R. Deputazione subalpina di storia patria

 

 

Profilo della Bulgaria italiana e vicende comitali di Novara nell’alto medioevo (con tre cartine)

 

Francesco Pezza

 

 

Bollettino della sezione di Novara. Anno XXIX (nuova serie I)

Rivista della Società Storica Novarese. Direttore: Prof. A. Viglio

 Novara - Editore E. Cattaneo - 1935

 

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I. Prime voci bulgariensi avanti il mille  39

II. Venticolonne e Vicogepvin  41

III. I miraggi delle ultime identificazioni: al di quà del Ticino  44

IV. Continuità diplomatica bulgariense dopo il mille  47

V. Verità geografica : al di là del Ticino  51

VI. La politica portuaria bulgariense-ambrosiana sul Ticino  57

VII. L’inutile obbiezzione del diploma ottoniano  66

VIII. Bulgaria e Bulgari  69

IX. La parentesi comitale plumbiense nel reggimento del Contado di Novara (anno 840-990)  73

X. Fioritura e decadenza del Contado di Novara prima del regime plumbiense (a. 813-840)  80

XI. Conclusioni  90

 

- Tavola Ia. Cartina del comitato di Bulgaria  55

- Tavola II. Cartina dimostrativa dell’inclusione storico-geografica della città di Novara nel contado di Pombia tra gli anni 841-969  76

- Tavola III. Profilo schematico dei confini del contado di Novara avanti l’anno 841 e dopo il 969  87

 

 

I. Prime voci bulgariensi avanti il mille.

 

La perfetta conoscenza dei comitati medioevali è introduzione necessaria allo studio esatto dell’ordinamento politico-amministrativo d’Italia durante la burrasca oscura e formativa delle dominazioni barbariche, nonché alla comprensione degli sviluppi — meravigliosi per vitale unità e continuità dei lieviti giuridici iniziali — del basilare municipio romano attraverso la iudiciaria longobarda e la saldatura appunto dei comitati francigeni fino alla gloria del libero comune ed all’organica compagine dei circondari e delle provincie.

 

Mi sono proposto di contribuire a tale conoscenza colla precisazione geografica di un comitato, sulla cui identità corrono ancora nell’anno di grazia attuale pacificamente gli errori e gli equivoci più badiali. Alludo al comitato Bulgariense o Burgariense, quello spicchio italico di Bulgaria, che sarebbe insufficienza grave per chi sa individuare e catalogare i relitti etnici degli Hotzulu e del Fezzan non riuscire ancora in piena casa nostra ad accasellare giustamente nel mosaico di nostre genti, a definire con sicurezza nella sua legittima quota di spazio e di sole tra i settori conclamati delle altre antiche circoscrizioni politiche.

 

Il compito di precisare e definire grava la coscienza degli indagatori subalpini del Vercellese del Novarese

 

 

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della Lomellina non meno che dei milanesi, studiosi tutti interessati e approdati ai margini senz’avvistare il blocco centrale della terra misteriosa.

 

Il tormento degli storici subalpini, tra i quali brillano i nomi insigni di Dionisotti, di Gerbaix de Sonnaz, di Baudi di Vesme, di Niccolò ed Alessandro Colombo e sopratutti dell’inobliabile nostro Gabotto (1), fu stimolato ed indirizzato dai reperti tangibili di tre atti regii:

 

            1. - Il famoso testamento della regina Angelberga dell’anno 877, col quale legò al monastero di S. Sisto di Piacenza le due corti di Bornago e di Trecate designate «in comitatu bulgarense» (2).

 

            2. - Il rinnovo di donazione — in ossequio alla volontà materna — della corte di Bornago sempre localizzata «in comitatu burgariense», fatto nell’890 dalla regina Ermengarda (3).

 

 

(1)

·       Gerbaix de Sonnaz, Il contado di Savoia I, 54;

·       N. Colombo, Alla ricerca delle origini del nome di Vigevano, p. 99-100;

·       Colombo, Vigevano e il comitato Bulgariense, in Viglevanum a. 1913, p. 232 e segg.;

·       Idem, La battaglia al Ticino e le vicende di un municipio romano, 1921, con cartina del municipio di Viccolonne e del comitato di Bulgaria;

·       Idem, Cartario di Vigevano e del suo comitato, in BSSS, CXXVIII, pag. XIII; 5; 13; 17; 30; 42; 55; 71; 85; 88; 97;

·       F. Gabotto, Per la storia del Novarese nell’Alto Medioevo, in Boll. Stor. Prov. di Novara. 1917, p. 5-24.

 

(2) BSSS., CXXVIII p. 5-8. Bornago, ridotto a cascinale di Cameri, sorge proprio sulla costa del Ticino.

(3) M. H. P., Cod. diplom. Longobard., doc. 345, Parma 1910; Giulini, Memorie Stor. della Città e Campagna di Milano, ed. 1854, I2 290; Gabotto, o. c. p. 10.

Il rinnovo della stessa donazione è probabilmente in rapporto coll’usurpazione operata appunto a danno dell’Imperatrice Angelberga dal vescovo Nottingo, diffidato perciò in proposito a restituire il mal tolto dal papa Giovanni VIII il 19 ottobre 879 (BSSS. LXXVIII. p. 16).

 

 

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            3. - La concessione di Berengario del 919 al chierico Rotcherio di un fondo in Venlicolonne (4) «comitatu bulgariensi» (5).

 

 

II. Venticolonne e Vicogepvin.

 

Apro qui una parentesi per vagliare diverse chiose toponomastiche fiorite dall’ultimo diploma a moltiplicazione arbitraria dei nuclei bulgariensi. Due diversi editori, il Lizier ed A. Colombo (6), introdussero quasi di straforo nella Bulgaria, oltre ai tre espressamente nominati e pacifici, un quarto centro, Vigevano, elabo rando la seguente inammissibile sutura integrativa di una lacuna del documento:

 

«mansum unum [situm] in vico GEP[UIN ADIACEXT]EM in Viginticolonno comitatu bulgariensi» (7):

 

lezione che, insieme col concetto dell’unità territoriale amministrativa di Vicogepvin e di Venticolonne sotto l’egemonia del primo in quanto espressione geografica nominata per prima,

 

 

(4) Italianizzo in Venticolonne — e non nel Viccolonne di A. Colombo — il latino Viginti Columne, non solo perchè ne è la versione più ovvia, più corretta e più fedelmente conservatrice del significato simbolico; non solo per le ragioni filologiche dell’Olivieri, ma più semplicemente perchè adottata e suffragata dal dialetto o volgare locale del sec. X sotto la forma Vinticolonne, quale avventuratamente emerge dal rogito novarese dell’ottobre 981 (BSSS. LXXVIII, doc. LXXXVII, p. 147).

(5) BSSS. ibidem p. 54; Schiaparelli, Il Rotolo dell’Arch. Capit. di Novara, n. 122, in Fonti per la Storia d’Italia, 1903; N. Colombo, o. c. p. 99; Casotto, o. c. p. 10; BSSS. CXXVIII p. 13.

(6) BSSS. CXXVIII, 14; e LXXVIII, 54.

(7) Ecco il periodo discusso del diploma di Berengario:

 

«diacono Rothkerio nomine concedere dignaremur.... hoc est mansum unum [situm] in vico Gep[uin adiacent]em in viginticolonno comitatu bulgariensi et insuper pratum unum in loco qui [Gulia vel Galia] dicitur ad eundem pertinens comitatum atque venationem et piscationem infra et in circuitu Ticini a vico Cassioli usque ad trecaudinum vadum.... atque iubemus ut supradicta mansa... una cum iamdicto prato... habeat».

 

 

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insinua l’estensibilità, sia pur stiracchiata, a Vicogepvin della posizione comitale, che lettera e spirito del testo evidentemente riservano limitano al solo Venticolonne (8), di cui l’indicazione «comitatu bulgariensi» vuol essere una specifica aderenza esplicativa.

 

Sutura inammissibile, perchè presuppone Venticolonne subordinata a Vicogepvin — cioè a Vigevano — o viceversa, infrangendosi contro la realtà provata della reciproca autonomia delle due località. Vicogepvin era un’unità territoriale definita staccata indipendente da Venticolonne : entrambe trattate alla pari dai notai ed ognuna per sè stante in più pergamene novaresi sincrone (9) e perfino nella presunta Magna charta del comune vigevanese del 1065 (10). Per un manso o podere sarebbe in altre parole stato il colmo dell’ubicuità catastale l’essere ad un tempo tutto in Vigevano e tutto in Venticolonne, cosi come sarebbe assurda la designazione in atto pubblico di un palazzo sito in Vigevano e sorgente, pula caso, in Novara.

 

Per l’esattezza storica e la coerenza obbiettiva non vi sono che due colmate possibili della rabbercianda lacuna: O accogliere l’integrazione Schiaparelliana (11) di Vico Gepuli (invece di Gepvin)

 

 

(8) Le ragioni ili questa ristretta ingerenza bulgariense, da cui è esclusa Vigevano, appariranno più innanzi.

(9) BSSS. LXXVIII, 87-89, an. 963; «loco et fundo Vicogebuin; loco et fundo viginti columne»; e a pag. 147. an. 981: «in locas et fundas Vicogibuin et in vinticolonne».

(10) Ibid. CXXVIII, 101. Diploma di Enrico IV. «cunctis hominibus de vico Viglevan et Syrpi et preducla et Viginti Columpne».

(11) La lettura Gep, anzichè Geb, è fatta tanto da Schiaparelli quanto da Lizier; la sillaba però venne completata dal primo con Gepuli, dal secondo con Gepuin. Osservo tuttavia che la forma Gepuin per Gebuin è anomala ed unica nei cartarii, perciò sospetta di fallacia e poco autorizzabile.

 

 

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o qualche cosa d’analogo, ma non in funzione di Vigevano (12), bensì di una frazioncina di Venticolonne, che pure parecchie altre ne comprendeva sotto titoli varii (13); o disgiungere e riporre in pari piano Vicogepvin e Venticolonne, interpretando «mansum unum [situm] in vico Gep[vin et alter]um in viginticolonno commitatu bulgariensi», con riferimento ancora più esclusivo a Venticolonne della circoscrizione bulgariense: donazione dupplice — e non più unica — di mansi, alla quale forse allude più in giù nel testo il richiamo, in presumibile neutro plurale, dei supradicta mansa, timidamente presumibile nell’anarchia grammaticale e grafica dell’alto medioevo.

 

Come Vigevano, va ugualmente estromesso dalle note del nostro comitato il borgo di Galliate, che ad un amico è parso d’intravvedere nella dizione sempre berengariana «et insuper pratum unum in loco qui [Galia o Gulia] dicitur ad eundem pertinens comitatum».

 

Anche qui vocabolo da ipotesi o d’approssimazione lacunare, non accertato e tanto meno identificato sia come luogo sia come pastura sulla destra piuttosto che sulla sinistra del Ticino. Comunque Galliate no assolutamente per la sua sicura pertinenza allora al comitato di Pombia (14). Se tuttavia ortodossa ed effettiva dovesse ritenersi la proposta grafia Galia, questa potrebbe ritrovare l’appropriata equivalenza onomastica e

 

 

(12) Fedor Schneider (cit. da Colombo, BSSS. CXXVIII, 14) riconoscerebbe in Vico Gepuli l’etimologia di Vigevano, parificando Gepuli a Gepidi.

(13) BSSS. LXXVIII. In doc. XXII. an. 902, ricorrono le frazioni venticolonnesi di loco ubi dicitur Batud; di Vico edeon; di loco qui nominatur ad modola; in doc. CX, an. 990. due sedimi della frazione Credario, di cui parie anche nel territorio di Vigevano (ibid. doc. LXII), e il loco qui dicitur curtile; in doc. LVII, an. 963 il locus qui dicitur ad Castaneto.

(14) BSSS. vol. cit. doc. XXXIII, an. 915

 

 

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comitale sulla sponda abbiatense nel podere Gaglianella (15), evoluto in diminutivo per verisimile rimpicciolimento secolare dell’abitato e del comprensorio: ubicazione atta altresì, più di ogni altra, a disegnare ed a spiegare la frase in circuitu Ticini usata da Berengario per caratterizzare il circolo fluviale, tangente con due poli (Venticolonne e Calia) le due opposte rive, della concessione di pesca.

 

 

III. I miraggi delle ultime identificazioni: al di quà del Ticino.

 

Chiudendo la parentesi tre documenti dunque nominativi soltanto, tre località diocesane novaresi, al di qua del Ticino; onde i subalpini senz’altro presunsero od impostarono la Bulgaria tra il fiume ed il contado di Vercelli, divisi tuttavia da un effimero dissenso sul possibile capoluogo (16) originario, che dapprima parve a taluno, forse per l’iniziale consonanza del vocabolo, individuabile in Borgolavezzaro (17).

 

 

(15) La cascina Gaglianella — antica Galia o Gulia, — sorge sul Ticino, in comune d’Abbiategrasso, tra cascina Remondata e la Ca’ di Biss.

(16) E. Riboldi, nei suoi Contadi Rurali del Milanese editi nel 1904 in Arch. Stor. Lombardo vol. 1, p. 277, soggiunge che: «non mancò chi pensasse a Vigevano e limitasse il contado [di Bulgaria] precisamente al Vigevanasco, se non che Vigevano era piccolissima terra e cominciò ad essera potente solo verso la metà del sec. XII, quando venne fortificata dai Pavesi».

(17) N. Colombo, o. c. p. 100; Gerbaix de Sonnaz, o. c. vol. I p. 54; Gabotto, Per la storia del Novarese ecc. cit. p. 6. Può essere curioso, ma è anche significativo, il silenzio di Marco Perosa, l’illustratore di Bolgaro (ediz. 1889), sulla dignità di capoluogo comitale della sua patria.

 

 

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Se non che l’indagine s’arrestò poco dopo sul toponimo coevo e più graficamente conforme di Bolgaro (18), antico equivalente di Borgo Vercelli, che lascia scorgere affinità morfologiche più appariscenti e suasive tra il comitato ed il capoluogo denominatore.

