R. Deputazione subalpina di storia patria

 

 

Saggio di ricerche su Borgolavezzaro capitale del Contado di Bulgaria

 

Carlo Ramponi

 

 

Bollettino della sezione di Novara. Direttore: Prof. A. Viglio

Anno XXXVI - N. 1-2

 Novara 1942

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I. - I LONGOBARDI  34

    - L’arimannia  36

    - “La terra del Re„  41

    - “Il Contino„  43

 

II. - IL NUCLEO BULGARICO  45

    - I Bulgari  45

    - La Bulgaria italiana  46

    - Borgarello  50

    - Sede del Ducato (Gabotto)  53

    - Capoluogo di Gastaldato (Gabotto)  56

 

III. - I FRANCHI  57

    - Sede di Comitato (Gabotto)  57

    - La Centena  59

    - Sotto la Marca d’Ivrea  61

 

 

 I. - I LONGOBARDI

 

La rovina dell’Impero Romano fu precipitala dalla calata dei barbari, che prima avevano militato per sostenerlo. Necessariamente, anche le sorti del Novarese vennero gravemente compromesse dal turbine di quel periodo gravido di rovine e di terrori.

 

Nel 400 Alarico espugna Novara.

 

Durante l’invasione di Attila del 452, tutta quanta l’Insubria si vede devastata dai barbari.

 

Deposto Romolo Augustolo, ultimo imperatore dei Romani in Occidente, l’anno 476 l’Italia fu dominata da Odoacre re degli Eruli, e in seguito dai Goti e dai Longobardi, che venivano originariamente dalla Scandinavia e già ai tempi di Tacito si trovavano presso i Sassoni fra l’Elba e l’Oder. Essi lasciarono il proprio nome a quella parte d’Italia chiamata Lombardia e influirono nella vita delle nostre regioni coi loro istituti.

 

I Longobardi procedettero per tappe, ordinando il territorio secondo le esigenze militari e le condizioni della conquista, e questo contribuì alla rottura delle antiche circoscrizioni provinciali. Nuove unità sorsero con diverse estensioni e confini (1).

 

Sconvolsero l’ordinamento municipale, trasformando i Municipi in ducati, poi in gastaldati.

 

Il vecchio municipio di Novara, riputato da Tacito tra i più muniti, fu soppresso probabilmente perchè,

 

 

(1) Vaccari, Dall’Unità Romana al Particolarismo Giuridico del M. E., Pavia, 1936; pp. 63, e sgg.

 

 

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al sopraggiungere dei Longobardi, non vi rimanevano per le precedenti devastazioni, che rovine. Infatti nelle circoscrizioni ufficiali sulla fine del sec. VI, il Municipium novarese non compare più, coi suoi pagi e coi suoi vici. Nell’Italia Superiore si riconoscono come capoluoghi dei Longobardi Torino, Asti, Ivrea, Isola S. Giulio e Pavia. Vercelli sotto Ivrea. Novara e l’Ossola aggregate all’Isola S. Giulio. La Lomellina a Pavia.

 

Come il pagus risultava una suddivisione del Municipium, così la Corte e Curia regia, dell’epoca longobarda, era il luogo dove risiedeva la giurisdizione locale, una suddivisione della iudiciaria o finis longobardica (gau) (2).

 

A capo delle singole corti (o fare) si metteva un giudice minore, chiamato dai Longobardi con voce latinizzata sculdascius, soggetto a sua volta al giudice maggiore o conte (graf), che risiedeva nel capoluogo della Giudiciaria o Comitato e ne era, per così dire, il vero sovrano (3).

 

Lo sculdascio (sculdahis) doveva provvedere che tutti i cittadini atti alle armi, ottemperassero alle disposizioni della legge in caso di mobilitazione. Era punito lo sculdascio che, approfittando della sua autorità, avesse rilasciato indebitamente permesso di rimanere a casa (4).

 

 

(2) G. Skregna, La popolazione agricola nell’età barbarica, in Arch. St. Lomb., 1895.

(3) L’ipotesi che le Curtes così frequenti nell’età successiva, fossero anche Sculdascie e rappresentassero una regolare divisione del Comitato, non è sostenibile per lo stesso sviluppo territoriale delle Corti, diverso da luogo a luogo. Vaccari Dall’Unità, ecc.; pp. 68.

(4) Rasi, «Exercitus italicus», Padova, 1937; pp. 63 n. 2. - Schuldhess, dichiaratori della colpa e del debito. Skuld valeva colpa e debito, perchè i delitti si scontavano con multa, quindi erano debiti verso l’offeso e verso la società. Rosa, Feudi e Comuni; pp. 12-122.

 

 

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Le Consignationes fanno cenno, a proposito di alcuni benefici ecclesiastici di Vigevano, Sozzago e Cassolo (5), di Scaldasole, italianizzazione plebea di Sculdasiolum, diminutivo della bassa voce latina Sculdasium (6).

 

Anche nel territorio di Cilavegna si trova il toponimo di Scaldassole, segno di esistenza nel territorio di una corte governata dallo sculdascio (7).

 

 

 L’arimannia.

 

Longobardi si riversarono in Italia a forti nuclei, con donne e bambini, com’era loro uso. La famiglia appariva il fondamento di ogni organizzazione. Il commilitone equivaleva a parente o collega (8).

 

Secondo il costume tratto dall’Europa settentrionale e centrale, delle terre tolte ai vinti si componeva il premio e lo stipendio dei guerrieri vincitori: il che era già in uso presso i Romani (9).

 

Il populus exercitus si manteneva da se con lo sfruttamento dei luoghi occupati (il famoso terzo già apparso cogli Eruli e coi Goti), o più comodamente, colla tertia pars frugum dei beni coltivati dai Romani adgravati. Così una terra che valeva 100 soldi, doveva fruttarne 33 all’ospite longobardo (10).

 

 

(5) Ben. Pres. S. Ambr. di Vigevano: Consignationes beneficiorum Diocesis Novariensis a.MCCCXLVII, BSSS, 1937, vol. II, pp. 309-310. 311. Prete Raynaldus Collus; pp. 313, vol. II. Raynaldus de Parona; vol. II, pp. 119. Nicholinus de Rosato: vol. II, pp. 320. S. Silvano di Sozzago; vol. II, pp. 372. S. Vittore di Cassola; vol. II, pp. 374.

(6) L. Venturini, I nomi delle vie e le tradizioni popolari, in Lares, n. 11, n. 1.

(7) Archivio Comunale di Cilavegna. Colonnario 1803.

(8) Rasi, Exercitus, ecc.; pp. 72. Paolo Diacono, Hist. II, c. 7, pp. 89; c. 8, pp. 20.

(9) Vidari, Frammenti storici dell’agro Ticinese, Pavia, 1886, vol. I, pp. 175.

(10) Rasi, Exercitus, ecc., pp. 67.

 

 

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I possessi in mano longobardica pervennero loro dal fisco, come sostenne il Muratori, e con lui il Rodi, il Leicht, il Checchini. Al dire del Mengozzi, la parola arimannie indicava i beni pertinenti all’impero. Infatti una costituzione di Federico I nella Dieta di Roncaglia del 1158, passata nel libro delle consuetudini feudali, rivendicava i diritti dell’Impero, cominciando dalle arimannie (11).

 

La toponomastica di Borgolavezzaro conserva alcuni nomi prediali interessanti questo periodo.

