. Dall’analisi del suolo archeologico su cui poggia l’edificio cristiano, e a seguito del rinvenimento della base di un muro costruito con materiale vario, si è ipotizzato che la prima chiesa longobarda fosse molto più piccola di quella odierna e ad aula unica.

 

Tra alto e basso Medioevo la chiesa di Santa Maria delle Monache fu oggetto di un’importante opera di ricostruzione che ne mutò completamente l’aspetto.

 

Le testimonianze relative alla ricostruzione ad opera di Landenolfo ci vengono da un privilegio datato 1004, nel quale Papa Giovanni XVIII gli riconobbe di aver ripristinato la chiesa di Santa Maria. Inoltre due attestazioni epigrafiche presenti in situ, confermano i lavori effettuati da Landenolfo.

 

 

Il basso medioevo

 

Isernia ha conosciuto una nuova fase costruttiva alla fine del XIII secolo. Fino a quel momento si deve ritenere che l’assetto urbano rimase sostanzialmente quello altomedievale. Ad una situazione di stabilità e di crescita demografica tra l’epoca normanna e quella sveva dovettero rispondere in gran parte gli Ordini Mendicanti nella seconda metà del XIII secolo con la creazione di nuove fabbriche. In questo periodo, quindi, Isernia vide la sua seconda espansione, caratterizzata in primo luogo dall’edificazione di due importanti chiese con annessi monasteri fatti costruire dai Francescani. Di quest’ordine sono noti tra gli studiosi i metodi insediativi, che portarono Isernia verso una nuova concezione del nucleo urbano sviluppato lungo l’asse stradale principale, su cui si disposero le nuove piazze in risposta alle esigenze della predicazione. Con la chiesa e il cenobio di San Francesco, la cui piazza divenne la più grande della città, si venne a ricucire il tessuto urbano, fino ad allora ancora costituito da due nuclei pressoché distinti, presso i quali, plausibilmente, la pressione demografica doveva ormai essere molto concentrata.

 

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Fig. 2 Ricostruzione ipotetica della prima chiesa di Santa Maria delle Monache, basata sul rilievo archeologico (elaborazione grafica: U. Iorillo).

 

 

Anche la parte alta della città subì diverse modifiche e conobbe una discreta espansione verso nord, grazie all’edificazione della chiesa di Santa Chiara con il suo monastero e grazie all’insediamento della congregazione laica dei Celestiniani nella chiesa dell’Annunziata. Oltre ai Francescani, quindi, dobbiamo anche all’Ordine dei Celestiniani, il cui monastero si trovava poco fuori dal centro abitato, questa nuova spinta edificatrice, pur se con metodi insediativi differenti. Sempre riferendoci all’azione degli ordini è stato riportato anche il dato della presenza in città dell’Ordine Templare e poi del Sovrano Ordine Militare di Malta. Inoltre, a seguito di questa espansione, tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo, è stata probabilmente edificata una nuova cattedrale triabsidata, sullo stesso sito della precedente, ma con orientamento opposto. Contestualmente a questa venne probabilmente costruito il campanile, sempre nell’ottica di una riconquista di uno spazio urbano organizzato intorno al decumano principale, sul quale si aprivano le piazze pronte a contenere le grandi masse di fedeli e pellegrini.

 

Per questo periodo sono attestate anche una serie di chiese di minore grandezza, segno evidente di una espansione demografica e di una occupazione più sistematica degli spazi all’interno di una cinta muraria, che solo alla fine del XIII secolo tornò ad avere una ben delineata conformazione e una funzione difensiva (figg. 3-4). Parte delle mura e delle torri oggi visibili sono, infatti, il risultato di costruzioni e ricostruzioni posteriori al 1223, anno in cui Federico II diede ordine di abbattere la cinta muraria.

 

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Fig. 3 Ricostruzione ipotetica del tracciato urbano e dell’ubicazione delle chiese alla fine del XIII secolo (elaborazione grafica: U. Iorillo).

