Quaderni del Consiglio regionale delle Marche

 

Monteporzio e Castelvecchio nella storia

 

Alberto Polverari

 

 

AGE / Urbino, 1980

(Re-printed: Quaderni del Consiglio regionale delle Marche. Vol. 150, Ancona, 2014)

 

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    Presentazione all’edizione del 1980  (Prof. Sandro Capotondi)  11

    Opere edite (Citate con abbreviazione)  13

    Opere e fonti inedite (Citate con abbreviazione)  19

    Nota sugli archivi  21

 

Capitolo I. Morfologia del territorio  25

Capitolo II. Gli aborigeni pregallici  29

Capitolo III. I Galli Senoni  35

Capitolo IV. I Romani  39

Capitolo V. Dalla distruzione dei barbari alla ricostruzione cristiana. I Bulgari  43

Capitolo VI. I Nostri castelli intorno al mille. Castel San Pietro, Castel Girardo, Montalporco, Monte Cerregno e Busicchio. Castel Berardo e Castelvecchio  49

Capitolo VII. I signori feudali tra i monaci di San Lorenzo in Campo e Fonte Avellana  55

Capitolo VIII. La famiglia Montevecchio  61

Capitolo IX. La pieve di San Michele Arcangelo  73

Capitolo X. La parrocchia di Sant’Antonio di Padova  83

Capitolo XI. Sviluppo di Monteporzio (Secoli XVI-XVIII)  89

Capitolo XII. Sviluppo di Castelvecchio (Secoli XVI-XVIII)  99

Capitolo XIII. Da Napoleone fino a Vittorio Emanuele II (Anni 1797-1860)  105

Capitolo XIV. Nel Regno e nella Repubblica d’Italia unita (Dai 16, 17 settembre 1860 al presente)  115

 

Appendice dei documenti  125–219

Illustrazioni  221–248

 


 

 

 Capitolo V. DALLA DISTRUZIONE DEI BARBARI ALLA RICOSTRUZIONE CRISTIANA. I BULGARI

 

Come si è segnalato nei primi capitoli, il nostro territorio venne abitato fin dai tempi dell’età della pietra e se ne ricordano e se ne hanno tuttora le tracce, come quelle successive dei pregallici, dei Senoni e dei Romani. Non si è potuto, è vero, argomentare un centro abitato, tuttavia la nostra storia è direttamente interessata al grande avvenimento della fine dell’impero romano con la distruzione dei barbari e la trasformazione e ricostruzione operata dal cristianesimo. In un mutuo avvicendamento e relazione di effetto e causa, intervengono qui anche le condizioni economiche, ma ciò non impedisce che da allora, del resto come ora, questa storia è la storia delle chiese, con le quali nascono, si sviluppano e muoiono i villaggi.

 

Nel 408 dell’era di Cristo, Alarico, re dei Goti, scende in Italia, passa il Po a Cremona e venendo da Bologna e Rimini, porta la distruzione nel Piceno, come si rileva particolarmente dalle opere di Giordane e di Procopio [1], Lo storiografo senigalliese, l’arciprete della cattedrale Giovanni Francesco Ferrari, precisa, ma da fonte incerta e insicura, che Alarico distrusse Senigallia il giorno 8 agosto, mentre il cognato Ataulfo distruggeva Suasa e Ostra [2]. Da questo barbaro Ataulfo, sempre secondo il Ferrari, deriverebbe il nome di Mondolfo

 

 

1. Giordane, XXX in Migne, PL, 69, coli. 1273-1274: Alarico devastò, dopo l’Emilia, la Flaininia, il Piceno e la Toscana; Procopio, II, 16, parla particolarmente della distruzione di Urbisaglia e se ne argomenta il necessario passaggio a Senigallia. Cfr. anche Muratori, Annali d'Italia, ann. 408.

 

2. Ferrari, ff. 6v-7v.

 

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(«Montataulfo-Montaulfo-Mondolfo») [3]. Tali «distruzioni» debbono interpretarsi relativamente, data la sopravvivenza non solo di Senigallia, che riprenderà vita entrando a far parte nel sistema politico-militare della Pentapoli, ma, limitatamente fino alla fine della guerra gotica ed all’arrivo dei Longobardi, anche di Suasa e Ostra [4].

