Una Bulgaria nella Pentapoli. Longobardi, bulgari e sclavini a Senigallia

 

Alberto Polverari

 

 

Ed. Pierfederici

Senigallia 1969

 

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1. Bulgari e sclavini sul Cesano  10
2. La convivenza dei longobardi, bulgari e sclavini ed il loro ingresso in Italia 
15
3. I longobardi a Senigallia 
21

(Conclusioni)  33

 

(Una carta sul ducato longobardico di Senigallia)  39

 

    Abbreviazioni

 

 

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6

 

1962 un giacimento del neolitico medio (1). Da quel lontano V millennio a. C., attraverso lunghi secoli di quattro millenni, ci è quasi impossibile, finora, seguire il nostro ecumene con pochi ed incerti reperti di popoli appenninici, fino a che agli inizi del sec. IV a. C. arrivarono i Galli Senoni. La zona, posta tra Sena Callica e Suasa Senonum, è tipica dell’Ager Gallicus. Le forme dialettali, nel linguaggio della presente popolazione, provano senza dubbio che la componente etnica celtica ne sia fondamentale (2).

 

Compito di questo nostro studio è di dimostrare una seconda componente etnica fondamentale della stessa popolazione a sinistra del Cesano, compresa nei territori dei comuni di Mondolfo e di Monteporzio e di parte di quello di S. Costanzo sotto la provincia di Pesaro e di parte di quello di Monterado sotto la provincia di Ancona: quella dei Bulgari e degli Sclavini, intesi come proto-Bulgari e proto-Slavi, ai tempi cioè della loro convivenza con i Longobardi. La novità di tale tesi viene documentata da numerose antiche carte dei monasteri di S. Angelo di Brondolo presso Chioggia, di S. Maria di Sesto al Reghena nel Friuli, di S. Vittore Terme e specialmente dei monasteri proprietari quasi esclusivi di quelle terre e cioè di S. Gervasio «di Bulgaria», di S. Lorenzo in Campo e di Fonte Avellana. Alla testimonianza di queste carte, delle quali pochissime già note, aggiungeremo naturalmente quella dei monumenti archeologici e di altri documenti letterari, illuminati anche da studi recenti.

 

 

(1)

·       BROGLIO - D. C. LOLLINI, Nuova varietà di Bulino su ritocco a stacco laterale nella industria del neolitico medio di Ripabianca di Monterado (Ancona), in «Annali dell'Università di Ferrara», (N.S.), Sezione XV. Paleontologia Umana e Paletnologia - vol. I, N. 7, 1963;

·       Rivista di Scienze preistoriche, XIX, Firenze 1964;

·       G. ANNIBALDI, Archeologia, in «Marche» ed. dalla Banca Nazionale del Lavoro, 1965, pp. 104 e 106;

·       D. G. LOLLINI, Il neolitico nelle Marche alla luce delle recenti scoperte, in «Atti del VI Congresso Intem. delle Scienze Preistoriche e Protostoriche», vol. II, Roma 1965, pp. 310-311.

 

(2) Occorro distinguere, in merito ai luoghi di espansione senone, quelli dove i Galli avevano un dominio stabile c formavano la maggioranza della popolazione da quelli dove si erano stabiliti o temporaneamente o, pur dominatori, erano in minoranza; a questa seconda categoria appartengono Osimo ed Arcevia, dove la presenza dei Galli è accertata e si parla un dialetto ricino all’umbro-sabino. La dominazione senone si stabilì maggiormente sul litorale adriatico almeno fino a Camerano, a sud di Ancona, dove il dialetto presenta singolari somiglianze con il senigalliese. Sui Celti cf. T.G.E. POWELL, I Celti, Milano 1966 (3 ed. dall'inglese) pp. 18-19: Galli è il nome romano di Celti; tribù galliche erano gli Insubri, i Boi, i Lingoni e i Senoni «che si stabilirono nelle terre meno ricche lungo le coste adriatiche dell’Umbria». Alcuni, come A. VANNUCCI (Storia dell'Italia Antica, I, Milano 1873, p. 885) sostengono che i Senoni non sono Galli ma Kimri.

 

 

7

 

Procediamo in tre punti: nel primo riportiamo i documenti sulla presenza dei Bulgari e degli Sclavini sul fiume Cesano; nel secondo diamo le ragioni di tale presenza nella convivenza con i Longobardi, studiando il tempo in cui è avvenuto questo stanziamento; nel terzo proviamo la presenza dei Longobardi nella Pentapoli, anteriore alle occupazioni di Liutprando e Desiderio.

 

 


 

 

1. BULGARI E SCLAVINI SUL CESANO

 

  

I documenti, attestanti lo stanziamento dei Bulgari e degli Sclavini nel nostro territorio, provengono principalmente, come si è detto, dai monasteri di S. Lorenzo in Campo, di Fonte Avellana e di S. Gervasio. Li elenchiamo cronologicamente, nel limite dei risultati delle nostre ricerche.

 

Il 7 marzo 1001 l'imperatore Ottone III indirizza da Perugia a Pietro, abbate di S. Lorenzo in Campo, un diploma, nel quale, tra le proprietà del monastero, è riferita la

 

 

10

 

«cella di S. Pietro in Bulgaria con il castello e la corte e tutta la corte della Croce» (3).

 

Questa cella (o cappella o chiesa) di S. Pietro, non più esistente, si trovava presso il castello o fondo Montis Porci, detto anche Mons Porcorum ed in volgare «Montalporco», nome cambiato nei primi decenni del sec. XVII nell’odierno «Monteporzio». Nel territorio di Monteporzio si ricordano nei primi secoli del secondo millennio cinque castelli: S. Pietro, Busicchio o Bulgnisco, Girardo, Monte Cerregno e Montalporco. Quest’ultimo, l’unico esistente, inizia a svilupparsi, come centro abitato, solo nel quattrocento, dopo la venuta dei conti di Montevecchio. Il castello di S. Pietro, cui è legato il nome della Bulgaria e del vico dei Bulgari o Vùlgari, come vedremo qui avanti, non ha lasciato alcuna traccia; così la chiesa. Presso il rudere del fondo del colono Fabbri Enrico sono stati raccolti alcuni reperti di chiesa, conservati tuttora nel cortile del palazzo dei signori Chiocci e Ginevri, ma non danno la possibilità di rilevare il titolo della chiesa stessa (4).

 

Il 7 novembre 1085 Berardo di Ofredo e Fiasia sua moglie donano alla figlia Addasi, oltre ad altri beni, la loro proprietà posta nel territorio di Senigallia

 

 

(3) L’originale dovrebbe trovarsi nell’arch. Barberini in deposito presso la Biblioteca Vaticana, ma non è stato possibile rintracciarlo per essere quell'archivio in fase di riordinamento; è segnalato nel Credenzone 11, Casella 16, Mazzo XXXI, L.F., n. S8, dove ora manca. Edizioni: Summarium Causae Card. Nigrous n. 1, Roma 1696; L.A. MURATORI, Antiquitates Ital., V, p. 489 (da un documento passatogli dal «dottissimo senigalliese» il conte Ciuseppe Tiraboschi); G.B. MITTARELLI - e A. COSTADONI, Annales Camaldulenses, I coll. 157-159 (dal Muratori); MGH, Diplom. II Pars II, 2 ed. Berolini 1957, pp. 822-824, n. 392 (da due copie, una della Bibliot. Albani di Roma e l’altra della Bibliot. Comun. di Fermo). Queste edizioni hanno: «Cella Sancti Petri in Bulgaria cum castello suo et curie deque illius tota [...]»; la nostra restituzione «tota curte de Cruce» è data da una copia testimoniata nel 1645 in BAVa, Arch. Barberini, Cred. III, Cas. 38, Maz. XXVII; L.C. n. 175. Cf. C. MICCI. Il Monastero di S. Lorenzo in Campo in «F. MEDICI. S. Lorenzo in Campo nella sua storia antica e nella vita di oggi», Ancona 1965, pp. 30-35.

 

(4) I cinque nominati castelli si riferiscono al territorio parrocchiale di Monteporzio o non al territorio comunale, che riguarda anche Castelvecchio e dove si ricordano altri castelli. Questi castelli si rivelano nelle carte di S. Lorenzo in Campo, di S. Gaudenzio e di Fonte Avellana; non è escluso dio alcuni si identifichino; comunque è certo che Castel S. Pietro, Castel Girardo e Montalporco erano in vicine ma distinte località.

 

 

11

 

«nel vico dei Bulgari detto degli Sclavini» (5).

 

Questo vico era sito presso la chiesa di S. Gervasio, che, come si vedrà più avanti, era appunto chiamata «di Bulgaria» o anche  dei Bulgari». La chiesa esiste tuttora presso Mondolfo tra le località Ponte Rio e Cento Croci. L’odierno capoluogo di comune allora non esisteva neanche nel nome. Aveva invece un certo sviluppo Castel Marco (Castrum Marci), nei limiti però di luogo fortificato con la sua corte; il castello scomparve di fronte all’affermarsi nel trecento del vicino Mondolfo. Il documento, nel quale abbiamo per la prima volta riscontrato il nome della località di Mondolfo è dato dal Codice di S. Gaudenzio, dove si parla di Rinaldo, priore di S. Michele, che nel 1160 concede in enfiteosi un ronco posto nella cona di S. Michele presso il fossato corrente dalla «terra dei figli di Offo» (6).