 

Val Genga (12). I nomi italiani in engo o ingo presentano una forma di origine germanica e non si incontrano prima dell’epoca longobardico-francisca (13). La Lombardia nel Medioevo fu più ricca di toponimi in ingo, engo, che oggi non sia: ma ancor oggi ne restano non pochi (14).

 

Il Bongioanni porta Gem, Jem, da Guglielmo che ha le radici germaniche will = volontà e helm = elmo, e per traslato, difesa, protezione (15).

 

 

(11) Mengozzi, La città italiana nell’alto medio evo; pp. 116-118. Il Leicht e il Checchini pare vogliano intendere che questi beni, prima di proprietà del fisco, siano stati da questo ceduti a determinate persone e queste vi hanno conseguito un diritto di proprietà, che può essere limitato da restrizioni così gravi da giungere fino al divieto di alienazione, ma che non cessa per questo, di essere un vero e proprio diritto di proprietà. Un diritto di possesso, dice il Mengozzi, La città italiana, ecc.; pp. 116-118.

(12) Prato della Val Genga, confinante a mattina con terra del Seminario. Catasto di Borgolavezzaro (Cat.) del 1651, presso il Municipio dello stesso Borgo.

(13) Giov. Flecchia, Di alcune forme di nomi locali dell’Italia Superiore. Dissertazione linguistica. Torino, Stamperia Reale, 1871.

(14) Dante Olivieri, Dizionario di toponomastica lombarda; Milano, 1931, pp. 44-5.

(15) Nomi e Cognomi, Saggio di ricerche etimologiche e storiche. Torino. 1928, pp. 131.

 

 

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Quanto al significato, Gengo vuol dire il fondo, il podere di Gem, ovvero anche di Gengo o dei Genghi.

 

Via Bertalenga (16). Il nome si riconduce, spoglio del suffisso, al longobardo Berthari in Paolo Diacono (germanico Bert, Berthari); dalle radici bert = illustre, e hari, her = esercito (17). Circa il significato del quale toponimo potremmo dire che vale il podere di Berthari, ovvero dei Berthari, od anche di Bertharengo (Bertalengo) o dei Bertarenghi (Bertalenghi) (18).

 

Ganavola (19). Il suffisso cabulus latino (cfr. tintinnabulum) si agganciò alla radice gan, forse gang, che avrà perduto la g finale per difficoltà di pronuncia (preceduta da altra g e seguita da suffisso sdrucciolo). Gang, vuol dire viale, canale, corridoio (cfr. al Borgo, corridore, curù) (20).

 

Gulina (21). Il germanico Hug = spirito (latinizzato Hugo, Hugonis) ha dato origine a molti cognomi tra cui Gullino, Guilenli (22). Significa il predio di Hug o della famiglia Hug.

 

Ghina (23). Radice longobarda win, wine = amico (24). Letteralmente Ghina è la terra dell’amico.

 

Guindone (25). Si chiamava con questo nome longobardico

 

 

(16) Cons., vol. Il, pp. 334-5.

(17) Bongioanni A., Nomi e Cognomi, o. c., pp. 47.

(18) Comune assai è lo scambio delle due liquide l, r nei dialetti subalpini: fenomeno che anche dissimilazione è detto dai filologi. Ct. Massia P., Di alcuni nomi locali del Novarese, in Boll. Stor. Prov. Nov., an. XXIII, f. I. pp. 60. Idem, voce Crusinallo in Boll. St. Prov. Nov., an. 1925, f. III. Es. nel dialetto locale: ènger (angelo), sarvàdi (selvatico).

(19) Cat., pp. 182 bis, 311.            (20) Cat., pp. 13.            (21) Cat., pp. 169 bis.

(22) Bongioanni, Cognomi e Nomi, oc. c., pp. 221.

(23) Cat. pp. 16.

(24) Bongioanni, opera citata, pp. 132.

(25) Cat., pp. 7 bis, 104, 127.

 

 

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anche il Morone (26) e il Nosone (27) terre del Borgo. La radice teutonica wind significa «vento». Il toponimo può indicare la terra di Guind o dei Guind, oppure il Guindone o dei Guindoni. Può anche indicare la terra del vento, ossia arsa, asciutta. Ricordo che il Vindone, toponimo ancora esistente, si trova poco lontana dai Sabbioni e confina con Val Asnera.

 

Gualina (28). Il suffisso — inum ha l’eccezione di proprietà, possesso, appartenenza, e non di un diminutivo. Il nome prediale deriva dal longobardo wala = forestiero. Indica letteralmente la terra del forestiero o dei forestieri.

 

«Forestieri», cosi erano chiamati i Longobardi, che da Liutprando alla caduta del loro regno, tranne le leggi e le costituzioni dell’esercito, ben può dirsi che «già non ritinevano di forestieri altro che il nome».

 

L’Arimannia o Sorte, ossia la proprietà del libero longobardo si dimostrava piena e immune da ogni peso pubblico, salvi i doveri personali di arimanno. Nessun tributo o imposizione fu introdotto mai presso i Longobardi, se si eccettuano alcune indirette, come dazi, pedaggi, portorii e simili, quasi in contraccambio della sicurezza e protezione che il re e i duchi, che li esigevano, prestavano al commercio (29).

 

La Cavallina (30). Vasta tenuta unitaria di Borgolavezzaro, presso la Ghina e Bugarella, in zona longobarda, trasse forse il suo nome dalla propria destinazione censuaria, la caballicatio,

 

 

(26) Cabreo della commenda di S. Giovanni dei Pellegrini di Novara, presso l’Archivio della Biblioteca Civica di Novara, voce Borgolavezzaro, n. I.

(27) Cabreo, op.‘c. Borgolavezzaro.

(28) Cat., pp. 22, 138. Cabreo, op. c. Borgolavezzaro, n. 5.

(29) Vesme e Fossati, Vicende della proprietà in Italia dalla caduta dell’Impero fino allo stabilimento dei feudi, in: Mem. Acc. Scienze Torino, 1835, pp. 381.

(30) Cat. pp. 273.

 

 

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che doveva sopportare l’onere della cavalleria dell’esercito (31). Una parte si chiamava fino a qualche anno fa, Cavallina Marasciallo (32). La guerra era un diritto. Le adunate militari convogliavano a Pavia ogni anno tutti gli uomini atti alle armi.

 

I minimi, senza terra nè casa, restavano dispensati dalla milizia, ma dovevano attendere con tre opere alla settimana ai possessi dello sculdascio. Invece i capitalisti e i proprietari terrieri (maiores, mediocres, minores), si presentavano tutti, salvi i particolari privilegi e disposizioni legislative.

 

Preposto alle regie stalle ed alle mandrie era il Merphahis o Mariscalco da mare, cavallo). I Saltarii e i Silvani amministravano le zone selvose. Scabini si chiamavano i giudici dipendenti dallo Sculdascio, adibiti solo per cause di lievissima importanza e in numero uguali ai vici compresi nella Corte (33).

 

Il lungo periodo laborioso di assestamento dà luogo a normalità. Gli elementi romani e longobardi non stanno più di fronte gli uni agli altri, ma si avvicinano e si affiancano. All’unità contribuì indubbiamente la conversione al Cattolicismo dei Longobardi (34).

 

Un’antichissima tradizione popolare vuole che la vecchia chiesa di S. Lorenzo a Borgolavezzaro, ora scomparsa, nel territorio di Astello e del Visù (35), fosse nei primi tempi ariana. Se la tradizione ha qualche valore, dobbiamo dire che i Longobardi residenti a Borgo, ebbero lì il proprio tempio avanti la conversione.

