I CARÎ IN IRPINIA

PER LA STORIA DI VILLANOVA già Polcarino Schiavone in provincia di Avellino

 

Giuseppe Jorizzo

 

 

Atti della società storica del Sannio, Anno V, fascicolo III - Settembre-Dicembre 1927, 155-162

 

 

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Una cimosa leggenda, che ha substrato credibile nelle istorie Orientali ed addentellato nella Toponomia nostrana, fa supporre che una ondata di Carï Lelegi, Semiti grecizzati, non sappiamo se provenienti dalle coste occidentali dell’Asia o dai paesi Adriatici ove rimangono il loro nome, prima assai che Roma nascesse, approdarono in Italia su carene di cui erano essi medesimi abili costruttori e colle quali infestavano le terrò Jonie ed Adriatiche, veri e propri pirati marittimi e fluviali.

 

Essi, col pretesto del traffico, penetravano nelle terre straniere, adescando ed assoggettando scaltramente gl’indigeni, sospingendoli, risospinti essi medesimi, se non assorbiti, da nuovi invasori.

 

Così pei fiumi nostri che han foce in Puglia e pei facili valichi, da loro battezzati coi nomi che ancora portano, sibbene dal tempo alquanto trasformati, salirono sullo Spartiacque Danno-irpino, di dove scesero nell’opposto versante, fondando nelle pianure fluviali nostre le loro prime colonie dette Cariopolies. Questi Carï o Charri (Arïas), come poi i Magno-greci, distinguevano le loro possessioni secondo il numero dei centri abitati o polis. Di qui i nomi di Monopoli... Pentapoli... Esapoli ecc.

 

I paesi cariani siano essi semplici polis ovvero Polies, crebbero poco a poco, a misura che la popolazione aumentava di qualche migliaio e si espandeva verso le foci dei fiumi campani, dei quali sono tributarie le nostre fiumare.

 

Se bene si studi la Toponomastica e la geografia universale colla filologia comparata dei diversi popoli,

 

 

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si vedrà che molto ancora, dopo millenni, resta dei Carï o Pelasgi (?) in tutta Italia litoranea e fluviale e più specialmente in questa bassa Italia da Leuca a Gaeta, da Pescara a Melito Calabro.

 

Chi non mi creda perchè io —non dotto nè poliglotta, nessuna autorità mi arrogo, — prenda il cariano Erodoto, storico accreditato e lo abbia per indice nelle ricerche etnografiche; così riluca quella verità a cui penso scrivendo e che intravidi nella frammentaria e disordinata mia lettura dilettosa, che i volenterosi potranno controllare e rifare, di moderni autori di storie orientali.

 

Una Esapoli Hariana animò —si argomenta, le vallate della fiumara nostra detta già Bella o Avella ch’ ebbe da ambo le rive dei paghi (polis) dipendenti da un Oppido o Larissa principale (Acropoli) sita in alto sul Trave in uno dei punti più avvistati tra Ariano e La Molara. Ed ivi surge dappoi una grande città sannita-lucana od Apulo-campana ch’io vorrei poter dire Hirpina, la quale i Romani annientarono, facendo sì che col nome si sperdesse anche la traccia del sito: feroce ed orrenda vendetta di cui solo gli onnipotenti Quiriti eran capaci !..

 

Difficile è poter oggi dire — a millenni di distanza da quell’ epoca oscura e favolosa, ove furono quelle borgate, tre delle quali quasi identificate nell’ agro nostro attuale: Potidea o Palum (S. Potito); Kymei (Sancomajo - Viceria); Sápoli o Rumánio-Gravizza (1). Quest’ultima in mezzo fra le due e quasi confinante coll’ abitato odierno, è ricca ancora di fossili preistorici. E significativo dev’ essere per lo studioso di storia locale il nome di Saboli dato al colle su cui è il Municipio, nome confondibile con Sableta, monte che diede luogo al castello dei conti d’Ariano, fatto distruggere da papa Sergio IV (a. 1009-12 di C.). Su questo monte sarebbe pur esistito un tempio di Carna o Carnale sposa di Giano bifronte, adorato ivi col titolo di Sab-laedo e Sab-laeto, dio di guerra e di pace e quindi di lutto e di letizia !

 

Questo accenno a Giano che fu Dio romano tratto dalla mitologia etrusca,

 

 

(1) Detta pure Galazizza e ricorda una Larissa, (in nota) come la odierna Lorizza di Flumeri.