 

Con bolla del 6 febbraio 1112 il papa Pasquale II accoglie la richiesta di Attone, abbate del monastero di S. Lorenzo in Campo, di prendere sotto la protezione papale tutti i beni di questo monastero, tra i quali cita «il castello di S. Pietro di Bulgaria», a conferma dei privilegi concessi dai predecessori Leone IX (1049-54) e Alessandro II (1051-73). Successivamente confermano il privilegio la bolla del 27 novembre 1153 di Anastasio IV, seguita alle tre precedenti più una quarta di Innocenzo II (1130-49), e la bolla del 25 giugno 1187 di Urbano III, seguita alle cinque precedenti più una sesta di Adriano IV (1154-59) (7).

 

II 1° gennaio 1120 Mainardo, abbate di S. Lorenzo in Campo, rinnova ai fratelli germani Paolino e Vivolo od a Berta, loro madre,

 

 

(5) Originale, ACGr, Pergamene di Fonte Avellana, n. 16:

 

«in territorio Senogallie in vico Bulgarum qui vocatur Sclavinorum».

 

(6) ASPs, Codice di S. Gaudenzio, N. d’inventario 1, p. 69.

 

(7) Complessivamente sono dunque sette le bolle pontificie all’abbazia di S. Lorenzo in Campo, di cui solo tre esistenti e cioè quelle citate agli anni 1112 di Pasquale li, 1153 di Anastasio IV e 1187 di Urbano III, le quali poi ci dànno notizia delle altre, che si desiderano. Delle tre supertiti di una sola si conserva l’originale e cioè quella di Urbano III nell’Ufficio del registro di Pergola, Per le edd., i regg, e la bibliografia d. P.F. KEHR, Italia Pontificia, IV Berolini 1909, pp. 189-191 e MICCI op. cit. pp. 69-16.

 

 

12

 

l'enfiteosi di una proprietà posta nel comitato di Senigallia

 

«nel fondo di S. Pietro dei Vùlgari» (8).

 

Il 21 ottobre 1127 Imelda del fu Guglielmo, con i suoi fratelli, e Corrado del fu Sifredo donano allo stesso Mainardo, abbate di S. Lorenzo in Campo, le loro proprietà site in vari luoghi dei comitati di Senigallia e di Fano, tra i quali si nomina il «vico dei Bulgari» (9).

 

Il 13 marzo 1154 Giovanni, abbate di S. Gaudenzio di Senigallia, permuta con Savino, priore della chiesa di S. Croce di Fonte Avellana, varie proprietà, tra le quali anche quelle della chiesa di «S. Gervasio di Bulgaria» (che evidentemente a quella data era unita alla abbazia di S. Gaudenzio) (10).

 

Il 7 agosto 1161 Giovanni, priore del monastero di S. Gervasio «dei Bulgari», concede in enfiteosi a Lauto di Aimelde un molino nel fondo Sasano (11).

 

Il 29 giugno 1194 lo stesso Giovanni, priore di S. Gervasio «di Bulgaria», conferma in enfiteosi a Fano del fu Massaria la quarta parte di vari beni siti nei fondi Cesano, Rivo delle Vacche ed altri luoghi (12).

 

 

(8) Copia autentica del 19 settembre 1657, eseguita dal notaio pesarese Francesco Alberto, ASFi, Carte d’Urbino, Cl. III, Filza II, n. 7; copia semplice del sec. XVIII, BOPs, Codice 376, Voi. IV, Cap. VII, f. 25 r-v a.: MICCI, pp. 49-50.

 

(9) Copia autentica del 19 settembre 1657, ASFi, ib., n. 8: la copia è eseguita dal notaio pesarese Francesco Alberto; copia semplice del sec. XVIII, BOPs, ib., e ACSe, Memorie Diverse, VI, Fasc. 1, sempre del sec. XVIII. Cf.: MICCI pp. 50-51.

 

(10) Originale, ACGr, Pergamene di Fonte Avellana, n. 57.

(11) Originale, ACGr, Pergam. di Fonte Avell., n. 06.

(12) Originale, ACGr, Pergam. di Fonte Avell., n. 134.

 

 

13

 

Nel 1272 Gerardo, sindaco di S. Gaudenzio, conferma l’enfiteosi a Pellegrino Ronectoli su una vigna con terra posta nella corte di Castel Marco «nel fondo Sclarini.» (13).

 

Nel 1273 Corrado, sindaco di S. Gaudenzio, rinnova l'enfiteosi a Malleolo Zenuarii su due pezze di terra poste nella corte di Castel Marco «nel fondo Siclarini» (14).

 

Nel 1280 Albertino, abbate di S. Gaudenzio, e Andolo, sindaco, rinnovano l'enfiteosi a Venissolo Corbazoni ed a Quinta sua moglie su una vigna con terra posta nella corte di Castel Marco «nel fondo Sclarini» (15).

 

Esaminando i confini assegnati a queste terre e vigne non sembra doversi dubitare che il termine «Sclarini» o «Siclarini» non sia riferito alla stessa località nominata nei secoli precedenti con quello di «Sclavini».

 

In possibile ipotesi, si potrebbe addurre come conferma della presenza degli Sclavini in questi luoghi dal titolo di «S. Giacomo» dato a due chiese: una chiesa di tal nome si trovava a Frattola, castello ora distrutto sito oltre il Cesano quasi di fronte al vico dei Bulgari o Sclavini, (il titolo è stato poi trasferito alla chiesa parrocciale di Monterado) e l’altra è la chiesa parrocchiale di Stacciola di S. Costanzo. S. Giacomo è il Santo tra i più venerati dagli Slavi (16).

 

 

(13) ASPs, Codice di S. Caudenzio, N. Invent. 1, p. 86.

 

(14) Ib. p. 86.            (15) Ib. p. 85.

 

(16) Cf. V. D’AMICO, I Bulgari trasmigrati in Italia nei secoli VI e VII dell’Era Volgare. Campobasso 1933, p. 20. Secondo la tradizione S. Giacomo apostolo, passando a Sirmio alla volta della Spagna, vi consacrò Andronico, discepolo del Signore.

 

 

14

 

Altra conferma si potrebbe ottenere dal culto a S. Andrea, molto diffuso nella valle del Cesano, il cui studio dobbiamo omettere per brevità. L’apostolo S. Andrea è il Santo nazionale dei Bulgari (17).

 

Infine la presenza dei Longobardi a Senigallia, nel suo comitato ed anche in altri comitati della Pentapoli, di cui parleremo più diffusamente, conferma ed anzi spiega gli stanziamenti del Bulgari e degli Sclavini nei nostri luoghi, per essersi questi tre popoli accomunati in una stabile convivenza.

 

Dai documenti sopra citati si rileva sufficientemente l'entità di tali stanziamenti, al fine di stabilire la componente etnica bulgaro-slava della nostra popolazione. Il termine «Bulgaria», dato alla località delle due chiese, allora le principali nel territorio di Senigallia alla sinistra del Cesano, potrebbe prendersi in due sensi: primo, come nome di tutto questo territorio; secondo, semplicemente come nome delle località intorno alle due chiese, presso le quali si erano stanziati i Bulgari ed in questo senso si tratterebbe di due distinte Bulgarie. Tuttavia con i due diversi significati sostanzialmente la ricerca della componente etnica è identica: si tratta pur sempre di due località relative agli unici centri abitati del territorio.

 

 

(17) Ib.: secondo il Breviario Romano (30 novembre, lectio IV), S. Andrea apostolo evangelizzò la Scizia dell’Europa, l’Epiro e la Tracia e venne martirizzato a Patrasso. I Bulgari, come gli altri popoli di sangue tartarico, una volta convertitisi al cristianesimo, scelsero come protettore il santo di Patrasso e spesso dal tal nome essi chiamarono i loro stanziamenti. Scaglionati dai Longobardi in campagna solevano nominare i loro vichi «Casali S. Andrea».

 

 

15

 

 

2. LA CONVIVENZA DEI LONGOBARDI, BULGARI E SCLAVINI ED IL LORO INGRESSO IN ITALIA

 

 

Dimostrata la presenza dei Bulgari e degli Sclavini sul territorio senigalliese a sinistra del Cesano, ei sembra logico esaminare rincontro di questi due popoli con i Longobardi e così darci ragione del tempo e del modo dei loro stanziamenti.

 

Due sono i tempi dell’ingresso dei Bulgari in Italia: il primo con Alboino nel 568 a testimonianza di Paolo Diacono e l'altro circa un secolo dopo a testimonianza di Paolo Diacono stesso e della Storia Miscella.

 

Scrive Paolo Diacono:

 

E’ certo che allora Alboino portò con sè in Italia molti del vari popoli conquistati da lui o da altri re: Gepidi, Bulgari, Sarmati, Pannoni, Svevi, Notici ed altri simili, dai quali fino ad oggi diamo il nome ai vichi dove essi abitano (18).

 

 

(18) PAULI DIACONI, De gestis Langobardorum, L. II, C. XXVI; in RIS, I, p. 434.

