SCIENZE STORICHE - 31

 

Culti precristiani nella regione garganica

 

Domenico Lassandro

 

In: Santuari e politica nel mondo antico, a cura di Marta Sordi

Contributi dell’Istituto di storia antica. Volume nono

 

Vita e Pensiero. Pubblicazioni della Università Cattolica del Sacro Cuore

Milano 1983

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    Indice  —  Presentazione

 

PARTE TERZA. Un esempio di continuità religiosa dall’antichità al medioevo: il santuario garganico:

 

 

Culti precristiani nella regione garganica

 

DOMENICO LASSANDRO

 

 

            1. Prima che la devozione per l'arcangelo Michele rendesse famoso nel Medioevo cristiano il promontorio del Gargano [1],

 

 

1. Il massiccio garganico fu sempre considerato dagli antichi come parte integrante del territorio apulo. Cfr., ad esempio,

Nei poeti ricorrono spesso espressioni relative alla boscosità e alla tempestosità del Gargano:

 

 

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in terra dauna erano presenti fin dall’epoca della colonizzazione greca vari culti, il cui carattere essenzialmente iatrico sembra trovare in seguito una corrispondenza tipologica nel culto micaelico, sostituitosi probabilmente ai primi, nel V secolo d.C. [2]. Il più diffuso tra i culti della Daunia risale alle leggende collegate con i νόστοι degli eroi greci ed è quello di Diomede [3], il re di Argo, condottiero, secondo l’omerico Catalogo delle navi, della fiotta argiva a Troia [4].

 

Terminata la guerra troiana, egli partì per la patria e di qui, dopo aver evitato la morte voluta da Afrodite e preparatagli dall’infedele moglie Aigialea [5], salpò in direzione dell’Italia [6]. Nell’isola di Corcira uccise il dragone di Colchide [7] e infine giunse in terra dauna,

 

 

2. Il culto micaelico sul Gargano risale agli inizi del V secolo d.C.: sul problema cfr. G. Otranto, Il 'Liber de apparitione’, il santuario di san Michele sul Gargano e i Longobardi del Ducato di Benevento, in questo volume, pp. 210-245. La composizione del Liber invece va fatta risalire, nel suo nucleo originario, al VI secolo; successivamente il testo subì processi di reductio e di amplificatio (cfr. A. Quacquarelli, Gli apocrifi nei riflessi di un graffito del Calvario e il ‘Liber de apparitione’, in Il santuario di S. Michele sul Gargano dal VI al IX secolo. Contributo alla storia della Langobardia meridionale (Atti del convegno tenuto a Monte Sant’Angelo il 9-10 dicembre 1978, a cura di C. Carletti e G. Otranto), Bari 1980, p. 239.

 

3. La tradizione è frammentaria ed è ricostruibile attraverso scoliasti, mitografi, poeti greci e latini, tra i quali in primo luogo l’enigmatico ed eruditissimo Licofrone («Salebrosum carmen» ha opportunamente definito l’Alexandra E. Scheer nei Prolegomena all’edizione degli scoli, Berlino 1958 - rist. dell’edizione del 1908 -. p. v). L’autore dell’« opera più singolare della poesia alessandrina » (A. Lesky, Storia della letteratura greca, trad. it., iii, Milano 19652, p. 924) è per noi fonte primaria anche per gli altri culti della Daunia.

 

4. Hom. Il. ii, 559 ss.

5. Diomede aveva ferito Afrodite (Hom. Il. v, 336), che si vendicò rendendogli infedele ed ostile la moglie (Lycophr. 610-614).

 

6. Il più antico riferimento al viaggio di Diomede in Italia è probabilmente in Mimmerno, frg. 22 West, p. 90: τὸν δὲ καταφυγόντα εἰς τὸν βωμὸν τῆς Ἥρας διὰ νυκτὸς φυγεῖν σὺν τοῖς ἑταίροις καὶ ἐλθεῖν εἰς Ἰταλίαν πρὸς Δαῦνον βασιλέα, ὅστις αὐτὸν δόλῳ ἀνεῖλεν (Diomede sfugge alla morte, rifugiandosi presso l’altare di Era e poi salpa per l’Italia).

 

7. Tim. et Lyc. Reg. apud Schol. et Tzetz. ad Lycophr. 615 (ed. Scheer, pp. 207-208).

 

 

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ove fondò le città di Arpi [8], Elpie, Canosa, Siponto [9]. Aiutò il re indigeno Dauno in guerra contro i Messapi, ne sposò la figlia [10] e divise il potere con lui. Fu sepolto in una delle isole Tremiti [11].

