Sull’«origine» della lira calabrese  [*]

 

Goffredo Plastino

 

 

Calabria bizantina. Civiltà bizantina nei territori di Gerace e Stilo ; [Locri, Stilo, Gerace, 6 - 9 maggio 1993]

- Soveria Mannelli (Catanzaro) (1998) p. 111-136

 

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    Bibliografia

    (Album)

 

            1. La lira calabrese è un cordofono ad arco, con tre corde, di piccole dimensioni (disegno 1) [1]. In base agli strumenti rilevati, la lunghezza varia da un massimo di 650 a un minimo di 390 mm., la larghezza da 180 a 90 mm. Le aree di diffusione della lira sono la Locride, in provincia di Reggio Calabria, e il Poro, in provincia di Catanzaro. Lo strumento è attualmente in forte crisi, poiché ne rimangono soltanto pochi suonatori.

 

È generalmente ricavata (ad eccezione, a volte, della tavola armonica, del ponticello e dei bischeri) da un unico massello di legno, attraverso la lavorazione a mano. Nella maggior parte dei casi è piriforme, ma esistono lire quasi triangolari, “a freccia”, o a “forma di vanga”: lo strumento, sottoposto ad elaborazioni individuali, è a volte il risultato di una ibridazione tra le forme sopra ricordate [2].

 

Posteriormente la lira può essere bombata o piatta: la bombatura può essere accentuata o meno. La base è arrotondata o piatta: la base piatta è a volte ottenuta mediante l’inserimento di un tassello.

 

La lira può essere suddivisa, per comodità di analisi, in tre parti fondamentali, dal basso verso l’alto: cassa armonica, manico, cavigliere. Questa suddivisione è anche quella che tradizionalmente viene fatta dai suonatori-costruttori.

 

La cassa armonica è scavata nella parte inferiore: ha sempre il fondo piatto, che non segue quindi l’eventuale bombatura posteriore. Coincide con il profilo dello strumento. La cassa armonica è ricoperta dalla tavola armonica, che viene inchiodata o incollata. La tavola poggia su uno scalino appositamente ricavato sui margini della cassa armonica, oppure direttamente sulla cavità:

 

 

*. Questo saggio riprende alcune pagine di Plastino 1994, nelle quali mi soffermo sulle caratteristiche della lira calabrese e sulla sua possibile “origine”. Ringrazio la casa editrice Monteleone per aver concesso la pubblicazione del testo in questa sede.

 

1. Per un’analisi delle differenze tra i diversi modelli di lira in Calabria, alcuni dei quali anche molto diversi da quello (pur rappresentativo) qui presentato, cfr. Plastino 1994.

 

2. Sulla lira esiste una vasta bibliografia, dagli studi demologici agli scritti locali, fino alle più racemi analisi organologiche: Audia 1981/82: 95-97, 140-141; Benintende 1953: 424; Braghò 1853: 55; Brancia 1853: 32; Carpitella 1961: 143, 1991: 10-11; Castagna 1986; Coop. «R. Lombardi Satriani» 1987a, 1987b: 11 (E/8-E/16); D’Agostino 1978; Ferraro 1984,1985; Galluccio 1987: 29-30; Germi 1977: 65, 67; Guizzi 1990: 54; Guizzi - Leydi 1984: 58; Leydi 1982: 45-47, 1983: 124-128, 1985, Leydì - Guizzi 1983: 39, 41-42; Lombardi Satriani - Rossi 1973: 136; Lombardi Satriani R. 1930: 59,1951:91; Mesoraca - Minuti 1989:48-50; Nadile 1984; Pellicano 1987: 211; Plastino 1986, 1988b, 1988c, 1992a, 1992b, 1993, 1995: 145-157; Ricci - Tucci 1985: 758, 1988: 54-55, 1991: 192-194; Ritorto 1987: 124; Rizzi 1982/83: 5-26; Sgro 1915: 4; Stragazzi 1853: 47; Tucci 1991: 192-194; Zappia 1990: 100; Zappone 1985: 146. Una considerazione critica di tutte le fonti è in Plastino 1994.

 

 

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solo in questo caso la tavola armonica ha il bordo rialzato rispetto al piano dello strumento, mentre quasi sempre il suo livello coincide con quello del manico.

 

Sulla tavola armonica, in basso, in prossimità della base, sono intagliati due fori di risonanza, che possono essere circolari, semi-circolari, semi-ellittici, a tre quarti di cerchio, romboidali, quadrati. Il ponticello è posto generalmente a cavallo dei fori di risonanza, in alcuni casi prima o dopo; il suo profilo superiore può essere arcuato o piatto. Sul ponticello poggiano le tre corde, che corrono su altrettante tacche intagliate poco profondamente. Sotto il ponticello, a volte sotto il segmento di legno che separa i fori di risonanza, viene posta l’anima di canna (Arundo donax L.), sempre a destra. Come dicevano i suonatori del passato, l’anima serve a far «scendere la tonalità», a condurre il suono verso il fondo. In passato, nel Poro, i due fori di risonanza erano considerati come le due metà di un unico foro, separato dalla sottile striscia di legno, detta masculu. Quando l’anima è posizionata sotto il ponticello lo rende asimmetrico, sollevandolo dal livello della tavola armonica di qualche millimetro. L’anima ha, anche secondo i suonatori, la funzione di trasmettere le vibrazioni al fondo dello strumento.

 

Il ponticello era in passato (anni ’30-’40) eccezionalmente costituito da un pezzo di legno a forca, con due gambe ricavate dallo stesso materiale durante la lavorazione, aventi contemporaneamente la funzione di sostegno e quella di anima.

 

Il manico, la parte della lira che è sempre meno larga della cassa armonica e che viene utilizzata nella sua parte superiore per la diteggiatura, è ricavato dal graduale restringimento verso l’alto dello strumento: solo in alcuni strumenti di recente costruzione il manico è come «inserito» nella cassa. Al di sopra di esso è sempre nettamente distinguibile il cavagliere, il cui profilo può essere triangolare (nella maggior parte degli strumenti) o circolare. Alcune lire hanno un cavigliere formato da un lieve allargamento verso l’alto del manico.

 

Il cavagliere ospita tre bischeri, posteriormente. Quello centrale è più alto rispetto ai due laterali, così che la corda che tende è la più lunga.

 

Sul cavagliere di alcune lire sono presenti anche altri fori. Si tratta spesso dei risultati di alcuni tentativi di ribucatura effettuati dai suonatori nella ricerca di un diapason corretto. Era la lunghezza delle corde ad essere adattata alla mano del suonatore-costruttore. In alcuni strumenti un foro in alto verso la punta ha una funzione decorativa, o serve per appendere lo strumento al muro.

 

La lira calabrese, come gli strumenti della stessa famiglia, non ha il capotasto e la tastiera. Le corde sono relativamente alte rispetto al piano cassa-manico. Si attaccano generalmente ad una cordiera, incollata o inchiodata alla base, il cui margine superiore è sotto o a ridosso di fori di risonanza. In alcuni strumenti l’attaccatura delle corde viene effettuata direttamente alla base, mediante dei chiodini: le corde possono essere fissate separatamente, oppure tutte insieme.

 

L’inserimento delle corde ai bischeri è laterale, attraverso un piccolo foro, o in alcuni esemplari sagittale, attraverso una fessura ricavata appositamente. La loro accordatura segue lo schema 5-1-4.

 

 

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L’arco è ricavato da un legno flessibile, arcuato mediante un fascio di crini di cavallo non allineati. Di recente viene adoperato un frustino per cavallo. I crini sono resi solidali tra loro mediante l’uso della pece (rasa). Quest’ultima, quando viene posta sullo strumento, si trova in prossimità dei fori di risonanza, o sul retro, sopra i bischeri o sulla cassa.