 

L’illusione scientifica era seducente e perfetta, così che si passò facilmente sopra quegli ostacoli, non indifferenti e non altrettanto facilmente superabili, che erano la frapposizione tra la striscia Bornago-Trecate ed il centro Borgo Vercelli d’una civitas - Novara - già di per sè ovvia e storica sede di un comitato; nonchè la curiosa accantonatura del presunto capoluogo rispetto al complesso territoriale delle presunte dipendenze e proprio in margine al comitato della vicina civitas di Vercelli.

 

Comunque, una volta in possesso dei tre punti trigonometrici Bornago a nord-est, Venticolonne a sudest, Bolgaro a nord-ovest, semplice — come la soluzione di un teorema — divenne la ricognizione topografica dell’agro bulgariense. Fu Nicolò Colombo (19) il primo, che applicò la logica deduzione ricostruttiva, scoprendo e prescrivendo alla Bulgaria i seguenti dettagliati confini: ad est il Ticino da Bornago ai boschi rivieraschi di Gambolò; ad ovest Gambolò-Mortara-Robbio-Palestro-Sesia-Borgovercelli; a nord, per traiettoria innominata, fusione col bordo meridionale del contado di Pombia.

 

Il riscontro, il problema geografico della Bulgaria era dunque tecnicamente risolto, chiarita l’incognita.

 

La soluzione Colombo ebbe la fortuna dell’autorevole consenso del Gabotto, che la fece propria, riproducendone il testo descrittivo nel magistrale lavoro sui Municipi Romani (20) e — a superamento d’una delle incompatibilità topografiche più sopra prospettate di scorcio —

 

 

(18) Ibid.

(19) Ibid. p. 99.

(20) BSSS. XXXII, p. 316-17.

 

 

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identificò risolutamente il comitato bulgariense d’Angelberga col comitato di Novara (21), in coincidenza cronologica colla fase d’eclissi e di subordinazione occorsa a quest’ultimo tra i secoli IX e X.

 

Tratto a sua volta dall’appassionato convincimento il fratello del Colombo, Alessandro, pubblicò una cartina dimostrativa imperniata sopra la successione comitale al pregresso ipotizzato municipio di Venticolonne, ma si scostò dal maestro ravvisando nella Bulgaria, anzichè un sinonimo del Novarese, i paterni profili del futuro contado Vigevanasco (22), creato per vero ex novo e, in assenza di tradizioni etniche e comitali, ritagliato artificiosamente, volenti o nolenti, dai contigui comitati di Lomello Vercelli e Novara: concezione riemersa e ribadita nei criteri ordinativi e nei larghi commenti illustrativi del recentissimo Cartario di Vigevano (23).

 

Sulla scia di tali autorevoli reperti della più recente critica storica i successivi valorosi monografisti (24) novaresi fondarono le loro credenze comitali in verbo magistri,

 

 

(21) Per la storia del Novarese nell’allo Medioevo in Boll. Stor. Novarese, a. 1917, p. 5-8; I municipi Romani in BSSS. XXXII, p. 309.

(22) A. Colombo, opere citate. La cartina correda il lavoro La battaglia al Ticino p. 156 ed è intitolala Il Municipio di Viccolonne e il comitato di Bulgaria. Sono inseriti nel comitato Ganibolò, Bercleda, Vigevano, Viccolonne, Olevano, Ceretto, Morlara, Pariona, Cilavegna, Gravellona, Petrorium, Cassolo, Villanova, Albonese, Tornaco, Nicorvo, Robbio, Rosasco, Rivoltella, Palestro, Vinzaglio Confienza, Bulgaro, Casalino, Casalvolone, Olfengo, Granozzo, Stodegarda, Vespolate, Borgolavezzaro, Terdobbiate, Sozzago, Cerano, Trecate, Bornago, Lubrino (entità territoriale autonoma, di cui in docc. novaresi dell’866 e del 902, odierno cascinale di Cassolnovo, deformato da errate letture paleografiche in Cubruro).

(23) BSSS. CXXVIII.

(24) Barlassina e Picconi, Novaria Sacra anno 1931, p. 145; e an. 1932 pp. 267-88.  L. Cassani, Montorfano di Mergozzo e la sua chiesa, in Boll. Stor. Novar. 1933 p. 97 — L. Piazzano, Storia di Trecate 1932. pp. 15-16. — G. B. Ionio, Storia di Cameri, 1932, pp. 29-30.

 

 

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accogliendone le affermazioni come elementi pacifici e acquisiti; ed il marchese F. Guasco di Bisio aggiornò le indicazioni del suo prezioso Dizionario (25), includendo nella Bulgaria una quantità di comuni novaresi lomellini vercellesi e riconoscendo a Bulgaro la dignità del centro comitale.

 

 

IV. Continuità diplomatica bulgariense dopo il mille.

 

Come si vede, la tesi subalpina non manca d’autorità e di proseliti; non è tuttavia scevra di grinze, nè offre resistenza salda ed agguerrita alla critica: giudizio questo che non intacca il valore nè opaca la gloria dei maestri, i quali ben altri e più alti titoli vantano alla benemerenza culturale, che non lo studio affrettato distrattivo tesista sul comitato Bulgariense.

 

Pecche di rotta o pecche di metodo.

 

La storia ha deposto le dilettosità e la relatività letterarie per sempre più affermarsi scienza esatta, ligia a canoni rigidi, rispettosa della nomenclatura, cauta nel generalizzare, aborrente dalle licenze d’ogni genere e calibro, anche semplicemente formali, quale la deformazione dei vocaboli,

 

 

(25) Dizionario Feudale degli Antichi Stati Sardi, in BSSS. LIV-LVIII. Vi sono qualificate dipendenze bulgariensi i seguenti luoghi: Albonese, Borgo Lavezzaro, Borgo Vercelli, Cameri, Cameriano, Casalino, Casalvolone, Cassolnovo, Cerano, Cilavegna, Confienza, Galliate, Gambolò, Garbagna, Granozzo, Gravellona Lomellina, Mortara, Nibiola, Nicorvo, Palestro, Parona, Pernate, Robbio, Romentino, Sozzago, Terdobbiate, Trecate, Vespolate, Vigevano, Vignarello, Vinzaglio. Nessuna località lombarda d’oltre fiume.

 

 

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esempio clamoroso la demascolinizzazione della costante grafia documentaria di Bercledo o Belcredo (26) nel toponimo irreale Bercleda o l’alterazione del classico limpidamente romano Viginti Columne nel sogno filologico viccolonne (27), che mai fu vivo nè in scrittura nè in parlata: peccatuzi, nei quali incapparono anche e appunto gli amici evocati alla ribalta della presente comunicazione, dal Vesme al Gabotto al Colombo.

 

La scienza esatta non formula nè enuncia le proprie verità, se non dopo saggiate ed esperite tutte le prove, tutte le fonti, tutte le tesi, tutti i mezzi argomentanti. Ne verrebbero altrimenti alla luce studi non aggiornati, inelaborati, disorganici, incompleti, poveri di vigore dimostrativo e di sicurezza conclusiva.

 

Gli assertori innamorati della tesi subalpina hanno invece isolato il loro tema, svellendolo dai suoi naturali rapporti coll’ambiente, col contorno geografico (e) storico; anzi essi stessi vi si sono isolati bloccandosi nella turris eburnea delle loro tre citate pergamene, restii a schiudere finestra alcuna sugli orizzonti archivistici e bibliografici peristanti,

 

 

(26) BSSS. CXXVIII docc. X, XIII, XVIII, XX, XXII, XXIV, XXVI, XXXV, LIV: in tutti è sempre scritto de bercledo o berchido o bercleto o bercedo, mai bercleda, toponimo invece usato senza alcuna ragione sempre nei regesti da Gabotto (BSSS. LXXVIII, doc. LXV), da Vesme e da N. Colombo (o. c. p. 158), da A. Colombo (regesti del c. vol. CXXVIII della BSSS.).

(27) Anche Olivieri (Diz. di toponomastica lombarda, sotto la voce Piccolini) non accetta l’artilicioso elaborato dottrinale. I.’ipotesi Viccolonne, mentre deve essere scartata come esito di metamorfosi glottologica da Viginti Colonne — evoluta invece per consacrazione e constatazione documentaria in Venticolonne, — sarebbe stata, per es., più logica e corretta, se si fosse trattato di vico Colonia (a. 876, in Giulini VII, 26), il quale è peraltro sfociato in Cologno Monzese.

 

 

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malgrado dalla sponda opposta del fiume ammonisse Giulini (28) e ammonissero altri minori (29).

 

Così per sperequazione tra tesi e documentabilità accadde che, mentre la vicenda del comitato di Bulgaria per i nostri moriva, s’esauriva nell’angustie del sec. X, in realtà essa proseguiva viva baldanzosa documentatissima ben oltre il millennio alle luci solari di tutto il restante medioevo.

 

Un’intiera letteratura legislativa, già edita da anni, sagoma la compagine massiva della Bulgaria, ne illumina la polarizzazione politica e la funzione gerarchica, ne circoscrive i limiti territoriali, ne consente l’esatta identificazione geografica: un libro verde insomma diplomatico, che non si può nè si deve ignorare e nel quale sfila, per opera dei governi viscontei,

 

 

(28) Memorie spellanti alla storia della città e campagna di Milano ediz. 1854-57 t. I, 289-90; 579; t. III, 641-49; IV, 180. Secondo il Giulini (t. III, 642)

 

«il contado della Bulgaria abbracciava l’una e l’altra riva del Tesino, da Galliate in giù sino ai confini dei Pavesi, confinando a ponente col Novarese e a mezzogiorno col contado proprio di Milano» o con altre parole «la giurisdizione del contado di Bulgaria slendevasi per un tratto ragguardevole da un lato e dall’altro del Tesino» (ediz. 1760, t. I, 372-73).

 

Nella carta poi dell’Ager Mediolanensis Medii aevi, annessa al t. VII, 306-07 la Bulgaria è rappresentata, oltrecchè da una vasta zona lombarda, da un blocco piemontese esteso da Trecate ad Oleggio e comprensivo dei comuni o località di Trecate, Galliate, Romentino, Pernate, Cameri, Bornago, Cavagliano, Bellinzago, Oleggio, Castelletto di Monto.

 

(29) E. Riboldi, I contadi rurali del Milanese, in Arch. Stor. Lombardo. 1904. vol. I pp. 275-80. All’A. sembra (p. 277) che il contado di Bulgaria fosse a cavaliere del Ticino e confinante a nord coi comitati di Pombia e di Seprio, ad est con quelli di Seprio e di Milano, a sud con quelli di Pavia e di Lomello, ad ovest con quello di Pombia e coi domini del vescovo di Novara, comprendendo cosi anche tutto il Vigevanasco delimitato tra Ticino Terdobbio e Agogna. Inquadratura poggiata sul Giulini, ma evidentemente preoccupata di non scontentare troppo la tesi subalpina.

 

 

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dal 1355 al 1409, tutta una serie di provvedimenti d’esplicito riferimento al comitato di Bulgaria. Notevoli tra altri un decreto del 1356 sulla materia tributaria del Seprio e della Bulgaria (30); un altro sui loro rispettivi vici; un altro ancora del 1385 sull’ordinamento dei capitanati nei comitati di Seprio, di Bulgaria, di Martesana e di Bazana (31); un ultimo, del 1409, sulla manutenzione dei ponti del Seprio e della Bulgaria (32).

 

Evidentemente l’abbinamento costante — nei decreti — del Seprio e della Bulgaria, l’interferenza periodica della Martesana e della Bazana riportano il pensiero all’oltre Ticino, al Milanese. Intuizione formale convalidata dalla cronaca trecentesca di Galvano Fiamma (33), secondo il quale l’imperatore Ottone I (ecco un ritorno per altra via e per altre carte al Sec. X) avrebbe donato nel 962 all’Arcivescovo di Milano i quattro contadi, posteriormente passati, nel 1167, alla dipendenza legale di quel comune (34): narrazione ripetuta dallo storico Bernardino Corio (35).

 

Ma, anche prescindendo dalle cronache a volte inficiate di svarioni cronografici, sopravvivono carte inequivocabili e risolventi del sec. XII,

 

 

(30) Codice diplomatico Visconteo. — Gli ordini di Galeazzo Visconti si succedono nel seguente ordine cronologico: 2 giugno 1356; 28 giugno 1357; 21 settembre 1358 sui salarii; 19 agosto 1364 ; 2 ottobre 1368; 29 settembre 1370.

(31) E. Riboldi, o. c. p. 276.

(32) Annali del Duomo di Milano, v. I : «pontes Seprii el Burgariae» in decreto 30 giugno 1409. Il Giulini (o. c. ed. 1854-57 vol. III p. 643) ragguaglia che i due contadi si fusero nell’unico contado di Seprio e di Bulgaria, denominazione vigente ancora ai tempi di Carlo V; e che a poco a poco vani dall’uso il secondo nome, fino a perdersene la memoria.

(33) Riboldi, o. c. p. 39: dal Cronicon Maius di G. Fiamma ed. in Miscel. Stor. d’Italia vol. VII. Il Fiamma (Manipul. Flor., in Muratori R.I.S. XI. c. 542) ricorda altresì che il conte di Milano ebbe ab antiquo il titolo di duca della Bulgaria. Ripete Riboldi a p. 276.

(34) Riboldi, ibid. p. 276, riportando dal Fiamma.

(35) Storia di Milano V. cap. I.

 

 

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i testi ufficiali dei preliminari nonchè del trattato di pace di Costanza del 1183, i quali all’unisono riaffermano il seguente capitolo richiesto e accordato

 

«iurisdictionem quam Mediolanenses exercere consueverunt in comitatibus Seprii et Martiane et Burgarie.... et eam quam modo exercent libere et quiete habeant et possideant sine contradictione.... salvis pactis datis et concessionibus que mediolanenses per comune fecerunt civitatibus.... Novarie» ecc. (36).