 

 

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ci mostra già la vicina parentela degli Etruschi coi Pelasgi e di questi coi Carï coi quali si confondono, dai quali sarebbero derivati gli Arianesi, che da Giano, re o dio che fosse, si presunsero protetti. E la leggenda che fu Zungoli paese dei Gianiquoli o Gianuncoli (per sincopazione e metatesi; Ciungoli, Zungoli) fa pensare al Lars o piccolo Re della nostra Esapoli (’Sapoli) Cariane, ch’ebbe la sua Larissa, come ho già detto, nell’agro zungolese, un tempo unito al nostro, entrambi come una porziuncola della incognita rivale di Roma che ci si addita con paurosa titubanza nel luogo detto La Civita Alta tra Zungoli, Anzano, Bisaccia, S. Sossio; civita che secondo la toponomia locale potrebb’ essere Longula o Lanuvio o Milonia o Amnia o Romulea?

 

I Carï, siano essi Semitici o Giapetici (data l’origine unica dell’ Umangenere secondo la Bibbia, anch’ essa fonte storica autorevole) se furono grecizzati, devono reputarsi greci — non più eccellenti dominatori come in origine ebbe a significare il loro nome (Arias o Saira), ma dominati, se non asserviti come i Parta, gl’iloti, gli Schiavi asiatici, ellenici, latini.

 

Essi dall’ Asia minore o da altro luogo ove i Greci li aveano confinati, a scopo di conquista sia pur della propria libertà, in epoche diverse, si mossero per infestare l’Europa orientale prima di passare in Italia et ultra, onde colla scorta della Toponomia, come dissi, se ne può rintracciare il cammino dall’Egeo all’Adriatico.

 

Io, in verità, una storia esclusivamente dei Carï ancor non l’ ho letta; neppur quella che si attribuiva al nostro Mancini, seminarista in Ariano di Puglia, quando colà fiorivano gli studi; nè ebbi agio di trovarne qualcuna segnata in tantissimi cataloghi di storie. Ciò non di meno, per affermare quanto qui si contiene, mi bastarono principalmente i pochi cenni che ne danno nelle loro storie; Hertzberg, Sestan, Hanslik, Kohn, Clauber, Duruy, Pütz.

 

Io non confuto nulla di quanto scrissero gli storici sulla origine degl’italiani; ma dico con Hertzberg ch’Elleni e Pelasgi sono la stessa cosa, lo che è anche biblico.

 

 

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Suppongo che Tito Livio alluda ai Cari quando nomina i Sanniti Caraceni o Caraseni ossia Sanniti etruschi o Cariosanniti: ecco la parentela fra Etruschi e Sanniti: ma i Sanniti sono Sabelli e questi sono Semiti come i Carï, i Lidï, Fenici. Prego i curiosi che han la Bibbia annotata da Monsignor Martini a leggere il cap. X del Genesi, testo e note relative a’ versetti segnati specialmente coi n.° 7 e successivi fino al 25°: vedran quali sono i ceppi da cui spuntarono i nomi delle Nazioni dopo il diluvio. Tra gli altri vi sono questi nomi: Saba, Sabatha, Arphaxad, Gether, Phaleg, Ophir, Heber, Sale.

 

e Saba, secondo S. Girolamo, generò i Sabei dell’Arabia. Sabatha, da lui vennero i Sabatei, anche Arabi. Sabathaea, questi secondo Bochart, passato dalla Arabia nella Caramania vi lasciò memoria del suo nome. Nella Caramania è la città e il fiume Sabis. Arphaxad ha in se la parola greca Arpazo. Gether, per S. Girolamo stesso, sarebbe padre degli Acarnani e dei popoli della Caria, quelli nell’ Epiro, questi nell’ Asia minore. Phaleg, (divisione delle razze, lingue ec. sulla Terra) affine alla parola Falisci ed a Pelasgi. Ophir è una trasformazione per metatesi di Hirpo. Heber (da cui derivò Ebrei, Iberi) figliuol di Sale da cui uscirono i susiani della città di Sela sul fiume Eleo; da Eber s’ebbe poi Abramo.

 

I Pelasgi d’ Italia sono gli Heloti o Ilote di Hellenia. Iloti — letto alla maniera etrusca od araba, a rovescio, è lo stesso che Itoli con cui s’ intese chiamare i vitelli ed anche in senso allegorico i cornuti, ma, lavato nelle onde tiberine, questo nome divenne Itoli, ossia Numi, così come avea voluto il sommo Apollo !