 

 

(31) Rossi, Exercitus, pp. 71.

(32) Archivio Consorzio Irriguo Ponente di Borgolavezzaro. Bollettario.

(33) Vesme e Fossati, Vicende della proprietà in Italia, pp. 311.

(34) Vaccari, Dell’Unità, ecc., pp. 89. Idem, La dominazione Longob., pp. 12.

(35) Cons., vol. 1, pp. 70, vol. II, pp. 339, 339. Cat. pp. 24, 106 bis.

 

 

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Poi anch’esso fu consacrato al cattolicismo, e altre chiese dedicate ai loro protettori S. Giorgio e S. Michele sorsero nella zona longobardica del paese, la prima presso Ghina sulla strada romanica Mortara-Novara transitante per Villa Maris e Alba (36), la seconda nel territorio demaniale della Caballicatio (Cavallina), sulla strada romana (Strà Croce) da Viginti Columne a Vercelli (37).

 

 

 “La terra del Re„.

 

Il Bethmann - Hollweg (38) e il Roberti (39) vorrebbero che tutti i beni delle città, dei municipi, siano passati con la conquista longobarda nelle mani del fisco regio e ducale (40). Parte, certo, dei territori occupati vennero destinati al palazzo sovrano.

 

Il Re e i Duchi, gli impiegati inferiori, i semplici arimanni avevano sui fondi toccati loro in sorte nella divisione delle terre dei vinti, il diritto di piena proprietà.

 

Il campo Tesoro (41) nel territorio del Borgo, è da mettersi forse in relazione col patrimonio immobiliare del fisco longobardo? Si sa da Paolo Diacono (42) che, subito dopo l’interregno, i Duchi eleggendo il re Autari, pensarono di formargli il Tesoro col cedere in suo favore metà delle proprie terre (43).

 

 

(36) Cons., vol. II, pp. 345. Cat. pp. 175.

(37) Cons., vol. I, pp. 71, 148; vol. II, pp. 343, 345. Cat. pp. 65.

(38) Ursprung der lombardischen Stadtefreiheit, Bonn, 1846, pp. 53.

(39) Del beni appartenenti alle eliti dell’Italia Settentrionale, in: Arch. Giur. 76 (1903).

(40) Vesme e Fossati, Vicende della proprietà in Italia, pp. 313.

(41) Cat. sec. XVIII, n. di mappa 1696.

(42) Hist., III, c. 16, pp. 123.

(43) Rasi, Exercitus, ecc., pp. 68.

 

 

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Le Consignationes parlano di un fondo «ad Burium Troni» (44), esistente a Borgolavezzaro, anticamente denominato Burius, specificato poi, per la sua appartenenza al Re, col titolo di Troni. L’appellativo toglie ogni dubbio sull’iscrizione del possesso tra i beni del Trono, ossia, come dicesi oggi, della Corona.

 

Il Cabreo della Commenda di S. Giovanni dei Pellegrini di Novara, steso nel 1754, conserva tra le sue terre di Borgolavezzaro il nome di un campo coltivato ove si dice al Re (45).

 

Nel Catasto del 600: campo del Principe (46).

 

Non si può negare un reale valore a tali riferimenti sui possessi sovrani nel territorio del Borgo, tanto più che vi troviamo anche l’accenno al Palatium (ad Palaxium) (47).

 

Palatium si incontra con una certa frequenza nel latino medioevale. Questa voce nell’epoca imperiale significa «dimora», «Corte del Re» (48). Nell’epoca barbarica, fisco, fiscus pubblicus, villa pubblica appaiono sinonimi di Palatium, Palatium regium, Palatium publicum, cioè la dimora del Re con il circuito della Città, della villa, dell’abitato dove la dimora regia esisteva (49).

 

La presenza del Palatium nel territorio del Borgo, onorava la Corte o Curia regia ivi esistente, sottolineandone l’importanza. Poiché mentre la Corte o Curia regia nell’epoca longobarda, luogo di residenza della giurisdizione locale, risultava una suddivisione della iudiciaria o finis longobardica (gau), come il pagus del municipium romano,

 

 

(44) Vol. II, pp. 339.

(45) Op. c. Borgolavezzaro, n. 7.

(46) Cat. pp. 33 bis. Cf. Arch. Com. di Vespolale. Cat.: bosco del Principe.

(47) Cons. vol. I, pp. 260.

(48) Coulanges, Hist. des inst. polit. de l’am. France. La monarchie franque. Paris, 136, 162.

(49) Boll. Soc. St. Pav., an. 1907, pp. 148-9.

 

 

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il suo capo, un giudice minore detto Sculdascius, stava soggetto al giudice maggiore o Conte (Graf), che risiedeva nel capoluogo della Giudiciaria o Comitato e ne era, per così dire, il vero sovrano (50).

 

Nelle leggi longobardiche troviamo che i gastaldi avevano i loro esercitali, arimanni, che gastaldi regi avevano il governo delle Corti del Re (51). Ma nel territorio del Borgo non incontriamo traccia di Sculdascia, bensì di Contea, segno indubbio della superiore importanza del paese anche nei tempi longobardi.

 

 

 “Il Contino„.

 

Longobardi nel quadro dei nuovi ordinamenti giurisdizionali, soppressero gli antichi Municipi romani, istituendo in loro vece prima i Ducati, poi i Gastaldati.

 

Dei cinque Municipi romani interessanti il Novarese, Laumellum (Lomello), Novaria (Novara), Plumbia (Pombia), Stationa (Stazzona), ed Oxilla (Ossola), si spostò temporaneamente il centro di Novara e Stazzona, che conservarono però il titolo di «città» (52).

 

Il fatto della soppressione di Novara da centro di Ducato, dipende oltre che dalla sempre maggiore influenza politica del Vescovo residente nella Città di S. Gaudenzio,

 

 

(50) G. Seregna, La popolazione agricola nell’età barbarica, in: Arch. Stor. Lomb. 1895. A. Colombo, La battaglia, ecc., pp. 87-8. Vesme e Fossati, Vicende, ecc., pp. 309.

(51) Leg. long. lib. I, t. 15, T. 34.

(52) Ferdinando Gabotto, Per la storia del Novarese nell’Alto Medioevo, in: Boll. St. Prov. di Novara, a. XI, f. I-II, pp. 5 e segg. Idem, I municipi dell’Italia Occidentale alla morte di Teodosio il Grande, in: BSSS, XXXII, III, 303 sgg. Idem, Storia dell’Italia Occidentale nel Medio Evo, I, c. 2, in: BSSS, LXI, 54, n. 3. Il Gabotto escludeva assolutamente che Novara fosse nel Comitato di Pombia. La sentenza opposta è sostenuta dal Pezza, in: Profilo geografico della Bulgaria Italiana nell’Alto Medio Evo, estr. Novara, 1935, pp. 40.

 

 

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dalle pietose condizioni in cui la gettarono le lotte fra i barbari e gli imperatori romani o bizantini. Già prima dell’invasione dei Longobardi, la principale città del territorio novarese, sede episcopale, appariva molto sminuita.

 

Si aggiunga che in questa torno di tempo il Contado si distacca dalla città. Sarà il desiderio di più larga autonomia, o la necessità di difendersi da soli sia economicamente che militarmente, di fatto l’agro sta acquistando maggiore importanza (53). Di Novara incorporata col suo territorio nel Ducato di Bulgaria, non si parla più fin verso la fine del sec. X, come centro di un organismo territoriale.