 

Proiezione vivida di luce integrata l’11 febbraio 1185 da un’altra concessione imperiale non meno decisiva ai fini della mia ricognizione geografica :

 

«Concedimus itaque Mediolanensibus omnia regalia, que imperium habet in Archieposcopatu Mediolanensi sive in comitatibus Seprii, Martesanie, Bulgarie, Leucensi, Statione vel in aliis comitatibus» (37),

 

dove esplicita insofisticabile risulta l’inserzione della Bulgaria nell’Archidiocesi milanese. Bisogna dissonnarsi e credere ai documenti ufficiali! Un corollario imperativo dunque: il comitato di Bulgaria era nel grande ambito territoriale e giurisdizionale sia del comune sia della chiesa di Milano.

 

 

V. Verità geografica : al di là del Ticino.

 

In quale settore più specificamente?

 

Altre testimonianze dirette ne orientano con categorica precisione la determinazione di sede, d’estensione e di confini.

 

 

(36) Questa prova solenne della dominazione milanese antica e contemporanea anche sul contado di Bulgaria compare la prima volta nella risposta imperiale alle condizioni di pace formulate dalla Lega Lombarda (C. Manaresi, Gli atti del comune di Milano fino all’anno 1216: doc. CXXXIII, cap. 23, p. 185, marzo-maggio 1183); ritorna nei preliminari della pace (ibidem, doc. CXXXIV, cap. 23, p. 188, marzo-maggio 1183); è inclusa, sempre al capoverso 23, nel trattato di pace (ibid. doc. CXXXIX, p. 201).

(37) Manaresi, o. c. p. 217, doc. CXLVIII cap. 23.

 

 

52

 

Un primo autorevole spunto promana da un provvedimento finanziario dello stesso dominus Bulgariae (38), Francesco Della Torre. Costui nel 1270 accordò parecchie esenzioni fiscali (39) a gente delle sue dipendenze Villamaggiore (presso Lacchiarella) e Campo Morto (comune di Siziano), scoprendo ad un tempo un lembo del suo distretto e il tratto del suo confine meridionale col contado Pavese (40), linea verisimilmente primitiva e tuttora segnata più in giù dal relitto toponomastico di Borgarello — villaggio a 7 Km. da Pavia —, nel quale l’animo buono di Pietro Massia vorrà indulgermi, se io leggo in giusta sede una remota lapidaria affermazione bulgariense.

 

Linea simbolica, non fissata a peculiari demarcazioni del terreno e quindi instabile di sua natura: mobilità resa palese da un progressivo arretramento pervenuto, appena diciasette anni dopo, — con retromarcia di circa Km. 10, — già fino a Rosate (41); ma fermo tuttavia — negli anni preludiali del sec. XIV — alle porte di Morimondo (42),

 

 

(38) Corio, o. c. V. cap. 1. Ivi lo storico milanese menziona un Asella conte di Bulgaria ai tempi di Federico Barbarossa.

(39) Riboldi, o. c. p. 52: cita doc. del 1270 raccolto da Bonomi, Diplomata Claravallis mss.

(40) Il contado o ducato di Bulgaria sbocciò durante la dominazione longobarda; e non è senza una ragione storica, che irradiasse dalle vicinanze della capitale.

(41) Riboldi, o. c. p. 52: Nel 1270 Rosale era sotto il signore di Bulgaria, nel 1278 era già passato al contado di Bazana. — L. Negri, Rosate e la sua pieve 1908, p. 62.

 

(42) Annali Milanesi in Muratori, tomo XVI Scrip. Rer. Italie. — Giulini, o. c. p. 180, anno 1210 (e da lui Negri a p. 109 dell’o. c.) riproduce degli annali il seguente brano:

 

«Tunc (a. 1210) imperator dotavit monasterium de Morimundo magnis possessionibus et privilegiis et instituit abatem comitem de Basiliano in Ducatu Burgarie».

 

Pare che non risulti dalle pergamene la donazione imperiale; ma quello che a noi importa è la notizia — che il cronista sa e consacra — della pertinenza di Basiliano alla Bulgaria. — L. C. Bollea (La Zelata Morimondese ecc. in Boll. Stor. Pavese, a. 1934, p. 27) assegna alla Bulgaria anche la Zelata di Bereguardo.

 

 

53

 

la cui celebre abazzia un cronista (43) poneva appunto «versus Papiam in Burgaria», in una regione cioè presupposta correntemente nota ai propri contemporanei lettori.

 

Risalendo a nord, la frontiera ritrova i suoi perni saldi e sicuri d’orientamento nella riforma giudiziaria di Galeazzo Visconti, il quale nel 1355 istituì nel contado di Bulgaria — così come nel Seprio — due vicariati di giustizia, con sede l’uno a Magenta, l’altro a Saranno (44), parallelamente ai quali, poco oltre, correva il confine del Seprio, ufficialmente descritto, colla minuta esattezza di un moderno manuale geografico, nella concessione federiciana dell’ll febbraio 1185 ai milanesi :

 

 

(43) Chronica archiepiscoporum mediolanensium ed. da Fedele Savio in Rivista di Scienze Storiche, 1908, tomo 2. p. 93:

 

«tempore episcopi andemari (anno 948) fuit dux unus versus Papiam in Burgaria qui monasterium de Morimundo construxit».

 

Grottesco il pettirosso anacronistico relativo alla fondazione del monastero avvenuta invece nel 1136, ma evidenti altresì l’efficienza geografica della Bulgaria ai tempi del cronista e l’inclusione di Morimondo.

 

(44) Riboldi, o. c. p. 74. Le sedi dei 2 vicariati del Seprio erano Varese e Gallarate. Secondo l’autore anonimo dell’art. su Corbella inserito nel numero unico Città di Abbiategrasso (agosto 1934), la Bulgaria era sulle albe del sec. XII polarizzata intorno a due altri centri. Riporto il testo dell’informazione:

 

«Corbella nel 1100 assunse nuova importanza come luogo principale della Borgaria, la quale, secondo alcuni scrittori, si dice fosse divisa in due parli con capoluogo rispettivamente Corbella e Rosate».

 

Cita Olivieri (Dizionario di Toponomastica Lombarda, sotto la voce Bulgaro) la località Burgaria sorgente, nell’a. 877, presso Corbella. II decreto di Galeazzo era noto anche a Gabotto, che l’accenna a Nota 4 di p. 11 dell’art. cit. Per la storia del Novarese ecc., segnalandone la fonte Decreta Antiq. Mediol. Ducum p. 8 e segg. Ritengo però che, più che dall’originale, abbia — senza vedere il testo — attinta l’indicazione da Giulini, VII, p. 232. Gli è comunque sfuggita l’importanza speciale di questo e di altro doc. milanese: evita di discuterne l’apporto geografico, pretestando che alla data (1183-1333) dei documenti si era ormai perduta ogni esatta notizia degli antichi comitati. Osservazione sbrigativa non dialettica, nè suasiva: se è ammissibile che il tempo sbiadisca qualche contorno, non è ammissibile che sblocchi, trapianti un comitate addirittura lontano e fuori dalla sede nominativa di origine, dove lo designano un’intiera tradizione cronistica e la plurisecolare continuità di atti di governo, tanto più se tra l’antico reale ed il presunto nuovo v’ha di mezzo un grande fiume classicamente confinario.

 

 

54

 

«Comitatum autem Seprii ... sic intelligimus... per hos fines: a Lacu Maiori sicut pergit flumen Ticini usque ad Padrignianum et a Padrigniano usque ad Cerrum de Parabiago et a Parabiago usque ad Caronum et a Corono usque ad flumen Senesi et a Seviso usque ad flumen Trese et sicut Tresa refluit in predicto Lacu Maiori» (45).

 

Il limite meridionale del Seprio costituiva il confine nordico della Bulgaria, che gli è ad immediato contatto colle zone giudiziarie di Magenta e di Saronno.

 

Della precisa delimitazione ducentesca interessa qui il tratto (46) Padregnana (cascinale del Comune di Robecchetto) — Cerro di Parabiago — Caronno, nodi tuttora vivi e reperibili. Il tratto, prolungato ad ovest fino all’alveo del Ticino e ad oriente fino all’incontro del Seveso, riproduce in schema presso che esatto la linea piatta e convenzionale, che nel sec. XII separava la Bulgaria dal Seprio, peregrinando, sbandando a volte in sù a volte in giù in ragione del consueto difetto di permanenti differenziature idro-orologiche.

 

Da questi sbandamenti va escluso il tracciato seguito dal Giulini, che spinse il punto più nordico del confine bulgariense sino ad Oleggio, certamente per abbaglio,

 

 

(45) Manaresi, o.c. p. 217. — Giulini, o.c. ed. 1854-57. IV, pp. 11-12.

(46) Credo che si riferisca a Pedrignano la «piscaria una in Ticino ad Pedrinam» della lapide di S. Simpliciano di Milano commemorativa della donazione falla l’anno 881 da Guilizione di Somma (v. Giulini I, 322).

 

 

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 Tavola Ia. Cartina del comitato di Bulgaria

 

 

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in quanto Oleggio appartenne sempre al comitato di Pombia (47). I fatti invece dimostrano che dai tempi di Angelberga-Berengario, nei quali la Bulgaria puntava su Bornago, al ciclo di Federico Barbarossa, il tracciato subì una contrazione, ritraendosi di circa 5 Km. a sud, sopra una seconda linea, l’illustrata linea di Padregnana, mentre d’altrettanto avanzò sul terreno sgombrato, lungo la sponda lombarda del Ticino, il contado del Seprio. Avanzata compiuta avanti l’anno 1013 nel quale il Seprio appare comitalmente già insediato in Bornago stessa (48).

 

La perdita di nord-ovest della Bulgaria forse fu bilanciata nel settore nord-est dall’annessione di Saronno, verificatasi tra il XIII e il XIV secolo.

 

Verso levante il nostro confondeva i propri termini con quelli del comitato urbano della metropoli, il quale s’espandeva fuori mura per breve imprecisato raggio di chilometri, che, secondo Giulini, giungeva a ridosso di Gaggiano.

 

Ad occidente il Milanese era chiuso nettamente dal Ticino: la Bulgaria, che ne era spicchio occidentale integrante, alla stregua medesima dello spicchio superiore Sepriense, doveva dunque alla propria volta esaurirsi per questo lato nelle acque del fiume.

 

 

(47) Barlassina e Picconi, Novaria Sacra, an. 1929, p. 132. — In BSSS. LXXVIII, doc. LXXIII, p. 119, an. 973 il loco et fundo di Pombia è, in una permuta di campi, associato ai loco et fundo di Olegio detto Scarulfo. Nel dubbio che l’asserto dell’autorevole Giulini possa poggiare su qualche doc. a noi ignoto o smarrito, osservo che l’occupazione bulgariense, se reale, fu effimera e fugacissima e che ad Oleggio esisteva allora un porto sul Ticino, come oggi un ponte minore: particolare, che avrà nel seguito di questa trattazione il dovuto rilievo basilare.

 

(48) BSSS. LXXVIII, doc. CXXXIV, 15 marzo 1013. I coniugi Riccardo e Walderada procedevano in Bornago all’alienazione di certi loro diritti feudali alla presenza ufficiale e col nulla osta del signor Uvifredo qualificato «comitis istius comitatus Sepriensis», intervento indispensabile per la regolarità e validità giuridica degli atti del genere celebrandi nella giurisdizione del Seprio.

 

 

57

 

Riepilogando, la Bulgaria confinava ad est col contado propriamente detto di Milano, a sud con quello di Pavia, a nord con quello del Seprio, ad ovest col Ticino: colle documentate oscillazioni dei due confini pavese e sepriense, variò col tempo anche la sua superficie quadrata.

 

Tenendo per media costante la larghezza del territorio incuneato tra il Ticino ed il comitato di Milano — sulla direttiva intermedia di Ticino-Abbiategrasso-Gaggiano —, larghezza valutabile in circa Km. 18; e calcolando rispettivamente in Km. 50; 45; 30 le distanze longitudinali successive Bornago-Borgarello; Padregnana-Villamaggiore; Padregnana-Morimondo, l’area della Bulgaria, inizialmente di circa Kmq. 900 nel sec. X, si sarebbe in via schematica ridotta nei sec. XII-XIII a Kmq. 810, nel sec. XIV a Kmq. 540.

 

Comparato colle moderne circoscrizioni del Milanese, il contado di Bulgaria corrisponderebbe all’ex circondario di Abbiategrasso. Nuclei originari centrali, finchè durarono il nome ed il contado, sono da ritenersi le zone Abbiatense e Magontina; nucleo fluttuante la zona di Saranno investita ora in qua ora in là dalla linea confinaria bulgaro-sepriense di Caronno-Seveso.

 

Tale dunque è la geograficamente vera, la storicamente unica Bulgaria italiana, ben dissimile dall’omonimo fantasma trasferito dai subalpini sull’opposta sponda del fiume a simulare arbitrariamente vuoi il Comitato Novarese vuoi il contado Vigevanasco; dalle esuberanze cartografiche milanesi, che la disegnavano pili o meno largamente a cavaliere del regale Ticino.

 

 

VI. La politica portuaria bulgariense-ambrosiana sul Ticino.

 

Prevedo tuttavia e paro due obbiezzioni apparentemente sostanziali e contradditorie alle mie conclusioni.

 

 

58

 

Prima la presenza certa, direi mio malgrado, della Bulgaria al di quà dei profilati confini, sui tre punti — già prospettati da me stesso in esordio — della costa destra del Ticino. Potrei sbarazzarmene coll’ipotesi di incursioni aberranti, di sconfinamenti sporadici in accidentale coincidenza colle date redazionali dei rispettivi documenti: rondini solitarie che non fanno primavera.

 

Non temo invece, nel puro tornaconto scientifico, di affrontarla, di entrare nel vivo dell’obbiezione e di smantellarla in pieno; negando anzitutto il postulato.... altrui ritenuto acquisito, che cioè bulgariense senz’altro fosse tutto il lungoticino Bornago-Trecate-Venticolonne, della approssimativa lunghezza di 30 Km. : cospicuo alone terriero, nel cui grembo spazioso si erano pregiudizialmente gittati i materiali costruttivi della tesi subalpina a varietà novarese o vigevanasca.