 

Potrebbe riguardare il territorio di Monteporzio e Castelvecchio una iscrizione latina in grafia greca, ritenuta spuria dal Bormann ma più probabilmente autentica, che dice: «(Io) Suasa, nata con le fatiche dei Greci, ho coperta tanta vastità (di territorio) che tu vedi. L’empio Alarico, volendomi distruggere, mi ha creato madre dei tanti castelli circostanti. Lode a Dio» [5]. Tra questi castelli dovrebbero annoverarsi quelli di Monteporzio e Castelvecchio e gli altri del territorio ora distrutti. La scomparsa di Suasa ha dato certamente modo di svilupparsi a questi castelli.

 

La vallata del Cesano fu certamente teatro della guerra gotica ed è probabile quanto viene riferito da alcuni che qui passò Narsete prima della sua vittoria definitiva a Busta Gallorum (= crematorio dei Galli), anche a prescindere se questa località venga situata a Gualdo Tadino o nel territorio di Sentine [6]. Questa guerra gotica e la successiva invasione dei Longobardi completarono la distruzione. Ma gli stessi barbari, convertiti al cristianesimo cattolico, iniziarono subito la ricostruzione.

 

I nostri luoghi sono nel triangolo di territorio delimitato da tre monasteri insigni:

 

 

3. Ferrari, f. 7r. Ma è stato dimostrato con certezza che l’etimologia di Mondolfo venga da «Monte (dei figli) di Offo»; Offo è nome di persona: cfr. Polverari, Una Bulgaria nella Pentapoli, p. 11. Per altre etimologie su Mondolfo (Monte Offio da «offio = pingue», Monte dei Serpenti da «ofis = serpente», Monte dei Lupi, Monte di Landolfo...) cfr. Ricci, pp. 6-7.

 

4. Per Suasa cfr. Giorgi, pp. 79-82, per Ostra Borgiani, pp. 26-27.

 

5. Su questa iscrizione cfr. Polverari, Senigallia nella storia, II, cap. II.

 

6. Sulla questione cfr. pagnani, Sentinum, pp. 100-108. Sulle probabili vie seguite da Narsete cfr. Fiecconi, pp. 14-15 nota 46. Sul sepolcro di Totila, posto nella zona di Piobbico, cfr. Bischi.

 

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Santa Maria in Portuno (Madonna del Piano), San Lorenzo in Campo e San Gervasio. L’abbazia di Santa Maria in Portuno testimonia il passaggio dal paganesimo al cristianesimo, dal culto di Venere a quello della Madre di Dio; a San Lorenzo in Campo si venerarono le reliquie di San Demetrio portate qui al tempo dei Bizantini; a San Gervasio si ammira tuttora il sarcofago cristiano dei primi decenni del sec. VI: siamo cioè nel tempo prima dell’arrivo dei Longobardi [7]. Più avanti (nel cap. VI) si registreranno i primi ricordi dei nostri luoghi appunto dalle proprietà di questi tre monasteri.

 

Ma Monteporzio e Castelvecchio si ricollegano con San Gervasio con i vincoli etnici e religiosi: San Gervasio è la chiesa dei Bulgari, dei quali è presso di noi il primo storico centro abitato.

 

documenti che accertano nel territorio comunale un luogo chiamato «Bulgaria», come solevano nominare gli emigrati Bulgari la località del loro stanziamento in ricordo nostalgico della «grande Bulgaria» alle foci del Volga, sono numerosi.

 

documento più antico è il privilegio concesso dall’imperatore Ottone III il 7 marzo 1001 all’abbazia di San Lorenzo in Campo, nel quale si parla della «cella di San Pietro in Bulgaria» nel territorio di Senigallia [8].

 

Il privilegio del papa Pasquale III del 6 febbraio 1112 allo stesso monastero conferma tra i vari beni anche «la corte di San Pietro in Bulgaria» [9].

 

Il giorno 1 gennaio 1120 Mainardo, abate di San Lorenzo in Campo, concede in enfiteusi a Paolino e Vivolo, figli del fu Atto, ed a Berta loro madre tre moggi di selva e terra «nel fondo San Pietro dei Bulgari» [10].