 

 

16

 

Difficile è trovare le tracce dei Gepidi e degli Svevi, confuse con quelle degli affini Longobardi; e così anche di quelle del Celti o di altri popoli della Pannonia e del Norico di origine germanica. Dei Sarmati invece, volendo riscontrare in essi gli Sclavini, come è probabile pur nelle riserve per la incertezza su tal popolo, e molto più dei Bulgari evidenti ed abbondanti sono le tracce, non solo fino ai tempi di Paolo Diacono ma anche fino ai nostri giorni.

 

Gli Sclavini o Sclaveni appaiono nella storia nella prima metà del sec. VI. Uno Slaveno si distingue nella difesa di Osimo contro i Goti. Ai tempi dell'imperatore Giustiniano, in torme di razziatori devastano la Trecia, la Mesia e l’Illirico. Procopio descrive diffusamente la loro ferocia e ricorda particolarmente i loro scontri con gli Eruli presso il fiume Istro (oggi Danubio) e con l'esercito imperiale (19). In quegli stessi anni dovrebbe essere avvenuta la loro sottomissione’ agli Avari nelle due Pannonie; qui s’incontrano con i Bulgari.

 

I Bulgari sono popoli di razza uro-altaica, come gli Sciti, gli Unni e gli Avari, e la loro storia si confonde con quella di questi popoli fino al sec. IV (20). Ad essi è collegato il cambiamento del nome antico di Rha, il fiume più grande d'Europa, in Volga (Bolgar). A Benevento verranno detti «Paloferni», cioè i «Paduli» o «Palustri», perchè abitavano presso le paludi con riferimento alle paludi del Mare d’Azov o Lacus Maeotis (21).

 

 

(19) PROCOPII CAESARIENSIS, De Bello Cothico, l. II, c. XXVI; l. III, cc. XIII, XIV, XXIX XXXVIII, XL; l. IV. c. XXV in Ris. I, a pp. rispettivamente 297, 312-13, 324-25, 332-35 e 360.

 

S. Gregorio Magno così scriveva a Massimo, arcivescovo di Salona: «De Slavorum gente, quae vobis valde imminet, et affligor et conturbor, quia per Istriae aditum iam Italiam intrare cooperunt» (MIGNE, PL 77 col. 1092).

 

(20) Cf. D’AMICO, op. cit., p. 12: . Incontrovertibile cosa è che essi, come già gli Unni e gli Avari, e come i Calmucki, gli Eleuthi, i Kirghisi, i Nogai, i Tibetani, i Tuncomanni, in Asia, i Finni, i Magiari, gli Ottomani in Europa restino discendenti degli Sciti; e la storia di costoro deve essere considerata storia pure dei Bulgari fino al IV secolo dell'E.V.»

 

(21) Ib., p. 50. Anche i nostri Bulgari si trovavano presso le paludi: nello stesso documento del 1085, citato a nota 5, si parla del vicino «fondo Padule».

 

 

17

 

Secondo alcuni, alla loro comparsa in Europa sono chiamati Kutri-Guri (22). E’ accertata la loro presenza in Pannonia al principio del sec. V. Vengono con gli Unni di Attila in Italia nel 452. Un Bulgada messagete, insieme con Ulimo trace, salva Ancona dai Goti nel 537 (23); nella guerra gotica sono anche ausiliari dei Goti. Intanto in Pannonia diventano sudditi degli Avari, insieme con gli Sclavini, e qui s’incontrano anche i Longobardi.

 

I Longobardi, popoli scandinavi come i Goti ed i Vandali, compaiono fin dai tempi di Augusto, quando nell’anno 5 dopo Cristo vengono sconfitti da Tiberio sulle bocche dell’Elba. Nel sec. II si spostano verso il Danubio. Dopo due secoli di incerte vicende e di incerti itinerari, li vediamo nel sec. V muoversi in relaziono alle invasioni dei Goti, dei Vandali e degli Unni in Italia; quando Odoacre entra in Italia, essi si spingono nel Norico e quando vi passa Teodorico entrano in Pannonia. Il loro storico nazionale, Paolo Diacono, parla di due scontri che essi hanno con i Bulgari, nel primo vinti e nel secondo vincitori (24). Vengono chiamati da Narsete, del cui esercito sono il nerbo, e si distinguono nella guerra gotica tanto per il loro valore quanto per la loro barbarie negli incendi e negli stupri. Ottengono circa il 547 dall'imperatore bizantino di rimanere nel Norico e nella Pannonia. Alleati con gli Avari, distruggono i Gepidi con l’uccisione del re Gunimondo. Dopo 17 anni di convivenza con gli Slavini e Bulgari, che passano al servizio dei vincitori, vengono con il re Alboino in Italia.

 

Oltre a questo primo ingresso dei Bulgari in Italia con i Longobardi, si fa menzione di un secondo avvenuto circa un secolo dopo. Ne abbiamo, come abbiamo già riferito, due testimonianze.

 

 

(22) D’AMICO, op. cit., p. 12.

 

(23) PROCOPlO, op. cit., l. II, C. XIII, in RIS, I, p. 235.

 

(24) PAULI DIACONI, op. cit., l., cc. XVI-XVII, in RIS, I, pp. 414-15.

 

 

18

 

Scrive Paolo Diacono, riferendosi all’anno 668 circa:

 

In quei tempi il duca dei Bulgari di nome Alzeco, non so per quale ragione uscito dalla sua patria, entrato pacificamente in Italia, venne con tutto l’esercito del suo ducato da re Crimoaldo, promettendogli di mettersi al suo servizio e di abitare nel suo territorio. Questi, indirizzandolo a Benevento, ordinò al suo figlio Romualdo di assegnargli dei luoghi, dove potesse abitare con il suo popolo. Romoaldo, accogliendoli benignamente, diede loro per dimora vasti luoghi, i che fino allora crano deserti, cioè Sepiano, Boviano ed Isernia ed altre città con i loro territori ed ordinò ad Alzeco di lasciare la dignità del nome di duca o di chiamarsi gastaldo. Fino ad oggi gli abitanti di quei luoghi, benchè parlino anche in latino, non hanno tuttavia perduto affatto l’uso della propria lingua (25).

 

Nella Storia Miscella si scrive (ed al suo racconto aggiungiamo alcune nostre spiegazioni) che il re dei Bulgari, Orbato o Crobato, verso gli ultimi anni dell’imperatore Costantino (confuso per errore con Costante II morto a Siracusa nel 668), prima di morire raccomandò ai suoi cinque figli di non separarsi ma di restare sempre uniti senza mai darsi al servizio di altri popoli. Al contrario in seguito ognuno dei fratelli prese la sua strada, portandosi via la porzione della nazione. Il primo, di nome Buthaias, restò nell’antico territorio sul Volga, chiamato «Magna Bulgaria»; qui i Bulgari edificarono molte città e la capitale Bulgar, si difesero dai Moscoviti, dai Mongoli e dai Tartari vittoriosamente ma si fecero sopraffare dai Bashkiri e dai Kirghisi nel sec. V; fino a Pietro il Grande i sovrani russi conservarono il titolo di Signori della Bulgaria. Il secondo fratello, nominato Contarago o Cotrago, passò il fiume Don (l’antico Tanai), fermandosi di fronte al territorio del primo fratello. Il terzo, Hasparuk, passato il Danubio, si stabilì nel territorio della odierna Bulgaria e qui, dichiaratosi indipendente dall’impero bizantino, costituì il primo regno bulgaro. Degli altri due, anonimi, uno, il quarto, andò in Pannonia assoggettandosi agii Avari, l’altro, il quinto, venendo nella Pentapoli non molto lontano da Ravenna, si assoggettò all’impero dei cristiani (26).

 

 

(25) PAULI DIACONI, op. cit., l. V, c. XXIX, in RIS, I. p. 484. Il D’AMICO usa la dizione «Altzek» invece di «Alzeco» o «Alzecone»: al-tzek significa in tartaro «nato minimo». Cf. op. cit. p. 33 ed inoltre IDEM, I Bulgari stanziati nelle terre d'Italia nell’alto Medio Evo, Roma, 10-12, p. 7.

 

(26) Historia Miscella, l. XIX, Costans, in RIS, I, p. 138: «... alter vero haud procul ab urbe Ravenna in Pentapolim veniens, sub Christianorum Imperio factus». Cf. D’AMICO, I Bulgari Trasmigrati, op. cit., pp. 1-1-10.

 

 

19

 

I due racconti, di Paolo Diacono e della Storia Miscella, sono tanto in contraddizione da far pensare a due racconti completamente diversi. Essi convengono soltanto su due punti: lo stanziamento in Italia dei Bulgari guidati da un capo e l’epoca di tale fatto. Per il resto uno ignora l’altro: Paolo Diacono non sa nulla dei cinque figli, della meta la Pentapoli e della sudditanza all’Impero, mentre la Storia Miscella non sa nulla di Alzeco, di Grimoaldo e Romoaldo, della meta il Sannio, del gastaldato. Il dotto critico della «Tabula Chorographica Medii Aevi» (27) cerca di spiegare l’antilogia ma non sembra che ci sia riuscito: nonostante tanti richiami di scrittori, molti punti rimangono oscuri e troppe domande sono senza risposta. Egli ha bene individuato la vera ed unica difficoltà, nel coordinare i due racconti, nella difficoltà cioè del doppio passaggio pacifico dei Bulgari in territorio imperiale, uno per entrare e l’altro per uscire. Per noi la difficoltà ora non più esiste: quei territori della Pentapoli erano di dominio longobardico, come più avanti proveremo, e quindi tutto si spega con facili spostamenti quasi all’interno del Beneventano-Spoletano.