 

In realtà contemporaneamente alle donazioni fondamentali Angelberga-Ermengarda-Berengario (a. 877-919) svelatrici prime della Bulgaria, più esattamente nel quadriennio 911-915 lo stesso Berengario attestava colla solennità del pubblico decreto l’appartenenza al contado Plumbiense dei borghi di Cameri e di Galliate (49), il cui insieme territoriale forma un cuneo della larghezza di almeno 8 chilometri, proteso da Novara al fiume ed interposto tra Bornago e Trecate a separarne ed isolarne politicamente le rispettive zone. Similmente consta che tra Trecate e Venticolonne si insinuavano fin dall’867 il cuneo plumbiense di Casale (50), luogo affacciato sul Ticino presso Cerano;

 

 

(49) BSSS. LXXVIII doc. XXXII an. 911-915, p. 46: «in propriis suis rebus finibus plumbiensis comitatus in vocabulis villulis id sunt peronate. terdobblate. cammari. et galiade». (50)

 

(50) L’amico A. Colombo (BSSS. CXXVIII p. 22 nota 6) ritiene di i difficile identificazione il luogo d li Casale, nell’ipotesi che parecchi Casali avrebber o potuto trovarsi dislocati anche sul Ticino. In realtà sulla sponda novarese del tratto pertinente al contado di Pombia non ne sorgeva che uno solo, il nostro: non se ne saprebbe citare un secondo. Anzi il doc. 16 aprile 867 di donazione del franco Gerulf (originale in Archivio di S. Fedele di Milano, edito in M.H.P. XIII col. 407; citato dal Gabotto, o. c. p. 13) è esplicito al proposito: in Casale iudiciaria plumbiense. Precisazione categorica di uno solo; altrimenti il rogante avrebbe differenziato. Per rinvenire un secondo Casale bisogna sconfinare dal contado di Pombia, e rimontare fino a Pavia; ivi presso, non sul fiume, ma in Campanea Ticinensi, era un loco et fundo Casale (M.H.P. XIII, col. 1252, sec. X). Subito da scartare, poichè non è più in causa il contado di Pombia. Nel 951 (BSSS LXXVIII p. 7) compare in calce ad un alto stipulato in Novara uno de loco Casale super fluvium ticinum come teste insieme ad altri di Cercleto e di rivierasco e plumbiense scoprendo nel doc. del giugno 970 (BSSS. LXXVII p. 10), nel territorio di Cerano che dista 2 Km. dal Ticino, nei paraggi della strada di Trecate, la località Ad Casali, evidentemente degradata dalla primitiva autonomia, forse per improvvisa azione distruttiva del fiume, da circoscrivere tra gli anni 951 e 970.

 

 

59

 

e fin dal 970 la presenza comitale di Maginfredo (51) di Lomello in Cerano. Vaste inframmettenze territoriali eterogenee, le quali spezzano nel contempo ed annullano materialmente di amplissima breccia, appunto sull’alone rivierasco, la pretesa continuità giurisdizionale bulgariense: sgretolio anzitutto catastrofico — se v’ha ancora bisogno — della già spenta identità comitale bulgaro-novarese; ma sopratutto una certezza positiva, che induce ad una più letterale interpretazione dei testi, nel senso ormai obbligato di intendere la competenza bulgariense delle regie donazioni strettamente limitata alle tre corti enunciate — senza generalizzazione possibile ai taciuti agri intermedii — e valida soltanto per gli anni documentati. Esempio tipico dell’instabilità la veloce rotazione possessoria di Trecate stessa, passala nell’877 da Angelberga al convento di S. Sisto di Piacenza, predata nell’879 dal Vescovo Nottingo e concessa il 16 marzo 882 per decreto imperiale alla chiesa vercellese.

 

 

(51) BSSS. LXXVII. p. 10. Il regesto reca la data 970 per evidente lapsus tipografico, poichè il nono anno d’impero d’Ottone I indicato nel testo corrisponde all’anno 970.

 

 

60

 

La lombarda Bulgaria non travalicava dunque il Ticino in extenso, a piena fronte; non occupava l’intiera linea della corrispondente sponda piemontese; vi si arroccava soltanto sui punti più sensibili e interessanti, vi si addentellava mediante le tre intervallate allacciature di Bornago, di Trecate e di Venticolonne. Non senza una ragione di politica utilitaria. Allacciatura di rive fluviali significa, tanto nella nomenclatura medioevale quanto nella moderna, collegamento, comunicazione, transito. Ed effettivamente Bornago, Trecate e Venticolonne, le tre corti della disputa, erano tre porti fluviali, i soli anzi tre porti su questo tronco del fiume (52).

 

Tutti gli autori tesoreggiarono i tre toponimi, i tre fulcri ai fini della più grande tesi; nessuno pensò mai alla peculiare e decisiva loro funzione varia. E meraviglioso è che ancora oggi — dopo un millennio — costituiscono in loco le esclusive tre direttrici del transito con queste elementari varianti, che ai porti subentrarono i ponti e

 

            1.) che il passaggio di Bornago (53) perdette presto molto della importanza originaria, spostando l’afflusso della sua clientela qualche chilometro a valle verso il porto di Galliate, trasformato più tardi nel ponte di Turbigo;

 

 

(52) Esistevano altri porticciuoli, ma d’importanza trascurabile o affatto secondaria.

 

(53) Por tempo cominciò a difettare la viabilità diretta al porto di Bornago, donde il rapido scemare dell’affluenza dei viaggiatori e delle merci, sviati sul porlo sempre più attrattivo agevole ed attrezzato di Galliate. La prevalenza di quest’ultimo diventò definitiva nel sec. XII. Galliate entra con Trecate nel gioco delle aspirazioni economico-militari di Milano. La costruzione di un ponte sul Ticino rappresentava nel medioevo un’impresa costosa e grave. Tardivo perciò fu l’avvento del ponte di Galliate-Turbigo, giudicandosi per molti secoli sufficiente al bisogno il ponte-porto di Trecate. Negli Staturi Novaresi figura ancora il 5 marzo 1281 in funzione a Galliate il sistema potruario. Vi è infatti ordinato: «quod bullus portus teneatur nec possit esse in Ticino preter portum Camari et portum Galiati». Vedere anche G. B. Ionio, Storia di Cameri p. 163.

 

 

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            2.) che il guado Trecadino — chiamato anche porto di Bestano —, in seguito ad allontanamento naturale od a divagazione alluvionale del Ticino (54), si sbattezzò in ponte di Buffalora;

 

            3.) che il traghetto di Venticolonne (55) precipitò rapidamente in abbandono dopo l’istallazione, tre o quattro chilometri più a sud, del ponte di Vigevano.

 

Quanta tenacia nei tracciati millennari delle correnti umane! e quanta nei teatri delle contese, oggi per il dominio dei mari, ieri per il dominio dei nodi stradali e dei varchi fluviali!

 

Il possesso simmetrico di queste bilaterali teste di ponte o di porto del Ticino fu sempre, sotto qualsiasi clima storico, uno degli obbiettivi preminenti della politica milanese d’egemonia commerciale o strategica,

 

 

(54) G. B. Barlassina e A. Picconi, o. c. an. 1931 p. 146.

 

(55) E’ errore identificare Venticolonne con Piccolini, frazione di Vigevano, distante 5 e più chilometri dal Ticino. L’abitato — d’origine stradale — di Venticolonne, sorgeva, come Bornago ancora attualmente e come Trecate una volta, sulla costa stessa del Ticino, nell’immediate vicinanze dell’alveo, tra Cassolvecchio e Vigevano, all’altezza circa della frazione Bucella: ubicazione testimoniata dal rogito 23 febbraio 1346 (Rer. Ital. Script., ed. 1903 t. XI parte 1 p. 23 nota 3). dal quale risulta la esistenza di un relitto edilizio — abitato, fattoria, casa sparsa? — chiamato «locum Viginti Columnarum» e utilizzato come termine divisorio visibile di certi ghiaieti del Ticino: utilizzazione che involge necessariamente l’ubicazione materiale di Venti Colonne proprio presso il greto del fiume. Posizione rivierasca, che implicava funzioni viarie (nome corrispondente giusto al XX miglio romano da Milano) e portuarie. Il raccordo Milano-Torino si svolgeva per la via pubblica o strada di Cilavegna-Mortara (BSSS. vol. LXXVIII-LXXX, doc. XXXIV, an. 911-915; doc. DCLXXII, secolo XII), chiamata ancora nel sec. XIX strada Vecchia di Milano e che volgeva a Torino per Cozzo. Strada romana secondaria ignorata e che spiega la presenza in Vigevano, ancora ai tempi dell’Alciato, della lapide funeraria del magistrato torinese Statilio Onorato verisimilmente deceduto durante il viaggio dall’una all’altra metropoli.

 

 

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forse fino dall’attività municipale romana (56), e forse ha la stessa storia liviana del fiume.

 

L’espansione bulgariense fino ai tre nominativi portuari non è che un affiorare archivistico della tendenza e dell’antico fenomeno dalle fosche profondità dei misteri medioevali; una delle tante alternative episodiche dell’aspirazione manovrata, più spesso sotto l’impero della legge del più forte, specie nel tratto Bornago-Trecate, dove la pressione batteva contro l’economia della vicina civitas di Novara. Una delle prime traccie documentate della lotta o schermaglia possessoria rimonta al sec. X.

 

Ottone il Grande aveva donato al vescovo di Novara il porto di Bestagno, che era un annesso e connesso della pieve di Trecate (57). Milano aveva così perduta la partita. Se non che l’arcivescovo — il massimo esponente allora degli interessi ambrosiani — per rifarsi dello scacco tanto intrigò a corte, finchè riuscì a stornare a proprio favore la concessione imperiale (58) e posteriormente, nel 989, avvisò al consolidamento del successo e delle posizioni col promuovere un tendenzioso ritocco del confine interdiocesano, procacciandosi, per intervento e favore del marchese Corrado, figlio di Berengario II, l’annessione della pieve di Trecate alla propria archidiocesi.

 

Reagì e tornò alla riscossa Pietro, il perseguitato vescovo di Novara, il quale potè ottenere da Enrico II,

 

 

(56) Forse un antico segno d’influenza milanese, nelle fluttuazioni della politica portuaria intorno al traghetto di Venticolonne, è la dedica a S. Ambrogio della pieve di Vigevano, sorta probabilmente nel V secolo e, al pari di altre chiese pievane viciniori, quale quella di Cilavegna (BSSS. LXXVIII, an. 911-915, p. 47), ridotta entro il castro (Ibid. an. 996 p. 182) contro il pericolo unno nel secolo decimo.

(57) BSSS. LXXVII p. 23: «portum de Bestagno eidem piebi pertinentem quem glorisissimus avunvulus noster Otto maior supradicte sedi per preceptum concessit». Parole dell’imperatore Enrico II.

(58) Barlassina e Picconi, o. c. an. 1931 p. 145.

 

 

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soltanto nel 1014, la restituzione della pieve di Trecate (59) ed in pari tempo quella del porto di Bestagno di competenza della stessa pieve (60).

 

Coll’impoverimento del traghetto di Bornago sali alla ribalta il nuovo transito di Galliate, tosto travolto dalle altrui cupidigie nelle stesse traversie di Trecate.

 

La politica portuaria di leonino vicinato e di periodica straripanza confinaria non ristò nei suoi sviluppi anche dopo gli scacchi, attizzando nei novaresi uno stato ansioso, diffidente, di continuo allarme e di vigile preoccupazione verbalizzati nei patti cautelativi, coi quali nel 1168 condizionarono la loro adesione ad una intesa politica proposta da Milano contro il Barbarossa.

 

Colle loro clausole i novaresi esigevano:

 

            1. — L’immediata reintegrazione di Novara nel libero ed integrale possesso della riva destra del Ticino (61) e la compartecipazione, a quote uguali, agli utili del pedaggio e del navatico.

 

 

(59) Novaria Sacra, an. 1931, pp. 145-140. — In BSSS. LXXVII a pp. 21-23 è riprodotto il diploma di Enrico II : «deprecatus est nos ut quamdam plebem sui episcopatus quam olim malo ordine et iniusta racione sua perdidit ecclesia que sita est in villa que nominatur Trecate non adeo procul a civitate .... annuentes... pretaxatam plebem... novariensi ecclesie redimus».

 

(60) BSSS. citato. Dipi. Enrico II, p. 19, an. 1014: «portum quoque qui vocatur Bestanum predicte ecclesie dedisse memoravit»; e altro dipl. dello stesso, an. 1014. p. 22-23. Vedi ancora ibid. p. 25, anno 1028, la concessione fatta dal vesc. Pietro III del porto di Bestagno al monastero di S. Lorenzo di Novara, ma non duratura.

 

(61) Manaresi, o. c. p. 88, 15 marzo 1168 «iurabunt consules Mediolani et cives quot novarienses voluerint quod ripam Ticini totam a medio fluvio que est versus Novariam liberam dimittent Novariensibus.... Et si pons ibi fuerit, dimidium toloneum eorum erit. Idem in transitu navis. Pontem vero quem inceperant et quem faciet inferius, ubi Novarienses voluerint, suis expensis facient; imslquam vero confracti vel dissoluti fuerint in aliqua parte, expensa comunis sit reficiendi et custodiendi, sicut comune debet esse lucrum. Et ipsi vel ab hac die in antea nullum castrum, nullam forticiam habebunl ultra Ticinum nersiu Novariam in episcopatu vel comitatu ei maxime in Galialo et Trecato, nisi que habent». Alla loro volta (ibid. p. 89) «iuraverunt consules Novarie quod pontem supra Ticinum reficerent et tolonenm bona fide mediolanensibus dimidiarent et pontem custodirent et servarent pro sue parte».

 

 

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            2. — La rinuncia giurala di Milano a tenere fortilizi sulla stessa sponda nel contado e nella diocesi novaresi, massime in Trecate ed in Galliate.