 

Il culto di Diomede era assai diffuso in Puglia e non solo in Puglia [12]: tracce sono state rinvenute a Canosa, Siponto [13], Brindisi [14], Taranto [15], Metaponto [16], nel territorio dei Peuceti [17], nel Sannio [18], nel Lazio [19], tra gli Umbri [20] e perfino

 

 

8. Verg. Aen. xi, 243 ss.: «Vidimus, o cives, Diomedem Argivaque castra... / Ille urbem Argyripam, patriae cognomine gentis / victor Gargani condebat Iapygis agris»; poco prima in Aen. xi, 226 ss. Diomede aveva rifiutato l’invito dei Latini a partecipare alla guerra contro Enea: «Maesti magna Diomedis ab urbe / legati responsa ferunt.../... nil dona nec aurum / nec magnas valuisse preces». Sui contatti tra la leggenda di Diomede e quella di Enea, cfr. F. Della Corte, La mappa dell’Eneide, Firenze 1972, pp. 70 ss.; E. Paratore, La leggenda apula di Diomede e Virgilio, «Archivio Storico Pugliese», 6 (1953), 34-42.

 

9. Serv. ad Aen. xi. 246: «Diomedes fuit de civitate quae Argos Hippion dicitur, de qua Homerus Ἄργεος ἱπποβότοιο, Horatius aptum dicet equis Argos. Hic in Apulia condidit civitatem, quam patriae suae nomine appellavit et Argos Hippion dixit: quod nomen postea vetustate corruptum est, et factum est ut civitas Argyrippa diceretur: quod rursus corruptum Arpos fecit. Sane Diomedes multas condidisse per Apuliam dicitur civitates, ut Venusiam, quam in satisfactionem Veneris, quod eius ira sedes patrias invenire non poterai, condidit, quae Aphrodisias dieta est. Item Canusium Cynegeticon, quod in eo loco venari solitus erat: nam et Garganum a Phrigiae monte Gargara vocavit. Et Beneventum et Venafrum ab eo condita esse dicuntur».

 

10. Anton. Liber. 37.

11. Così tramanda Lieo di Reggio, padre adottivo di Licofrone e probabile fonte di Timeo (frg. 3 Iacoby).

12. Cfr. G. Giannelli, Culti e miti della Magna Grecia. Contributo alla storia più antica delle colonie greche in Occidente, Firenze 19632, pp. 53 ss.; J. Bérard, La colonisation grecque de l'Italie méridionale et de la Sicile dans l’antiquité: l’histoire et la légende, Paris 1941, pp. 385 ss.; L. Braccesi, Grecità adriatica, Bologna 19792, pp. 58 ss.

13. Strabo vi, 3,9 e Ps.-Arist. De mirab. ausc. 109.

14. A Brindisi Diomede è legato alle più antiche tradizioni e sta a simboleggiare probabilmente le lotte dei Greci contro i Messapi, signori della città (cfr. Giannelli, Culti..., p. 56).

15. Cfr. ibi, pp. 53 ss.

16. Cfr. ibi, pp. 61 ss.

17. Ps.-Arist. De mirab. ausc. 110.

18. A Benevento, Equus Tuticus, Venafro: Sol. 2,10; Serv. ad Aen. viii, 9; xi, 246.

19. A Lanuvio: App. B.C. ii, 20.

 

 

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tra i Veneti [21] (ove era presente il culto di un altro eroe greco, Antenore, il mitico fondatore di Padova). Furono i colonizzatori rodio-eoi a importare, soprattutto in Daunia, il culto diomedeo [22]. Ma anche gli abitanti di Corcira [23], assai attivi in Adriatico dal VI secolo in poi, e i Siracusani [24] del tempo di Dionigi il Vecchio contribuirono alla diffusione del mito.

 

Tra gli aspetti della leggenda diomedea particolarmente interessante appare quello relativo alla trasformazione dei compagni dell’eroe in uccelli, narrato da Licofrone [25], Virgilio [26] Ovidio [27], Strabone [28] e Agostino [29] (il quale ultimo inserisce il mito di Diomede

 

 

20. A Spina: Scylax, Periplus 16 (Geogr. Gr. min. i, 24); Plin. N.H. iii, 120.

21. Strabo v, 1,9 e vi, 3,9.

22. Vitruv. i, 4,12; Steph. Byz. s.v. Ἐλπα. Conferma la colonizzazione rodiocoa il culto di Podalirio, proveniente appunto da quella regione.

23. Cfr. Giannelli, Culti..., p. 59.

24. Cfr. Braccesi, Grecità adriatica, p. 59, e M. Sordi, I rapporti romanoceriti e l’origine della civitas sine suffragio, Roma 1960, p. 161.