 

Non si tratta dunque per l’epoca longobarda di una divisione regolare di judiciaria a capoluogo delle quali sarebbe stato sempre un antico municipio romano, bensì di una divisione per judiciarie dove corrispondenti e dove eccedenti le antiche divisioni romane, varie di estensione, dominata talora da un centro fortificato che non era un’antica urbs romana.

 

Nei ducati maggiori avveniva di frequente che i duchi commettessero il governo di alcuna città o castro ad una persona con autorità simile a quella che essi avevano nel ducato, per la quale concessione diveniva signore di quel luogo, sebbene sotto il duca, al quale per l’onore concesso era debitore di fedeltà e del servizio militare. Questi erano i conti (54).

 

Nel territorio del Borgo troviamo, ricordato dal Catasto del 600: Bosco al Contino (55), confinante coi beni di Tornaco, e dalla parte opposta; Craviso Conte, Cravino Conte (56).

 

Inutile ricordare che il suffisso -ino non segna il diminutivo bensì l’appartenenza, il possesso, origine o relazione (57).

 

 

(53) Vaccari, Dall’unità romana, ecc., pp. 49.

(54) Vesme e Fossati, Vicende, ecc. pp. 309.

(55) Cat. pp. 113 bis, 273 bis.

(56) Bollett. Cons. Pon. Borgolavezzaro.

 

 

45

 

Contino vuol dire terra del Conte o sotto il Conte; traccia rimasta nella zona longobardo-francisca del Borgo, dove si trovava l’antico castellum e sorse, secondo la tradizione, il tempio ariano di S. Lorenzo. L’altra traccia della giurisdizione comitale si abbarbicò a parole di origine bulgarica, toponimi di quella zona del Borgo, che ospitò un nucleo di gente bulgarica.

 

 

 II. - IL NUCLEO BULGARICO

 

 I Bulgari.

 

Insieme col popolo longobardico molte altre genti discesero in Italia, principalmente Gepidi, Bulgari, Sarmati, Svevi, da cui presero nome i villaggi abitati dai medesimi, come attesta Paolo Diacono (58).

 

I Bulgari discendevano dagli Sciti, erano Longobardi «di forme atticciate e carnose» assicurava Ippocrate; «si direbbero senza giunture, molli e flosci». Vagabondavano con i carri e le famiglie. Adoravano la scure di ferro e il cavallo, cui offrivano sacrifici (59).

 

U Longobardi che primi li conobbero, vennero da loro sconfitti, e a propria volta li sconfissero. Di qui si spiega come Alboino li trascinasse con sè nella calata in Italia.

 

Il condottiero dei Longobardi occupò il Novarese nel 568, ne saccheggiò la capitale coi suoi barbari, compresi i Bulgari.

 

 

(57) P. Massia, Di alcuni nomi locali del Novarese, in: Boll. St. Prov. Nov. a. XXIV, f. I, pp. 55. Flechia, Nomi locali del Napolitano derivali da gentilizi italici, pp. 23 estr.

(58) Hist. Longob. II, 26: «Certum est autem, tunc Alboin multos secum ex diversis, quas vel alii reges vel ipse ceperat, gentibus ad Italiam adduxisse. Unde usque hodie corum in quibus habitant vicos Gepidos, Vulgares, Sarmatos, Pannonios, Suavos, Noricos, sive aliis huiuscemodi nominibus appellamus».

(59) Vincenzo d’Amico, I Bulgari transmigrati in Italia nei secoli VI e VII, Campobasso, 1933.

 

 

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Usi com’erano alla vita libera dei campi, non vollero saperne di conservare a Novara le sue mura.

 

Nella diaspora longobarda, i Bulgari si dispersero un po’ dappertutto nell’Italia settentrionale; numerosi nel Novarese (60); senza poter mai godere la dignità di arimanni (61).

 

 

 La Bulgaria italiana.

 

            I. - Cominciò il Giulini a collocare il Comitato di Bulgaria quasi tutto sulla sponda sinistra del Ticino, computandolo tra i quattro Comitati rurali di Milano. Suppose un Comitato novarese con Cerano, Sozzago, Cassolo, Galliate e porto Bestano presso S. Martino; spinse il punto più nordico del confine bulgariense fino ad Oleggio. Robbio, Mortara e Vigevano, appartenevano, secondo il Giulini, al Comitato di Pavia (62).

 

Pure al Riboldi sembrò che il Comitato di Bulgaria si adagiasse a cavaliere del Ticino (63).

 

            II. - Il Conte di Vesme colloca la Bulgaria nella regione tra l’Agogna e la Sesia, con Robbio, Palestro, Casalvolone e Borgovercelli.

 

Il Garbaix de Sonnaz vi comprende Borgolavezzaro (64). Storici subalpini come il Dionisotti,

 

 

(60) Gabotto, Per la storia del Novarese nell’Alto Medio Evo, a. XI, f. I-II, pp. 6.

(61) V. d’Amico, I Bulgari, ecc. pp. 18. Cfr. C. Alberto de Gerbaix-Sonnaz, Studi storici sul Contado di Savoia e Marchesato in Italia. Torino, 1883, pp. 44.

(62) Memorie spettanti alla storia delta città e campagna di Milano, ed. 1854-7, t. I, 289-90; 579; t. III, 641-9; IV, 180. Cfr. la carta dell’Ager Mediolanensis Medii Aevi, t. VII, 306-7.

(63) I contadi rurali del Milanese, in: Arch. St. Lomb. 1904. vol I; pp. 275-80.

(64) Il contado di Savoia, I, 54. Cfr. Rusconi, I Conti di Pombia; pp. 22.

 

 

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Niccolò e Alessandro Colombo (65) e il Gabotto riconobbero il Comitato di Bulgaria nella sponda destra del Ticino.

 

Per il Gabotto nessun dubbio ch’esso risponda al Municipio di Novara e al suo territorio (66). E’ il sentimento anche del Prof. Viglio:

 

«In questi secoli oscuri della nostra storia sino al sec. XI, in cui si affermerà l’autorità temporale dei Vescovi, il territorio novarese è infeudato nei Conti di Bulgaria dapprima, poi in quelli di Pombia» (67).

 

            III. - Secondo il Pezza, la Bulgaria confinava ad est col Contado propriamente detto di Milano, a sud con quello di Pavia, a nord con quello di Seprio, ad ovest col Ticino. In totale l’illustre studioso colloca il Ticino come confine occidentale del Comitato bulgarico (68).

 

La conoscenza della questione dell’ubicazione del Comitato è incompleta senza l’altra dei tre atti regi che possediamo, assai importanti, per la Bulgaria italiana:

 

   1. - Il testamento della regina Angelberga (877), con cui lega al monastero di S. Sisto di Piacenza, le due Corti di Bornago e di Trecate, designate «in comitatu bulgariense» (69). Per la prima volta si parla, in questi documenti, del Comitato.

 

   2. - Il rinnovo della donazione della Corte di Bornago

 

 

(65) N. C. Alla ricerca delle origini del nome di Vigevano, pp. 99-100; A. C. Vigevano e il Comitato Bulgariense, in: Viglevanum a. 1913, pp. 232 e segg.; Idem, La battaglia al Ticino, ecc. 1921. Idem, Cartario di Vigevano e del suo Comitato, in: BSSS, CXXVIII, 5, 13, 17, 30, 42, 55, 71, 85, 88, 97.

(66) Per la storia del Novarese nell’Alto Medio Evo in: Boll. St. Prov. Nov. a. XI, f. MI, pp. 7 e segg. Idem. I mun. rom. o. c. 309.