 

 

Il termine post quem da considerare è il 1289, anno di nascita della Confraternita laica dei Celestiniani, nel cui atto di fondazione si legge che essa sorgeva presso la porta maggiore della città. Inoltre, esiste un atto del 1254 in cui Ruggero da Celano si impegnava a non costruire fortificazioni, ma concedeva il permesso di costruire a chi viveva presso mura, che quindi non avevano più funzione difensiva. Valente ipotizza, quindi, che la riedificazione delle mura sia avvenuta tra il 1254 e il 1289. Alcune torri sono ancora in piedi (figg. 5-6), anche se in parte riadattate ad abitazioni, ma, come vediamo dalla prospettiva del Pacichelli (fig. 7) molte non esistono più, come pure sono scomparse quasi tutte le porte d’accesso alla città.

 

 

Dal XIV secolo alla Prima Guerra Mondiale

 

In base alle descrizioni di intellettuali e viaggiatori del Settecento e considerato l’assetto urbanistico fortemente condizionato dall’orografia, si può ragionevolmente ipotizzare che dal Trecento e fino al terremoto del 1805, la città continuasse a svilupparsi prevalentemente in lunghezza intorno all’attuale corso Marcelli, dall’altezza della chiesa di S. Pietro Celestino fino all’attuale piazza Concezione (fig. 8). All’esterno della struttura urbana fino alle sponde dei fiumi Sordo a Ovest e Carpino ad Est, si estendevano i campi coltivati, serviti da sentieri che si dipartivano dalle porte laterali della città e pochi edifici - per lo più religiosi.

 

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Fig. 4 Ricostruzione del tracciato delle mura e delle porte di accesso alla città fino all’età federiciana (elaborazione grafica: U. Iorillo).

 

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Fig. 5 Torre della cortina urbana, lato ovest, via Occidentale (web).

 

 

In particolare, dalla Relazione del Vetromile si possono ragionevolmente ricostruire le caratteristiche urbanistiche di una città con una popolazione di circa seimila persone, dedita principalmente all’agricoltura anche se esisteva in città una zona “industriale” per la produzione della carta e della lana, dove erano localizzati anche alcuni mulini, nella località detta la “Quartoglieria o Cartellaria”.

 

Dopo il terremoto del 1805, la ricostruzione fu lenta, difficile e in alcuni casi inadeguata: alcune chiese non furono più ricostruite ed andarono in rovina, così come furono abbandonati a se stessi i più importanti monasteri, quali quello di S. Chiara e di S. Francesco.

 

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Fig. 6 Porta del Mercatello, o del Mercato, piazza Mercato (web).

 

 

Una delle trasformazioni più significative per l’assetto urbanistico della città si ebbe con i lavori di restauro alla chiesa cattedrale ed alla antistante piazza Mercato, che contribuirono a definire lo spazio urbano più importante intorno ad un elemento caratterizzante: tra il 1832 e il 1847 fu costruita una fontana con relativo castelletto in forma di obelisco, tra il 1837 e il 1851 si costruì la facciata della cattedrale con il portico neoclassico, mentre nel 1848 ancora si lavorava al Seminario, con facciata anch’essa di ispirazione neoclassica.

 

In occasione del terremoto la struttura urbanistica della città, attraversata da una sola strada, mostrò tutti i suoi limiti: corso Marcelli rimase ostruito dalle macerie e pertanto in gran parte inutilizzabile per mesi. Si iniziò così la realizzazione di un nuovo tracciato viario esterno alle mura (via Orientale), alternativo a corso Marcelli, successivamente migliorato ed affiancato anche da un altro percorso dalla parte opposta (via Occidentale), aperto solo nel 1842.

 

Quello della viabilità, infatti, era stato da sempre uno dei problemi più sentiti e si estendeva anche ai percorsi di minor importanza: nel 1839 furono fatti dei lavori alla strada che conduceva all’eremo dei SS. Cosma e Damiano, nel 1847 si costruì la strada che portava alle acque solfuree fuori dell’abitato, e nel 1832 iniziò anche il progetto per la ricostruzione del ponte S. Spirito che oltrepassava il Carpino.

 

Con l’occasione dei restauri post terremoto nacquero anche altre due aree produttive: in località “la Taverna”, nella parte a sud della città e in zona “Borgo Nuovo”, dalla parte opposta, mentre nel 1817 iniziò anche la costruzione del cimitero, ufficialmente consegnato alla città il 7 luglio 1864.