25. Alexandra 592-609.

26. Verg. Aen. xi, 271 ss.: «Nunc etiam horribili visu portenta sequuntur / et sodi amissi petierunt aethera pennis / fluminibusque vagantur aves (heu, dira meorum / supplicia!) et scopulos lacrimosis vocibus implent».

 

27. Ovid. Met. xiv, 498ss.: «Vox pariter vocisque via est tenuata, comaeque / in plumas abeunt, plumis nova colla teguntur / pectoraque et tergum, maiores bracchia pennas / accipiunt, cubitique leves sinuantur in alas; / magna pedis digitos pars occupat, oraque cornu / indurata rigent finemque in acumine ponunt». Sui versi ovidiani cfr. R. Lamacchia, Precisazioni su alcuni aspetti dell’epica ovidiana, «Atene e Roma», 14 (1969), 1-20.

 

28. Strabo vi, 3,9: Ἐν ῇ [= in insula, una delle isole Tremiti] καὶ τὸν Διομήδη μυθεύουσιν ἀφανισθῆναί τινες καὶ τοὺς ἑταίρους ἀπορνιθωθῆναι, καὶ δὴ καὶ νῦν διαμένειν ἡμέρους καὶ βίον τινὰ ζῆν ἀνθρώπινον τάξει τε διαίτης καὶ τῇ πρὸς ἀνθρώπους ἡμερότητι τοὺς επιεικεῖς, ἀπὸ δὲ τῶν κακούργων καὶ μιαρῶν φυγῇ.

 

29. Aug. Civ. xviii, 16: «Nam et Diomeden fecerunt deum, quem poena divinitus inrogata perhibent ad suos non revertisse; eiusque socios in volucres fuisse conversos non fabuloso poeticoque mendacio, sed historica adtestatione confirmant; quibus nec deus, ut putant, factus humanam revocare naturam vel ipse potuit vel certe a love suo rege tamquam caelicola novicius impetravit. Quin etiam templum eius esse aiunt in insula Diomedea, non longe a monte Gargano, qui est in Apulia, et hoc templum circumvolare atque incolere has alites tam mirabili obsequio ut aquam impleant et aspergane et eo si Graeci venerint, vel Graecorum stirpe prognati, non eolum quietas esse, verum et insuper adulare; si autem alienigenas viderint, subbiare ad capita tamque gravibus ictibus, ut etiam perimant, vulnerare. Nam duris et grandibus rostris satis ad haec proelia perhibentur armatae».

 

 

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nella storia della civitas saeculi huius [30]) in maniera sostanzialmente uguale [31]. In Licofrone e Agostino (e quindi nelle rispettive fonti, Timeo e Varrone [32]) questi uccelli sono apertamente antibarbari e filelleni, in Strabone invece non appare il filellenismo, ma un più generico atteggiamento positivo nei confronti degli ἄνθρωποι ἡμερότητι ἐπιεικεῖς e negativo nei confronti dei κακοῦργοι. Questo atteggiamento delle aves Diomedeae nasconde probabilmente il ricordo delle lotte tra Greci e Illiri per il predominio delle coste adriatiche [33].

 

Vi è poi nella leggenda di Diomede in Daunia un altro aspetto, che, come vedremo, pare rinvenirsi nella tradizione successiva, fino al Liber de apparitione s. Michaelis [34].

 

 

            2. Un altro importante culto in Daunia era quello per Atena Iliaca, della quale, secondo Strabone vi, 1, 14, esisteva un santuario a Lucerà: καὶ γὰρ ἐν Ῥώμῃ καὶ ἐν Λαουινίῳ καὶ ἐν Λουχερίᾳ καὶ ἐν Σειρίτιδι Ἰλιὰς Ἀθηνᾶ καλεῖται, ὡς ἐκεῖθεν κομισθεῖσα. Anche Ebano ricorda resistenza del santuario senza menzionare però la località precisa [35].

 

Strettamente unito al culto di Atena Iliaca era quello per Cassandra:

 

 

30. Sulla leggenda di Diomede in Agostino, cfr. M. Marin, Agostino e la leggenda di Diomede in Apulia (civ. XVIII, 16 e 18), «Vet. Christ.», 15 (1978), 263-293.