(67) Memorie Novaresi d’ogni secolo. Novara, 1930; pp. 338.

(68) Pezza, Profilo geografico della Bulgaria italiana nell’Alto Medioevo, Novara, 1935, pp. 22.

(69) M. H. P. Codex Diplom. Lang. col. 453. BSSS, XXXVIII; pp. 5-8.

 

 

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«in comitatu bilgariense», fatto nell’ 890 dalla regina Ermengarda (70).

 

   3. - La concessione di Berengario (919) al chierico Roteherio di un feudo in Viginti Columne «comitatu bulgariensi» (71).

 

Non è facile conciliare i tre citati documenti con la teoria del Pezza, che si oppone inoltre alla tradizione affermata non solo, ma specialmente dagli storici subalpini, e dalla cartografia milanese, che disegna il Comitato a cavaliere del Ticino.

 

L’estensione bulgarica di qua del Ticino, come dai documenti interessanti Bornago, Trecate, Viginti Columne, viene spiegata dal Pezza come uno sviluppo della politica bulgariense-ambrosiana.

 

I tre luoghi non sarebbero insomma, che tre direttrici del transito milanese o tre puntate ambrosiane nel Comitato Plumbense (72).

 

Ma le località citraticinesi, citate dalle carte bulgariche, non si possono ridurre a semplici transiti, almeno per Trecate, importante zona fin d’allora, e per Viginti Columne, steso su buona parte del Vigevanasco, fino ai confini di Borgolavezzaro.

 

Nè le interferenze di altri comitati nel territorio bulgaro, invocate dal Pezza (73) servono a mettere in dubbio la reale esistenza del Comitato di Bulgaria di qua del Ticino, appena si ponga mente alle vaste, continue, e tavolta davvero impressionanti interferenze che i Comitati giocarono fra loro nel caotico periodo feudale.

 

 

(70) M. H. P., Codex Diplom. Lang., dec. 345 (Parma 1910).

(71) Schiaparelli, Il Rotolo dell’Arch. Cap. di Novara, n. 122, in: Fonti per la Storia d’Italia, 1903; A. Colombo, Alla ricerca delle origini dei nome di Vigevano, pp. 99. Gabotto, Per la storia del Novarese nell’Alto Medioevo, in: Boll. St. Prov. Nov., a. XI, f. I-II, pp. 10. BSSS. CXXVIII, pp. 13.

(72) Pezza, Profilo Bulgaria, ecc., pp. 22-31.

(73) Pezza, Profilo Bulgaria, ecc. pp. 16.

 

 

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Spinta appare anche la formulazione dei confini geografici della Bulgaria sulle linee delle esenzioni fiscali di Francesco Della Torre (1270), semplicemente perchè «dominus Bulgariae» (74).

 

Le dipendenze richiamate a proposito delle disposizioni finanziarie del Della Torre, possono essere tutte accettate come appartenenti al Comitato bulgarico, soltanto se si può dimostrare che non appartengano per altro titolo allo stesso dominus Bulgariae. Uno può chiamarsi «signore della Bulgaria» e possedere altre terre e descriverle, che non appartengono realmente alla «Bulgaria italiana». Non si deve dimenticare che il sec. XIII segna il periodo di transizione dal Feudalismo ai Comuni e alle Signorie, periodo tormentato, dove invano si ricerca dei Comitati la fisionomia primigenia dell’Alto Medioevo. Il Gabotto ammoniva che alla data dei sec. XII-XIX si era già perduta ogni esatta notizia degli antichi Comitati.

 

Lo stesso Pezza conosce la mobilità della linea confinaria: Bornago, ad esempio, che nei tempi di Angelberga - Berengario appartiene alla Bulgaria, nel 1013 appare sotto Seprio.

 

Il diploma rilasciato il 18 aprile 969 da Ottone I a favore d’Ignone di Beleredo (75), se da una parte non designa geograficamente le corti citate, nomina però anche la Bulgaria.

 

Posizione preconcettuale risulterebbe la sua esclusione a qualunque costo dalle terre cisticinesi, per restringere l’indagine delle corti citate « al lembo incuneato tra Novara-Gambolò e il fiume (Ticino) (76).

 

Il merito del Pezza consiste nell’avere dimostrato la continuità del Comitato bulgaro fino ai tempi viscontei.

 

 

(74) Pezza, Profilo Bulgaria, ecc. pp. 18.

(75) BSSS. LXXVIII, doc. XXV.

(76) Pezza, Profilo Bulgaria, ecc. pp. 41-2.

 

 

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L’abate del Monastero di Morimondo fu istituito dall’imperatore conte di Basiliano nel Ducato di Bulgaria, nel 1210 (77).

 

Rosate nel 1270 si trovava sotto il Signore di Bulgaria, nel 1278 passò al Contado di Barzana (78).

 

Galeazzo Visconti nel 1355 istituì nel contado di Bulgaria un vicariato di giustizia con sede a Magenta e un altro con sede a Saranno.

 

Nell’opera dei governi viscontei, non pochi documenti riguardano il Comitato bulgarico, così un decreto del 1356 su materia tributaria, un altro sui vici, un terzo del 1385 sull’ordinamento dei capitanati, un altro del 1409 sulla manutenzione dei ponti (79).

 

Bisogna concludere che, attraverso le svariate contingenze dei tempi, il Comitato di Bulgaria si estende di qua e di là del Ticino. La teoria del Pezza che lo afferma solo sulle terre transticinesi, non si può sostenere, sebbene difesa con brillante carteggio di sottili e vivide argomentazioni. Contro i fatti — dicevano gli antichi — non si dà argomento. Contra factum non datur argumentum.

 

 

 Borgarello.

 

Il Catasto del 600 conserva un toponimo decisivo sull’esistenza nel territorio del Borgo d’un nucleo bulgarico: «Borgarello» (80), «Campo della Borgarella» (81), «Bugarella» (82).

 

 

(77) Giulini, Memorie St. delta Città e Campagna di Milano, ed. 1854, 12; pp. 180.

(78) Cf. Muratori, Rec. It. Script, XI, pp. 676.

(79) Pezza, Profilo Bulgaria, ecc. pp. 15-6. Gabotto, Per la Storia del Novarese nell’Alto Medio Evo, in: Boll. Sto. Prov. Nov., a. XI, f. I-II, pp. 11, n. 4. Vignati, St. Diplom. della Lega Lombarda, Milano, 1867; 390.

(80) Cat. pp. 174, 303.            (81) Cat. pp. 58 bis.

(82) Cat. pp. 104. Du Cange, 799, vol. I: Bugari, vide Bulgari.

 

 

51

 

Anche qui il suffisso si deve interpretare non come diminutivo (quando si vorrà dire «piccolo castello» si conierà il nome «castellola»), ma espressione dell’antico elemento ligure locale (si ricordi che il suff. -el è caratteristicamente ligure) sopravvivente nel popolo.

 

Privato del suffisso, il toponimo suona Borgar — e poiché è frequente la conversione in dialetto paesano di o con u, Burgar —; identico questo, u vogliamo aggiungere il solito suff. di luogo -ia, a Burgaria o Bulgaria, patrocinato per Borgolavezzaro dal Gabotto. Rimarrà sempre inspiegabile come il patriarca della nuova storiografia cisalpina e con lui altri illustri studiosi (83) abbiano chiamato Borgolavezzaro col termine di Bulgaria, se non ricorrendo a un’antica tradizione che essi raccolsero e tramandarono: la tradizione si mostra tutt’altro che priva di reale consistenza, poiché il toponimo che trovo nel Catasto del 600, oltre ad affermare l’esistenza nel territorio del Borgo d’un nucleo Bulgarico, con ogni facilità e naturalezza riconduce alla tradizionale «Bulgaria» (84).