 

Negli anni della ricostruzione iniziò anche la timida espansione urbana verso la parte alta; lo stesso Comune, infatti, nel 1840 portò a termine la costruzione del lavatoio pubblico nel rione S. Giovanni (area del Parco della Rimembranza) mentre tra il 1824 e il 1860 fu realizzato il palazzo della famiglia Jadopi, una delle prime fabbriche private ad essere costruite appena fuori le mura, verso nord (figg. 9-10).

 

Più in generale, però, fu nel corso della seconda metà del secolo che maturò una diversa situazione economica e politica che portò ad un incremento della popolazione e alla definitiva espansione della città fuori dalle mura di cinta verso la parte alta, dove nel 1892 si aprì anche la stazione ferroviaria (figg. 11-12), secondo un indirizzo caldeggiato dalla stessa amministrazione che in qualche occasione propose anche progetti di una certa importanza come lo sventramento del caseggiato tra il rione Codacchio e il largo S. Chiara, con l’abbattimento anche della “Fontana della Concezione”,

 

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Fig. 8 Planimetria dei danni alla città di Isernia causati dal terremoto del 26 luglio 1805 (archivio di Stato di Isernia).

 

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con il fine ultimo di dare respiro a quella parte di abitato, di realizzare una strada parallela a corso Marcelli, e la costruzione di un unico fabbricato destinato agli uffici pubblici e di duecento alloggi di edilizia popolare. Particolarmente studiato fu il nodo centrale tra la parte antica dell’abitato e la nuova, oggi corrispondente grossomodo all’area compresa tra la villa comunale e il Parco della Rimembranza, per cui si conoscono almeno tre progetti, di cui uno per la realizzazione degli alloggi per operai, l’altro che prevedeva edifici attestati su una corte interna ed una parte destinata a verde e l’ultimo che proponeva una sistemazione tutta a giardino.

 

A sinistra. Fig. 9 Pianta della città del muratore Nicola Sabelli, 1876 (archivio A. e M. Testa).

A destra. Fig. 10 Pianta della città di Ugo Masoni, 1887.

 

 

Si trattava di progetti ambiziosi cui la città non poteva oggettivamente far fronte: ai primi del Novecento, infatti, la città si attestava sulle 10.000 unità e conservava il carattere di un paese arretrato del Mezzogiorno;

 

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il progetto per l’acquedotto e la fognatura che si estendeva fino alla zona della stazione, datato al 1911, mette in evidenza come oltre largo San Domenico esistesse ben poco: il lato destro dell’attuale corso Garibaldi era ancora tutta un’area verde mentre sul lato sinistro esistevano pochi edifici. In quegli anni si preferì puntare per lo più alla realizzazione di edifici simbolici come la scuola “San Giovanni Bosco”, un unico edificio che avrebbe dovuto ospitare tutte le scuole elementari della città, il cui progetto affidato nel 1913 a un architetto di chiara fama nazionale, Angelo Guazza- roni, fu definitivamente concluso tra il 1940 e il 1941, pur senza la realizzazione della palestra coperta, e il Liceo Classico, progettato dall’ingegnere Michelangelo Schiavone sul finire degli anni Venti (fig. 13).

 

Fig. 11 La stazione nei primi anni '50 (foto d'archivio).

 

Fig. 12 La stazione agli inizi del '900 (foto d'archivio).

 

Fig. 13 Una cartolina raffigurante Corso Garibaldi agli inizi degli anni '30; in primo piano il Liceo Classico O. Fascitelli (archivio A. e M. Testa).

 

 

Tuttavia, entrambe le scuole restano fuori dal disegno complessivo della nuova città che si va a progettare con il piano regolatore elaborato dai tecnici del Genio Civile una prima volta nel 1923 e poi nel 1926, e approvato nel 1928, anche perché tutta l’attenzione dei progettisti fu concentrata esclusivamente sulla zona d’espansione, quella compresa tra via Majorino e via G. Berta, originariamente ripartita in trentuno lotti, di cui quattro destinati alla costruzione di una chiesa su via XXIV Maggio, sei all’altezza dell’attuale caserma dei vigili urbani assegnati all’istituendo Ente Provinciale per le Case Popolari, ed altri lotti destinati alla costruzione di edifici pubblici. Il nuovo piano, già molto semplice nell’impostazione, aveva però dei limiti evidenti. Nel complesso, nessuna attenzione fu posta al tessuto edilizio della città, che così perse l’occasione per avere un’immagine nuova e caratterizzante.