 

Echi conclamati delle lunghe reattive agitazioni, degli appassionati rovelli intorno ai porti di legittima spettanza novarese. Eterno drammatico ritornello proseguito fino a scoppiare in quel secolo e nel successivo nelle più clamorose e furibonde conflagrazioni armate di Milano col comune di Pavia per la conquista del ponte e l’instaurazione del protettorato di Vigevano (62); col comune di Novara per il ricupero dei porti-ponti, nonché dei castelli di Trecate e di Galliate (63), occupazioni, protettorato, dominio in funzione ed in continuità — mutato nomine — delle premillennari puntate bulgariensi d’identica inspirazione politico-economica. Si può anzi per la prima volta inferire con tersa visione della realtà, che nessun altro movente più di questo asprigno, da secoli martellante sulla triade portuaria, influì a suscitare e ad alimentare l‘antagonismo novarese alla politica guelfa della metropoli lombarda. E forse è anche la prima volta che il capitolo portuario del Ticino viene proiettato sullo schermo dell’antica vita municipale di Novara coll’ampiezza e coll’importanza di un elemento primario, se non essenziale, del programma amministrativo.

 

Alla luce della competizione portuaria si dispiega e si illumina un altro interessante fenomeno politico, fin qui non avvistato e adeguatamente analizzato, creato nel sec. XIII — in lungimirante analogia coi costumi della contemporanea politica internazionale dei mandati e delle libere città marittime —

 

 

(62) BSSS. CXXVIII docc. LXXIV, LXXV, LXXIX, LXXXII, LXXXVIII, LXXXIX. dall’an. 1217 at 1231: XCV-XCVI.

(63) Barlassina e Picconi, o. c. an. 1931 p. 146.

 

 

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dall’accorgimento tattico milanese colla costituzione — quando il possesso divenne arduo cruento e dispendioso — delle tre località dei porti-ponti (Vigevano, Galliate, Trecate) - sebbene borgate piccole e di scarso potere espansivo — in comunità libere affrancate indipendenti dalle città (64), nella cui giurisdizione avevano fino allora gravitato, in modo da poterle sedurre e manovrare, con minori inciampi, nella sfera della propria ormai giganteggiante influenza.

 

L’affacciarsi pertanto della Bulgaria sui tre punti sensibili e strategici del confine fluviale novarese tra l’ottocento ed il novecento non va inteso affatto per un’espressione etnica-pagense od una pretta distensione del comitato. Le nitide ulteriori vicende, costantemente svoltesi sui tre piloni in concorrenza sempre tra le stesse diocesi e le stesse città-comuni, provano a luce meridiana che l’azione tentacolare bulgariense in margine o meglio sugli approdi fluviali della diocesi di Novara rimaneva intenzionalmente circoscritta nel quadro delle darsene, traguardi più che sufficienti e soddisfacenti, proteso com’era, quel contado, che operava da satellite nell’orbita diocesana-civile e nell’interesse mediato d’una città esuberante e dinamica, ad un’unica mira, tenere cioè in pugno il geloso nodo viario d’accesso ed il proficuo (65) sistema dei porti gemellari combinati delle due sponde d’un fiume navigabile,

 

 

(64) N. Colombo, o. c. p. 66. Riporta da Bibl. Histor. Ital. doc. 424 : «Haec est responsio.... domini Matheus vicecomes.... Multa castra sita sunt inter confinia plurimarum civitatum Lombardie, que minime sunt civitatum ipsarum, sed libera sunt et propriam iurisdictionem habere noscuntur, nipote Viglivanum, Galliate et Trecate....» (an. 1299). - BSSS. CXXVIII p. 270.

 

(65) I milanesi cavavano, oltre ai finanziari, benefici politici dal controllo dei ponti, sfruttandolo come una pedina allettatrice nelle contrattazioni diplomatiche. Nel 1170 infatti i consoli di Milano promisero al comune di Vercelli l’esenzione dalle tasse di pedaggio e di navatico dei vercellesi elle s’accinvegano al varco del Ticino presso Trecate, sia per mezzo del ponte sia per mezzo delle barche, e ciò in esecuzione della clausola inscrita nei reciproci patti di alleanza. I consoli però s’impegnarono soltanto per la quota spettante a Milano: segno è che nel 1170 si osservava ancora la concessione, falla nel 1168 a Novara della melò dei proventi fiscali (Manaresi, o. c. doc. LXXII, p. 193. - BSSS. XCVII doc. XXXII).

 

 

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fluente tra terre ricche ed ubertose, popolate di genti industri e produttrici, floride di reciproci scambi.

 

Niente dunque rivelazioni di nuove insulae d’etnografia politica, ma semplici indici di un movimento discontinuo e secolare diretto all’occupazione ed al controllo degli approdi e delle porte d’accesso al Novarese ed alla Lomellina. Nulla più. Non sono inglesi l’Italia la Spagna perchè mani britanniche detengono i minimi lembi strategici di Malta italiana e di Gibilterra spaglinola; cosi come Seprio non divenne il Novarese, allorchè (avanti il 1013) l’ex-porto bulgariense di Bornago passò in potere del contado sepriense (66) ed anche se, per mera ipotesi, unica fosse sopravvissuta questa ultima notizia nel naufragio immaginario delle tre pergamene regie 877-919, le quali scopersero prime e solitarie i vagabondaggi bulgariensi d’oltre fiume.

 

 

VII. L’inutile obbiezzione del diploma ottoniano.

 

La seconda obbiezione, avanzata a rincalzo della prima, ha tutta l’aria d’un cavallo di ritorno: proposta a testimoniare, a sua volta abbisogna di buone credenziali per essere ammessa alla prova dei fatti. A completamento della triade portuaria la Bulgaria avrebbe, sempre nel sec. X, costellata la diocesi novarese d’una diecina d’altri nuclei supposti sicuramente proprii e affioranti dalla prosa sovrana rilasciata il 18 aprile 969 da Ottone I a favore d’Ingone di Belcredo (67).

 

 

(66) BSSS. LXXVIII p. 233.

(67) Ibidem, doc. LXV.

 

 

67

 

Il diploma, per la capitale significanza fin qui concordemente conferitagli non meno che per i riflessi geografici fin qui acquisiti, merita un’attenta spassionata revisione.

 

Il contenuto del diploma è caratterizzato da due elenchi di regioni e di luoghi nominati senz’ordine geografico, nei quali Ingone possedeva beni e diritti. Precede l’elenco delle regioni o contadi enumerati nella seguente successione: 1. Bulgariense; 2. Lomellino; 3. Plumbiense; 4. Milanese; 5. Iporediese; 6. Pavese; 7. Piacentino; 8. Parmense.

 

Segue l’elenco dei luoghi ossia corti interamente possedute, tutte di diocesi novarese, accantonate tra Novara ed il natio Belcredio e cioè le corti di Bercleto, Cerano, Villanova, Gravellona col proprio castello, Cassolo e Treblado, Marinasco, Vevra (68), Vigevano, Sozzago e, dentro la città di Novara, la corte ed il castello di Veratelino.

 

Siccome il primo contado della lista è il bulgariense, si è creduto dai più, non si sa con quale criterio e per quale suggestione, di attribuirgli le località della lista curtense.

 

 

(68) L’editore F. Gabotto stampò veramente Neura, secondo la copia dell’Arch. Capit. di Novara; mentre l’Affò, secondo l’originale di Parma, pubblicò Neviri (Storia di Parma, I, 358, doc. 70): le due formule interpretative circoscrivono obbligatamente l’indagine selettiva. Anche l’Ughelli (Italia Sacra, II, 201) in fondo lesse in un originale vaticano Neulo, ridotto poi a stampa scorrettamente con Beneuto o De Neuto. Nell’attesa del rintraccio di uno o di altro originale, e sensa sbiziarirsi in altre deformazioni che dagli originali allontanino, penso che per la identificazione la forma novarese Neura possa (sulla base dell’affinità paleografica n = u = v) essere intesa per Vevra ossia Veveri (confronta «dodeberti de loco ueura» in doc. XLIV, an. 914 a pag. 63 di BSSS. LXXVIII. ed. Morandi; e doc. XLIV, an. 1226 a pag. 73 di BSSS LXXVII. ed. Morandi); e la forma parmigiana Neviri — se è più conforme — possa essere intesa per Noviglio (già in contad di Burgaria, presso Rosate). La carta novarese presenta Neura o Vevra senz’accenno al castello. Nella stesura Affò Ingone risulta proprietario non solo della corte ma anche del castello di Neviri (cortem de Neviri cum castro).

 

 

68

 

In verità è da escludere senz’altro dalle intenzioni del cancelliere o amanuense imperiale qualsiasi disegno di sistemare una corrispondenza simmetrica tra i nominativi dell’elenco comitale e quelli del curtense, a modo di prontuario per l’immediato riscontro di pertinenza delle singole corti ai rispettivi contadi. Prova ne è l’impossibilità — malgrado il più accomodante buon volere — di riconnettere una sola delle corti ai comitati di Milano, d’Ivrea, di Piacenza, di Pavia. E meno che meno torna dialetticamente ammissibile, anche in semplice sede di congettura, dopo la esatta individuazione ormai fissata, l’attribuzione alla Bulgaria piuttosto che a Pombia ed a Lomello.

 

Evidentemente le due serie di nomi (contadi e corti) corrono parallele ma indipendenti senza alcun voluto sistematico richiamo di uno all’altro toponimo. L’accurata lettura del diploma sconfessa ogni diversa arbitraria interpretazione, anche perchè constata il diretto riferimento sintattico e letterale — anzicchè alle corti specificate — alla somma anonima dei beni, delle corti, dei diritti inerenti a mercati ed a pubblici servizi genericamente preriassunti (69): riferimento che tuttavia non disimpegna le corti nominative dalla loro inserzione in uno o in parecchi degli otto contadi,

 

 

(69) BSSS. LXXVIII p. 103: «confirmamus.... omnes res et cortes mercata et publicas functiones... coniacentes infra regnum italicum - in comitatibus videlicet bulgariensi - laumellensi - plumbiensi - medioianensi - evoriensi - papiensi - placentino - parmensi cortem scilicet de bercleto - cortem de ceretano - cortem villanove - cum castro super se habente - cortem de gravalona cum castro Cassiolo et treblado - cortem de marinasco - cortem de neura [vel ueura aut neviri] cum vicogiboin et villa Sazago seti infra civitatem novariensem cortem de Veratelino cum castro super se habentem et in parmensi cortem de tortoliano simul cum castro etc.». Notevole la speciale indicazione del comitato parmense per la corte di Tortoliano, in contrasto col silenzio sui comitati delle corti di nostro interesse.

 

 

69

 

da individuarsi singolarmente con argomentazione differenziale e documentata.

 

Uno scopo sì certamente ce l’aveva il latifondista Ingone nel desiderare certe precisazioni: esso nasceva dall’interesse a far sottolineare nell’augusta ratifica, oltre ai beni sparsi e generici degli otto contadi, il prezioso gruppo particolare dei maggiori e più redditizi, identificabili — senza bisogno di recapiti complementari — con intiere corti — compreso od escluso il castello (70), — le quali erano borgate note ed inconfondibili e che, se borgate non erano, come Belcreto o Bercleto, godevano tuttavia la risonanza della casata proprietaria.

 

Obbiezione quindi affatto negativa nel suo vuoto totalitario agli effetti probatorii della tesi bulgariense.

 

 

VIII. Bulgaria e Bulgari.

 

Riordinate così le idee sulla geografia del contado Bulgariense, sulla nessuna ingerenza o connessione con quello novarese, piacemi completare lo studio anche con alcune precisazioni sull’etimologia del vocabolo Bulgaria, e sull’apporto della Bulgaria alla storia d’Italia.

 

 

(70) Sulla dizione letterale e sui rapporti sintattici di «cortem... cum castro...» si è molto divagato, volendo gli uni intendere il castro quale allegato del vocabolo proprio che precede, gli altri quale attributo del vocabolo che segue, stravedendo poi in questa seconda interpretazione perfino delle interferenze giuridiche, che la limpidità del testo non autorizza. Così nella proposizione «cortem de Gravalona cum castro Cassiolo» si è voluto scorgere la dipendenza di Cassolo da Gravellona e la funzione del castello di Cassolo quale castello o apprestamento militare della corte di Gravellona (A. Colombo, Cart. di Vigevano BSSS. CXXVIII p. 30), induzione smentita dal doc. XVIII (ibid. an. 975), il quale prova che Gravellona era munita di castello proprio e quindi non nel bisogno del castello e dell’immaginaria integrazione di Cassolo. Lo stesso vale per l’analoga soprastruttura elevata sulla frase «cortem de neura (o vevra o neviri) cum castro Vicogiboin». Del resto l’esame attento dei testi medioevali fa persuasi che spesso la particella cum è usata a collegare località distanti e reciprocamente estranee, in surroga variata della congiunzione et, senza significanza intenzionale di rapporti giuridici o di altro tipo tra le località accidentalmente cosi avvicinate.

 

 

70

 

Respinse sdegnosamente il Gabotto il dubbio del Riboldi (71) sulla possibilità della derivazione onomastica dalle caratteristiche improduttive del terreno, più brughiera che campi coltivi, in conformità della nomenclatura adottata dagli antichi geometri e tabellioni nella classifica delle campagne in pars laborativa ed in pars burgaria o brugaria. Della distinzione agraria panni di aver scovato un esempio pratico anche in una vendita rurale novarese rogata nel 970 (72) per Galliate: pecia una de terra campo aratorio et in aliquid gerba et bercaria, probabile svarione invece di burgaria.

 

La congettura non parrebbe cosi anormale da potersi gabellare senz’altro per fantasia, tanto più che troverebbe rispondenza in una condizione di fatto e di nome risuscitata nel bacino del Ticino, La Brughiera, per eccellenza, di Gallarale. Mi trattengono dall’accogliere la spiegazione l’uso contemporaneo e promiscuo nell’agro medesimo del nome proprio e del nome comune, e l’analogia della costante consuetudine regionale di trarre la denominazione geografica dei comitati alto-medioevali dalle città Capoluogo o dalle genti colà stanziate.