31. Lo scoliasta di Licofrone (ad 594, ed. Scheer, p. 204) pone il prodigio della trasformazione dei compagni di Diomede dopo la morte dell’eroe. Ricordano la metamorfosi anche Ps.-Arist. De mir. ausc. 80; Plin. N.H. x, 126; Eliano De nat. anim. i, 1; Steph. Byz. s.v. Διομήδεια. Sulla natura di questi uccelli vi è discordanza, per Plinio sono simili alle folaghe, per Licofrone e Ovidio sono simili ai cigni. Per Plinio poi sono stanziati nelle Tremiti (N.H. iii, 151; x, 127).

32. Agostino utilizza soprattutto il perduto De gente populi Romani. Cfr. l’edizione dei frammenti a cura di P. Fraccaro, Studi varroniani. De gente populi Romani libri IV, Padova 1907 (rist. Roma 1966). Cfr. inoltre B. Riposati, La fortuna dei frammenti ’storici’ di Varrone Reatino, «Studi Urbinati», 49, nuova serie B n. 1 (1975) = Atti del convegno «Gli storiografi latini tramandati in frammenti», Urbino 9-11 maggio 1974, pp. 319-329.

33. Cfr. E. Ciaceri, La Alessandra di Licofrone, testo, traduzione e commento, Catania 1901, rist. Napoli 1982, p. 220 (nota al v. 605).

34. v. oltre p. 209.

35. De nat. anim. xi, 5; racconta sempre Eliano che i cani custodi del santuario avevano un atteggiamento ostile nei confronti dei βάρβαροι, il che li faceva assomigliare alle aves di Diomede.

 

 

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ad Elpie vi era un tempio a lei dedicato, nel quale trovavano rifugio e protezione le fanciulle daune ostili al matrimonio, Licofrone, che ha come fonte Timeo, attesta resistenza di questo culto nel IV secolo a.C. [36].

 

I culti di Atena Iliaca e di Cassandra vanno intesi come un culto unico: al più antico di Pallade si sarà sovrapposto in età più recente - VII-V secolo a.C., forse con i Locresi, discendenti di Aiace di Oileo, il violatore di Cassandra — quello dell’infelice figlia di Priamo [37]. L’analogia tra la condizione di Cassandra e quella delle fanciulle daune costrette alle nozze è evidente: come Cassandra trovava protezione in Pallade, così le fanciulle della Daunia trovavano protezione in Cassandra.

 

 

            3. Nella regione garganica vera e propria, cioè sul promontorio e precisamente nella parte prospiciente il golfo di Siponto (la zona dove attualmente sorge l’abitato di Monte Sant’Angelo) e ai piedi del monte (l’attuale vallata di Mattinata) erano presenti due culti, strettamente collegati tra loro: in onore dell’indovino Calcante e del medico Podalirio.

 

Calcante [38], figlio di Testore, è il noto personaggio omerico; è colui che predice la pestilenza incombente sui combattenti dell’esercito greco [39] e che svela la durata delle azioni di guerra [40]. Nell’Agamennone di Eschilo è presente al sacrificio di Ifigenia [41] e nel racconto virgiliano di Sinone è colui che, interpretando i segni terribili provenienti dal Palladio rapito, quali il lampo negli occhi di Atena, il sudore e il triplice balzo, ordina ai Greci di salpare da Troia, non senza aver costruito prima l’immensa mole del cavallo [42].

 

 

36. Alexandra 1128-1140. Su Timeo fonte di Licofrone cfr. Ciaceri, La Alessandra..., pp. 18 ss. e bibliografìa ivi citata.

37. Cfr. Giannelli, Culti..., p. 32; Id., Coloni greci nella Daunia tra l’VIII e il V secolo a.C., «Archivio Storico Pugliese», 6 (1953), 32.

38. Cfr. Stoll-Immisch, s.v. Kalchas, in W.H. Roscher, Ausführliches Lexicon der griechischen und römischen Mythologie, n. 1, Leipzig 1884, coll. 921-924.

39. Hom. Il. i, 69 ss.

40. Hom. Il. ii, 300 ss.

41. Aesch. Ag. 198 ss.

42. Verg. Aen. ii, 176 ss.

 

 

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Secondo Strabone Calcante mori in Cilicia, a Colofone, dopo aver incontrato Mopso, indovino più bravo di lui [43]; secondo un’altra versione morì per l’eccesso di riso causatogli da una profezia che prediceva la sua morte [44]: il suo mito era localizzato nella Siritide [45] e soprattutto nella Daunia.

 

Podalirio [46], figlio di Asclepio, medico insieme a suo fratello Macaone [47], proviene da Cos: i due fratelli partecipano alla spedizione troiana rivelandosi valorosi guerrieri [48]. Carattere essenziale del culto di Podalirio è l’aspetto iatrico: il figlio di Asclepio appare, più dello stesso padre [49], il personaggio più importante del γένος medico ed eroico degli Asclepiadi, quel γένος cui appartenne il più grande medico dell’antichità, Ippocrate [50].