 

I Bulgari si stanziarono a ponente del Paese, più specialmente lungo la Costa del Montone, la Costaiola e il Ranè, quasi all’incrocio delle due strade romane, di Croce e Villa Maris, nella zona della stessa latina Villa Maris e dei possessi longobardi Ghina e Cavallina, latifondo demaniale (Caballicatio).

 

Spargendosi nella campagna più che nel centro, i Bulgari seguirono il tradizionale, antico costume del raggruppamento per famiglie e comunità; il nucleo centrale si costituì nel luogo più acconcio alla coltivazione e alle comunicazioni.

 

 

(83) Pezza, Profilo Bulgaria, ecc. pp. 10.

(84) Il nome « Bulgari» secondo l’etimologia oggi più accreditata, significa mescolati. Enrico Damiani, Breve storia della Bulgaria, in: Bulgaria, ed. Roma, a. XVIII, pp. 12.

 

 

52

 

Anche qui fu la vecchia Villa Maris romana che dovette offrire la base territoriale ed economica dello stanziamento (85). Il luogo si presentava accogliente, fertile di cereali e sopratutto di lane tratte dai suoi numerosi e pingui armenti, lavorate sul posto ed esportate in gran copia.

 

Per lo stesso carattere di aldioni, cioè di liberti e coloni, assoggettati ai Longobardi, i Bulgari non stettero naturalmente legati alla sola zona dove sorgeva il loro centro principale (86). In dialetto rimane ancora il termine bùrgar (bulgaro), che vuol dire servo colonico, sciavandé (87).

 

Altri relitti toponomastici rivelano il passaggio di questo popolo.

 

Preziose segnalazioni rimangono i nomi prediali in cui prevale la radice «cara» (tartara-buno, nero), passata ai Serbi Croati in cra, nella Bulgaria Mesica in cerené (88).

 

La volubilità vocalitica invita a considerare specialmente il nodo consonatico cr, crn, crm.

 

Nel Catasto del 600: Cremonina (89), Crevera, Craviso (90), Cravera (91), Cravino (92). Il classico suffisso di questi due (erium e ino di appartenenza entrambi antichissimi) come pure la diversa grafia (crevera) assai lontana dalla pronuncia dialettale, impedisce di considerarli come derivati da capra, in dialetto locale cràva.

 

Pezzo di sicura prova dello stanziamento dei Bulgari è il toponimo Sant’Andrea.

 

 

(85) Vaccari, Dall’Unità ecc., pp. 51.

(86) Vincenzo D’Amico, I Bulgari trasmigrali in Italia net secoli VI e VII, Campobasso, 1913, pp. 18.

(87) Il dialetto ha pure tàrtar col significato di testardo.

(88) Vinc. D’Amico, I Bulgari, ecc. pp. 20.

(89) Cat. pp. 26, 175.

(90) Bollett. Cons. di Ponente, Borgolavezzaro.

(91) Cat. pp. 39.            (92) Cat. 700, n.

 

 

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Gli aldioni convertendosi, solevano edificare nei propri vichi una chiesa dedicala al loro proiettore il Martire di Patrasso e Apostolo, S. Andrea. A misura che il Cristianesimo si sostituiva all’idolatria, gli aggregati stessi bulgarici si chiamavano Casali S. Andrea o semplicemente S. Andrea.

 

E’ veramente interessante che questo agiotoponimo si sia conservato anche per l’aggregato bulgarico di Borgolavezzaro. Nel mezzo del territorio da essi occupato, esiste ancora un campo chiamato S. Andrea (93).

 

 

 Sede del Ducato (Gabotto).

 

Fu allora Borgolavezzaro la sede del Ducato di Bulgaria? L’illustre storico Gabotto (tanto nomini nullum par elogium) l’afferma esplicitamente (94).

 

La questione della Capitale del Ducato si imbrogliò e si confuse con l’altra invero intimamente legata ma distinta, del luogo da cui il Ducato si sarebbe chiamato di Bulgaria.

 

I centri che si contendono, nell’estimazione degli storiografi subalpini, la dignità di Sede ducale bulgarica sono Borgolavezzaro e Borgovercelli.

 

 

(93) Cat. pp. 36, 80 bis. 142. «Massimo conto va fatto dei luoghi nominati da S. Andrea Apostolo. Questo martire evangelizzò Scythiam Europae Epirum ac Traciam (Brev. Rom. die XXX, Cat. IV). I Traci, gli Epiroti, i Daci, gli Avari, i Bulgari, a misura che passavano al Cristianesimo, venerarono come precipuo santo e protettore il loro Apostolo. Oggi pure tutti i popoli di sangue tartaro hanno un cullo peculiare per esso; i Bulgari, i Magiari, i Russi del Mezzodì del nome di lui hanno fregiato i loro ordini cavallereschi più insigni, i loro templi più belli». D’Amico, I Bulgari transmigrati, ecc. pp. 20.

(94) Per la Storia del Novarese nell’Alto Medio Evo - La Chiesa di Novara, in: Boll. St. Prov. Novara, a. XII, f. II, p. 64. N. Colombo, Alla ricerca delle origini del nome di Vigevano, Novara, 1899. pp. 100. Novara Sacra 1932, pp. 268-9. Touring Club It.: «Piemonte», vol. I, pp. 205.

 

 

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Il Pezza insinua che a taluno, in un primo tempo, possa essere balenata l’idea di individuare in Borgolavezzaro il capoluogo originario, «forse per l’iniziale consonanza del vocabolo» (95).

 

Non è a credere che ciò, se ci fu, sia bastato a determinare l’opinione di rispettabili studiosi, e anzi la certezza di uno storico della tempra del Gabotto, adusato alle più sottili ed armate argomentazioni. Perchè gli altri Borghi, anche solo quelli del Novarese, dalla stessa «iniziale consonanza del vocabolo» non attrassero l’attenzione degli studiosi come Borgolavezzaro?

 

Esiste una certa concordanza degli storici nell’ammettere Bulgaria o Burgaria la Sede nuova in cui venne trasferito il centro della «Giudiciaria» dai Longobardi nel Municipio di Novara (96). Sotto questo aspetto la quasi totalità, cito soltanto A. Colombo e F. Guasco di Bisio, ammette il Borgo appartenere indubbiamente al Contado di Bulgaria (97).

 

            1. - Invece per Borgovercelli si discute ancora se facesse parte della Bulgaria Comitale. Il Conte di Vesme lo sostiene per il motivo che il Borgo, che prende nome da Vercelli, faceva già parte della Diocesi novarese, non della vercellese, e che il pago romano, da cui derivò il Comitato bulgaro, si estendeva fino alla Sesia (98).

 

            2. - L’unica ragione della scelta di Borgovercelli è il suo nome antico di Borgarum o Bolgaro.

 

 

(95) Pezza, Profilo Bulgaria, ecc. pp. 10

(96) Gerbaix de Sonnaz, Studi storici, 1, 2, n. 356; pp. 226-8 (Torino 1884). Gabotto, Per la Storia del Novarese, ecc. 1917, pp. 6. N. Colombo, Alla ricerca delle origini dei nome di Vigevano, pp. 100.