 

Nell’identica guisa della Lombardia dai Longobardi, la Bulgaria tolse titolo, anzichè da un centro — come voleva la disputa intorno a Borgolavezzaro ed a Bolgaro, — dalle masse bulgare immigrate insieme coi Longobardi e colà stabilmente concentrate.

 

 

(71) O. c. p. 278.

(72) BSSS. LXXVIII, p. 109, doc. LXVIII, an. 970 giugno.

 

 

71

 

Consentono nell’etimologia Muratori Giulini (73) e Gabotto (74), fondati tutti sulla decisiva affermazione dell’unico storico nazionale longobardo. Paolo Diacono, che cioè le collettività Gepide, Sveve, Sarmate e Bulgare fin dai suoi tempi avevano già battezzato dei loro nomi i paesi di residenza (75).

 

Fuori delia regione, di cui i Bulgari avevano occupato tutti i vici e che da loro si chiamò Bulgaria, fioriscono tuttora reminiscenze toponomastiche nitidamente bulgare, quali Bulgaro o Borgovercelli, Bulgaro Grasso presso Appiano Comense, Bulgorello presso Cadorago pure comense, Bulgaro presso Gadesco cremonese (76), Bolgare presso Bergamo. Esse vanno etnicamente interpretate non come frazioncine aberranti eccentriche dell’unità comitale della loro stirpe, ma come nuclei staccati dal loro gruppo d’origine e dispersi disseminati nell’ambito di altre circoscrizioni.

 

In questa rassegna si direbbe che tutto è retrospettivo.

 

Per uno di quei fenomeni meravigliosi ed enigmatici della tenacia millennare di certe minuscole sopravvivenze, la risonanza bulgariense non è del tutto svanita dal dizionario orale del popolo, questo prezioso serbatoio delle tradizioni o delle storie non scritte.

 

 

(73) O. c. ed. 1760 tomo I p. 373.

(74) O. c. p. 6.

(75) P. Diacono, Hist. Langob. II, 26: «Certum est autem tunc Alboin multos secum ex diversis, quas vel alii reges vel ipse ceperat, gentibus ad Italiam adduxisse. Unde usque hodie eorum in quibus habitant vicos Gepidos, Vulgares, Sarmatos, Pannonios, Suavos, Noricos sive aliis huiuscemodi nominibus appellamus».

(76) Olivieri, Diz. di toponomastica lombarda, voca Bulgaro. Di alcuni di questi paesetti bulgari restano notizie antichissime. Di Bolgare bergamasca è cenno in un istrumento di donazioni religiose di Bergamo del 13 agosto 830 (M.H.P. XIII, doc. 112, col. 203: «terra.... que habere visus fuit in Bulgaro»); e di Bulgaro cremonese è cenno il 30 maggio 990: «in alio loco ubi Bulgari nominatur non multum longe a civitate Cremona» ibidem col. 1502).

 

 

72

 

Il folklore lomellino conserva in vita un motto espressivo, il quale, risalendo su per i crepuscoli mnemonici delle generazioni, si riallaccia vagamente al remotissimo concetto, che il popolo latino-italiano ebbe ai primi contatti valutativi a formarsi della varietà bulgara dei sopraggiunti barbari. Capita talora di udire dalla voce dei popolani la protesta che il proprio non è il paese dei Bourgarè, frase storica allusiva al valore spirituale degli antichi Bulgari d’Italia, come oggi ancora si fa con analogo significato richiamo ai proverbiali indigeni della Val Brembana, famosa un tempo quale patria di persone semplici, ingenue, credulone, facili a berle grosse e ad essere imbrogliate.

 

Era naturale, che tribù primitive staccate dalle carestie delle lande o dalle desolazioni delle tundre inospiti e selvaggie, pervenute sulle piane d’Italia, sotto l’abbaglio dei sorrisi della natura e degli splendori culturali di nostra gente, irradiati dalla tecnica agraria (77) dall’arte dalla dottrina dalla dialettica dall’umanissima fede, sentissero la rivoluzionaria sorpresa del mito della terra fiabesca, promessa e prorompessero trasognate nelle schiette infantili meraviglie dell’ingenuità. Minoranze dominatrici dominate dal fascino della civiltà della maggioranza indigena, politicamente aggiogata ed abulica, quasi prostrata a terra sotto il peso delle grandi reminiscenze imperiali! Vittoria singolare di vinti! Anche i Bulgari, come gli altri invasori, batterono le uguali vie del destino: impresero a cristianizzarsi ed a romanizzarsi, a subire il seducente risucchio dell’assimilazione italiana.

 

 

(77) All’immigrazione bulgara devesi ascrivere l’introduzione di un prodotto agricolo chiamato Bulgara o Burgara nelle carte medioevali e che non saprei identificare. Negli atti del Comune di Milano di Manaresi la Bulgara è menzionata a p. 210, anno 1184; p. 211, an. 1184; p. 372. an. 1204; p. 437 an. 1208; p. 455, an. 1210; p. 460, 1211; ed è sempre elencata insieme colla veccia, col moco e coi lupini - Statuti Novar. c. 270.

 

 

73

 

Ma la fusione dei sangui e la miscela delle stirpi non si compirono in pura perdita per la nostra schiatta. Fu un vero processo biologico con scambio reciproco degli apporti più caratteristici ed operanti. I bulgari non avevano soltanto per apporto il semplicismo od il peso morto della loro ingenuità zotica e barbara. Nel risucchio assimilatore essi ripagarono la multiforme nuova dignità dell’ascensione coll’immissione del sangue nuovo, tra verginale e selvaggio, del dinamismo fisico e dello spirito guerriero nelle nobili esauste vene del decadente, abbacchiato italiano alto-medioevale, sperimentando ancora una volta la potente virtù dell’universalità di Roma, saper vincere, saper attrarre, saper latinizzare il mondo, ma pronto sempre a suggere e ad elaborare dovunque le forze creative e le linfe del ringiovanimento eterno. Guardarsi — ammoniva testé il Duce al convegno romano degli studenti orientali — da ogni limitata concezione di razza!

 

Allorchè la fusione fu integrale e sullo scorcio del sec. XI gli invasori — bulgari, longobardi, franchi ed altri barbari — cessarono di affermare negli atti pubblici la loro devozione alla legge longobarda, alla franca, alla salica, per sentirsi definitivamente italianizzati sotto l’unica legge della «natione romana», allora il ringiovanito popolo italiano vibrò, in gestosa rinascita, della trasfusione e dell’omogeneificazione del dinamismo e dello spirito guerriero, brillato dalle sedimentazioni della romanità eroica, scattando nelle nuove tensioni ideali e nelle pugnaci costruttive radiose irrequietudini dei Comuni.

 

 

IX. La parentesi comitale plumbiense nel reggimento del Contado di Novara (anno 840-990).

 

L’eliminazione della Bulgaria dalle circoscrizioni comitali subalpine smonta automaticamente la teoria gabottiana della di lei identità con quello, che con maggiore proprietà onomastica avrebbe dovuto essere il contado di Novara.

 

 

74

 

Lo studio differenziale offre per altro il destro di scoprire non inutili elementi chiarificatori su questo secondo enigma comitale.

 

Contrariamente all’opinione imperniata nella teoria la civitas di Novara nei secoli IX e X aveva una posizione lucida ed inequivocabile rispetto alla giurisdizione plumbiense: ne era letteralmente e materialmente avviluppata. In margine alla cerchia urbana girava, senza smagliature, una corona di centri secondari tutti documentariamente inserti nel contado di Pombia, corona intrecciata verso oriente con Cameri e Galliate (78); verso sud con Terdobbiate (78), con Garbugna (79), con Nibbiola (80), con Tornaco (81) e con Casale di Cerano (82); verso occidente con Mosezzo (83), con Vicolungo (84), con Casaleggio (85), senza classarvi perentoriamente i luoghi di S. Pietro Masingo, Floseringo, Casalino, Ponzana, Camodeia, Sevenis, tutti rappresentati al Placito plumbiense tenuto in Mosezzo il 4 settembre 962. A nord il pieno dilagare della massa tipica e compatta dello stesso contado, il quale su certi punti aveva rotto dentro la cerchia novarese,

 

 

(78) BSSS. LXXVIII, doc. XXXIII, an. 911-915, p. 46.

(79) Ibid. LXXXI, doc. I, giugno 841, citato da Gabotto, o. c. p. 13 - M.H.P., Ch. I, 39, n. 23.

(80) Ib. LXXVIII. doc. XXXV. an. 911-915. p. 48: «mansos duos in villa nebiole.... perlinentes de comitato plumbiense».

(81) F. Guasco di Bisio, o. c. voce Tornaco.

(82) Gabotto, o. c. p. 13: nell’anno 867: «Casale iudiciaria plumbiense».

(83) BSSS. LXXVIII. doc. LVI, 4 sett. 962, pp. 84-86: «castro musicio.... comitatu. uius plumbensis».

(84) Ibid. doc. e pag. citati. Adalberto conte di Pombia tiene placito im Mosezzo per sentenziare sopra una vendita avvenuta in Vicolungo, sua tacita giurisdizione.

(85) Gabotto, o. e. p. 13. ricorda la locuzione «Maginardus.... vicecomes plumbiense habitator in loco Casaliglo» inserta in M.H.P. Cliart. I, 39, n. 23.

 

 

75

 

incuneandosi fino a raggiungere le frazioni di Peniate (78) e di Baratolo (86).

 

Orientativa la configurazione schematica generale del contado plumbiense. Innucleato primitivamente intorno alla civitatula di Pombia, aveva quasi d’un sol balzo spinti i propri confini meridionali fino all’altezza della città episcopale, a sopravvanzarla, ad isolarla, ed a lambire il comitato laumeliense.

 

Nulla quindi restava dell’agro indispensabile alla formazione ideale del contado di Novara; nè c’era più posto per un eventuale straripamento bulgariense, nel caso ci si volesse ostinare a congetturarlo ad ogni costo.

 

Non v’ha bisogno di avvertire che la raccolta dei cennati indici plumbiensi non è attinta a schedari completi: essa sta ancorata agli elementi sporadici a caso salvati dalle dispersioni archivistiche, le quali hanno annullato silenziato un materiale ben più organico e dimostrativo.

 

Ce n’è tuttavia abbastanza per un’illazione categorica. Il maestro, proclamato l’errore «che il ducato e quindi il comitato di Bulgaria rispondeva al Municipio di Novara», escludeva assolutamente che Novara fosse nel comitato di Pombia (87).

 

Invece, se l’agro di Novara dovette identificarsi con un comitato di altro nome, questo non poteva e non può essere che appunto il contado di Pombia esteso positivamente a foggiare fin sotto le mura urbiche una pressante controcintura, la quale, raggiungendo colla sua larghezza verso levante il ciglio del Ticino, sbarrava saldamente la via all’ipotetica penetrazione bulgariense e ne incapsulava contro il fiume i microscopici discontinui dominii della triade portuaria.

 

Questo per il forese.

 

 

(86) BSSS. LXXVIII, doc. LIV, 29 luglio 962, p. 80: «infra comitatum Plumbiensem coniacentes.... curtes duas Barazzolam et Agredade». Anche in Gabotto, o. c. p. 14.

(87)  Gabotto, o. c., p. 7 Nota 4.

 

 

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 Tavola II. Cartina dimostrativa dell’inclusione storico-geografica della città di Novara nel contado di Pombia tra gli anni 841-969

 

 

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Quale ora l’effettiva polarizzazione politica della città? S’identificava con quella del forese?

 

Storicamente non sono concepibili città libere, insulari frammezzo ai comitati, senza un inquadramento gerarchico nell’uno o nell’altro. L’ex fortissimo municipio della vescovile Novara non poteva mantenersi estraneo all’organismo comitale.

 

Sulla scorta del già discusso diploma di Ottone I a favore d’Ingone giova assodare che, se nessuna relazione diretta intercede tra la ivi riportata toponomastica comitale e quella curtense, ben s’intende tuttavia — come d’altronde la pergamena esprime in tono generico — che tutti i beni, tutti i diritti, tutte le corti, nominate o no, d’Ingone erano distribuiti negli otto contadi e non in altre giurisdizioni. Le dicci corti nominalmente elencate e vagliate devono rientrare pertanto nell’uno o nell’altro degli otto contadi.

 

Tali corti sono tutte identificabili (compreso Marinasco ed eventualmente Vevra) in sponda destra del Ticino, allineate tra Novara e Gambolò, rappresentata da Belcredio, che s’aggrappava all’altura morenica tuttora chiamata costa di Belcredio (88) — vulgo Barcè — e tuttora accatastata col comune gambolese. Il punto sta nel sapere individuare esattamente i comitati di pertinenza delle singole corti.

 

L’indagine va naturalmente ristretta al lembo incuneato tra Novara-Gambolò ed il fiume, con immediata esclusione preliminare —

 

 

(88) Pezza, Gambolò agli albori del Cinquecento, 1923, estr. pp. 9-10, capitolo La strada ed il castello di Belcredio. La strada millennare (in catasto Belcredio; vulgo Barcè) parte ancora oggi da Gambolò diretta a levante, al Ticino, attraversando le due coste di Belcredio. La strada Barcina (o di Barcè), di cui rimane un relitto iniziale, e che partiva da Vigevano, avendo lo stesso obbiettivo della costa di Barcè, teneva un andamento nord-sud, presso a poco parallelo alla provinciale Vigevano-Pavia. Naturalmente la identificazione di Belcredio colla Sforzesca proposta da L. Barni (La Sforzesca antica Belcreda, 1928) non corrisponde alla toponomastica storica ormani acquisita.

 

 

78

 

per ovvie impossibilità geografiche — dei contadi di Parma, Piacenza, Pavia, Ivrea, Milano e Bulgaria (89), la quale ultima non è simboleggiata nell’elenco curtense neanche da una delle tre illustrate teste di ponte o d’imbarco.

 

Campo obbligato dunque delle esplorazioni i restanti due contadi di Lomello e di Pombia, affrontati sopra una comune linea confinaria, documentalmente imprecisa, ma senza dubbio serpeggiante tra i due perni documentati e fissi di Mortara (90) per la Lomellina e di Nibbiola per Pombia.