 

Due sono le testimonianze fondamentali sui culti di Calcante e Podalirio nel Gargano, ed in entrambe le due divinità sono associate: la prima è nei versi 1047-1055 di Licofrone:

 

Ὁ δ’ Αὐσονείων ἄγχι Κάλχαντος τάφων

δυοῖν ἀδελφοῖν ἅτερος ψευδηρίων

ξένην ἐπ’ ὀστέοισιν ὀγχήσει κόνιν.

δοραῖς δὲ μήλων τύμβον ἐγκοιμωμένοις

χρήσει καθ’ ὕπναν πᾶσι νημερτῆ φάτιν,

νόσων δ’ ἀκεσπὴς Δαυνίονς κληδήσιεται,

ὅταν κατικμαίνοντες Ἀλθαίνου ῥοαῖς

 

 

43. Strabo xiv, 1,27.

44. Serv. ad ecl. 6,72.

45. Come attesta Licofrone 978 ss., che pone nella Siritide il cenotafio di Calcante. Cfr. Ciaceri, La Alessandra..., p. 281 (nota al v. 980).

46. Cfr. Turk, s.v. Podaleirios, in Roscher, Lexicon..., iii, 2, coll. 2586-2591 e A. Russi, Un Asclepiade nella Daunia. Podalirio e il suo culto tra le genti daune, «Archivio Storico Pugliese», 19 (1966), 275-287.

47. Hom. Il. ii, 731-732; Dictys Cretensis 1,14: «[Podalirio e Macaone] adsciti... ob sollertiam medicinae artis»; in Hom. Il. iv, 200 Macaone guarisce Menelao; in Soph. Phil. 1333 Filottete è curato da Macaone e Podalirio.

48. Hom. Il. xi, 506: Macaone ferito da Paride; Il. xi, 833: Podalirio guerriero impegnato.

49. Secondo Pausania, i, 21,4 nel tempio di Asclepio in Atene oltre alla statua di Asclepio vi erano quelle dei suoi figli.

50. Cfr. M. Gamberale, Ricerche sul γένος degli Asclepiadi, «Rendiconti Accademia dei Lincei», 33 (1978), 83-95.

 

 

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ἀρωγὸν αὐδήσωσιν Ἡπίου γόνον

ἀστοῖσι καὶ ποίμναισι πρευμενῆ μολεῖν.

 

La seconda testimonianza è di Strabone vi, 3,9:

 

Δείκνυται δὲ τῆς Δαυνίας περὶ λόφον, ᾧ ὄνομα Δρίον, ἠρῷα, τὸ μὲν Κάλχαντος ἐπ’ ἄκρᾳ τῇ κορυφῇ · ἐναγίζουσι δ’ αὐτῷ μέλανα κριὸν οἱ μαντευόμενοι, ἐγκοιμώμενοι ἐν τῷ δέρματι · τὸ δὲ Ποδαλειρίου κάτω πρὸς τῇ ῥίζῇ, διέχον τῆς θαλάττης ὅσον σταδίους ἑκατόν · ῥεῖ δ’ ἐξ αὐτοῦ ποτάμιον πάνακες πρὸς τὰς τῶν θρεμμάτων νόσους.

 

Gli elementi caratterizzanti questo duplice culto, anch'esso di provenienza rodio-coa [51], appaiono chiaramente di carattere iatrico: la sua essenza consiste infatti nell’impetrare la liberazione dai mali degli uomini e del bestiame, attraverso le proprietà terapeutiche dell’acqua. Rito centrale in questo culto poi è l’incubatio, consistente nel dormire di notte avvolti in una pelle di animale, prima di ricevere al mattino successivo il responso del dio.

 

Strabone attesta la presenza di due santuari, l’uno in alto, sulla sommità del colle, dedicato a Calcante [52] e l’altro in basso, dedicato a Podalirio. Licofrone è più generico e parla solo di una vicinanza tra il cenotafio dell’indovino greco e il luogo sacro al medico Asclepiade [53]. Entrambi comunque tramandano la notizia relativa all’acqua terapeutica e all’incubatio.

 

 

51. Afferma G. Pugliese Carratelli, Lazio, Roma e Magna Grecia prima del secolo IV a.C., «La Parola del Passato», 23 (1968), 325: «Ad Elpie, proprio nella zona dei due heroa la tradizione ricordava l’arrivo di coloni da Rodi e da Cos; e nella regione verso cui gravitavano queste isole, la Caria, anzi nella zona di Iasos prossima a Cos, Podalirio aveva dato principio al γένος degli Asclepiadi».