 

Da quanto sopra, si deve concludere che la data dei numerosi stanziamenti bulgari in Italia, al di fuori del Beneventano e della Pentapoli, debba riferirsi all’ingresso dei Longobardi in Italia con il re Alboino e cioè a decorrere dall’anno 568, come pensa il Muratori per la Bulgaria del territorio di Milano (28). Nel Beneventano poi questi stanziamenti possono essere avvenuti tanto a quella data quanto un secolo dopo, con la necessità però di riferire parte e forse la maggiore di essi al secondo periodo.

 

 

(27) De Tabula Chorographica Medii Aevi, in RIS, X, pp. CCLXXIII-XXV.

 

(28) L.A. MURATORI, Annali d'Italia, an. 568. Per questi numerosi stanziamenti esiste una abbondante letteratura, che si sta continuamente arricchendo con nuovi studi, specialmente sui Bulgari di Lombardia e di Piemonte: Cf.: D’AMICO, I Bulgari stanziati, op. cit., pp. 5-6. Questo stesso autore, nell’altra opera già citata, I Bulgari Trasmigrati, si diffonde ampiamente sui nomi di persone e di località bulgare nelle varie regioni d’Italia: pp. 17-51. Per le Marche ricorda il vescovo di Fermo nel 1148 «Bulgano, il quale in un atto da esso scritto fa menzione della contrada bulgara di S. Andrea de Monte Sicco» (p. 30).

 

 

20

 

Il Gastaldato di Alzeco, detto di Boiano e che comprendeva anche Sepino ed Isernia, dette poi origine alla Contea del Molise (29). Similmente nella Pentapoli si può ammettere come possibile qualche stanziamento bulgaro nella seconda metà del sec. VI ma è ciò necessario per altri stanziamenti nella seconda metà del sec. VII. Stanziamenti bulgari in questo territorio sono segnalati a Rimini, a Senigallia come già dimostrato ed a Osimo. Il Codice Bavaro parla di «fine Bulgariscia» nel territorio di Rimini, di una «terra Bulgarorum» nello stesso territorio, di uno Stefano «filius Bulgari» nel territorio di Osimo, di un Urso «Sclavin...», di Baro di Bulgaro, di Amico e Giovanni, figli germani quondam Bulgaro (30).

 

 

(29) Cf. oltre le due opere citate del D’Amico, v.

 

·       C.B. MASCIOTTA, Il Molise dalle origini ai nostri giorni, Napoli 1914: nel v. I c. XX circoscrive la colonizzazione bulgara nella regione molisana, dietro il

·       GIANNONE P. (Istoria Civile del Regno di Napoli, II, l. IV) ed il

·       DE FRANCESCO A. (Origine e sviluppo del Feudalesimo nel Molise, Arch. Stor. Prov. Nap. 1909-10).

Vedi anche

·       B. AMOROSA, Il Molise, Milano 1924, pp. 34-36 e 57;

·       V. DE LISIO - G.A. SCOCCHERA, Annuario del Molise, Campobasso 1947, pp. 10-11, 63 e 188.

 

Quanto alla colonizzazione slava, il D’Amico (I Bulgari trasmigrati, pp. 35-30) sostiene che questa fu precedente alla bulgara ed avvenuta sotto Zotone, il feroce condottiero, i cui eccessi avevano indotto S. Gregorio Magno a proclamare la stirpe longobardica, schifosissima et nefandissima; egli dubita della nazionalità longobardica di tal condottiero e nota che comunque il suo seguito era slavo.

 

(30) «Bulgaria» era un castello ai confini tra Rimini o Cesena, del quale si impossessarono i riminesi il 18 agosto dell’anno 1181. Cf.: L. TONINI, Della Storia civile e sacra riminese, II. Rimini 1856, 371 ib.: pp. 297, 302, 336, 360, 490 e 533. Per S. Biagio e S. Maria di Bulgaria cf. anche P. BURCHI, Cronotassi dei Vescovi di Cesena, in «Bibliotheca Ecclesiarum Italiae». Roma 1965, pp. 185, 191, 193, 105, 230, 240. Per il Codice Bavaro cf. I.B. BERNHART, Codex Traditionum Ecclesiae Ravennatensis, Monachii 1810, pp. 35, 44, 74, 76.

 

 

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3. I LONGOBARDI A SENIGALLIA

 

 

L’argomento fondamentale per provare la presenza stabilmente organizzata dei Longobardi a Senigallia, prima della occupazione del re Desiderio, è dato dalla esistenza, storicamente accertata, del «ducato» longobardico e dell'ultimo duca Sergio, come si rileva dalle carte delle due insigni abbazie di S. Michele di Brondolo e di S. Maria in silvis nel Friuli.

 

Nel novembre dell’anno 800 a Senigallia Sergio «duca», dona, per l’anima sua, alla chiesa del Beato Arcangelo Michele di Brondolo molte terre estese in vari fondi, che vanno dalla valle del Misa a quella del Cesano, nel territorio più fertile e più vicino della città (31).

 

I giorni 8 maggio e 9 ottobre dell’anno 808 ed il 23 febbraio dell’809 Tommaso, figlio del fu Sergio «duca di Senigallia», dona, per l’anima sua, al monastero di S. Maria di Sesto nel Friuli varie terre, vicine a quelle già donate dal padre al monastero di Brondolo, ed una terra di tre moggi ad Aquasalsula presso il torrente Triponzio al confine tra Senigallia ed Ostra (32).

 

 

(31) UBHei. Perg. di Brondolo: il documento è un breve recordacionis del causidico Adamo (seconda metà del sec. XII). Cf. KEHR, op. cit. p. 110.

 

(32)

·       ASVe, Codice di S. Maria di Sesto, copie autentiche, nn. 4-5. Cf.

·       OLIVIERI, Memorie della Badia di S. Tommaso in Foglia nel contado di Pesaro, ivi 1778, pp. 29 e 33;

·       COLUCCI, Antichità Picene, V, p. 152;

·       MANCINI, Intorno a un Codice Diplomatico di Senigallia dal principio del Nono Secolo alla fine del Decimosecondo Senigallia 1913, p. 11: dà solo la data c la collocazione archivistica, senza accenno all’argomento.

 

 

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Sergio, duca longobardo di Senigallia, era già nolo nell'agiografia e nella storiografia veneta, senigalliese e marchigiana (33). Si trattava però di notizie avvolte nella leggenda, di cui il documento più antico si riscontra nella cronaca di Andrea Dandolo, il dotto doge di Venezia negli anni 1343-54 (34). Qui il duca è un lebbroso, il quale guarisce miracolosamente, all'ingresso della chiesa di S. Michele di Brondolo, dove l’Arcangelo stesso, dopo due apparizioni, lo aveva condotto, guidandolo da Senigallia per mare; per gratitudine Sergio con la moglie greca Margarita si chiude in quel monastero, dove muore, dopo aver lasciato ad esso ricchi beni. Avviene così che egli viene poi onorato come santo. Di lui parlano il vescovo di Equilio, Pietro de Natali nel suo Catalogo dei Santi, Lorenzo Beyerlinch nel Gran Teatro della Vita Umana, Marco Mando croato di Spalato nella Istituzione del Beato Vivere ed altri (35).

 

 

(33) Per gli scrittori agiografi i veneti ed i senigalliesi v. più avanti; per i marchigiani v. OLIVIERI il, COLUCCI il o A. VERNARECCI, Fossombrone dal tempi antichissimi ai nostri, ivi, 1903, p. 154.

 

(34) A. DANDULI, Chronicon, l. VII, c. XII, XVI; in RIS, XII p. 150:

 

«Per hos dies (scilic. ann. 799), Sergius quidam, in Senogalliae partibus dux erat, dives et timens Deum, qui leprosus effectus cum nullo possit iuvari medicamine, coepit (in) infirmitate confumi. Apparuit autem afflicto et desolato Duci Archangelus Michael in visione dicens : Licet mihi in terris multa peculiaria loca sint, tamen ad locum ecclesiae meae, que Brentalis dicitur, te ire praecipio; est enim electus atque sanctificatus a me locus ille; ibique recipies sanitatem. Dum vero Dux, ubi sit locus ille, quaerit, nec invenit, sequenti nocte Michael navem praeparare monuit, quia ipse eum ad locum perduceret. Cum igitur, cum Uxore Margharita, quam ex Graecia duxerat, et cum militibus suis navem studiose apparatam ascendisset, tandem Angelico ductu, nocte ad locum pervenit et facto mane mirantes se ad Portum applicuisse, a Monachis nigris, quibus Cistercienses successerunt, de nomine loci petunt. Cognito vero loco, nudis accedit pedibus; sed antequam Ecclesiae ingrederetur limina, integre ab omni lepra mundatus est. Tunc qui adstabant obstupescentes, alta voce cantaverunt Kyrie, gratias agentes Deo et Beato Michaeli archangelo. Dux vero non ingratus pro recepto beneficio, ibidem cum uxore vitam finivit et monasterium magnis dotavit possiessionibus».