(97) A. C., La battaglia al Ticino, pp. 156. F. G. di B. Dizionario feudale degli Antichi Stati Sardi, in BSSS., LIV-LVIII. Gerbaix de Sonnaz pare individuasse in Borgolavezzaro il capoluogo originario della Bulgaria italiana. Studi storici: Il Contado di Savoia, Torino, 1884, 1, 2, an. 356, pp. 226-8.

(98) Pezza, Profilo Bulgaria, ecc. pp. 11.

 

 

55

 

Ma basta la traccia di un sicuro toponimo bulgarico per riferirlo a capitale addirittura dell’omonimo Comitato?

 

            3. - Quali tradizioni prebulgariche può vantare per essere assunto il territorio di Borgovercelli a sede di Ducato? Una capitale non può improvvisarsi certamente in tempi tormentati.

 

Suppone valide fortificazioni, apprestamenti per il Duca e la Corte, servizi civili, corrieri, strade ben tenute e in comunicazione coi grandi centri del Comitato e degli altri Comitati, ecc. ecc. Rimane memoria di questo a Borgovercelli?

 

            4. - Quale la villa romana che diede l’appiedamento al primo nucleo di Bulgari a Borgovercelli?

 

            5. - Il Pezza obbietta alla tesi di Borgovercelli «la frapposizione tra la striscia Bornago-Trecate ed il centro Borgovercelli d’una civitas - Novara - già per se ovvia e storica sede di un comitato» (99).

 

            6. - Lo stesso autore obbietta: «La curiosa accantonatura del presunto capoluogo rispetto al complesso territoriale delle presunte dipendenze e proprio in margine al comitato della vicinia civitas di Vercelli» (100).

 

            6. - Rimane significativo il silenzio di Marco Perosa, l’illustratore di Bulgaro (ed. 1889), sulla dignità di capoluogo comitale di Borgovercelli.

 

            7. - Si abbandonò Borgolavezzaro per Borgovercelli in seguito all’idea diffusa in certi circoli, che il nostro paese avanti il sec. XIII non esistesse.

 

Quanto questo motivo si dimostri falso e grottesco, non v’ha nessuno che non veda (101).

 

            8. - Si aggiunga l’osservazione del Gabotto, che la forma Bulgaria o Burgaria, donde il nome del Comitato, non si trova mai usata per Borgo Vercelli (102).

 

 

(99) Pezza, Profilo Bulgaria, ecc. pp. 11.

(100) Profilo Bulgaria, ecc. pp. 11.

(101) Presso Colombo N., Alla ricerca, ecc. pp. 100.

(102) Gabotto, Per la Storia del Nov. ecc. Ducati e Comitati, in: Boll. Soc. St. Nov., a. XI, f. I-II, pp. 12.

 

 

56

 

La scelta della sede ducale tra Borgolavezzaro e Borgovercelli non permette nessuna incertezza a favore di Borgolavezzaro, appena si considerino i suoi numeri di molto superiori all’altro Borgo. Si ricordi in particolare, di Borgolavezzaro:

 

  a) le antiche gloriose tradizioni: Città ligure. Vicorum romano, terra del Re, Contea Longobarda;

  b) l’esistenza di un vero nucleo bulgarico;

  c) la sua indubbia appartenenza al Comitato di Bulgaria;

  d) il Visù e la Villa Maris che diedero appiedamento alla colonia longobarda;

  e) la diffusa onomastica longobardica;

  f) il ricco Santorale, compreso l’agiotoponimo S. Andrea;

  g) la vasta zona occupata da fortificazioni, avanti il 1000;

  h) le quattro strade romane incrociantisi nella nostra regione;

  i) il Palatium:

  l) il posto strategico del paese in confronto del Novarese, Vercellese, della Lomellina e Lombardia;

  m) la vicinanza con la civitas Novara;

  n) la tradizione antica che pone il Borgo a Capoluogo bulgarico;

  o) l’autorità di Gabotto e di altri insigni studiosi.

 

 

 Capoluogo di Gastaldato (Gabotto).

 

I cinque Municipi romani interessanti il Novarese, furono trasformati prima in «ducati» poi in «gastaldati» (103).

 

 

(103) Gabotto, Per la Storia dell Novarese, ecc. Ducati e Comitati, in: Boll. Soc. St. Nov. a. XI, f. I-II, pp. 7.

 

 

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Non rimangono dati per determinare quando tali ducati venissero ridotti a gastaldati, cioè a mano regia (104).

 

Anche il Gabotto afferma che la sede del Gastaldato bulgarico non fu Novara, ma Borgolavezzaro (105). Soltanto dalla fine del sec. X, la dizione bulgariense si chiamerà «novarese» (106).

 

I gastaldi governavano a nome del re le città come le ville, le terre principali come le corti, e vi esercitavano la doppia giurisdizione civile e militare col nome di capitani (107). Si moltiplicarono le Corti del Re, che in Germania si presentavano come capanne con terreni all’intorno cinti da palizzata, in Italia talvolta interi villaggi con rispettivi terreni, e con casa signorile nel mezzo.

 

Abbiamo già accennato all’esistenza nel territorio del Borgo, del Palaxium (Palatium) e della preziosa toponomastica palatina: «Tesoro», «Campo del Re», «Campo del Principe», «ad Burium Troni».

 

 

 III. - I FRANCHI

 

 Sede di Comitato (Gabotto).

 

Le istituzioni longobardiche fecero crollare Pipino nel 754, abbatterono Carlomagno nel 775.

 

 

(104) Gabotto, Per la Storia del Nov. ecc. Ducati e Comitati, in: Boll. Soc. St. Nov., a. XI, f. I-II, pp. 9. «Per Orta-Stazzona può ritenersi ciò accadesse dopo la sconfitta e la morte di Minulfo. Per Lomello è probabile che fosse già gastaldato quando il Re Arisaldo vi fece rinchiudere in una torre la moglie Gundoberga, nel tempo in cui era falsamente accusata». Idem, op. cit. pp. 9, n.3.

(105) Gabotto, Per la Storia del Novarese, ecc. La Chiesa di Novara, in: Boll. Soc. St. Nov., a. XII, f. II, pp. 65.

(106) Gabotto, Per la Storia Nov. ecc. La Chiesa di Novara, in: Boll. Soc. St. Nov., a. XII, ff. II, pp. 55.

(107) Gabotto, Per la Storia del Nov., ecc. Ducati e Comitati, in Boll. St. Soc. Nov., a. XI, f. I-II, pp. 9.

 

 

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Già nel 590 era avvenuta un’importante spedizione di Franchi, divisi in tre corpi: il primo guidato da Celino, varcate le Alpi del Tirolo, scese a Verona; il secondo sotto Olone, scese per il Gottardo e la valle Levantina; il terzo comandato da Andoaldo, calò per il Sempione e l’Ossola, e si accampò presso Milano.

 

Si inquadra in questi tempi il dramma della decapitazione di Minulfo, duca longobardo, sospettato di tradimento o ritenuto colpevole di debolezza per non essersi opposto vittoriosamente (108).

 

Carlo Magno abbattè l’esercito longobardo di Desiderio nella vicina Mortara il 12 ottobre 773 (109). In questa battaglia sarebbero rimasti uccisi per la fede i due nobili cavalieri Amelio d’Alvergna e Amis di Beyre confidenti dell’imperatore. Collocati in due urne separate, raccontano le cronache che, a meraviglia di tutti, furono trovati insieme in una stessa urna, ambi doi (110).