52. Calcante va inteso come l’indovino greco, compagno di viaggio di Podalirio da Troia a Colofone (Schol. ad Licophr. 1047: ἀπὸ Τροίας εἰς Κολοφῶνα πεζοί ἧλθον Ἀμφίλαχος, Κάλχας, Λεοντεύς, Πολυποίτης καὶ οὗτος ὁ Ποδαλείριος) e non come una identificazione del mitico re dauno Kalchos, di cui Partenio (Erot. 12) narra la storia d’amore con Circe. Cfr. Braccesi, Grecità adriatica, p. 58.

53. Le discordanze tra Licofrone e Strabone dipendono dalle diverse fonti da essi usate, Timeo e Artemidoro di Efeso, autore di undici libri di Geographoumena.

 

 

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Questa pratica rituale, tipica del santuario di Asclepio ad Epidauro [54] (e che Strabone attribuisce a Calcante e non a Podalirio [55], come fa invece Licofrone), induce a inserire il culto dauno nell’ambito dei culti medici e sanatori.

 

È stato notato che le vie segnate da questi culti coincidono con quelle indicate dai templi di Atena Iliaca: entrambe portano verso il Lazio [56].

 

A noi comunque interessa notare come il culto iatromantico di Calcante e Podalirio [57], attestato nel Gargano, presenti alcuni aspetti, che si ritrovano poi a distanza di secoli nel culto di san Michele: si pensi soprattutto alle proprietà terapeutiche e miracolose dell’acqua sgorgante dalla roccia della grotta micaelica, la quale, secondo il Liber de apparitione, dà la sanità «post longas foebrium flammas» [58]. Ed anche l’incubatio può forse ritrovarsi in alcuni aspetti del culto cristiano [59] : nella vita di Magdaleo, vescovo di Verdun, è riportata la notizia che il vescovo dorme durante le notti davanti alle porte del santuario di san Michele e ottiene visioni celesti e divine rivelazioni [60].

 

 

            4. Ritornando alla leggenda di Diomede, esaminiamo ora quell’aspetto di cui si è fatto cenno all’inizio, e che ci sembra interessante per la forte analogia che presenta con la tradizione successiva

 

 

54. Cfr. Gamberale, Ricerche sul γένος..., p. 94.

55. L’incubatio comunque è propria di molte divinità ed eroi, tra cui Anfiloco, Calcante e Mopso, compagni di viaggio di Podalirio verso Colofone.

56. Cfr. Pugliese Carratelli, Lazio..., p. 324.

57. Nei culti di Calcante e Podalirio vi è l'associazione dell’elemento iatrico con quello mantico, sintesi presente nei culti apollinei di origine anatolica. L’Apollo di Claros presso Colofone (la stessa regione di Podalirio) era ἰατρόμαντις, sanatore e profeta. Pertanto i culti dauni sono in relazione con l’antichissimo santuario di Claros (così Pugliese Carratelli, Lazio..., pp. 324 ss.).

58. Liber de apparitione 6 (MGH Script, rer. Lang. et Ital., ed. G. Waitz, Hannoverae 1878, p. 543). Cfr. sull’argomento e in genere sui culti precristiani sul Gargano G.B. Bronzini, La Puglia e le sue tradizioni in proiezione storica (con particolare riguardo al Gargano), «Archivio Storico Pugliese», 21 (1968), 83-117.

59. L’indicazione mi è fornita da G. Otranto, del quale v. articolo citato nella nota 2.

60. AA.SS. Oct. ii, p. 538: «pro foribus... excubans noctibus confortatur angelicis consolationibus, exilaratur divinis revelationibus».

 

 

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relativa all’apparitio dell’arcangelo Michele sul monte Gargano.

 

Narra Licofrone nei versi 619-632 dell’Alexandra che Diomede, dopo la frode subita da parte del fratello Aleno, lanciò sui campi della Daunia una maledizione (non avrebbero prodotto le abbondanti spighe di Demetra, se i discendenti dell’eroe, e solo essi, non avessero prima tracciato i solchi con l’aratro) e pose nei campi stessi delle solide pietre (στῆλαι ἀκίνηται) che ne segnassero i confini.

 

Nessuno avrebbe potuto rimuovere dal terreno questi cippi, perché, se ciò fosse avvenuto (ed avvenne, secondo lo scoliasta, ad opera del re Dauno, il quale, dopo la morte di Diomede, li gettò nel vicino mare), le pietre da sole sarebbero tornate nella sede originaria, lasciando sulla spiaggia i segni del loro passaggio (627-629).