 

 

(35) PETRI DE NATALIBUS, Catalogus sanctorum et gestorum eorum ex diversis et multis voluminibus collectus (che dal 1493 ha avuto varie edizioni), l. IX, c. 72; L. BEYERLINCK, Magnum Theatrum Vitae Humanae, Lione 1678, II, p. 890 e VI p. 68; M. MARULIC, De institutione bene vivendi per exempla Sanctorum (più volte edita dal 1500), l. 5, c. 4: qui la malattia di Sergio è chiamata elefantio.

 

 

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I Bollandisti fanno emigrare il nostro duca, con la moglie Margarita, tra i Santi di S. Michele in Normandia (36). E’ evidente che, mutata solo la località della Chiesa di S. Michele, si tratta dello stesso fatto; sembrerebbe che, accertata dai citati documenti l'esistenza storica di Sergio duca di Senigallia e delle sue donazioni a S. Michele di Brondolo, a questa chiesa e non a quella di Normandia dovrebbe riferirsi il nucleo originario del racconto.

 

Di Sergio, duca di Senigallia, parlano gli storiografi veneti a cominciare da Bernardo Giustiniani e da Marcantonio Coccio detto Sabellico (37) e, naturalmente, gli storiografi senigalliesi. Il più antico ed il più autorevole di questi ultimi è Gianfranco Ferrari, arciprete della cattedrale, sul quale dovremo fermarci più avanti. Seguono cronologicamente il nobile senigalliese Dottor Giovanni Francesco Albertini (38),

 

 

(36) BOLL., Acta Sanctorum, ed. Bruxellis 1845, VII, Oct. 10, p. 794 F (Praetermisis et in alios dies relati):

 

«Sergius dux et Margarita euis uxor hodie coli in ecclesia Montis Tumbae dicuntur in Martyrologio, quod sub Canisii nomine vulgatum est. Ferranus, cum minime verisimile aestimaret binos hos Dei servos cultu gaudero eadem die, qua solemnissime ageretur huius ecclesiae dedicatio, adscripsit ambos die sequenti. Quare et nos horum coniugum sanctitatem et cultum ecclesasticum examinabimus ad XVII octobris».

 

Ib. Bruxellis 1853, coli oct. 17, p. 4 B-C:

 

«Tumbae in Normannie S. Sergii Ducis, Ita Ferrarius in Catalogo Generali, et in Notis testatur se ex Martyrologio Germanico ad XVI Octobris, annuntiata apparitione S. Michaelis, quae facta est S. Autberto Abrincensi episcopo, in Monte Tumbae, qui locus exinde Mons. S. Michaelis dictus est, subiungitur: Ibi etiam fit memoria ducis euiusdam Francici, Sergii nomine, et uxoris eius Margantae, qui Dui in memorata S. Michaelis ecclesia a lepra sanatus est et deinde simul cum uxore sua ibi Deo et Michaeli usque in finem vitae servivit. Haec ad verbum ex idiomate germanico versa sunt. Unde vero accepta fuerint non novi, nec scio an nulli alii Martyrologi praeter Ferrarium et Saussayum in Supplemento sui Martyrologii Gallicani ad XVII Octobris, hos pios coniuges fastis inseruerint. Desiderantur in Martyrologio Parisiensi, in Ebraicensi etc., in Martyrologio Universali Claudii Chastelain eiusque editione recentiori anno 1835, demum in Breviario Abrincensi anni 1635: cum tamen Mon. S. Michaelis non tantum antiquatam hanc diocesin pertineat, sed ab Abrinco non plus sex millibus passuum distet. Quo circa visum est non sufficienter de cullu constare ut in opere nostro sibi locum habeant».

 

(37) B. GIUSTINIANI, De origine urbis Venetiarum rebusque ab ipsis gestis historta, 1492, l. II; M.A. SABELLICI, Rerum venetarum ab urbe condita ad Marcum Barbadicum libri XXXIII. Per la bibliografia nel monastero di Brondolo cf. KEHR, op. cit. VII, Berolini 1925, pp. 117-123.

 

(38) G.F. ALBERTINI, Memorie dell'antica città di Senigallia, copia ms. in ACSe, Memorie Diverse, VI, ff. 41-59: l'originale, perduto, era stato scritto circa l'anno 1581.

 

 

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fra Pietro Ridolfi da Tossignano minore conventuale vescovo di Senigallia negli anni 1591-1601 (39), il filippino Ludovico Siena (40) ed altri ancora. In aggiunta al racconto del Dandolo, in genere questi autori parlano di un’altra disgrazia, oltre a quella della lebbra, che affliggeva il duca: la mancanza di prole, per ottenere la quale egli moltiplicava preghiere ed elemosine. Ma la notizia è nettamente smentita dai documenti, giù ricordati, dell’808 e 809 sulla donazione del figlio Tommaso al monastero di Sesto nel Friuli. La leggenda in seguito si è maggiormente arricchita, facendo diventare Sergio conte di Senigallia, spostandolo all’anno 1200 e facendolo sposare con una figlia del signore di Marsiglia, la quale tra i doni nuziali avrebbe avuto una coscia ed un braccio di S. Maria Maddalena (custodita poi nella chiesa di S. Gregorio, che cambierà il titolo in quello della Maddalena) insieme con le reliquie di S. Lazzaro suo fratello (41).

 

Ma il documento del duca Sergio non è isolato. Le carte antiche ci provano l’esistenza di altri ricchi longobardi, che avevano le loro proprietà estese in tutto il comitato. Ne facciamo anche qui l’elenco cronologico.

 

Negli anni dell’arcivescovo Pietro (V o VI rispettivamente 904-905 e 927-971) di Ravenna, Ermenulfo e Adelberga sua moglie con Paolo detto Ancello e Lupo de Viciliano «ambo natione Longobardorum» chiedono (in enfiteosi) le porzioni nella cappella di S. Vitale, nel territorio senigalliese nella pieve di S. Lorenzo, sita nell’odierno comune di Ostra (42).

 

Nel maggio 1043 Ofredo detto Ceso del fu Gifredo e Tedelenda sua moglie «de nacione Langubardorum», donano, per la remissione dei propri peccati, al monastero di S. Vittore de Clusis le loro proprietà site nel fondo Cerreto detto

 

 

(39) P. RIDOLFI, Historiartim libri duo, ms. ritenuto originale, conservato nella Biblioteca Comunale di Senigallia, f. 4 r.

 

(40) L. SIENA, Storia della città di Senigaglia, ivi 1740, pp. 82-84 o 262- 63: sembra che il Siena abbia utilizzato appunti raccolti su Sergio in ACSe, Memorie diverse, VII ff. 94r-98r.

 

(41) R. MARCUCCI, Sull'origine della Fiera di Senigallia, Firenze 1906, pp. 5-6: IDEM, La fiera di Senigallia, Ascoli Piceno 1915, p. 9: MONTI CARNIERI, Annali di Senigallia, ivi 1961, p. 98.

 

(42) Codice Bavaro, f. 23v.

 

 

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Pumpiano ed in altri luoghi del territorio di Senigallia nell’odierno comune di Arcevia (43).

 

Il 27 dicembre 1062 papa Alessandro II conferma a Bonizo, abbate di S. Severo in Classe, vari, beni, tra i quali l’isola della Fara, che sembra sita presso Cassiano (44).

 

Nel novembre 1126 Giovanni di Baroncello e Froga sua moglie donano, secondo la legge dei Longobardi, all’eremo di S. Croce di Fonte Avellana, in persona di Savino priore, i propri beni, siti nella valle del Cesano nel comitato di Senigallia e cioè la metà del Monte Cerregno nel Castel Girardo (presso Monteporzio) con la proprietà nel fondo Ionacile, un campo donnicato e due mulini, una casa nella Penna «de castro de mare» (verso il mare sotto Mondolfo), una pezza di terra presso l’oliva del Moro, parte del castello di Frattola (ai confini tra Castelcolonna e Monterado verso il Cesano), la proprietà nella villa di Monte Secro con la quarta parte della chiesa di S. Martino (45).

 

Nel novembre 1180 Dago di Guglielmo dona, per l’anima sua e dei suoi parenti, secondo la legge dei Longobardi, all’eremo di S. Croce di Fonte Avellana, in persona del priore Benedetto, tutte le sue proprietà poste nei fondi Casa Sulazoli, la Rocca (Arcevia), S. Elena e Palazzolo nei comitati di Senigallia e Camerino (46).

 

Nel marzo 1144 Atto de lu Breto, anche a nome di Atto di Berta di Franca, vende, secondo la legge dei Longobardi, alla pieve di S. Maria del Colle ed al pievano Andrea una terra nel fondo Le Mole del comitato di Senigallia (nell’odierno territorio comunale di Arcevia) (47).