 

 

            2. Tra le questioni riguardanti l’origine degli strumenti ad arco, risalente al IX secolo d.C., l’emergenza dello strumento musicale denominato “lira” ha un rilievo particolare. La lira riveste inoltre un ruolo significativo nella successiva diffusione degli archi, verificatasi intorno all’anno 1000 nei paesi del bacino del Medi- terraneo e in seguito in tutta l’Europa. A questo periodo storico, a tali complesse vicende — oggetto di indagini approfondite e su molti aspetti esaustive [3] — è necessario fare riferimento per delineare una probabile cronologia del piccolo cordofono ad arco.

 

Il termine “lira” compare nei documenti, designando uno strumento musicale a corde piriforme, a partire dall’VIII secolo d.C. In precedenza, per tutta l’antichità (nel IX see. a.C. Omero ne parla nell’Iliade), con “lira” si indicava, com’è noto, uno strumento dalla

 

«struttura composita ed eterogenea: la cassa consisteva d’un carpace di tartaruga o di una sorta di scodella di legno ricoperta da un pezzo di pelle in funzione di tavola armonica e tenuta in piedi. Due corna animali, o due montanti lignei, che si dipartivano dalla cassa, stavano a sostenere il giogo, o traversa, orizzontale. Le corde, fissate alla parte inferiore della cassa e impedite d’aderire alla tavola armonica per causa d’un ponticello, venivano legate alla traversa» (Sachs 1980: 146) [4].

 

Non è chiaro come sia avvenuto il passaggio dello stesso termine dallo strumento delle età classiche greca e romana al cordofono a forma di pera, più piccolo e morfologicamente molto diverso. Sybil Marcuse (1975: 483) ritiene

 

«che il nome lira derivi [...] dal fatto che, quando gli strumenti dell’antichità scomparirono, i loro nomi furono accordati a Bisanzio a quelli nuovamente emergenti».

 

Non sarebbe possibile, quindi, stabilire alcun nesso tra l’antica denominazione e le caratteristiche dei nuovi strumenti. Se questa ipotesi è corretta, il termine “lira” corrispondeva semplicemente ad uno strumento a corde, non meglio definito. In ogni caso, quali che siano state le modificazioni dei referenti oggettivi della parola, l’associazione “lira” / strumento piriforme è già in atto al momento dell’arrivo dell’arco in Europa [5].

 

Le prime e apparentemente non equivocabili testimonianze letterarie ed inconografiche sull’uso dell’arco risalgono al periodo che va dalla fine del IX all’inizio del X secolo d.C.

 

 

3. Cfr. Bachmann 1964.

 

4. Cfr. anche Diagram Group 1977: 168.

 

5. Curt Sachs (1980:152), soffermandosi su un terzo genere di lira, il bárbiton o bárbitos (suonato con il plettro a accordato a un’ottava inferiore della péktís, un’arpa), ricorda che «Esiste in persiano un termine somigliante, barbat, una collazione non ci è molto utile, dacché sappiamo soltanto che esso disegnava uno strumento a corde usato verso il 600 d.C. dalle fanciulle cantatrici bizantine». I nomi dei cordofoni più antichi erano probabilmente applicati ai nuovi.

 

 

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Provengono dai territori sottoposti al dominio dell’Impero Bizantino e degli Arabi. Non esistono documenti precedenti su cordofoni ad arco in Europa [6] o nell’Asia dell’Est. L’analisi delle fonti più antiche, soprattutto visive, ha consentito a Werner Bachmann (1964) di far risalire al IX secolo e ai territori dell’Asia Centrale la nascita dell’arco, o di bacchette a frazione.

 

L’introduzione di questo nuovo mezzo di produzione del suono in aree diverse da quelle dove era stato creato, ebbe qualche iniziale, prevedibile resistenza. Le classi più elevate dei musicisti e dei teorici musicali, soprattutto quelle arabe, disprezzarono la nuova e (teoricamente) non attraente qualità del suono ottenuta con l’arco, accordando la loro preferenza agli strumenti a pizzico e a plettro. Nonostante ciò, proprio alcune possibilità offerte dall’arco (legare le note, ottenere un suono pressoché ininterrotto, eseguire ricche ornamentazioni sulla linea melodica, imitare e sostenere meglio di altri strumenti musicali la voce), vinsero le diffidenze iniziali. In molte aree del mondo arabo, tuttavia, gli strumenti ad arco vennero suonati, quasi esclusivamente e per lunghi periodi, nell’ambito della musica tradizionale.

 

A partire dall’XI secolo d.C. l’arco penetra e si diffonde in Europa, seguendo la strade culturali costituite dalle attività commerciali e di dominio esercitate dagli arabi e da Bisanzio, che includono anche l’esportazione e la circolazione di strumenti musicali. L’arco viene inizialmente adoperato quasi ovunque sugli strumenti a corda già in uso, suonati a pizzico e a plettro.

 

La forma della lira più tipica — un corpo piriforme, con fori di risonanza in basso verso la base, corde in numero variabile da una a cinque, assenza di tastiera e capotasto, bischeri a inserimento posteriore — preesisteva con ogni probabilità all’arco, come strumento a pizzico o a plettro. Ciò appare evidente dall’osservazione dì alcune fonti iconografiche. Un musicista, raffigurato in un bassorilievo databile all’Vili o al IX secolo, proveniente dall’Asia Centrale (disegno 2), suona uno strumento che sembra essere del tipo considerato. In un salterio risalente circa all’anno 1000, conservato alla Biblioteca Capitolare di Ivrea, è ritratto un musicante che imbraccia uno strumento molto simile alla lira, suonandolo con un lungo plettro (disegno 3). Una delle più note raffigurazioni di una lira suonata senza l’arco è quella del piccolo rilievo di età carolingia conservato al Louvre, databile alla fine dell’VIII secolo (disegno 4), nel quale è visibile un suonatore che pizzica uno strumento piriforme a tre corde, appoggiato tra le gambe. È quindi probabile che la lira (o uno strumento piriforme a corde) fosse conosciuta e suonata prima deH’arrivo dell’arco. Nelle Historiae (VI. 2.) del bizantino Theophylactus Simocatta, risalenti al 583, viene citata una “lira”, suonata probabilmente senza l’arco: questo documento, con l’ambiguità espressa dalla sola citazione del termine, potrebbe indicare che prima

 

 

6. Katleen Schlesinger (1969:402-403) riporta la raffigurazione di uno strumento ad arco tratta dal volume di Herbè Costumes Français (1834). Lo strumento piriforme a quattro corde viene fatto risalire da Herbè all’VIII secolo. L’illustrazione è riprodotta nel volume senza alcuna indicazione relativa alla sua origine, in una pagina che descrive gli utensili e gli ornamenti al tempo di Carlo Magno. La Schlesinger rileva che lo strumento potrebbe essere stato conosciuto già nell’VIII o nel IX secolo, ma anche che la grande imprecisione della fonte induce piuttosto alla cautela.

 

 

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del IX secolo il nuovo significato della parola “lira” era già attestato, a favore di un cordofono diverso e forse piriforme [7].

 

Le tecniche di produzione del suono tra loro alternative (produrre il suono con o senza l’arco) continuarono a coesistere anche quando l’uso dell’archetto si era diffuso: ad esempio, i re raffigurati sul frontale della Cattedrale di S. Maria ad Oloron in Francia (siamo al XII secolo) suonano delle lire pizzicandole con le dita (disegno 5).

 

 

            3. La nascita della lira e la sua diffusione in Europa attraverso Bisanzio e il mondo arabo sono ripercorribili con difficoltà. Su questi aspetti le fonti iconografiche e letterarie disponibili non sono particolarmente chiare. L’interpretazione corretta delle raffigurazioni degli musicali di epoca medioevale, non sempre accurate, ricche di dettagli e di informazioni sulle forme e sulle tecniche di esecuzione, è resa più ardua da alcuni requisiti di fondo proprî a questo tipo immagini.