 

ἧ γὰρ ἀπτέρως

αὐταὶ παλιμπόρευτον ἵξονται βάσιν

ἄνδηρ’ ἀπέζοις ἴχνεσιν δατούμεναι.

 

A Licofrone può essere accostato Servio ad Aen. XI, 247:

 

«Sed in Gargani summitate duo sepulchra esse dicuntur fratrum duorum, quorum cum maior virginem quandam sibi despondisset et eam minor frater conaretur auferre, armis inter se decertati sunt ibique ad memoriam, invicem se occidentes, sepulti: quae res admirationem habet illam, qua si qui duo inter ipsam silvam agentes iter, uno impetu vel eodem momento saxa adversum sepulchra iecerint, vi nescio qua saxa ipsa separata ad sepulchra singula decidunt».

 

L’episodio narrato da Licofrone ha una chiara natura prodigiosa, consistente nel ritorno spontaneo delle pietre - fissate da Diomede come cippi di confine del suo territorio in Daunia e gettate poi dal re in mare - dal fondo marino nella loro sede originaria [61]. Da notare che il movimento delle pietre è opposto rispetto alla direzione (o destinazione) voluta da colui che le ha gettate in mare. Il prodigio poi è messo in relazione con una rivalità tra fratelli: Aleno [62], arbitro in una contesa tra suo fratello

 

 

61. Cfr. Schol. Lycophr. 627 (ed. Scheer, p. 210).

62. Secondo E. Pais, Storia della Sicilia e della Magna Grecia, i, Torino 1894, pp. 577 s. Aleno può essere una variante di Alteno, il fiume le cui acque si credeva avessero proprietà terapeutiche: il medesimo eroe sarebbe stato considerato a volte come fratello di Diomede, a volte come divinità fluviale.

 

 

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Diomede e il re Dauno, dà ingiustamente ragione al re [63], perché innamorato della figlia di questo, Evippe, che anche Diomede desidera [64].

 

La notizia di Servio poi si riferisce a un prodigio di natura assai simile a quello raccontato da Licofrone: le pietre gettate uno impetu sulle tombe di due fratelli, rivali in amore e uccisisi a vicenda per questo motivo, vanno nella direzione non voluta (opposta), spontaneamente, spinte da forza ignota.

 

Queste analogie di fondo tra due racconti così lontani tra loro nel tempo fanno ipotizzare la continuità di una tradizione cultuale fortemente radicata nella regione garganica: tradizione che pare riscontrabile anche nel racconto dell’apparizione sul Gargano dell’arcangelo Michele. Il pastore Gargano vede un toro del suo armento fermo dinanzi alla grotta che poi sarebbe divenuta sacra a Michele e, ira permotus, lancia contro di esso una freccia avvelenata, che però torna indietro prodigiosamente: «velut venti flamine retorta, eum a quo iecta est mox reversa percussit» [65]. Come le στῆλαι diomedee in Licofrone e i saxa in Servio, così la freccia nel Liber assume spontaneamente una direzione opposta a quella voluta: una tipologia così simile, nella tradizione sia pagana che cristiana, non può essere indizio di una sostituzione del culto micaelico a precedenti culti pagani, il cui sostrato rituale però continuò a sopravvivere nella nuova realtà?

 

 

63. Cfr. Schol. Lycophr. 619 (ed. Scheer, p. 209).

64. Cfr. Antonin. Lib. 37 e Ovid. Fast. iv, 76.

65. Liber de apparitione 2 (ed. Waitz, p. 541).

 

 

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SCIENZE STORICHE - 31

 

Santuari e politica nel mondo antico

a cura di Marta Sordi

 

Contributi dell’Istituto di storia antica

volume nono

 

Vita e Pensiero

Pubblicazioni della Università Cattolica del Sacro Cuore

Milano 1983

 

Pubblicazione effettuata con il contributo del Ministero della Pubblica Istruzione

 

© 1983 Vita e Pensiero - Largo A. Gemelli, 1 - 20123 Milano

 


 

Indice

 

Presentazione vii

 

PREMESSA

 

            Santuari e luoghi santi (il problema della terminologia)

- MORENO MORANI. Sull’espressione linguistica dell’idea di ‘santuario’ nelle civiltà classiche 3

- CELESTINA MILANI. Lat. locus sanctus, loca sancta, ebr. meqôm haqqōdeš, māqôm qādôš 33

 