 

Nel settembre 1147 Adamo di Giovanni dona, per l’anima propria e dei parenti,

 

 

(43) AFAv, Pergg. di S. Vittore de Clusis, ad an.: edizione: MITTARELLI, op. cit., II col. 104: regesto: R. SASSI, Le carte del monastero di S. Vittore delle chiuse sul Sentino, p. 31 n. 48.

 

(44) Originale, ACRa, n. 10 Rosso: per le edd. cf. KEHR. La «fara», come è noto, è un insediamento longobardico: il nome è tuttora conservato in varie parti d’Italia, come Fara d’Adda, Fara Novarese, Fara Olivana (Bergamo), Fara Vicentino, Fara Sabina, Fara di Montelalcone Appennino (Ascoli piceno)...; cf. A. PENNACCHIONI, L'Ordine Benedettino di S. Silvestro in Cingoli nel secolo XIII, Macerata 1967, pp. 10-16, dove si parla di S. Maria di Fara in quella diocesi.

 

(45) ACGr, Pergg. di Fonte Avell., n. 46; edizione: A. GIBELLI, Monografia dell'antico Monastero di S. Croce di Fonte Avellana, Faenza 1895, pp. 340-341 e cf. p. 109.

 

(46) ACGr, Pergam. di Fonte Avell., n. 55.

 

(47) AFAv, Pergam. di S. Vittore de clusis; edizione: TITTARELLI, op. cit. III, A c. 403; regesto: SASSI, op. cit., pp. 51-53 (anno 1164).

 

 

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secondo la legge dei Longobardi, all’eremo di S. Croce di Fonte Avellana, in persona del priore Savino, la sua terra sita nel comitato di Camerino nei fondi Ca Sulaci, Portascossa da Nazurani, de Mole e Col Manderusi; nel comitato di Nocera nel fondo di Gualdo; e nel comitato di Senigallia «in la Rocka de Contrado» (48).

 

Nel gennaio 1151 (?) Rainuccio di [...] vende, secondo la legge dei Longobardi, all’eremo di S. Croce (di Fonte Avellana) in persona di [...] rettore di S. Eleuterio, una pezza di terra del territorio di Senigallia nella regione di S. Eleuterio (49).

 

Il 20 agosto 1156 Mario di Sardia e Sardia di Giovanni di Baro vendono, secondo la legge dei Longobardi, a Savino, priore di S. Croce di Fonte Avellana, la loro proprietà nel fondo Gallano del territorio di Senigallia (50).

 

Avvertiamo che i citati sono soltanto alcuni dei documenti attestanti la presenza dei Longobardi nel territorio senigalliese. Anche tra le carte finora note si potrebbero riscontrare altre di donatori, venditori... di questo popolo. Non dobbiamo lasciarci ingannare neanche dai documenti, che potrebbero indicare soggetti di altre nazioni. Così, ad esempio, il documento, riferito (51), della donazione di Berardo e di Fiasia del 1085, scritto secondo la legge salica, non necessariamente riguarda donatori Franchi: potrebbe anche trattarsi di Bulgari o Sclavini, i quali, a misura che passavano dai Longobardi ai Franchi, aderivano alle leggi di questi signori (52). Il documento di Imelda e di Corrado, già segnalato (53), e gli altri documenti di S. Lorenzo in Campo, trascritti dal notaio pesarese Francesco Alberto, sono stati rogati «manu antiqua et Longobarda» (54).

 

I documenti, che abbiamo esposto, non confermano ed anzi contraddicono quanto divulgato nella storia italiana che i Longobardi entrarono nella Pentapoli, salve le incursioni di Liutprando, soltanto con il re Desiderio. I pochi anni, seguiti alla occupazione di questo re longobardo, non possono considerarsi che poco più di una operazione militare,

 

 

(48) ACGr, Pergam di Fonte Avell., n. 77.

 

(49) ACGr, Perg. di Fonte Avell., n. 80: cf. ib. ancora un altro doc. redatto nella stessi legge con data, località illeggibili, ib. n. 69.

 

(50) Ib., n. 84.

(51) Vedi nota 5.

 

(52) Cf. D’AMICO, I Bulgari stanziati, op. cit., p. 24.

(53) Vedi nota 9.

 

(54) Vedi BAVa, Arch. Barb. Cred. Ili, Cass. 38, Mazz. XXVII; ASFi, Carte d’Urbino, Cl. III, Filza II.

 

 

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nella quale non sarebbe stato possibile uno stanziamento definitivo di quel popolo, unitamente ai Bulgari ed agli Sclavini, sì da competere, ancora dopo due secoli, per estensione tanto radicata della loro proprietà fondiaria con quella dei Franchi. Così trovano spiegazione vari fatti, come quello del re Liutprando, il quale, avanzandosi verso Spoleto, si scontra con gli Spoletani ed i Romani, alleati, in una selva posta tra Fano e Fossombrone (55). Similmente si fanno più cauti i nostri giudizi su certe tradizioni. Ad esempio, il Lanzoni ha giudicato spurio il B. Bonifacio, vescovo di Senigallia nella seconda metà del sec. VI trucidato dai Longobardi ariani, perchè costoro entrarono nella Pentapoli solo nel sec. VIII (56). Il martirio del B. Bonifacio potrebbe essere anche leggenda, ma non per l’argomento del Lanzoni, perchè l’episodio s’inquadra bene nel periodo, quando i Longobardi, in anni anteriori al pontificato di S. Gregorio Magno, incendiarono Pietra Pertusa e Foro Cornelio (Imola), quando papa Pelagio II (578-590) si lamentava di «multa vastatio per totam Italiam» per opera dei barbari ed ancora di «necessitates et pericula totius Italiae», mando Faroaldo, primo duca di Spoleto, saccheggiò la città di Classe e quando lo stesso S. Gregorio deplorava le scorrerie longobardiche a Fano e ad Osimo. I documenti relativi, assai noti, sono stati studiati dagli scrittori locali, tra i quali segnaliamo il maggior ricercatore sull’argomento, il Feliciangeli (57). Però i fatti ricordati vengono considerati come incursioni e dominazioni temporanee, cosicché è generale la sentenza che esclude la dominazione longobardica nella Pentapoli nei secoli VI-VII. Alcuni, quale il Pepe, considerano città greco-italiane quelle delle Marche a sinistra dell’Esino, mentre altri, come il Natalucci, includono Ancona, Osimo e Numana (58). Il Marcolini fa l’ipotesi che «col volgere de’ tempi, durando il regno longobardico, alcune città della seconda Pentapoli si aggregassero al ducato di Spoleto, e vi si stabilissero feudi di Signori viventi a legge non romana, ma longobardica, e salica» (59).

 

 

(55) PAULI DIACONI, op. cit., l. VI, c. LVI, in RIS, I, p. 509.

 

(56) F. LANZONI, Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del sec. VII (604), Faenza 1927, I, pp. 492-493.

 

(57) B. FELICIANGELI, Longobardi e Bizantini lungo la via Flaminia nel secolo VI, Camerino 1908.

 

(58) G. PEPE, Il Medio Evo Barbarico d’Italia, Torino 19-15, p. 186; M. NATALUCCI, Ancona attraverso i secoli, I, Città di Castello 1960, p. 175.

 

(59) C. MARCOLINI, Notizie storiche della provincia di Pesaro e Urbino, Pesaro 1868, p. XLI.

 

 

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Il Feliciangeli solo sull’indizio dell’avvenuta liberazione dei prigionieri afferma il ritiro dei Longobardi da Fano, come su congetture nega la loro dominazione a Gubbio, necessaria ai Bizantini come nodo stradale tra Roma e Ravenna, e sulle città della Pentapoli, concesse da Pipino al papato in sostituzione della sovranità bizantina (60): indizi e congetture legittime alla luce dei nostri documenti.

 

Questi chiari e non pochi documenti letterari hanno conferma da pochi ma significativi monumenti archeologici.

 

Ad evitare false deduzioni, è bene premettere che le due chiese più antiche del nostro territorio, S. Lorenzo in Campo e S. Gervasio di Bulgaria, sono o possono essere preesistenti all’arrivo dei Longobardi e quindi dei Bulgari e degli Sclavini. La parte più antica della chiesa abbaziale di S. Lorenzo è senza dubbio nella cripta di S. Demetrio. S. Demetrio di Tessalonica è uno dei Santi militari greci, come S. Giorgio, S. Procopio e S. Nestore, ed il culto di Lui in questa chiesa può essere stato originato ai tempi dell’esarcato, al cui periodo può farsi risalire con il Grazzi l’iscrizione sulla lamina di piombo, chiusa dentro l’urna di legno con le ossa del Santo (61). Anche se Tessalonica è nell’itinerario delle emigrazioni bulgare non è necessario pensare ad un trafugamento delle sacre reliquie da parte di questo popolo nè tuttavia è da escludere qualche rapporto tra il culto di S. Demetrio a S. Lorenzo in Campo ed i Bulgari-Sclavini, per esempio, ai tempi della iconoclastia. Quanto poi alla chiesa di S. Gervasio, il monumento più antico di essa, il sarcofago, in cui si custodivano le ossa di S. Gervasio ed al presente vuoto, è da studiosi più recenti fatto risalire al primo quarto del sec. VI (62), cioè prima della eventuale venuta dei Bulgari con i Longobardi nel nostro territorio.