 

I problemi relativi ad una corretta identificazione dei cordofoni ad arco medioevali e in particolar modo della lira, nella fase storica della sua attestazione nel Mediterraneo e in Europa, sono quelli più generali ampiamente discussi dagli studiosi di iconografia musicale [8]. Il pittore, lo scultore o il miniaturista spesso non avevano una conoscenza approfondita degli strumenti che riproducevano: inoltre, non sentivano affatto l’obbligo di essere realistici nelle rappresentazioni. La stilizzazione dell’arte medievale e le convenzioni simboliche, classiche o religiose, che regolavano il lavoro dell’artista, avevano come conseguenza delle notevoli deformazioni nei dettagli e nell’insieme dello strumento [9]. Va considerato, inoltre, che molte raffigurazioni venivano o riprodotte fedelmente, o comunque ispirate ad immagini precedenti, e che una certa ripetitività era data dal fatto che si effettuavano illustrazioni su temi fissi, ripresi dalla Sacra Scrittura. Come ha osservato E. A. Bowles, l’iconografia medievale in genere non è stata concepita e realizzata «per servire come documentazione storica per gli specialisti dei secoli successivi» (1983:10), e pertanto deve essere considerata con cautela.

 

 

7. Cfr. Marcuse 1975:483. Ivan Kachulev (1963:95) scrive che nelle successive edizioni delle Historiae lo stesso strumento veniva chiamato Kitara e gusla, e aggiunge:

 

«Spesso nelle fonti manoscritte uno strumento è chiamato in vari modi, oppure strumenti differenti sono chiamati con lo stesso nome; ma in questo caso non si tratta di uno strumento simile alla lyra (dell’antichità) oppure a pizzico, ma di un gusla o di una gadulka ad arco, poiché è noto che il nome lira venne usato per strumenti ad arco simili a questi nell’Europa Occidentale, com ’è ancora usato ai nostri giorni in Grecia e sotto la costa Dalmata».

 

In realtà non è possibile inferire dal nome una tecnica di produzione del suono, e nella relazione originaria del 583 non c’è alcun accenno all’arco. Le traduzioni successive delle Historiae potrebbero non essere in questo senso attenibili, perché forse il traduttore aveva già in mente uno strumento musicale ad arco quando leggeva lira: ciò non implica che nel 583 esistesse una gadulka.

 

8. Cfr. Bachmann 1964; Bowles 1983; Crane 1971; Dévie 1976; Guizzi 1983; Hammerstein 1984; Imago Musicae 1987; Mayer Brown 1984; Munrow 1976; Seebass 1983, 1987, 1992; Winternitz 1961, 1982.

 

9. Cfr. Munrow 1976: 5; Seebass 1983: 71-74.

 

 

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La nomenclatura degli strumenti musicali utilizzata nel Medioevo costituisce un ulteriore problema per il riconoscimento di famiglie precise. I nomi dei singoli strumenti variano sensibilmente a seconda delle fonti e delle epoche (Dournon 1992: 286-290). Ancora più estese e fuorvianti sono le applicazioni dello stesso termine a strumenti musicali diversi, o allo stesso strumento, che però è adoperato con un differente modo di produzione del suono [10]. La lira poteva essere chiamata anche giga, cedra, citola, sedra, cidra, sitara, citole, cuìtolle, liern, gelîret [11] ; lo stesso vocabolo “lira” era è sarà in seguito utilizzato in riferimento ad altri strumenti musicali, quali, ad esempio, la ghironda [12]. La difficoltà di identificazione è ulteriormente accresciuta quando — ed è un caso abbastanza frequente — uno strumento è noto soltanto dal nome riportato in un documento.

 

Tenendo presenti le questioni relative all’individuazione degli strumenti musicali sulla base delle testimonianze iconografiche e letterarie, qui essenzialmente considerate, è possibile valutare quanto dell’introduzione e della diffusione della lira in Europa sia attribuibile agli arabi o a Bisanzio.

 

 

            4. Per gli arabi la lira, la λύρα, era simile ad uno strumento greco-bizantino. Ibn Khurdadhbih (morto nel 912), in un’orazione sugli strumenti musicali degli arabi e dei popoli a loro vicini, pronunciata ad Al - Mu’tamid (870 - 93), e successivamente pubblicata nel Muruj al - dhahab di Al - Ma’udi (morto ca. 956), parla anche di uno strumento bizantino: «presso di loro [i bizantini] c’è la λύρα e questo è il rabab, e su di lui sono cinque corde» (cit. in Farmer 1928: 508, 512). anche Al - Farabi usa la parola “lira” come sinonimo di rabab [13]. Questo parallelismo si riscontra anche in documenti successivi. Nel XII secolo il Glossarium Latino - Arabicum riporta: «Lira dieta a varietate = Rabab» [14].

 

Questi riferimenti letterari non danno, nel complesso, la certezza dell’esistenza della lira presso gli Arabi intorno al Mille.

 

 

10. In ambito folklorico sono numerose le variazioni dei nomi rispetto ad uno strumento, e quelle degli strumenti rispetto ad una denominazione: «si potrebbe continuare a citare quasi all’infinito esempi della stessa parola applicata a strumenti realmente dissimili l’un l’altro per aspetto e suono ed, inoltre, che sono usati per tipi di musica largamente disparati» (Jenkins - Rosving Olsen 1976: 6). I due studiosi fanno l’esempio di uno strumento della famiglia della lira:

 

«Il Kemençe della musica classica turca è un minuscolo e mirabilmente lavorato strumento ricavato da un unico blocco di legno, ma la stessa parola si riferisce al violino a puntale della musica classica persiana, dalle origini e dall’aspetto realmente differenti».

 

11. Cfr. Ferrari Barassi 1979; Steger 1971: 13-17.

 

12. In Munrow 1976: 17 è riprodotta un’illustrazione tratta dal Musica getutscht di Virdung (1511), nella quale la ghironda — «una viella meccanica in cui, invece di un arco, una ruota girevole alloggiata nel suo interno e fatta ruotare con un manico, sfregava le corde, e una serie di asticelle per la tastatura sostituivano le dita nel compito di premere le corde» (Sachs 1980: 317) — è detta lyra. Cfr. anche Dournon 1992: 286.

 

13. Cfr. Farmer 1930b: 781-782, che riprende il dato della Schlesinger, senza confermarlo.

 

14. Cfr. Perkuhn 1976: 95-96. Il Glossarium Latino - Arabicum è un glossario scritto nel XII secolo a Toledo (Spagna), in ambiente mozarabico, da un estensore anonimo: ai termini latini elencati alfabeticamente sono affiancati i termini equivalenti in arabo. Secondo Burnett (1990: 81) «la definizione di rabab nel glassario — lira dicta a varietate — deriva da Isidoro, Etymologiae, III, XXII, 8: “Lyra dicta apò toû lereîn, id est a varietate vocum, quod diversos sonos efficiat”».

 

 

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È innanzitutto difficile ravvisare nel rabab uno strumento musicale simile alla lira: «il rabab non fu [...] strettamente parlando, uno strumento di particolare forma o costruzione ma fu essenzialmente uno “strumento suonato con l’arco”» (Farmer 1930b: 776), quindi un termine di uso generale per diversi cordofoni ad arco. Secondo Henry George Farmer (1930b: 776) l’etimologia di rabab è rabba, che significa “raccogliere, riunire, assemblare insieme”: l’applicazione del termine “rabab” ai cordofoni ad arco in genere indica che è possibile “raccogliere, riunire assemblare insieme” un numero di note di corta durata in una più lunga [15]. Pertanto, non è possibile escludere che l’associazione “lira”/ rabab sia stata utilizzata dai teorici arabi per utilizzare e far comprendere ai loro interlocutori o lettori la lira, uno strumento musicale non arabo, che veniva spiegato mediante il riferimento al modo di produzione del suono.