            I. Santuari e politica nel mondo asiatico e greco

- MARIO ATTILIO LEVI. Templi e schiavi sacri in Asia Minore 51

- CINZIA BEARZOT. La guerra lelantea e il κοινόν degli Ioni d’Asia 57

- LUISA PRANDI. L’Heraion di Platea e la festa dei Δαίδαλα 82

- MICHELA CICCIÒ. Il santuario di Damia e Auxesia e il conflitto tra Atene ed Egina (Herod. v, 82-88) 95

- FABIO MORA. Policrate e il santuario di Delfi 105

- FRANCA LANDUCCI GATTINONI. Demetrio Poliorcete e il santuario di Eleusi 117

 

            II. Santuari e politica nel mondo romano e provinciale

- MARTA SORDI. Il santuario di Cerere, Libero e Libera e il tribunato della plebe 127

- ALBERTO BARZANÒ. Il santuario di Pafo e i Flavi 140

- GIUSEPPE ZECCHINI. Il santuario della dea Caelestis e l’Historia Augusta 150

- MARTA GIACCHERO. Santuari indigeni nell’impero romano: i cavalieri danubiani e il cavaliere trace 168

 

            III. Un esempio di continuità religiosa dall’antichità al medioevo: il santuario garganico

- DOMENICO LASSANDRO. Culti precristiani nella regione garganica 199

- GIORGIO OTRANTO. Il «Liber de apparitione», il santuario di san Michele sul Gargano e i Longobardi del Ducato di Benevento 210

 


 

(Presentazione)

 

La tematica Religione e politica nel mondo antico, che è stata oggetto dell’attenzione del Gruppo di ricerca dell’Istituto di Storia Antica dell’Università Cattolica fin dal seminario del 1978-1979 (vol. VII dei «Contributi», 1981), ha condotto nel seminario del 1979-1980 lo stesso gruppo a mettere in luce la importanza assunta, nella storia del mondo antico e nella nascita della concezione di impero universale, dai santuari di Atena Iliaca e dal famoso Palladio (vol. VIII dei «Contributi», 1982).

 

È stata proprio la scoperta di questa importanza, in un certo senso unica, che ha indotto il nostro gruppo ad affrontare in maniera specifica e diretta la tematica del rapporto fra i santuari e la politica nel mondo antico, che è stato oggetto del seminario del 1980-1981 e i cui risultati confluiscono in questo volume. Nella premessa ci siamo posti innanzitutto, con gli articoli di M. Morani e di C. Milani, il problema della terminologia e delle espressioni usate dagli antichi per indicare la realtà cultuale, architettonica e sociale che noi indichiamo con santuario.· i termini impiegati nel mondo greco e latino per indicare questa realtà si sono rivelati numerosi, generici e non specifici, cosicché abbiamo deciso di considerare ‘ santuari ’ tutti quei ' luoghi ’ in cui un culto assuma continuità e divenga tradizionale: tutti i culti di cui ci siamo occupati e di cui abbiamo cercato di cogliere l’importanza politica e l’incidenza nella vita delle comunità che avevano in essi il loro centro sono infatti culti con una precisa determinazione e continuità locale. Particolare interesse ha suscitato da questo punto di vista,

 

 

viii

 

proprio per la straordinaria continuità che rivela dall’epoca micenea all’alto medioevo, la zona cultuale del Gargano, a cui abbiamo dedicato, con gli articoli di D. Lassandro e di G. Otranto, un intero settore della nostra ricerca.

 

Al mondo greco e greco-asiatico sono stati dedicati sei articoli (M.A. Levi, C. Bearzot, L. Prandi, M. Cicciò, F. Mora, F. Landucci Gattinoni), al mondo romano quattro (M. Sordi, A. Barzanò, G. Zecchini, M. Giacchero), nei quali il santuario è apparso di volta in volta come centro della comunità statale e della vita federale, come fonte di ricchezza o di prestigio morale e politico, come oggetto di contesa e garante di legittimità. La tematica si è rivelata estremamente ricca e bisognosa di ulteriori approfondimenti: in vista di uno sviluppo più organico dello stesso tema il nostro Gruppo di ricerca si prefigge pertanto di affrontare, nel prossimo anno, il tema «I santuari e la guerra del mondo antico».

 

Hanno partecipato al nostro seminario, oltre ai membri dell’Istituto e agli iscritti alla scuola di perfezionamento, i colleghi professori M. Giacchero dell’Università di Genova, M.A. Levi dell’Università Statale di Milano, C. Milani dell’Università di Padova, G. Otranto dell’Università di Bari e il dottor M. Morani dell’Istituto di Glottologia dell’Università Cattolica: a tutti va il nostro cordiale ringraziamento.

 

M. S.