 

 

(60) FELICIANGELI, op. cit., pp. 73, 69 e 75 rispettivamente. Sul corridoio Roma-Ravenna cf. anche Q. RUGHI, Dove era l'antica città di Luccoli?, dattil. 1967, a cura del Centro di lettura e informazioni di Cantiano.

 

(61) L’urna venne scoperta il 20 giugno 1520, quando ero abbate commendatario Marco Vigerio II, vescovo di Senigallia. L’iscrizione nella lamina fu allora cosi interpretata: «Hic requiescit corpus Sancti Demetrii Martiris Thessalonicensis incliti». L'interpretazione sicura venne data dal Micci e dal Grazzi: «Hic requiescit corpus Sancti Demetrii». Qui manca il richiamo a Tessalonica, ma i duo autori sono convinti che la prima interpretazione non sarebbe stata arbitraria bensì indotta da una tradizione. Questa tradizione sarebbe stata confermata da una lettera di Mons. Roncalli, poi papa Giovanni XXIII, Delegato Apostolico in Creda, il quale, su richiesta di Mons. Filippo M. Mantini, vescovo di Cagli e Pergola, attestò, dopo aver consultato il Prof. Sotiriu della Università di Atene, che il corpo del Martire non si trovava a Salonicco: lo stesso Roncalli avanzava l’ipotesi che il trafugamento fosse dovuto «alle ladrerie dei Veneziani e dei Crociati». Cf.: MICCI, op. cit., pp. 162-203; C. GIORGI, Suasa Senonum, Parma 1953, pp. 125-26; anche F. ROSSI, Studi e ricerche sul reimpiego di materiale romano nelle costruzioni medievali, Sassoferrato 1905, pp. 9, 11, 13, 17, 34, 37, 41 e 42.

 

 

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Avvertiamo in proposito che il periodo della fabbricazione del sarcofago non è necessariamente collegato con quello della custodia delle reliquie e ciò legittimerebbe l’ipotesi che il titolo «S. Gervasio dei Bulgari» possa essere stato originato con la chiesa (63).

 

Il Grazzi, che pur non conosceva i nostri chiari e numerosi documenti sulla presenza dei Longobardi nella valle del Cesano, dalle iscrizioni di S. Lorenzo in Campo e di S. Gervasio trova la conferma della ipotesi sulla «dominazione abbastanza profonda dei Duchi di Benevento sull’antico Ager Gallicus» (64). Egli riporta quattro iscrizioni suasane, tutte già note, scritte in latino ma con grafia greca (65). Qui ne esaminiamo una soltanto, che ci riguarda più direttamente:

 

RES GREGORI BE (nev.) DE GREGORI (filius) A.D. DCCXXXII

 

La data è chiara, considerando le tre aste verticali come, tre XXX e le due oblique come due II. In quell’anno 732 era Duca di Benevento Gregorio, discendente di Grimoaldo. Non c’è ragione che permetta di dubitare sull'autenticità di tale iscrizione e, se nel passato questa è stata ritenuta spuria, lo si deve al pregiudizio della impossibile presenza dei Longobardi in quei tempi nella Pentapoli. Al contrario essa conferma la direzione, già indicata dai documenti, della infiltrazione longobardica nelle vallate del Misa e del Cesano, che si aprono direttamente nel ducato di Spoleto, ai confini delle diocesi di Camerino e Nocera.

 

 

(62) Cf.:

·       DE FRANCOVICH, Studi stilla scultura ravennate, I - I Sarcofagi, in «Felix Ravenna», fasc. 28, giugno 1959, pp. 117-19 e 167, nota 156, fig. 95;

·       G. GABRIELLI, I sarcofagi di tipo ravennate nelle Marche, in «Felix Ravenna», fasc. 31, dicembre 1960, pp. 97-99, fig. 1;

·       EADEM, I sarcofagi palecristiani e altomedioevali delle Marche, Ravenna 1961, p. 53, fig. 22.

 

Hanno la datazione del sec. VI:

·       L. SERRA, L'arte nelle Marche, Dalle origini cristiane alla fine del gotico, Pesaro 1929;

·       G. GALASSI, Roma o Bisanzio II, Il congedo classico e l'arte nell'alto Medio Evo, Roma 1953;

·       GIORGI, op. cit., pp. 111-12.

 

Data al sec. VI C. CECCONI, Edifici paleocristiani ed alto-medioevali delle Marche, ivi «Atti del XI Congresso di storia, dell’architettura - Marcile 6-13 settembre 1959», Roma 1965, p. 121.

 

(63) Per il reimpiego del materiale di costruzione v. ROSSI, op. cit., pp. 9, 11, 12, 17, 19, 28 (con due figure), 40, 42 e 43.

 

(64) GIORGI, op. cit., p. 127: nel Catalogo dei rinvenimenti archeologici a cura di L. GRAZZI; v. anche a pp. 121 e 124; della stessa sentenza è il Giorgi, come a p. 81.

 

(65) Ib. nei nn. 29, 30, 49 e 50 del Catalogo a pp. 121, 126 e 127.

 

 

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Infine riportiamo sull’argomento la «Cronica di Sinigaglia» del Ferrari (66). Dopo il Siena ed il Tondini, quasi nessun altro se ne è interessato e non esiste uno studio sul valore critico di tale opera. Non dobbiamo quindi correre il rischio di affidarci ciecamente ai suoi racconti. Egli è certamente un autore erudito e diligente. Ma, nel suo intento di fare la storia comparata di Senigallia, dell’Italia e della Chiesa, non raramente cade in errore. Così, quando nel martirologio romano legge «apud Senonas», ne prende i Santi Sabiniano, Potenziano e Benedetta e non li considera di Sens in Francia ma di Senigallia. Avvisati di questo rischio, ci facciamo alla sua cronaca, che, parlando dei Longobardi, ne ricorda la quasi initerrotta serie dei duchi senigalliesi:

 

            c. l’anno 590

Sosipatre, che, dopo l’occupazione di Senigallia dei Longobardi provenienti da Camerino, fa edificare le chiese di S. Bartolomeo, l’ospedale di S. Lazzaro per gli appestati longobardi ed il monastero di S. Stefano fuori Porta S. Angelo (f. 30r).

 

            c. l’anno 657

Rodonolfo, nominato duca di Senigallia da Grimoaldo, sdegnato nell’apprendere che questa città era stata donata da Agilulfo alla Chiesa (f. 34r-v).

 

            Poco prima dell’anno 684

Ariperto, che difende Senigallia da Romoaldo come «cosa della Chiesa» (f. 35r).

 

Andiperto, che rovina Spoleto, «in dissensione» con il Regno (f. 36v); rinuncia a favore di

            Al tempo di Liutprando

Rodoperto, figlio di Andiperto (f. 37r).

 

Arnoldo, che, al tempo di Desiderio, salva la moglie ed i figli mandandoli a Durazzo; muore affogandosi nelle acue del Misa ed è sepolto nella chiesa di S. Gregorio (ora S. Maria Maddalena) (f. 39v).

 

Sergio, figlio di Arnoldo e marito della greca Margherita (ff. 40v-41r-v).

 

 

(66) G.F. FERRARI, Cronica di Sinigaglia, ms. conservalo in BCSc. L’originale, scritto circa l’anno 1564, è perduto. P.F. KEHR (Italia Pontificia, VI, Berlino 1009, p. 102) non ne conosce neanche la copia del notaio e nipote Giambartolomeo Maioli e scrive: «Frustra quaesivimus». Gianfranccsco Ferrari era arciperte della cattedrale ed in assenza del vescovo Marco Vigerio II della Rovere, partito per il concilio di Trento, benedisse il 13 marzo 1546 la prima pietra delle nuove fortificazioni del duca Guidobaldo II della Rovere. Cf.: G.B. TONDINI, Memorie della vita di Franceschino Marchetti degli Angelini, Faenza 1705, p. 16; vedi i suoi alti nel Bollario I della Cancell, Vescovile di Senigaglia. A. POLVERARI, Senigallia nel Trecento ivi 1965, p. 40 in n. 30. Le citazioni dei Ferrari sono in parentesi nel testo secondo la copia citata.

 

 

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Non conosciamo le fonti, cui abbia attinto il Ferrari per tale elenco. Ricordiamo che i documenti hanno confermato: 1) l'esistenza del ducato; 2) la storicità del duca Sergio; 3) la presenza di molti proprietari longobardi in tutto il territorio, segno di una dominazione radicata ed organizzata di quel popolo. Osserviamo inoltre che, fatta eccezione per alcuni particolari secondari, nessuna notizia è stata finora dimostrata priva di fondamento.