 

È con ogni probabilità l’uso dell’arco che avvicina ancora, nel Vocabulista in Arabico, scritto all’inizio del XIII secolo, la viella al rabab [16]. A meno di non voler ritenere la viella uguale alla lira — questa identità non è stata osservata [17] —, appare evidente da quest’ultimo esempio che la stessa parola rabab è stata riferita a due strumenti diversi. Ciò tende a complicare notevolmente la possibilità di riconoscere una forma del rabab più vicina alla lira, e inoltre costituisce un’implicita conferma del fatto che rabab sta quasi sempre semplicemente per “strumento ad arco”.

 

Farmer, tuttavia, è dell’opinione che vi fosse un’uguaglianza tra lira e rabab. Proprio in base alle annotazioni di Ibn Khurdadhbih, lo studioso sostiene che «il tipo favorito del rabab al tempo di Ibn Khurdadhbih era lo strumento a forma di pera» (Farmer 1930b: 782). Farmer individua questo «tipo favorito» ritornando in seguito sulla similitudine tra lira e rabab, nella sua analisi degli affreschi della Cappella Palatina di Palermo, risalenti al XII secolo: «qui è riprodotto uno strumento ad arco (rabab). Quest’ultimo era detto anche lura: questa parola corrisponde al greco λύρα» (Farmer 1966: 58 e ili. 44) [18].

 

La nota raffigurazione dello strumento ad arco della Cappella Palatina (disegno 6) sembra avere in effetti alcuni punti in comune con la lira: corpo piriforme,

 

 

15. Cfr. anche Liavas 1991: 174-175.

 

16. «Risale all’inizio de] XIII un altro Vocabulista in Arabico, e non lascia nessun dubbio la sua provenienza dal Nord-Est della Spagna, per la sua traduzione con parole tipiche catalane. Come il Glossarium Latino - Arabicum, comprende vocaboli usati quotidianamente insieme a termini teologici, che quindi servono ad indicare un opera di consultazione per i Missionari. I vocaboli di entrambi i Glossari contengono caratteri medio-arabi» (Perkuhn 1976: 95).

 

17. La viella è il principale strumento ad arco del XIII e del XIV secolo in Europa, con un ruolo di rilievo tra le classi più elevate e tra i giullari. Il corpo era scavato in un solo blocco di legno, sagomato generalmente ad 8; i fori di risonanza di solito semi-circolari, erano variamente intagliati; il manico era provvisto di tastiera. Cfr. Baines 1992:110; Munrow 1976: 27-29; Page 1974; Reese 1980: 399; Remnant 1975.

 

18. Scrive inoltre Farmer: «Sembra superfluo far rilevare che la musica, soprattutto la “ballata” popolare, era più amata in Sicilia. Federico II (morto il 1250), che si distinse per la sua tolleranza, aveva alla sua corte “ballerine e cantanti saraceni”. Gli strumenti musicali in uso nella Sicilia Normanna [...] possono essere stati presi in prestito dagli Arabi. Gli affreschi della Cappella Palatina di Palermo, che è stata costruita il 1140, forniscono materiale [...] per la ricerca su strumenti sconosciuti. Tra l’altro qui sono illustrati circa 200 musicisti con i loro strumenti. La maggior parte avevano cordofoni» (1966: 58).

 

 

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forse due corde, posizione sul ginocchio [19]. È di difficile interpretazione l’impugnatura della mano sinistra del suonatore, che praticamente racchiude tutta la parte alta dello strumento, dato il rapido restringimento della cassa dal verso il manico. Non sono visibili fori di risonanza; verso la base è individuabile una “striscia” rettangolare, che sale a sinistra rispetto a chi guarda, forse con funzione di cordiera o di ponte. Complessivamente lo strumento palermitano appare simile, per certi particolari, ad una lira, ma un’identificazione completa sembra difficile. È possibile comunque affermare che strumenti a forma di pera, a base arrotondata, erano conosciuti ed usati nei territori sottoposti al dominio degli arabi, e che costituivano alcuni dei modelli del rabab [20].

 

Questi dati, non esaustivi, non possono essere sottoposti ad ulteriori comparazioni: nell’iconografia islamica delle origini sono assenti immagini di strumenti musicali, per la tendenza diffusa ad impedire le raffigurazioni di oggetti o di scene di vita, considerate il mezzo per giungere all’idolatria. Nei manoscritti mozarabici, al contrario, vi sono, dal IX al XI secolo, diverse riproduzioni di strumenti musicali suonati con l’arco, alcuni dei quali simili alla lira: Werner Bachmann (1964: 41 e nota 34) cita soltanto due fonti con illustrazioni di cordofoni ad arco a forma di pera, il Libro de los Reyes, custodito nella Biblioteca Provinciale di Burgos (Spagna), ed alcune miniature catalane, conservate presso la Biblioteca Nazionale di Parigi.

 

È necessario considerare che la datazione di questi pochi documenti risale ad un’epoca, l’XI secolo, in cui lo strumento ad arco in genere, e la lira in particolare, erano già saldamente attestati in tutta l’Europa. In Spagna, a partire dallo stesso periodo, si moltiplicano le sculture sui portali delle chiese, raffiguranti strumenti musicali a corpo piriforme: ve ne sono alla Cattedrale di Santiago di Compostella (XII secolo) e di Vich (XIII secolo). Se non proprio dell’ “origine” della lira nel mondo arabo, si può essere ragionevolmente certi (nonostante l’imbiguità dell’accostamento terminologico “lira”/rabab) di un uso abbastanza esteso di strumenti aventi la forma della lira, ma non tutte le sue caratteristiche organologiche — soprattutto nei paesi sottoposti all’influenza diretta e indiretta dell’Islam.

 

 

            5. L’Impero Bizantino è generalmente indicato come l’area di nascita e di diffusione della lira, probabilmente a ragione — soprattutto per quanto riguarda la diffusione —, anche se ciò è dovuto, in parte, ad un sentimento nazionalistico secondo il quale lo strumento è originario della Grecia, a volte il “simbolo” stesso di alcune regioni del paese [21].

 

In effetti, le testimonianze iconografiche e letterarie, anche se non sufficente- mente articolate, forniscono alcuni riscontri dell’uso della lira nei territori bizantini,

 

 

19. David Gramit (1985: 18-20), descrivendo i rabab della Cappella Palatina, non li mette in relazione con la lira, ma con l’ud, il liuto arabo. Gramit rileva che le corde visibili nelle diverse raffigurazioni sono due o tre, mentre i bischeri sono raramente visìbili.

 

20. Si vedano, a questo proposito, le voci Lira or Lîra e Rabab or Rababah in Ibsen Al Faruqi 1981.

 

21. Cfr. Leydi 1983: 97, 1985: 169.

 

 

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fin dall’arrivo dell’arco in Europa: ma la maggiore evidenza documentaria non corrisponde ad un’attribuzione di paternità.

 

Il riferimento letterario più conosciuto è quello, già considerato, di Ibn Khurdadhbih, rispetto al quale Bachmann (1964: 46) scrive:

 

«non c’è indicazione, comunque, che lo strumento bizantino a cinque corde descritto da Ibn Khurdadhbih alla fine del IX secolo era suonato con l’arco».

 

Ciò è vero, nel senso che manca ogni indicazione esplicita del modo di produzione del suono, ma il riferimento al rabab, se non altro termine indeterminato per “strumento ad arco” indica che la λύρα era suonata con l’arco.

 

Sulla bizantinità della lira si pronuncia decisamente Curt Sach (1980: 323):

 

«una seconda forma di strumento ad arco provenne dall’Impero di Bisanzio, ed è ancora conosciuta coma Kamanga rumi, o “viola bizantina”, e come lira in Grecia».