 

Da quanto si è detto noi potremmo credere che fummo prima Cario-achei, poi Elleni-iloti, indi Italo-irpini, attraverso iridescenti concatenate trasformazioni della primitiva genesi indo-europea. Chi ci dice che i nostri prischi arcavoli su questa terra montuosa e centrale ad e guai distanza dai mari Adriatico e Tirreno e poco più in su dal Jonio, non furono proprio i turbolenti Parteni prima ancora che fondassero Taranto che coi suo vero primitivo nome Taras potrebbe ricordare anche la fenicia Tiro?

 

 

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O perché si chiama Partenio il nostro glorioso e sacro monte Vergine ? ch’ io ho ragion di credere sia stato il centro anfizionale cariano di tutta la vera antichissima Italia

 

Ch’ è quel corno d’ Ausonia che s’imborga

Di Bari, di Gaeta e di Crotona

Da ove Tronto e Verde in mare sgorga (1).

 

Vennero i Carï in Irpinia motu proprio come la parte libera d’un popolo avido di miglior fortuna o come la parte soggetta ai Greci e ad essi ribelle, o furono di questi una scolta ?

 

Secondo la leggenda essi precedettero i Magno-greci dai quali furono premuti quando dal mar di Puglia penetrarono pure essi nella nostra regione che dovettero chiamare Arpinia (dal greco Arpazo, rapire) perché era ubertosa ed ebbero tosto di che campare grasciosamente. Carpinia o Harpinia potrebbe avere indicato una Cariana terra montuosa e forestale i cui pinnacoli s’ergevano come s’ergono pittorescamente belli da incantare e quasi rapire per meraviglia ! Certo le selvose e coltivate cime del nostro romantico Appennino dai facili guadi non sono le brulle ed erte rocce infertili della Grecia.

 

A ricordare l’antico voluto nome di Arpinia restano da per ogni dove le denominazioni di Carpine e Carpineti date a contrade ed a fontane; di Carpignano, Caprignano ad affluenti dell’ Ufeta; di Carpino, Arpino, Arpi, Arpaja dati a paesi; di Arpi, Arbi, Arvi, dell’Ufeta stessa.

 

Accolgo la tesi del Guarini e del Biondo, seguiti dal Jannacchini, che accenna ad Harpa come metatesi di Hirpa e metto Plinio, che parla di Arpaja, contro Strabone, essendo vero e storicamente dimostrato come dalle colonie greche o fenicie nascessero altre colonie; però non da Arpaja nacque Arpinia, ma da questa quella cioè dagli Arpini Arpaja: da Car-phoenos ossia Cario fenici, gl’Irpini.

 

 

(1) Divina Commedia.

 

 

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Ariano si sarebbe chiamato già Cariano e Hariano come da Ariano nacque Arianello di Lapio, ch’ è la voluta Sepia da Ariano distrutta. In Ariano, nel sito centrale, presso la cattedrale c'è l’antico rione Carnale e nell’agro arianese c’è la contrada Cariello come a Villanova ed in altri paesi ci sono le contrade Carielle; e vi è verso Grottaminarda Cardito. Nella storia di Greci, comune confinante con Ariano lessi il nome della contrada Pedicario; il fiume Cervaro che nasce, come accenna Lhafforello (vol. 2, pag. 202) sul monte Sabletta (1) nel confondersi con Calaggio piglia nome di Carapella. Sabato fiume, Savignano paese da Sab., come le contrade: Sabella, Sabucito, Sabini, Sabatino di altri paesi e del mio tenimento, Carlagio e Carlazio.

 

Pertano nomi cariani o greci: Foggia da Focía o Fovía, Troja, già Acca, da Troisi, Accadia da Accad, Melito da Mileto, Calitri da Callidrom, Cairano da Koiranos, Cerignola da Oeraunia, Conza da Cos o da Chonzu, Lucera da Luxor, Sora da Surias, Clima da Kyme... e, per dirne lino solo dell’Alta Italia: Milano già Mediolanum da Mitilene.

 

Nè dovrebbe meravigliare più la derivazione di Avella ed Avellino da Belo o Abel parole bibliche già cariane-sanscrite come i nomi dei nostri torrenti Bella e Lavello che io dissi derivare dallo slavo Biel (bianco): anche gli slavi sono ariani per moderni glottologi.