 

 

7. Su Santa Maria in Portuno cfr. Polverari, Senigallia nella storia, cap. III, n. 2; su San Lorenzo in Campo cfr. Micci, pp. 162-177; su San Gervasio cfr. Polverari, Una Bulgaria nella Pentapoli, pp. 9-14, 28-29.

 

8. Regesti Senigalliesi, p. 20 n. 46.

9. Regesti Senigalliesi, pp. 40-41 n. 107.

 

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Il 21 ottobre 1127 Imelda, figlia del fu Guglielmo, e Corrado, figlio del fu Sifredo, cedono a Mainardo, abate di San Lorenzo in Campo, le loro proprietà, tra le quali elencano quella sita «nel vico dei Bulgari» [11].

 

Il papa Anastasio IV, rinnovando il privilegio alla stessa abbazia il 27 novembre 1153, nomina tra i vari beni anche «il castello di San Pietro di Bulgaria» [12].

 

Il papa Urbano III il 25 giugno 1187 conferma ancora questi beni, tra i quali «la corte di San Pietro in Volgaria» [13].

 

Già da questa sintesi risalta che la chiesa, il fondo, il castello, la corte di Bulgaria fosse sita nel nostro territorio, trattandosi di beni siti nel comitato di Senigallia. Gli altri beni, siti nel comitato di Senigallia, sono ben distinti, come Cerqua Cupa, Frattula, Carticosa ecc. Un documento, spurio ma nel caso della identificazione di piena validità, tratta della donazione di Gottifredo di Castel Berardo (presso Castelvecchio) al monastero di San Lorenzo in Campo [14]. Nel testo di questo documento si danno questi confini: «primo, il fiume Cesano; secondo, il Rio Maggiore; terzo, il castello di Busicchio» [15]. Inoltre, una nota nel verso del citato documento del 1127 sulla cessione di Imelda e Corrado è esplicita sul sito «In Bulgnisco di San Pietro di Monte Porco nel fondo di Monte Porco» [16]. A conferma si richiamano anche i due documenti del 3 agosto 1149 sui possedimenti di Panfilia del fu Alberico, scritti «con mano antica e longobarda» [17]: i Bulgari convivevano con i Longobardi ed erano soggetti alle loro leggi.

 

 

10. Regesti Senigalliesi, p. 45 n. 121.

11. Regesti Senigalliesi, pp. 48-49 n. 131.

12. Regesti Senigalliesi, p. 69 n. 187; nel testo del doc.: «castrum Sancii Petri de Bulgaria».

13. Regesti Senigalliesi, p. 107 n. 306.

14. Regesti Senigalliesi, p. 45 n. 121.

 

15. «(...) a primo flumen Sesani, a secondo Rivum Maiorem, a tertio curte dicti castri Busechi».

 

16. «In Bulgnisco Sancti Petri Montis Porci in fondo Montis Porci».

 

17. Regesti Senigalliesi, pp. 65-66, nn. 178, 179. Nella copia del primo documento si aggiunge:

 

«Hoc instrunientum fuit extractum ex Archivio Abbatie Sancti Laurentii in Campo a Rev. Francisco Alberti Notarli Pisauriensis anno 1657, ex publico documento scripto in Rotolo Carte Pergamente manu antiqua, et Longobarda».

 

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Una difficoltà potrebbe essere il silenzio assoluto, nei secoli successivi fino al presente, sulla chiesa di San Pietro; ma ciò non è un caso unico, anzi è normale, perché tale silenzio si ha anche su altre chiese, come si vedrà qui avanti trattandosi della pieve.