 

Maggiori informazioni sono contenute nell’iconografia bizantina più antica che, rispetto a quella islamica, contiene molte raffigurazioni di strumenti musicali, anche ad arco. Bisogna considerare, tuttavia, che l’iconografia musicale bizantina non è stata analizzata ampiamente dagli studiosi, nonostante che molti dei problemi sollevati sull’origine degli strumenti musicali facciano riferimento all’area dell’impero di Bisanzio. Questa situazione ha indotto Joachim Braun (1980: 312) a dichiarare che

 

«uno dei campi più trascurati nello studio dell’iconografia musicale è l’organologia bizantina. [...] L’argomento degli strumenti musicali bizantini è ignorato in numerosi volumi illustrati sugli strumenti musicali».

 

L’osservazione dell’iconografia disponibile può indicare quindi delle linee di tendenza, da sottoporre ad ulteriori verifiche, piuttosto che far pervenire a risultati conclusivi.

 

La più nota raffigurazione di uno strumento ad arco piriforme è quella dell’avorio bizantino risalente alla fine del X secolo d.C. o all’inizio dell’XI (disegno 8): lo strumento ha due corde, ed è suonato da un ragazzo che lo sostiene sul ginocchio sinistro; l’arco è diritto e notevolmente lungo, al centro della cassa armonica; le dita tastano le corde superiormente.

 

Pressappoco dello stesso periodo è la miniatura di un suonatore di strumento ad arco, attualmente conservata presso il Monastero Grande di Lavra (Grecia) (disegno 7). Lo strumento è quasi piriforme: il profilo della lira è sufficentemente accennato (si potrebbe considerare il «piegamento» verso destra come una deformazione prospettica); sono individuabili tre corde, sfregate da un arco arcuato di notevoli dimensioni.

 

Un’altra interessante immagine è l’affresco bizantino del 1050 nella Cattedrale di S. Sofia a Kiev (CSI) (disegno 9), nel quale è rappresentato un giullare che suona uno strumento ad arco: le dimensioni sono notevoli, come il numero delle corde (sette) che corrono sulla cassa armonica. Non sono visibili i fori di risonanza; l’attacco delle corde appare molto complesso.

 

Questi esempi dimostrano che nei territori bizantini, ed in quelli soggetti all’influenza culturale bizantina, era suonato uno strumento piriforme con le corde sfregate da un arco. Ciò non consente un’acritica identificazione tra gli strumenti raffigurati nelle fonti storiche e la lira,

 

 

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per le difficoltà d’interpretazione delle immagini e per la norma dell’autocostruzione che probabilmente regolava la produzione organologica, dalla quale dipende una deversificazione dei modelli. La diversità tra le forme ed i particolari degli strumenti simili alla lira nell’iconografia bizantina considerata, può spiegare anche in base alla diversità oggettiva tra uno strumento e l’altro. Per Bisanzio quindi è possibile sostenere l’esistenza di una “forma-lira”, utilizzata anche al di fuori dei paesi sottoposti al dominio dell’Impero.

 

Una ricerca che tenti di rintracciare l’origine della lira appare complessa. La nascita di uno strumento è il risultato di molteplici interazioni e di continui adattamenti. È difficile stabilire se la lira sia stata “inventata” (come cordofono ad arco) presso gli arabi o i bizantini. Bisanzio sembra aver agito soprattutto come “cassa armonica”, amplificando lo stimolo costituito dall’applicazione dell’arco ad una forma già nota e con ogni probabilità incessantemente sottoposta a sempre nuove variazioni: un’amplificazione che ha spinto la lira verso i territori europei.

 

 

            6. A partire dall’XI secolo d.C. la lira è ormai uno strumento presente in tutta Europa (disegni 10-15) anche in aree non a diritto contatto con l’Islam e con Bisanzio: dopo essere stata diffusa principalmente nei paesi del bacino del Mediterraneo, la lira giunge ovunque, e diviene un cordofono ad arco particolare, tra quelli in uso all’epoca. Sulla lira in Europa prima e dopo il 1000 si soffermano, con maggiore o minore attenzione, gli studiosi dell’origine del violino, di organologia e di musica medioevale, di iconografia musicale del Medioevo [22]. Il periodo di maggiore diffusione dello strumento sembra essere compreso tra l’XI e il XII secolo, come conferma tra l’altro la maggiore frequenza del termine “lira” e dei sinonimi nella documentazione letteraria del periodo [23].

 

La lira medievale è caratterizzata dalla verità nei particolari e a volte nel disegno complessivo. Le corde possono essere una, due, tre (è il caso più frequente), quattro, cinque o più. I fori di risonanza sono principalemente circolari e semi-circolari, ma ve ne sono anche quadrati, a fessura, ed in svariati altri profili. La cassa armonica è compresa tra gli estremi rappresentanti da una forma rotondeggiante e larga e una snella e allungata. In alcuni casi le decorazioni sulla cassa risentono anche di un influsso arabo, come sottolineato, ad esempio, da Kathleen Schlesinger (1969: 402), che scrive dello strumento raffigurato nel salterio manoscritto del X secolo realizzato dal monaco di S. Gallo Labeo Nokter:

 

 

22. Cfr. Bachmann 1964; Baines 1983:229-230,1992:109; Bessabaroff 1941: 250; De Coussemaker 1846: 226-228; Engel 1875: 95-97; Ferrari Barassi 1979; Galpin 1910: 59- 60, 1937: 136-137; Geiringer 1943: 74-75; Gerold 1932: 385-386; Grillet 1901: 23-35; Kinski 1912: 329-330; Kos 1972: tav. 36, passim; Marcuse 1964: 309-310, 1975: 483-485; Mayer Brown - Downie 1984; Nef 1949: 69; Ruhlmann 1882: 51-65; Sachs 1929: 242-243, 1956: 8, 1962: 247, 1967: 175-178, 1980: 323- 324; Stander 1973: 104-108.

 

23. Hugo Steger (1971:13-17) ha elaborato una tabella nella quale sono esposte in ordine cronologico le diverse denominazioni della lira, rilevate dallo spoglio della letteratura tedesca e francese dal IX al XVI secolo. Il maggior numero di citazioni dello strumento di concentra nelle colonne riferite ai secoli XI e XII, della massima espansione europea della lira, mentre dal XIII al XVI secolo il termine tende a scomparire dalla documentazione, parallelamente all’abbandono della lira da parte delle classi più elevate.

 

 

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«questo rebab, proveniente da S. Gallo dove Nokter visse e lavorò, è un altro esemplare sul quale è rintracciabile direttamente l’influenza Moresca».

 

Una vasta tipologia sembra essere dunque propria allo strumento, suggerendo resistenza di forme regionali o di più larga diffusione.

 

Dai paesi del Nord Europa fino in Spagna e in Italia, la lira è suonata da sola e in formazione con altri strumenti, anche con aerofoni: l’ampia diffusione comprende anche i paesi dell’Est. In Polonia, ad esempio, l’esistenza di uno strumento musicale simile alla lira è sufficentemente documentata. Sybil Marcuse (1975: 489) ha osservato: «la Polonia ha avuto lo skrzypce, il suo nome per la lira a corde, dal tardo Medioevo, se non precedentemente». Skrzypce, tuttavia, è il termine usuale che indica il violino, sia colto che popolare (Ewa Dahlig, 1987, comunicazione personale). In relazione alla lira era, adoperato il termine gelse, molto simile per profilo e probabilmente per tecnica di esecuzione al gudok russo: si tratta di strumenti compresi entrambi nel XVIII secolo (Dahlig 1985: 112,116, passim). La presenza della lira in Polonia si spiega con l’esistenza di itinerari commerciali (di fatto vie di diffusione dello strumento) che la collegavano, insieme alla Russia, con Bisanzio attraverso i Balconi? Balconi.