 

 


 

 

(Conclusioni)

 

Concludendo questo nostro studio, ci siamo diffusi sulla presenza dei Longobardi nella Pentapoli, esplicitamente nel territorio senigalliese, come una ed unica spiegazione dello stanziamento dei Bulgari e degli Sclavini. Preoccupati di non cadere nella fallacia di voler provare il certo con l’incerto o una certezza risultante da due probabilità, notiamo che, nel caso, si tratta di una lacuna di incertezza colmata da un dato certo in due affermazioni vicendevolmente integrantisi. Comunque ogni certezza storica ha un valore relativo. La presenza dei Longobardi non si prova con quella dei Bulgari e Sclavini e viceversa, in circolo vizioso, questa da quella. Supposta la convivenza di questi popoli e fissati i limiti di tempo della venuta dei Bulgari insieme con i Longobardi oppure un secolo dopo da una parte, si anticipa a quella data, un secolo o due prima di Liutprando e di Desiderio, la presenza dei Longobardi a Senigallia dell’altra. Tale presenza, in rapporto intercausale con lo stanziamento bulgaro-sclavino, ci ha fatto trascurare anche l’ipotesi di una venuta di questi popoli, Bulgari e Sclavini, nel sec. X, al tempo delle scorrerie, anche in queste parti d’Italia, degli Ungari, a parte il fatto della troppa vicinanza con i nostri documenti e della non facile possibilità di stanziamento in quelle rapide incursioni.

 

Rimangono da risolvere due ultime difficoltà.

 

La prima difficoltà è data dal richiamo della Storia Miscella, secondo la quale i Bulgari si sono assoggettati all’impero dei cristiani, mentre ciò sembrerebbe in contraddizione con la loro convivenza con i Longobardi:

 

 

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ammettendo facili spostamenti quasi all'interno del Beneventano-Spoletano, non si può più pensare a questa dipendenza dall’impero bizantino. Ma il ducato longobardico, e quindi lo stanziamento bulgaro-sclavino, non è in contraddizione con il dominio bizantino: anzi è la dipendenza dell’Impero la posizione normale dei barbari, come degli stessi Longobardi nel Monco e nella Pannonia. Si può solo argomentare che i nostri Longobardi erano differenziati da quelli del Regno ed anche, in misura minore, da quelli del Beneventano-Spoletano. E ciò è tutt’altro che improbabile, considerando le vicende alterne di due secoli di pace e di guerra dei Longobardi tra di loro (duchi e re), con Ravenna (in concordia o discordia con Bisanzio) e con Roma nelle varie combinazioni di alleanze.

 

La seconda difficoltà è nello stesso argomento fondamentale a favore della tesi della presenza longobardica nella Pentapoli, cioè il ducato longobardico. Questo, che è l’argomento forte, potrebbe essere in realtà l’argomento debole, perchè i documenti non parlano, come la tradizione, di un «ducato longobardico», ma solo di un «ducato». Tuttavia il fondamento rimane, perchè questo ducato non può essere che longobardico. E’ bene al riguardo liberarsi, prima di giudicare, dalla mentalità conformata alle strutture giurisdizionali e feudali riguardanti il ducato ed il duca nei secoli posteriori, mentalità che potrebbe persistere anche in storiografi sperimentati. Per i Longobardi i termini «ducato» e «duca» hanno l’identico significato di quello di «comitato» e «conte» per i Franchi (67). Ora, le donazioni di Sergio, duca di Senigallia, e del figlio Tommaso a monasteri siti in regno Longobardorum si giustificano solo, pensiamo, se si tratta di donatori longobardi.

 

 

(67) Vedi, tra gli altri, specialmente OLIVIERI, op. cit. pp. 29-30 e 33, e VERNARECCI, op. cit., p. 154.

 

 

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L’alternativa più logica a tale interpretazione è la negazione delle stesse donazioni, come taluno potrebbe essere indotto a fare arbitrariamente di fronte a documenti autentici e ridicolmente di fronte ad altri numerosi documenti conseguiti a quelle donazioni (68).

 

A parte la validità o meno dei nostri ragionamenti, siamo in ogni caso convinti di aver portato un notevole contributo alla storia locale con la segnalazione di tanti documenti, che valgano ad illuminare i cosidetti secoli bui specialmente nella nostra regione.

 

 

(68) Nel MNCi si conservano le Pergamene Capitolari, nel primo tomo delle quali a p. 16 è copia di un atto dell’anno 778, tratta dal Libro dei documenti raccolti dall'arciprete Bini sull’abbazia di Sesto al Reghena. Vi si parla di una donazione, fatta a questa abbazia da Masselione, duca di Senigallia, della Villa di Forni in Carnia. Nella nota III così si illustra il documento:

 

«Questo notabile diploma, copiato dall'originale nel 1804 dallo scrivente queste notizie, rischiara alcuni punti interessanti la storia generale e la storia parziale di questa provincia. Alcuni scrittori, anco di merito, avevano preteso che due duchi fossero nel Friuli, uno in Cividale detto Forum Iulii, l’altro in Montanis cioè il Giulio Carnio, perchè il principe duca Massellione fece questa donazione del Castello e villa di Forno in Cargna all’abate Berto di S. Maria di Sesto nella diocesi di Concordia, non fìssando egli la titolazione del duca, che si chiama Dux Senegalliae, a non Dux Forum Iulii. Io mi sono procurato dalla città di Sinigaglia la serie dei duchi di Sinigaglia, ed ho letti e copiati tutti i diversi documenti esistenti nell’Abbazia di Sesto...»

 

In verità non sembra che l’elenco sopra composto dal Ferrari confermi tale lettura, negata dal Leicht (Regesti Friulani in «Pagine Friulane», vol. XVII, Udine 1906, p. 44), che con il Cipolla legge: «Massenzio, duca del Friuli».

 

 


 

 

 

(Una carta sul ducato longobardico di Senigallia)

 

Come saggio concreto, aggiungiamo una carta sul ducato longobardico di Senigallia.

 

Le due città di Ostra e Suasa ed il vico di Bitodunum erano completamente scomparsi all’inizio dei nostri documenti. Come è noto, è accertata l’esistenza delle respubblicae o civitates di Ostra e Suasa. Solo probabile o possibile l’esistenza di Bitodunum, che sarebbe stato fondato dai Senoni presso Monte S. Vito in località «S. Vito» e che sarebbe poi stato distrutto dai Longobardi (69).

 

Con somma probabilità o quasi certezza esisteva nel ducato Arcevia (che sarà poi chiamata «Rocca» e ancora più tardi «Rocca Contrada» per ritornare al nome antico di Arcevia, interpretato per pura invenzione dei letterati come arcis via) e con mnore certezza Serra (che sarà po chiamta «Serra del conte» o «Serra dei conti»). I due oppida figurano nella donazione di Pipino, interpretati nella sentenza più comune, appunto come le nostre Arcevia e Serradeconti. A favore della identificazione con Arcevia di Acerra o Acerragium o Acervia del diploma di Pipino nel 755 al papa Stefano II è l’iscrizione di una lapide, che si trovava nel cassero di Roccacontrada e che cadde frantumandosi in quattro pezzi nel terremoto del 14 dicembre del 1206.

 

 

(69) Cf. A. MASSA, Compendio Storico di Mansanvito, Cannes 1877, pp. 14-15.

 

 

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Il notaio Angeluccio Vannis così ne fa fede del testo:

 

«Gallus Sena me fundavit atque Arceviam me vocavit — Longobardus me possedit — Gallus rex me auxit —Filius imperans me pape dedit».

 

Siamo convinti della autenticità di tale iscrizione ed avremo modo di portarne le ragioni contro le obbiezioni addotte dal Crocion (70).

 

Quanto alla identificazione di Serra del diploma regio con Serradeconti, ne è a favore il Compagnoni, contrario il Muratori, incerto il Colucci (71). Rinviando la questione a tempo e modo, più opportuni, ci limitiamo solo ad osservare che Serra non potrebbe essere identificata con Serra S. Quirico, come vorrebbe il Muratori, perchè questa non avrebbe appartenuto mai alla Pentapoli, nè con Serra S. Abbondio, inesistente come centro abitato lino al sec. XIII o ancora dopo (72).

 

 

(70) G. CROCIONI, «Rocca Contrada», ora Arcevia, in «Le Marche» Anno VII n.s. (1007), vol. II, pp. 167-185.

 

(71) A. COMPAGNONI, La Reggia Picena, Macerata 1661, Indice Lessico; L. A. MURATORI, Annali d'I., a. 755; COLCCI, op. cit., XXIV, p. 80.

 

(72) D. GASPARI, Memorie storiche di Serra S. Quirico, Roma 18S3: a p. 178 sembra seguire la sentenza di Tarcagnota (Istorie del Mondo), che fa appartenere Serra S. Quirico all’Esarcato con la Pentapoli, ciò che non è provato da nessun documento.

 

 


 

 

    Ducato longobardico di Senigallia

 

 

*  *  *

 

          Abbreviazioni

 

ACCr - Archivio del Collegio Germanico Ungaro di Roma;

ACRa - Archivio Storico Comunale di Ravenna;

ACSe - Archivio Comunale di Senigallia;

AFAv - Archivio di Fonte Avellana;

ASFi - Archivio di Stato di Firenze;

ASPs - Archivio di Stato di Pesaro;

ASVe - Archivio di Stato di Venezia;

BaVa - Biblioteca Apostolica Vaticana;

BOPs - Biblioteca Oliveriana di Pesaro;

MNCi - Museo Nazionale di Cividale;

UBHei - Universitatsbibliothek d. Heidelberg.

 

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