 

Si è menato scalpore perchè un capitano di carabinieri, la f. m. di Trivero Quirino, disse l’Irpinia popolata in principio da colonie arabe e greche. Anche il Barbalato dice la stessa cosa in un suo libro di scuola elementare. «Ma sì, ma sì, mi diceva una volta il nostro Mancini, anch’io affermai ciò quando giovanetto scrivevo la storia orientale antica».

 

La separazione dell’ Umanità, generatrice delle razze (Fhaleg) che diversificò la lingua, producendo il confusionismo Anagrafico appunto detto Babel, tutto giustifica, tacendo o favoleggiando la scoria.

 

Perciò quando la Toponomia, non violentata, ci si mostra semplice e schietta,

 

 

(1) Strafforello, Geogr. univ.

 

 

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per essere illustrata, i dotti poliglotti devono raccoglierla, discuterla, genuinamente riaffermarla a vantaggio e compimento della Storia ch’ è di sua natura eterna e verace, non volubile e bugiarda, nè compiacentemente adattabile, se si vuole che sia maestra di vita. In ciò soccorra, ripeto, la filologia comparata e, ciò che sembra cosa meschina ed è grandiosa, il folklore universale!

 

Arabi, Fenici furono in Italia, che fu una delle isole delle Nazioni pel popolo Ebreo, col nome di Iberi da Heber come fu pure chiamato il Kabiro Abramo. Non dice il Jannacchini che la nostra Ufeta (fiume Arvi o Arpi o Arbi) è di origine araba nel suo nome?

 

Non mi dite che la bibbia è un libro recente nè che gli Ebrei sono un popolo giovine stazionario da non confondersi cogli Ellenici cariani ! Vi rispondo: no, Ebrei ed Elleni sono fratelli gemelli come procedenti da Noè. Gli Ebrei sono il sal della Terra e sono sempre presenti nel tempo e nello spazio.

 

Essi non sono più una Nazione, ma di tutte le Nazioni furono, sono e saranno lo spirito. Che dice d'essi il sommo glottologo Trombetti ch’ io non lessi ancora ? Si uniforma egli o dissente dal divino nostro Alighieri che ci si palesa tutto intero a proposito nel suo vulgare eloquio?

 

Sarò grato a chi mi risponda.

 

Avea ragione l’autor della Protegea, l’Ariosto delle Calabrie, l’acritano Vincenzo Padula, già professore nel R. Liceo di Benevento, quando mi disse che in Irpinia come in Brezia, come in tutto il Meridionale magnogreco si è più semiti e greci che Italici.

 

Ciò deve dare a pensare più che a celiare e riderne. Romolo come Mosè fu salvato dalle acque; Davide e Manlio Torquato trionfarono dei giganti quasi omonimi: Goliat ed il Gallo; Cristo come Romolo nacque da una vergine, come i Parteni (Cario-greci) di cui dirò altra volta. E prima di concludere domando: Chi ha pensato mai che Acca Laurenzia (la Lupa) nutrice di Romolo e Remo fu una Lucana o Irpina? Ebbene ve lo dico io e’voglio credito!

 

Se non mi credete, accomodatevi, non me ne offendo,

 

 

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perchè io neppure vi credo quando voi con prosopea accademica, mi parlate dei primordi di Roma ch’essa stessa fu cariana, se Virgilio ha ragione colla sua Eneide ch’ è più storia delle altre storie.

 

Villanova del Battista, 24 luglio 1927.

 

GIUSEPPE JORIZZO

 


 

 

Atti della società storica del Sannio

Anno V, fascicolo III - Settembre - Dicembre 1927 

 

Diretti dal Prof. Antonio Jamalio

 

SOMMARIO

 

1. V. Acocella - Il Gastaldato e la Contea di Conza fino alla caduta della Monarchia Sveva.

2. F. Scandone - Cronache del Giacobinismo Irpino.

3. G. Cangiano - Sulla leggenda della Vipera e delle Streghe in Benevento.

4. A. D’Amato - Quarto saggio di Bibliografia ragionata del la Provincia di Avellino.

5. Abele De Blasio - Sebastiano Guidi.

6. Michele Manfredi - Luigi Minichini e la Carbonerìa a Nola.

7. Giuseppe Jorizzo - I Carî in Irpinia.

8. A. Jamalio - Giovanni Olivieri.

9. Bollettino.

 

Cooperativa Tipografi - Chiostro S. Sofia - Benevento

 

Ristampa anastatica

a cura di Edizioni Torre della Biffa e A.G.M. Editoriale Poligrafica

 

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