 

La lira era suonata anche nell’ Italia medioevale. Se ne trovano numerose tracce iconografiche, anche se in alcuni casi l’identificazione è incerta. Una delle più belle raffigurazioni dello strumento è la scultura del timpano del Portale Occidentale del Battistero di Parma, opera di Benedetto Antelani, risalente al 1196 (disegno 10): la lira è perfettamente riprodotta, con quattro corde e due fori semi-circolari. Una corda corre fuori dal manico, contribuendo a diversificare lo strumento da altri dello stesso periodo.

 

La sempre più chiara distinzione tra il manico e il corpo dello strumento, già in atto dopo il XII secolo, e la creazione di una tastiera, portarono la forma delle lira verso ulteriori sviluppi, fino alla ribeca. La tastiera e il capotasto rappresentarono un’autentica rivoluzione organologica, determinando una netta differenziazione nell’uso sociale: la ribeca si afferma rapidamente (anche perché permette diteggiature più complesse e consente l’esecuzione di repertori musicali più elaborati), la lira consolida il suo ruolo di strumento elettivo tra i suonatori tradizionali, ai quali pure era appartenuta in passato [24].

 

Sono numerose le illustrazioni, in effetti, riguardanti musicisti popolari che suonano una lira. Quando le immagini si riferiscono alla musica e ai divertimenti dei giullari, opposti culturalmente ai musici di chiesa e delle classi più elevate, in quanto rappresentanti «la musica mondana, il pratico diletto, l’usus in contrapposizione all’Ars» (Frugoni 1978), la lira, lo strumento indispensabile per l’accompagnamento al conto o per far ballare, è quasi sempre ben visibile.

 

 

24. Cfr. Plastino 1988a: 53. Molti studiosi tra quelli in precedenza citati mettono più o meno esplicitamente in relazione con la lira la ribeca, considerandola a volte uno “sviluppo” intermedio per giungere al violino, o anche uno strumento dalle caratteristiche proprie. Cfr. Baines 1992: 279-280 (che riassume molti punti di vista precedenti); Munrow 1976: 27-29.

 

 

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Non a caso «gli anatemi si rivolgono a coloro che hanno nome di poetae, citharistae, musici, scurrae, a tutti quelli che cantano mondanamente accompagnati in lyris et tibiis». La lira, oltre ad essere spesso imbracciata da giullari e da saltimbanchi che fanno ballare uomini e animali, è suonata da alcuni animali, soprattutto dall’asino (disegno 14), che al pari di altri è il simbolo stesso del peccato [25].

 

In prevalenza strumento tradizionale medievale, la lira lo diviene compietamente dopo l’affermazione della ribeca. Solo nell’ambito delle culture musicali orali continuerà ad essere usata nei secoli successivi a fino ad oggi. Ciò non significa che, ad esempio, la lira calabrese non abbia avuto delle linee di sviluppo ed una storia autonoma successiva al Medioevo : non è rimasta come “fissata’ ’ nello stato in cui si trovava nel XIV secolo. Alcune somiglianze formali, nelle tecniche di costruzione ed esecuzione con gli strumenti del passato, consentono di sostenere non un’identità, ma una forte e significativa similitudine (da valutare in una prospettiva storica) tra la lira calabrese — ed i cordofoni ad arco dello stesso tipo in uso nei paesi del bacino del Mediterraneo [26] — e le lire medioevali, com’è stato rilevato da tutti i più attenti studiosi di musica e organologia medioevale [27].

 

 

            7. Nell’Italia settentrionale la lira sembra essere già scomparsa intorno al 1800: «la gòdine che certi testi friulani del secolo scorso citano e che il Pirone decrive come “vecchio strumento a corde” era probabilmente uno strumento del tipo del gudók. In un inventario del 1529 (citato dal Perusini) vi è anche una “lira vecchia con l’arco” che è quasi sicuramente da assegnare alla serie del gudók» (Leydi-Mantovani 1970: 180) [28].

 

In Italia meridionale la lira era suonata ancora nel 1600 in Puglia — come attesta Kircher — durante l’esorcismo coreutico-musicale del tarantismo (Carpitella 1976: 351-352; De Martino 1976: 139). Venne in seguito sostituita linearmente con il violino, divenuto lo strumento a corda elettivo perla terapia musicale. L’“isola” di permanenza della lira in Italia è, dunque, la Calabria.

 

 

25. François Garnier (1988: 17-26) ha sottolineato, analizzando il tema iconografico dell’“asino con la lira”, il legame tra questo animale-suonatore (ed altri, quali la capra) e la simbolizzazione della lussuria. Oltre che con la lira, l’asino è raffigurato, nell’iconografia medioevale, con l’arpa, il liuto o altri cordofoni.

 

26. Rispetto alla larga diffusione che la lira ha avuto nel Medioevo, la situazione attuale evidenzia delle “isole”, aree geografiche e culturali più o meno ampie nelle quali lo strumento viene suonato con maggiore o minore intensità. Con denominazioni diverse e in varie forme, la lira è diffusa nella ex Jugoslavia (lijerica, cemene gusla), in Bulgaria (gadulka), Grecia (lira della Grecia del Nord, del Doodecanneso, lyra di Creta), Turchia (fasil kemençesi).

 

27. Cfr. Plastino 1993. Ha osservato Werner Bachmann (1964: 11):

 

«di particolare interesse risultano essere quelle tecniche arcaiche e quei tipi di strumenti che sono sopravvissuti in certe remote aree per centinaia d’anni, spesso praticamente invariati, e che permettono dunque di trarre una conclusione riguardo la pratica di suonare con l’arco nel Medioevo. [...] Il folklore musicale e l’etnomusicologia forniscono osservazioni e materiale comparativo essenziale per la comprensione e per un’attendibile interpretazione delle fonti medioevali».

 

Cfr. anche Munrow 1976: 5, passim.

 

28. È riferendosi a questi dati che Linda Germi (1977) ritiene la lira uno strumento musicale italiano caduto in disuso.

 

 

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Anche qui lo strumento ha una morfologia che lo collega direttamente alla diffusione degli archi in atto nel Mediterraneo in epoca medioevale (Plastino 1993b). A questo periodo risale probabilmente l’ “arrivo” della lira in Calabria. La questione è stata affrontata da Roberto Leydi che, dopo una graduale precisazione svolta in diversi scritti, sostiene che

 

È immediato e facile collegare la presenza e Fuso della lira in Calabria alla cultura grecanica ancora presente in questa regione. Certo vien da osservare come la lira sembra essersi conservata (se pur in grave crisi) fuori della zona ancor oggi abitata da grecofoni, per la qual zona non conosciamo segnalazioni di questo strumento. La lira è attestata (secondo i dati assai parziali a nostra disposizione) più a nord del territorio oggi abitato dai grechi, in un’area che, tuttavia, è stata di cultura greca in passato.

[...]

 

Ci si può chiedere perché uno strumento che appare così «tipicamente» greco si sia mantenuto nell’uso non già là dove cultura greca è riuscita a sopravvivere fino a noi, ma piuttosto in un territorio de-grechizzato da abbastanza lungo tempo.

[...]

 

La questione dell’origine della lira calabrese direttamente si connette alla questione dell’origine (e delle vicende storiche e storico-culturali) delle popolazioni grecaniche in Italia.

[...]

 

Meno facile sarebbe accertare l’autonoma «creazione», tra i grechi di Calabria, di uno strumento così caratterizzato come la lira, pressoché identico alla lira di Grecia. Si deve, pertanto, ritenere che la lira sia stata portata in Calabria dalla Grecia, già perfettamente definita in tutti i suoi tratti caratterizzanti, in un’epoca, cioè, in cui, in Grecia, lo strumento aveva raggiunto morfologicamente e funzionalmente il livello oggi riconosciuto (Leydi 1985: 168-169).