 

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Al contrario, tutto si riduce al disegno di semplici lotti dal taglio schematico che inglobano i pochi edifici esistenti in un complessivo disegno urbano con ampi spazi tra i caseggiati, in cui il verde riveste un ruolo di primaria importanza (da qui il nome di “città-giardino” attribuito al lotto lungo via Majorino). Inoltre, il nuovo quartiere, che pure recepisce un’evoluzione spontanea del processo edilizio, nasce ai margini dell’abitato, aperto verso la campagna, in un’area scelta appositamente per la presenza della stazione ferroviaria ma sostanzialmente ancora indecorosa e spoglia, che mancava di marciapiedi e strade asfaltate, dove il povero albero piantato in memoria di Arnaldo Mussolini - nel piazzale antistante la stazione - costituiva l’unico elemento di arredo urbano, ancora nel 1935. Soprattutto però, il problema più grande resta ancora il raccordo del nuovo quartiere con la parte antica della città, che si cerca di affrontare con la realizzazione del Parco della Rimembranza, opera del geometra Paolo Formichelli, del 1924.

 

Non furono anni facili per la città: sul finire degli anni Venti fallisce miseramente il tentativo di dotare Isernia di case popolari e miglior sorte non ebbe il progetto per l’ampliamento del cimitero (1926), pensato con un importante ingresso monumentale, con la realizzazione di una cappella destinata ad ossario, sotto forma di un tempietto circolare all’interno.

 

Per tutto il Ventennio, quindi, Isernia è una città che stenta a trovare le risorse materiali ed umane per emanciparsi ed abbandonare definitivamente il carattere di un grosso paese: il processo di trasformazione del tessuto edilizio residenziale verso la zona alta della città è appena iniziato e procede a rilento mentre si registra un significativo fenomeno di adeguamento del patrimonio edilizio esistente nel centro storico, con interventi di sopra- elevazione e ampliamento.

 

 

Bibliografia

 

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Masciotta, GB 1952, Il circondario di Isernia. Il Molise dalle origini ai giorni nostri, vol. III, Arti Grafiche Di Mauro, Cava dei Tirreni.

 

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Zullo, E 2009, 'Architetti e protagonisti della ricostruzione in Molise', in Architettura e terremoto in Molise, Campobasso.

 

Zullo, E 2011, 'La modernità mancata. Progetti urbani ad Isernia nel ventennio fascista', in Almanacco del Molise, Campobasso.

 


 

 

INDICE

 

EDITORIALE di Emilia Vitullo pag. 6

 

INTRODUZIONE: IL PASSATO COMPLESSO E IL FUTURO INCERTO DI UNA CITTÀ di Alessandro Testa pag. 8

 

ISERNIA PRIMA DI ISERNIA. 600.000 ANNI FA IL SITO DE LA PINETA a cura di Giuseppe Lembo, Brunella Muttillo, Ettore Rufo pag. 12

 

AESERNIA TRA IL MONDO SANNITA E LA TARDOANTICHITÀ. UN EXCURSUS ARCHEOLOGICO di Jesus Garcia Sanchez pag. 20

 

ISERNIA DAL V AL XVIII SECOLO di Claudio Palumbo pag. 30

 

ISERNIA DAL PERIODO FRANCESE ALL'ISTITUZIONE DELLA PROVINCIA di Fernando Cefalogli pag. 38

 

L'EVOLUZIONE URBANISTICA D'ISERNIA TRA L'ALTO MEDIOEVO E L'ETÀ CONTEMPORANEA di Ulderico Iorillo e Enza Zullo pag. 46

 

LA FONTANA FRATERNA di Ulderico Iorillo pag. 58

 

DEI PALAZZI STORICI DI ISERNIA di Gabriele Venditti pag.66

 

IL RACCONTO DELLA CITTÀ ATTRAVERSO LE SUE TESTIMONIANZE PITTORICHE di Tommaso Evangelista e Ulderico lorillo pag. 76

 

CHIESE, MONASTERI ED EREMI DI ISERNIA di Enza Zullo pag. 88

 

ISERNIA: NARRATIVA, POESIA, TEATRO di Giambattista Faralli pag. 96

 

FESTE, FIERE, CULTI E PROCESSIONI di Mauro Gioielli pag. 102

 

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