 

Su tali basi l’assegnazione comitale delle corti interessate dovrebbe procedere dalla loro distinzione in due gruppi caratterizzati dalla vicinanza maggiore al contado Laumellense od a quello plumbiense.

 

Sul primo gruppo crederei fuor di luogo indugiarmi in formulazioni più dettagliate. Posso tuttavia anticipare qualche constatazione: vi appartenevano Bercledo, Vigevano, Treblate, Cassolo, Gravellona, Villanova e Cerano (91).

 

 

(89) Salva sempre la lezione Neviri invece di Vevra e allora interpretabile per Noviglio presso Rosate.

(90) BSSS. LXXIX doc. CCXXXVI, p. 95, e doc. CCXXXVII, p. 96, ambo del 17 aprile 1075: «eodem loco et fundo Mortario et in eius territorio et infra comitatum Lomello». — Il confine però era avanzalo verso Novara circa 6 Km., oltre cioè il comunello d’Albonese satellite di Mortara e feudo degli Albonese conti palatini di Lomello. (Vedi Pezza, Albonese nelle sue memorie e nelle sue glorie, 1900, p. 4).

 

(91) Novaria Sacra del 1931, includendo Cerano nella Bulgaria, equivoca scambiando Ingone di Belcredio con Ingone vescovo di Vercelli nel riprodurre la frase «curtem de Cerredano in comitatu Bulgariensi», che il diploma Ottoniano del 18 aprile 969 non contiene affatto. Mi permetto rilevare l’abbaglio per l’importanza che avrebbe la frase, se testuale. Il primo doc., che adombra la pertinenza di Cerano ai conti di Lomello, risale al giugno 970 (BSSS. LXXVII. doc. VII p. 10): in una permuta di terre tra il vesc. Aupaldo e un tale Gualperto appare tra i coerenti di Cerano Maginfredo Comes, rievocazione del secondo conte di Lomello, cosi come nel 996 si profila nel territorio di Venticolonne — bulgariense quindi solo per breve tempo negli alterni trapassi di dominio dei contadi contendenti — la figura di Cuniberto conte di Lomello (BSSS. CXXVIII, doc. XXVIII, p. 62). Cerano fu di conseguenza nel sec. XII il termine di confine tra le contee di Lomello e di Biandrate, come prova la limitazione riconosciuta da Corrado III nel 1140 e da Enrico VI nel 1196 alla seconda nel possesso della riva del Ticino da Sesto appunto a Cerano (BSSS. CXXIV p. 26 e p. 42). La dipendenza di Cerano da Lomello determinò la sua inclusione, insieme cogli altri comuni lomellini, nei privilegi di Federico I dell’8 agosto 1164, di Enrico VI del 7 dicembre 1191 e di Federico II del 29 agosto 1219 (BSSS. CXXVIII pp. 138; 153; 192) a favore del comune di Pavia. E ancora nel 1250 Cerano era compresa nell’estimo della Lomellina insieme con Villanova di Cessolo, Vignarello, Cilavegna. Albonese (R. Soriga, Documenti pavesi sull’estimo del sec. XIII, in Boll. Società Pavese di Storia Patria 1913 p. 321). Cosi che il confine tra i contadi di Pombia e di Lomello nel sec. X può delinearsi approssimativamente nell’interspazio tra la linea Casale plumbiense sul Ticino-Tornaco-Borgolavezzaro e la linea Cerano-Villanova di Cassolo-Vignarello-Cilavegna-Albonese.

 

 

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Il secondo gruppo tange direttamente il vivo del tema. Vi è contenuto un elemento esplicito, la cui semplice enunciazione posa la risoluzione. Esso è nientemeno che un quartiere urbano, la corte cioè ed il castello di Veratelino, l’una e l’altro insediati «infra civitatem novariensem».

 

V’ha appena bisogno di ricordare che il gruppo curtense situato a nord di Nibbiola gravitava nell’orbita plumbiense. Veratelino quindi, la quale era chiusa non solo dentro la cintura periurbana più addietro descritta ma dentro le stesse mura urbiche ed il cui contado va rintracciato tra gli otto, nei quali erano sparse le proprietà varie del potente Ingone, dopo la serrata procedura d’esclusione, deve necessariamente essere ascritta al comitato di Pombia. Ma insieme ne derivano, senza sottigliezze e senza arbitrii, un altro trionfale accertamento e definitivo riconoscimento. Plumbiense l’agro immediatamente periferico; plumbiensi i sobborghi:

 

 

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plumbiense un cospicuo settore intra-urbico; plumbiense — per logica travolgenza — l’intiera città di Novara.

 

 

X. Fioritura e decadenza del Contado di Novara prima del regime plumbiense (a. 813-840).

 

Sorte eteroclita dunque quella di Novara d’essere nei secoli IX e X subordinata ad un comitato non suo, se normale e sicura vicenda fosse il trapasso dei municipi romani — e fortissimo Municipio era Novara — in judiciarie o ducati o gastaldati.

 

Ne tentò la spiegazione Gabotto, avanzando l’ipotesi che l’autorità del vescovo non poteva non dare ombra al potere civile (92), contrasto da cui sarebbero scaturiti rallentamento e la dissoluzione delle energie occulte cospiranti all’avvento del nuovo ordinamento amministrativo; come se a smentire non fossero stati in azione i comitati d’Ivrea Vercelli Pavia Milano ecc., città tutte classicamente episcopali.

 

Più giustamente sarebbe a sospettarsi l’intervento d’un’esiziale catastrofica crisi economico-politica, la quale avrebbe sorpresa e disabilitata la città proprio in coincidenza col ciclo gestativo dell’iudiciaria, arrestandola nella progressione verso la fase perfetta e tempista e facendole perdere per più secoli l’occasione ed il fruttifero onore d’ascendere a capoluogo di un proprio contado. Interpretazione, la quale s’accorderebbe con tutta una casistica, che ha suscitato in parecchi storici del diritto un forte dubbio sulla costanza della coincidenza dell’iudiciaria col municipio romano (93).

 

 

(92) O. c. p. 9.

(93) P. Vaccari, La dominazione dei Longobardi e lo Stato Longobardo in Italia, in Boll. Società Pavese di St. Pt. 1928 p. 47: «quali i rapporti delle iudiciariae con le antiche circoscrizioni romane?.... La coincidenza con le circoscrizioni romane, anche indipendentemente dagli esempi di iudiciariae più vaste, pare senz’altro si debba escludere».

 

 

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Certo a sovvertire il principio e la norma concorse il secolo di anarchia e di barbarie incuneato tra i bagliori del tramonto imperiale ed i preludi longobardi, anarchia che sconvolse e disorganizzò molti municipi già saldi ed importanti.

 

In correlazione con questi disordini il Besta pose in rilievo la scarsità dei ducati in Piemonte, nonché l’attribuzione di più municipi a talune città; ed il Vaccari cita gli esempi salienti ed illustrativi di Bologna e di Padova, le quali per le miserande condizioni non diventarono sedi di ducato; al contrario il rispettivo loro territorio ex municipale andò inghiottito da altre circoscrizioni: quello di Bologna fu frazionato tra i ducati di Persicela e di Pistoia; quello di Padova tra Monselice, Vicenza, Treviso e la Venezia marittima (94).

 

Torna tuttavia vano per Novara il richiamo suggestivo di questi eventi similari, alla luce di freschi ed esaurienti reperti.

 

Già una traccia documentaria dell’archivio parrocchiale di Cameri mi aveva lusingato d’avere posto le mani sopra elementi decisivi della continuità municipo-comitale di Novara.

 

Sui primi del 1600 — sicuramente dopo la morte del cronista Giovanni Imperatori paleografo espertissimo (95) — l’archivista del celebre convento lateranese di S. Pietro in Ciel d’Oro di Pavia redigeva,

 

 

(94) Vaccari, o. c. p. 48. Secondo quest’autore esistono fondate presunzioni che l’asservimento di taluni municipi ad altri fosse anche opera di conquista bellica da parte di duchi ambiziosi. Cita, sull’autorità di Gabotto (Per la Storia di Tortona, p. 32), la conquista del territorio dell’antico municipio di Tortona e di parte di Libarna operata dal duca di Lodi.

 

(95) Il padre lateranese G. Imperatori è autore della cronaca di S. Pietro in Ciel d’Oro chiamata anche codice imperatorio; mori di 40 anni nel 1605. Se la trascrizione delle pergamene fosse stata fatta da lui, avremmo avuto maggiore affidamento di scrupolosa esattezza. D’altronde il sacerdote Don Ionio, autore pregiato della Storia di Cameri, nel comunicarmi gentilmente, a mia richiesta, copia dell’estratto pavese, mi avvertiva che il Lango godeva il beneficio di S. Pietro di Cameri nel 1619. E appunto a questo tempo deve risalire la redazione dell’estratto.

 

 

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per commissione del sacerdote novarese Antonio Lango, un estratto concisissimo di varie pergamene interessanti la chiesa camerese di S. Maria de Intus Vineis detta anche di S. Pietro, della quale era titolare lo stesso richiedente. L’estratto della scrittura più antica sarebbe meraviglioso ai fini dimostrativi, poichè promanerebbe da un inedito privilegio (96) autentico di re Liutprando in data 4 aprile 727 e del quale giova riprodurre i significativi estremi testuali:

 

.... et omnia que in Monteferato et que in comitatu Vercellensi, et Novariensi, et que in Caselle, et pontecurono, et que in Sollariolo habere et possidere videmus, hec omnia que supra diximus donamus, et iudicamus venerando monasterio sancti Petri in Coelo aureo in quo sanctissimum et venerabilem Augustinum adduximus et condivimus» (97).

 

Seguono i succhi testuali di altri cinque diplomi (98), nei quali non ritorna più il comitatu, soppiantato dalla dizione episcopatu Novariae.

 

 

(96) Cenno a scopo diverso dal mio in Ionio, o. c. p. 164-65.

(97) L’estratto, di cui deve esistere copia anche nell’archivio delia Curia Vescovile di Novara, reca il seguente esordio:

 

«Reperiuntur in Archivio Ven. Monasterii Sancti Petri in Coelo Aureo huius civitatis Papiae inter caeteras scripturas pertinentes ad clericatum Sanctae Mariae de Intus Vineis vel ut vulgo dicitur Sancti Petri de loco Cameri dioecesis Novariensis, infrascriptae scripturae quas ego Notarius infrascriptus sic instante Rev. Presb. Domino Antonio Lango dicti Beneficii ecclesiastico moderno ac consentiente Admodum Rev. Patre Dom. Epiphanio de Papia preposito dicti Venerandi Monasterii sub cuius iurisdictione ipsum beneficium existere asseruit, aliena manu mihi fida extrahere feci ut infra. Et in primis repertum fuit in priviieggio Regis Liutprandi authentico sub data IV nonas aprilis.... Anno Dominicae Incarnationis Regni autem Domini Liutprandi regis.... Ind.... X actum Papiae feliciter».

 

(98) Tra essi una bolla di Callisto li dell’11 aprile 1120; un diploma di Ottone III del 24 giugno 990; altro di Corrado II del 24 giugno 1028; altro di Arrigo V del 28 agosto 1110; altro di Federico I dell’11 febbraio 1159.

 

 

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Già pertanto nella donazione Liutprandina sta la prova provata della costituzione del contado longobardo di Novara. Tutto ciò sarebbe — dopo tanto almanaccare in contrario —, ripeto, meraviglioso, se il vocabolo comitale, di schietta paternità franca, non paresse un’eccessiva anticipazione, da lasciare alquanto perplessi sull’autenticità del privilegio di un re notoriamente fatto segno a più attribuzioni, dalla critica messe bellamente in quarantena. Quantunque forma e contenuto si ripresentino esattamente nella conferma di Corrado il Salico del 20 gennaio 1033 (99).

 

Ma è altresì vero che nella ridda dei diplomi regi od imperiali le precoci anticipazioni si alternano disinvoltamente colle posticipazioni più attardate. Ancora nell’ 865 — novant’anni dopo il crollo del regime longobardo — si designano beni «in iudiciaria Sebriense» (100); nell’867 «in iudiciaria Mediolanensi» (101) ed «in iudiciaria plumbiense», e nell’ 824 anche «in ducatu mediolanensi» (102).

 

Viceversa una carta del 735 descrive beni sul fiume Olona nel contado del Seprio (103);

 

 

(99) M. G. H. Diplom. IV, 97 e 246, nn. 75 e 86. Cenno anche in Gabotto, o. c. p. 11 : «et omnia que in Monteferato et que in comitatu Vercellensi et hiporediensi atque in Novariensi ad eundem locum perlinent».

(100) Giulini, I, 242: «rebus positis in loco et fundo Balerna, ubi dicitur Oblino, iudiciaria Sebriense». — Riboldi, o. c. p. 59, da carta in Cod. Diplom. Longobardo.

(101) Giulini, I, 249. - Gabotto. o. c. p. 13 - Cod. Dipi. Langb. doc. 243. - Muratori. Antiq. medii aevi, II, 209 e 262: «in valle tellina iudiciaria mediolanensi et in casale iudiciaria plumbiense».

(102) Giulini, I, 125: «que erant in valle tellina in ducatu mediolanensi».

(103) Riboldi, o. c. p. 56, da carta in Arch. St. Milano: Museum Diplom. vol. I mon. di S. Ambrogio.

 

 

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altra del luglio 737 relativa ad una fondazione monastica precisa che Carate sorge «iuxta fluvio Olona comitatum Sepriense» (104); ed un’altra del 788 designa già fondi «in comitatu Slationensi» (105).

 

Se dopo ciò dovessi affidarmi ciecamente alla guida del regesto di Cameri, incapperei in una selva selvaggia e pericolosa di dubbi e di sospetti, incontrollabili sopra una stesura autentica destituita di originale. Abbandono perciò l’Infida o discutibile testimonianza, lieto tuttavia d’averla riesumata per quanto vale e per semplice scrupolo di cronista.