 

Leydi prende in considerazione, per illustrare le relazioni tra Grecia e Calabria, le teorie linguistiche di Morosi e di Rohlfs, secondo le quali la presenza di idiomi greci nella regione sarebbe dovuta all’influenza bizantina (Morosi) o, invece, ad un’ininterrotta continuità con la Magna Grecia, rivitalizzata dagli influssi bizantini (Rohlfs) [29]. Storicamente, tuttavia, la bizantinità della Calabria presenta aspetti molto più complessi e, in relazione all’ “origine” della lira, difficilmente ripercorribili con chiarezza.

 

In Calabria, il periodo aureo dell’insediamento bizantino, anche attraverso il monachesimo greco, è compreso tra il X e l’XI secolo, alla viglia della conquista normanna. L’influsso ecclesiastico è notevolmente diffuso e profondo e la regione gode anche di un notevole sviluppo economico (Bulgarella 1983: 216-224, 1989: 479- 483). Queste condizioni, favorevoli agli scambi (anche di strumenti musicali), sono da integrare con le ripetute, violente incursioni islamiche. Gli arabi dominano in molte aree della Calabria tra il 900 e il 1000, a volte per periodi di tempo molto lunghi.

 

 

29. Si veda, a questo proposito, Mosino 1989: 374-375.

 

 

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Va considerato, inoltre, che, al di là delle dominazioni politiche e militari, la Calabria del periodo appare soprattutto come un melting pot di culture e di razze [30], che favorisce i contatti, gli scambi, le integrazioni, come si desume tra gli altri dall’esempio seguente:

 

«morto Albereco [982], ultimo emirotto di Squillace, molti dei suoi si spargono per la Calabria e si mescolano con gli abitanti cristiani. I calabresi poco sperando deghimperiali, si avvicinano ai musulmani, e con traffichi, parentadi, amicizie, si fondano in uno, salvo la opposta credenza, nel che a comun vantaggio cominciano a tollerarsi a vicenda» (Moscato 1983: 37).

 

Considerando la complessa situazione di conquiste, perdite, riconquiste di paesi, città, territori da parte dei bizantini e dei musulmani, la Calabria intorno all’anno 1000 sembra — politicamente, militarmente, economicamente e culturalmente — una regione dalle molte facce, con esempi di integrazione a volte pacifica, in altri casi violenta. Si consideri, infine, che gli influssi greci e arabi saranno operanti nella regione ben oltre la fine degli insediamenti politici bizantini e musulmani. Quale “grecità”, allora, ha determinato l’ “arrivo” della lira in Calabria? Come appare evidente da quanto essenzialmente considerato, tracciare linee nette di demarcazione culturale appare difficile.

 

Un solo documento linguistico, finora sembrerebbe indicare la presenza della lira in uno dei paesi grecanici della Calabria, dove peraltro la memoria dello strumento è assente. Risale agli anni ’60 la rilevazione a Gallicianò (Reggio Calabria) del termine λύρα inteso come strumento musicale:

 

λύρα ἡ (λύρα) Καλαβρ. (Γαλλικ.).

Τὸ ἀρχ. οὐσ. λύρα.

Τὸ μουσικὸ ὸργανο λύρα: Κρούν-νομε τὴ λ-λύρα κρούομεν τὴ λύρα (Karanastàsis 1986: 399-400) [31].

 

Il sostantivo, definito antico dallo stesso ricercatore, appare irrelato, non trovando conferme né in lessici grecanici del passato (Caracausi 1979, Pellegrini 1970, Rohlfs 1964) né in ricerche etnomusicologiche recenti (Liavas-Dionyssopoulos 1991). Non è chiaro, pertanto, se si tratti di un “relitto” terminologico o dell’ultima attestazione verbale di un uso della lira tra i grecanici. Ma anche l’attestazione più certa di un uso della lira tra i grecanici non implicherebbe un’ “origine grecanica” dello strumento.

 

Leydi ha più di una volta sostenuta la sua convinzione di un’origine della lira per lo meno incerta in territorio bizantino e in epoca medioevale, in base alla considerazione che il materiale iconografico a disposizione, molto scarso, non offrirebbe alcuna sicurezza sulla presenza dello strumento.

 

 

30. John Davis (1993: 105) ha recentemente posto l’accento sull’importanza del Mediterraneo in quanto melting pot culturale.

 

31. Traduzione: «Lira (la), Calabria (Gallic[ianò]) / L’antico sostantivo lira. / Lo strumento musicale lira: "crunnome ti lira” - suoniamo la lira».

 

 

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Nelle fonti iconigrafiche bizantine troveremmo quindi

 

«la cavigliera angolata, che determina necessariamente il capotasto e [...] le corde inferiormente fissare al ponticello. Inoltre, la posizione alla spalla di questi strumenti esclude la possibilità di una tastatura laterale delle corde con le unghie» (Leydi 1982: 40-41);

inoltre

«non abbiamo attestazioni iconografiche dell’esistenza di uno strumento del tipo-lira, in Grecia, prima del XVII secolo. [...] Soltanto un avorio del X-XI secolo potrebbe (con dubbi) suggerirci l’esistenza della lira» (Leydi 1985: 169-171).

 

La lira sarebbe stata introdotta presso i greci di Calabria da Bisanzio, ma senza che immagini o documenti ne abbiano evidenziato l’uso presso i greci e i territori bizantini in genere. Non è logicamente possibile, pertanto, determinare con certezza l’arrivo dello strumento nella regione.

 

È inoltre possibile chiedersi: perché la diffusione e lo scambio tra Bisanzio e gli altri paesi (o tramite Bisanzio verso gli altri paesi) sarebbe dovuta avvenire solo dopo il raggiungimento di forme stabili e definite negli strumenti? E, ancora, si può determinare quando e in che misura questa stabilità fu raggiunta? È difficile sottrarsi all’impressione di una certa “meccanicità” di questa impostazione. Come hanno evidenziato Edith Gerson-Kiwi (1952) e Erich Stockmann (1971), la migrazione o la diffusione di uno strumento musicale costituiscono dei precessi di comunicazione inter-etnica. L’aquisizione di uno strumento musicale è un atto “creativo”, che dipende molto dalla similitudine dei tratti delle culture musicali che entrano in contatto, dal desiderio di una reciproca comprensione, dall’osservazione dei procedimenti costruttivi ed esecutivi da parte dei suonatori e dei costruttori della cultura cosiddetta “ricevente”, dall’accettazione dello strumento da parte del gruppo etnico. Una delle conseguenze è l’elaborazione formale o sonora dello strumento musicale da parte della nuova etnia, che lo “traduce” nel proprio linguaggio musicale. Questo complesso modello di comunicazione musicale e organologica — che Stockmann invita a considerare soprattutto in una prospettiva storica — mi sembra corregga efficacemente un’eccessiva concezione monogenetica e «linearista» (Schaeffner 1978: 386-387), a favore di una comprensione più ampia delle varianti organologiche locali, determinate da contatti storici e musicali.

 

Il modello è utile per capire una probabile “origine” della lira calabrese, che può essere spiegata, oltre che dalla situazione storica della Calabria medioevale, anche da considerazioni di carattere più generale. Non vi sono dubbi sul fatto che attraverso le attività commerciali avvenne, intorno all’anno 1000, la diffusione di molti strumenti musicali nel Mediterraneo. Poiché i traffici erano condotti principalmente dai bizantini e dagli arabi, l’immissione in Europa di nuovi strumenti musicali si verificò principalmente attraverso le rotte commerciali e culturali di quei popoli. Bessabaroff (1941: 250) sottolinea che

 

«Fra Costantinopoli e l’Europa occidentale vi fu una considerevole attività commerciale che incluse anche l’esportazione di strumenti musicali».

 

 

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Inoltre, attraverso i canali bizantini si faceva sentire, riguardo agli strumenti musicali, anche l’influenza araba: «Bisanzio stessa fu un’importante strada per questa influenza» (Farmer 1930a: 136) [32].