 

Come spiegare la presenza di questo popolo nei nostri luoghi? come e quando vi sarebbero venuti? Presupposta la presenza dei Longobardi nella Pentapoli, cioè nelle «cinque città», tra le quali Senigallia, collegate con l’esarcato di Ravenna, e presupposta anche la convivenza dei Bulgari con i longobardi stessi, non si può escludere la possibilità di un ingresso in Italia con Alboino nel 568 e nella Pentapoli verso la fine del sec. VI [18]. Ma è più probabile la loro venuta quasi esattamente un secolo dopo secondo i racconti degli scrittori greci Teofane e Niceforo, riportati poi anche da Landolfo Sagace. Sintetizzando e spiegando tali racconti, si ricorda che al tempo dell’imperatore Costante II (641-668) o Costantino IV (668-685) Orbato o Crobato, re dei Bulgari, prima di morire aveva raccomandato ai suoi cinque figli di non separarsi ma di restare uniti senza dar mai fastidio agli altri popoli. In realtà solo il primo, di nome Buthaias, restò nell’antico territorio sul Volga: è il territorio chiamato «Magna Bulgaria» con la capitale Bulgar, dove i Bulgari resistettero vittoriosi contro i Mongoli e i Tartari; fino a Pietro il Grande i sovrani russi conservarono il titolo di Signori della Bulgaria. Il secondo figlio, Contarago o Cotrago, passò il fiume Don fermandosi di fronte al territorio del primo fratello. Il terzo, chiamato Hasparuk, passò il Danubio e si fermò nel territorio della odierna Bulgaria, dove, con l’indipendenza dall’impero bizantino, si formò il regno Bulgaro. Degli altri due figli, anonimi, il quarto

 

 

18. Cfr. sull’argomento Polverari, Una Bulgaria nella Pentapoli, pp. 15-22.

 

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andò in Pannonia assoggettandosi agli Avari, e il quinto venne nella Pentapoli, vicino a Ravenna, assoggettandosi all’impero dei cristiani. Di stanziamenti di Bulgari nella Pentapoli si ha memoria, oltre che qui a Monteporzio, anche nel vicino Ponte Rio, dove presso la chiesa di San Gervasio di Bulgaria era sito il «vico degli Sclavini» (i protoslavi uniti ai Bulgari), nel territorio di Rimini e di Osimo [19].

 

I nostri Bulgari erano un popolo pacifico di agricoltori, senza organizzazione militare. Dalle espressioni dei citati Teofane e Landolfo Sagace sembra dedursi che essi venissero qui ancora pagani. Ma ben presto si convertirono al cristianesimo ed è ricordo e monumento della loro fede la chiesa di San Gervasio, la chiesa parrocchiale di Monterado, che ha per titolare insieme con San Patrignano il santo degli Slavi San Giacomo Minore, i toponimi vari della nostra vallata riferentisi al santo nazionale dei Bulgari Sant’Andrea. Con Paolo Diacono (V, 29) si può dire dei nostri come di quelli del Molise: «Ancora oggi (cioè al sec. VIII) gli abitanti di quelle zone, benché ormai parlino anche il latino, non hanno perduto l’uso della loro lingua». Questa lingua latina, «lingua veiculare» fra tutti i dialetti barbarici, finirà per prevalere, essendo l’unica scritta; anche le leggi barbariche venivano scritte in latino. I Bulgari erano in posizione subordinata ai Longobardi e gli Sclavini ai Bulgari; la legge comune era quella dei Longobardi, come viene confermato dalle nostre carte.

 

 

19. Su questo quinto figlio cfr. Teofane in Migne, PG, 108, col. 728; Niceforo in migne, PG, 100, col. 932; Landolfo Sagace in Migne, PL, 95 col. 1056. I Bulgari stanziati in Lombardia e nel Piemonte sarebbero venuti in Italia insieme con Alboino. Paolo Diacono, V, 29, in un racconto parallelo, almeno cronologicamente, parla del duca dei Bulgari Alzeco, che ebbe delle terre deserte da Romoaldo, duca di Benevento e figlio del re longobardo Grimoaldo; con le città di Sepino, Boviano, Isernia e altre città si formò il gastaldato, da cui poi il comitato Molisano. Se si dovesse identificare questo Alzeco con il bulgaro Alzio dello pseudo-Fredegario (in Migne, PL, 71, col. 651 n. 72), sarebbe stata lunga e tragica questa emigrazione: questi Bulgari si sono rifugiati in Francia ma il re Dagoberto in una sola notte li fece uccidere tutti con le loro mogli e bambini; Alzio ne sarebbe superstite con settecento uomini con le loro mogli e bambini.

 

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