 

Tanto nulla si perde dell’effetto dimostrativo, perchè fortuna vuole che possa con più blindata efficacia subentrare l’atto veronese del 24 giugno 813, dal quale si affaccia, senza contestazioni, sulla scena la figura di

 

RICPERTO COMITI CIVITATIS NOVARIE (106),

 

personaggio probabilmente identico ad un Rapterto comes del maggio 827 (107).

 

Basta questo accertamento spicciolo per sfasciare le tesi negatrici, poichè l’efficienza, proprio sull’alba dell’impero carolingio, del comitato novarese, ha per naturale ordinario presupposto l’eredità delle funzioni dall’iudiciaria.

 

 

(104) Schiaparelli, Codice Diplom. Longobardo I p. 199: l’editore dichiara il doc. una falsificazione.

(105) Riboldi, p. 204: ritiene falsa la pergamena.

(106) Nella pergamena della donazione falla dal vescovo veronese Rataldo ai canonici di quella cattedrale, dopo le nove soscrizioni del benefattore e dei diaconi seguono le firme + Signum manus Gerardo comiti civitatis regiensis qui rogatus a domno Ralaldo episcopo hic manum suam posuit - + signum manus Ricperto comiti civitatis Novariae testes. La carta sia nell’Archivio Capitolare di Verona. Fu divulgata da Maffei, Opuscoli ecclesiastici p. 95; è edita in M.H.P. XIII, col. 100-108; in Cod. Dipl. I.angb.; citata per primo su questo Bollettino, 1932 pp. 11-12 ed in nota, da P. Parodi nell’art. Mosezzo ed i suoi signori.

(107) Rilievo di Parodi, o. c. - Il doc. sta in Monumenta Novalicensia, ed. Cipolla I, 75-80.

 

 

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Vestigia scarse, ma bastanti e definitive.

 

Dopo queste fugacissime scintille il comitato di Novara si tuffa nel buio, si eclissa totalmente dai cartari, per riemergere soltanto nell’aprile 999 tra le righe di una elargizione sovrana al monastero di S. Salvatore di Pavia (108): lacuna intermedia di circa 150 anni, che merita un sondaggio di chiarificazione.

 

Non era raro il caso di comitati che s’offuscavano e si abbattevano, passando periodi più o men lunghi sotto la reggenza del conte viciniore.

 

Muratori (109) e Giulini (110) hanno commentato o sottolineato il caso della città di Como, che in un decreto del re Carlo III dell’ 880 appare annessa al contado milanese.

 

L’inizio dell’eclissi comitale di Novara va ricercato nella prima metà del secolo nono.

 

Per studiarlo e determinarlo necessiterebbero la nozione e la descrizione preventive delle aree separatamente occupate dal contado di Novara e da quello di Pombia propriamnte detto, avanti l’avvento della grande Pombia risultata dalla loro unione sotto il governo plumbiense: pregiudiziale inesaudibile nell’assenza di fonti sincrone.

 

Si possono invece raccogliere lumi soddisfacenti, di chiara irradiazione retrospettiva, dopo lo scioglimento dell’unione promosso nel trentennio 969-999 (111), in cui i due antichi comitati tornarono a disgiungersi, a riprendere l’autonomia e le posizioni d’origine, a rientrare entro i loro tradizionali rispettivi confini geografici, a ripresentarsi nei cartarii come due entità divise e coesistenti.

 

 

(108) Cod. Dipl. Langb., doc. 907.

(109) Antiq. medii aevi. V p. 929.

(110) O. c. I. 314: «civitati Comani comitato mediolanensi».

(111) Forse l’evento della ricostituzione del comitato di Novara si ricollega ad investiture imperiali (di Ottone I, Ottone II e Ottone III) del vescovo, in analogia colla successiva assegnazione al medesimo dei contadi di Pombia e di Ossola, e colle tre concessioni ottoniane — di cui l’ultima del 22 giugno 1001 (BSSS. LXXVII p. 13) — relative al districtum territoriale.

 

 

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Potè tuttavia la potenza del vescovo ricostituire nelle di lui mani l’unità di reggenza dei contadi in altra forma, sulla falsariga dell’unità diocesana (112).

 

La politica di fedeltà all’impero valse al presule novarese l’investitura dei comitati di Pombia e d’Ossola decretata nel 1014 da Arrigo II, confermata il 10 giugno 1025 e nel 1028 da Corrado II, nonché da Arrigo IV il l’aprile 1060 (113). Riproduco da quest’ultimo diploma le preziose indicazioni geografiche.

 

«Concedimus itaque comitatum de Plombia cum ripa Ticini a loco qui dicitur Camarascum usque ad Petram Mauram».

 

Camariasco e Pietra Mora due evidenti termini confinari — inferiore l’uno superiore l’altro — del contado di Pombia. Quanto basta per ricostruirle gli estremi territoriali e per fissare il dato storico, che la giurisdizione plumbiense d’origine — cioè quella ripresa dopo il divorzio amministrativo dal contado di Novara —

 

 

(112) Un’incognita e una complicazione nello studio dell’organizzazione periferica della diocesi novarese sarebbe l’apparizione, in un diploma dei re d’Italia Ugo e Lotario del 4 marzo 945 (BSSS. LXXVII p. 4; e BSSS. CXXIV p. 1), del contado di Fontaneto d’Agogna, con diritti in Valsesia. La critica moderna ne offre una spiegazione convincente, legando la genesi di questi piccoli comitati all’autonomia goduta da certi castra già dentro la circoscrizione del municipio romano, genesi alla quale non contraddirebbe la ricca messe archeologica di Fontaneto e della vicina Suno. P. Vaccari (o. c. pp. 45-46) propende a ritardare queste autonomie di castra ad età posteriore, longobarda-franca, al qual ciclo formativo potrebbe ascriversi anche la costituzione meteorica del comitatula di Fontaneto, di cui non si hanno ulteriori ragguagli.

 

(113) BSSS. LXXVII, doc. XII, p. 19; doc. XIII, p. 22; doc. XVI. p. 27; doc. XVII, p. 29; doc. XXI. p. 36. - Bianchetti, L’Ossola inferiore, II. 43, n. 12. - In M.H.P. Ch. I. 805 n. 499 vi ha Dipl. di Federico I, 3 gennaio 1155, relativo ai confini descritti del comitato di Pombia.

 

 

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 Tavola III. Profilo schematico dei confini del contado di Novara avanti l’anno 841 e dopo il 969

 

 

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si appoggiava ad oriente al Ticino, risalendo a nord fino a Pietra Mora ed a sud fino a Camariasco (114), localizzabile sul ciglio del fiume poco sopra Bornago di Cameri. Resta conseguentemente stabilito in Camariasco l’estremo meridionale del contado di Pombia propriamente detto. Tutto ciò quindi, che stava a sud di quel punto e di quella linea partitoria, deve intendersi per contado di Novara, quale doveva essere sull’esordio dell’800, allorché ne era conte il nominato Ricperto.

 

Ora consta da fonti indubbie che quella linea di separazione era già stata scavalcata nella prima metà del secolo IX dai conti di Pombia. Il franco Maginard infatti, il quale teneva la residenza ufficiale in Casaleggio, donava nel giugno 841, nella sua veste di visconte di Pombia, alla chiesa novarese diversi beni collocati in Garbagna (115).

 

Casaleggio — pochi chilometri ad occidente della città — e Garbagna — sette chilometri a sud, — che stavano alquanto sotto il confine meridionale del contado di Pombia propriamente detto e devono perciò considerarsi elementi classici nucleari del contado di Novara, erano già dunque nell’ 841 inseriti nella giurisdizione plumbiense, e palmarmente dimostrano la già compiuta integrale sostituzione dell’una all’altra giurisdizione comitale.

 

Anzi la residenza ufficiale del visconte in Casaleggio è altro indizio dell’avvenuta concentrazione, la quale, date la lontananza e la ubicazione eccentrica di Pombia, rese legittimo il provvedimento politico della creazione del temporaneo capoluogo secondario,

 

 

(114) Gabotto, in I Municipii Romani (BSSS. XXXII, p. 317, nota 2) identifica Camariasco con Canteri stessa: diversità di nomi importa diversità di luoghi; l’affinità degli etimi e delle altre circostanze suppone vicinanza geografica. Il testo indica l’ubicazione di Camariasco sulla riva del Ticino, mentre Cameri ne dista da 4 a 5 Km.

(115) M.H.P., Ch. I, 39, n. 23. Citato da Gabotto o. c. p. 13.

 

 

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in servizio dell’agro costituente l’ex contado autonomo di Novara.

 

Il movimento pertanto dell’invasione o concentrazione giuridico-politica si produsse tra gli anni 813 (al massimo 827) — data dell’ultima notizia di un conte funzionante e noto di Novara — e 841 — data della prima e più antica notizia del subentrato regime plumbiense.

 

Fatto o scoperto questo accertamento, diventa arduo e pericoloso pretendere di scandagliare e dettagliare alla distanza d’un millennio, le modalità e le causali dell’esautoramento di Novara. Forse qualche luce particolare offre il conflitto gravissimo d’interessi e di diritti, scoppiato appunto nell’interspazio cruciale degli anni 827-841 tra i conti e l’autorità diocesana.

 

Era pratica normale di governo la revisione periodica e riparatrice delle iniquità perpetrate dai prepotenti nei singoli contadi, almeno dell’Alta Italia, mediante l’invio di commissari giudiziari ambulanti, investiti d’ogni potere e della facoltà di sentenziare e dirimere senz’appello. L’invio e la nomina dei commissari erano provvedimento ordinario d’iniziativa sovrana.

 

Per Novara, in rapporto colla gravità estrema delle cose, occorse la richiesta formale, il grido d’angoscia lanciato sul principio dell’anno 810 dal vescovo S. Adalgiso (116). V’ha nel grido l’unica eco documentata di violenze sistematiche contro la proprietà e le persone ecclesiastiche, di uno stato caotico di usurpazioni e di aggressioni, esasperato fino all’intollerabile e fino a decidere il santo e paziente Adalgiso a reclamare l’assistenza imperiale e l’invio specifico dei conti Leone e Giovanni, autorevoli e potenti personaggi dell’epoca, a tutela giuridica della chiesa (117).

 

 

(116) BSSS. LXXVIII, doc. V del febbr. 810, p. 7.

(117) Giovanni fu conte del Seprio nell’840, conte di Milano nell’841; Leone fu conte di Milano nell’842, nel qual anno entrambi elessero gli avvocati in una causa monastica di Pavia (Riboldi, o. c. p. 57; Giulini, I p. 182; e p. 91).

 

 

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Non è difficile indovinare chi fossero gli autori delle sopraffazioni. Unicamente i titolari del contado novarese, gli esponenti dell’autorità civile, potevano disporre l’audacia e le forze per offendere ed assaltare la potenza ed il prestigio del grande vescovo.

 

Senza presumere di conferire all’episodio un’importanza determinante, v’è tuttavia tale coincidenza di date e di avvenimenti gravi, da legittimare la congettura del provvedimento risanatore della cacciata dei conti di Novara e della sistemazione territoriale sotto il governo dei conti di Pombia.

 

 

XI. Conclusioni.

 

Potrebbe ora altri sviluppare, inferire, ricostrurre, spaziare di più vasto e attraente orizzonte dottrinale sui rapporti giuridici nascenti da questo intenso movimento di cambi comitali, delle interferenze dei visdomini ecclesiastici, delle attività politiche e temporali dei vescovi novaresi, già tutti sul proscenio dal secolo nono.

 

A me basta la fatica più semplice, quella dissodatrice del terreno; più rude, quella basilare di raccolta organica dei materiali, di selezione elaborativa, d’epurazione degli elementi spurii od intrusi e ad ogni modo deragliatiti, nella lusinga che non sia traguardo meno elegante la meticolosa rassettatura del piano di marcia sotto i piedi delle sintesi e delle teorie e nel convincimento che la storia si fa anche rivedendola e demolendola nei suoi rami meno vitali, per un’aderenza più tonica alla verità documentata. V’ha del contributo e dell’efficienza non meno nello sfrondare che nel ricostruire.

 

Sc sfrondare vuol dire animare ravvivare, può ritenersi contributo vitalizzatore l’aver profferta la parola fine liquidatrice di un accidioso sesquipedale abbaglio,

 

 

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che ingombrava annebbiava mascherava fuorviava un intero settore di storia confinaria piemontese-lombarda, e l’aver liberata la cronaca novarese-lomellina dal fantasma perturbatore del contado bulgariense, dissociandolo nettamente dal contado novarese. Suggello tempista d’ambo le negazioni nel cristallino interesse della verità univoca e dell’alta obbiettività degli studi, la quale sta regalmente accampata a cavaliere delle cuspidi dei campanili, pronte ad impigliare e lacerare.

 

Quest’ufficio prettamente negativo della trattazione è tuttavia esuberantemente controbilanciato dalla somma interessante dei nuovi reperti positivi, i quali dalle umili individuazioni topografiche dei minuscoli centri di Venticolonne, di Lubrino e di Belcredio, dall’identificazione geografica di Casale sul Ticino, dalla proiezione di Cerano e Vignarello sullo schermo comitale laumellense risalgono alle affermazioni di più solenne e generale portata, quali la riconduzione della Bulgaria italiana oltre Ticino nella primitiva e mai abbandonata sede geografica dell’ex circondario Abbiatense; la precisazione descrittiva dei suoi confini; la prospettiva del fermento tentacolare, fiottante, bellicoso della politica portuaria milanese sui millennari tre varchi del Ticino fino al più scaltro gioco precursore della neutralizzazione dei rispettivi borghi sotto la lustra di comuni liberi; la rigorosa dimostrazione della esistenza del contado di Novara — a continuazione viva del municipio romano e delliudiciaria longobarda — avanti l’anno 840, della concentrazione successiva nell’ambito del contado plumbiense e della rinascita della sua personalità politica e geografica, sul tramonto del millennio, in convivenza affiancata cogli altri comitati di Ossola e di Pombia sotto l’egida unitaria del gerarca episcopale.

 

    Francesco Pezza.

 

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