 

Di fronte a una così complessa situazione di interscambio, di circolazione e di sempre nuovi adattamenti degli strumenti musicali alle realtà locali, stabilire quale fosse il grado stabilità morfologica degli strumenti che migravano è, di fatto, impossibile [33], come è difficile sapere dove siano nati e per opera di quali culture si siano imposti. Una rigida definizione di «tratti caratterizzanti» escluderebbe dalla elaborazione delle forme la Calabria, che avrebbe ricevuta la lira morfologicamente definita, mentre, al contrario, la continua modificazione delle caratteristiche dello strumento sembra essere stata la principale peculiarità dello strumento nella regione.

 

La questione delParrivo, se rigidamente formulata, appare un falso problema. La migrazione degli strumenti musicali (come di altri oggetti e degli altri aspetti della cultura dell’uomo) implica necessariamente mutamenti fin dal momento dell’acquisizione da parte di nuovi gruppi etnici. Si aggiungono delle parti, se ne tolgono altre, si modificano le forme, il timbro, il volume, l’accordatura, le tecniche di esecuzione. Non è possibile ipotizzare una forma rigidamente determinata e immutabile che si sposta. Riguardo alla lira, si può parlare di una circolazione mediterranea, senz’altro sostenuta da Bisanzio, e, per i requisiti formali assunti dallo strumento nei diversi paesi dove si era ed è attualmente diffuso, di policentrismo.

 

In questa prospettiva, accettare una bizantinità della lira calabrese, non meccanica ma al contrario articolata, può rientrare nella prospettiva di un riconoscimento dell’influenza che la dominazione bizantina ha avuto in Calabria, dominazione non sempre esercitata per vie dirette e visibili. Non bisogna dimenticare, infatti, «una caratteristica essenziale della Calabria medioevale: la sua posizione geopolitica periferica rispetto alle formazioni statali di cui fece parte, sia nel pericolo in cui il centro di gravità di tali formazioni era Bisanzio, sia allorché ebbe sede sul suolo italiano, a Palermo cioè, o a Napoli. Ne derivò che lo sviluppo delle energie locali ebbe, più che altrove, ritmi e aspetti propri» (Pontieri 1957: 65). Si tratta, quindi, non solo di un’influenza chiaramente riconoscibile, ma, nel caso della lira, di uno “stimolo”, una forma di influsso indiretto [34].

 

 

32. Luisa Cervelli (1977: 30) ricorda (riprendendo Farmer 1930a) che «i musulmani percorrevano il Mediterraneo molto prima di Venezia, Genova e Pisa e che le grandi strade carovaniere erano in mani arabe dall’alba della storia».

 

33. Ricordo questa osservazione di André Schaeffner (1978: 386-387):

 

«Uno strumento negro può provenire dall’India o dalla Malesia: fra il suo stato attuale in Africa e gli stati antico e attuale nel luogo d’origine, fra i molti modi di suonare queste diverse forme di uno stesso tipo di strumento, si rileva diversità profonde che nulla hanno a che vedere con una trasmissione geografica e senso unico; a parte il fatto che ignoriamo che cosa era nel luogo d’origine e che cosa esattamente ha preso da qualcos’altro».

 

34. Ivan Dujcev (1969: 274), che si è accupato anche del rapporto tra il folklore bulgaro e quello calabrese, ha osservato in che modo

 

«spiegare [le] analogie tra il folklore della popolazione italo-greca della Calabria ed il folklore dei Balcani, in modo speciale dei Bulgari. Evidentemente abbiamo a che fare con certi tratti caratteristici che risalgono non all’antichità classica, ma piuttosto, se non anche esclusivamente, all’epoca medievale, vale a dire alla epoca bizantina. Attribuendo simili tratti folkloristici all’antichità classica, non si potrebbe spiegare bene la loro presenza nel folklore degli Slavi balcanici, giacché questi ultimi giunsero a conoscere l’antichità classica prevalentemente per mezzo di Bisanzio e non in modo diretto. In altri termini, in questo caso si tratta di una comunità bizantino-slava nel folklore, creata dall’epoca medioevale in poi, e non dì eredità dell’epoca classica. Ammettere che simili caratteristiche folkloristiche siano da attribuirsi alla presenza di una popolazione slava più o meno numerosa, che abitava le regioni della Calabria ed in genere le terre dell’Italia meridionale, sarebbe poco accettabile. Si deve pensare dunque unicamente a una serie di caratteristiche che sono da collegarsi, per quanto riguarda in modo particolare gli Slavi balcanici, all’influsso di Bisanzio. Non è difficile dedurre quindi una conclusione che s’impone da se stessa: collegare cioè la grecità dell’Italia meridionale e della Sicilia innanzitutto con l’epoca medievale, in altri termini con Bisanzio, sia come risultato della dominazione bizantina in detti territori, sia come una forma di influsso indiretto».

 

 

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La lira non è, semplicemente, uno strumento bizantino islamico: è, riprendendo la definizione di Curt Sachs (1979: 198), un «“violino” mediterraneo» [35], lo strumento ad arco privilegiato da molti dei popoli che si affacciavano sul Mare nostrum nel Medioevo, e che vi vivono ancora oggi.

 

 

35. In inglese, i termini fiddle e violin hanno un’utilizzazione colloquiale e scientifica per “strumento ad arco” in genere, caratteristica che la parola violino non ha: pertanto ho utilizzato le virgolette alte per evidenziare questo significato più ampio.

 

 

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 Bibliografia

 

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(Album)

 

1. Lira. Strumento appartenuto a Francesco Staltari «u Barilli» di Agnana (Reggio Calabria). Proprietà: famiglia Trimboli, Agnana.

 

 

135

 

 

2. Musicante. VIII o IX secolo. Coccio: collezione Petrovski, inv. n° 266, Museo dell’Hermitage (sezione Asia Centrale), San Pietroburgo.

3. Musicante. Fine del primo millennio. Miniatura: Salterio Cod. 85, fol. 23v., Biblioteca Capitolare, Ivrea.

4. Musicante che accompagna il Re David. Fine ddl’VIII secolo. Rilievo: Louvre, Parigi.

5. Musicante. XII secolo. Scultura: Cattedrale di S. Maria, Oloron (Francia).

6. Musicante. Inizio del XII secolo. Affresco: Cappella Palatina, Palermo.

7. Strumento piriforme ad arco, con tre corde. XI secolo. Miniatura: Codex B26, f. 209v., Monastero Grande di Lavra, Monte Athos (Grecia).

8. Ragazzo musicante. Secolo X, o inizio dell’XI. Rilievo bizantino su avorio. Collezione Carrand, n° 26, Museo Nazionale, Firenze.

9. Giullare. 1050 ca. Affresco bizantino: Torre Nord, Cattedrale di S. Sofia, Kiev (C.S.I.).

 

 

136

  

 

10. Angelo musicante. 1196. Scultura: Benedetto Antelami, timpano sul Portale Occidentale, Battistero di Parma.

11. La Musica. XII secolo. Miniatura: Herrade de Lansberg, Hortus Deliciarum, Biblioteca di Strasburgo.

12. Lyra. Inizio del IX secolo. Miniatura originaria da E. St. Balsien (cfr. De Coussemaker 1846, Engel, 1975, Galpin 1910, Page 1974, Rühlmann 1882, Sachs 1962, Stander 1973, Steger 1971 —> Gerbert, De Cantu et Musica sacra II, tav. XX-XII).

13. Re David. XII secolo. Scultura: Cattedrale di Santiago di Compostella (Spagna).

14. Asino con la lira. XII secolo. Scultura: Cattedrale di Canterbury.

15. Musicante. Secondo quarto del XII secolo. Miniatura inglese: MS. B. 18, fol. 1, Biblioteca del St. John College, Cambridge.

 

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