 

I Franchi ristaurano per i capi delle circoscrizioni municipali il nome romano di «conti». I gastaldati prendono la denominazione di «comitati»,

 

 

(108) N. Bazzetta De Vemenia, Storia di Novara, Novara, 1931, pp. 68-9. Idem. Storia del lago d’Orta, Omegna, 1912.

(109) Il Gabotto, conserva delle convinzioni particolari sulla battaglia longobardo-francica di Mortara. Cfr. il suo studio Per la Storia del Novarese nell’Alto Medio Evo. - Ducati e Comitati, in: Boll. Soc. St. Nov., a. XI, f. I-II, pp. 6. Idem, Les Legendes carolingiennes dans le «Chronicon ymaginis Mundi» di frate Giacomo d’Acqui, 8 sgg. Montpellier, 1894.

(110) Francesco Pezza, Il San Lorenzo di Mortara nella Storia e nello stile, Mortara, 1925. Idem, La pieve mortarese di S. Albino, in: Boll. Soc. St. Nov., 1907, pp. 178-182. Idem, Frammenti dell’epopea carolingia in Limellina, in: Palestra letteraria (Vigevano), 1894, n. 2, 3, 4. D. F. Pianzola, Mortara, Collegiata di S. Lorenzo, Mortara, 1930, pp. 5-6. Cfr. Bescapé, Novaria, pp. 23-25.

 

 

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mentre i «ducati» franchi assumono un’ estensione molto più vasta (111).

 

Ma neppure con l’instaurazione del dominio franco, Novara riappare come capitale della dizione bulgarica. Mantiene il titolo di Civitas, continua a rimanere Sede della Cattedra di S. Gaudenzio, si libera dalle rovine accumulate nei tempi del Basso Impero. Tra i Comitati della regione fra le Alpi e il Po, la Sesia e il Ticino, Novara compare molto tardi, nel periodo dei Re Sassoni (961-1024). In una pergamena di donazione dell’Imperatrice Adelaide, vedova di Ottone I, al Monastero di S. Salvatore in Pavia, nell’anno 999, si leggerà finalmente l’espressione «Comitatus Novariae».

 

Fu ancora in Bulgaria, cioè a Borgolavezzaro che rimase, secondo l’illustre Gabotto, la sede del Comitato Bulgariense fin verso il Mille (112).

 

Il conte, nelle istituzioni politiche e sociali di Carlomagno, era in guerra il supremo capitano degli uomini della sua contea atti alle armi, in tempo di pace presiedeva ai giudizi, e curava il mantenimento dell’ordine nella contea. Il potere veniva moderato dai missi dominici, ispettori mandati attorno per osservare e decidere sull’atteggiamento dei conti. I campi di marzo o di maggio vedevano ogni anno l’assemblea dei grandi del regno riuniti per le proposte e le discussioni delle leggi (capitolari) (113).

 

 

 La Centena.

 

Sotto i Franchi, la giurisdizione degli sculdasci si restringe ai luoghi minori, nei quali di mano in mano ottengono e assumono nomi di conti (114).

 

 

(111) Gabotto, Per la Storia del Novarese nell’Alto Medio Evo - Ducati e Comitati, in: Boll. Soc. St. Nov., a. XI, f. I-II, pp. 8-9. Viglio, Memorie Novaresi, ecc. pp. 338.

(112) Per la Storia del Novarese nell’Alto Medio Evo - La Chiesa di Novara, in: Boll. Soc. St. Nov., a. XII, f. II, pp. 64.

(113) Fedele Sasio, Storia del Medio Evo, Torino, 1908, pp. 110.

 

 

60

 

Questi si chiamano «conti minori», a differenza dei «conti mediocri» i quali sono i veri conti di un comitato, e dei «conti maggiori» o «marchesi» ossia conti di più comitati (115).

 

La moltiplicazione di contee entra nella politica di Carlomagno, tesa ad abbattere la potestà dei duchi ormai salita a indipendenza e a troppo fastigio, con pericolo del regio potere. I ducati vengono divisi in contee, consegnate ai più fedeli di qualunque nazionalità. Romani, Franchi o Longobardi: all’antico sculdascio si sostituisce neU’amministrazione il centenario (116).

 

Già nell’ età longobarda fa capolino questo nome (117). Sotto i Franchi maggiormente invalse, indifferentemente adoperato da insigni scrittori con quello di sculdascio (118).

 

I centenari furono, dunque, i magistrati dei vici (119) detti anche fondi con probabilità da principio dodici sotto ogni duca.

 

Il numero dei liberi Longobardi soggetti allo sculdascio, come dimostra la forma dell’ antica costituzione germanica e il nome stesso di centenario fu originariamente di un centenario maggiore di fare, ossia di dodici decanie.

 

 

(114) Vesme e Fossati, op. c., pp. 387.

(115) Vesme e Fossati, op. c., pp. 422. Balbo, Dei titoli e della potenza dei conti ecc., pp. 85.

(116) E. Ricotti, Storia delle Compagnie di Ventura. Milizie comunali e feudali. Milano. 1929, pp. 28.

(117) La maggior difficoltà contro l’idealità tradizionalmente asserita fra sculdasci e centenari nell’età longobarda, è costituita da un cap. di Rachi (cap. I) dove si parla di sculdasci, centenrai, loci servatores, come di magistrati subordinati al judex. Vaccari, Dall’unità, ecc. pp. 69.

(118) Muratori, Antiq. Dissert. X, Tom. I, pp. 519. Canciani, vol. IV, pp. 200 sgg. Vesme e Fossati, Vicende delle proprietà in Italia, pp. 290-1. Giuuni, I, 28. Colombo, Mil. II. 19.

(119) Brunetti, Cod. disc. di Toscana, dco. VIII, XXVIII, XXXV.

 

 

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Dal lato giuridico il territorio soggetto si diceva nel periodo franco centena, e centenario il capo del distretto (120).

 

Si noti che non molto facilmente si incontrano questi nomi nella toponomastica italiana (121). Tanto più preziosi essi appaiono nel nostro territorio, dove si sono conservati.

 

Centolina (Centilina, Centlina) in territorio S. Lorenzo, segnato dalla presenza di Astelo e del Visù romano (122).

 

Centauro (123) a ponente del paese, nei pressi di Villa Maris. I nomi del distretto giurisdizionale franco rimangono perciò rispettivamente nelle due parli del territorio del Borgo, dove si svilupparono i centri delle più antiche civiltà.

 

 

 Sotto la Marca d’Ivrea.

 

All’epoca carolingia, l’Italia dei Franchi venne divisa in cinque Ducati: Italia Neustria, con capitale Milano, corrispondente all’ Archidiocesi ambrosiana, eccetto la Liguria marittima; Italia Austria;

 

 

(120) Vesme e Fossati, opera citata, pp. 291. Cfr. per le due voci, Cangiami, IV, pp. 221.

(121) Il Liber Not. reca: Pratum centenarium, sec. XIII. In Olivieri, D. T. pp. 184: «Non si può pensare affatto, come ammette lo Corogr. (Dir. cor. univ. d’Italia, vol. I, p. 1 - Lombardia - II ed. riv. da F. Griffini, Milano 1854) che nella pianura di Prato Centenaro i centenari del Milanese tenessero le loro assemblee e facessero le loro rassegne».

(122) Cat. pp. 24: vigna a S. Lorenzo ossia in Centlina, pp. 109 bis. Cenletina, il Bulio in Centlina, pp. 156 bis; Centlina, pp. 175 bis; pp. 163: Centoli.

(123) Boll. Cons. Irr. Ponente. Borgolavezzaro. «Centenarius dal nome del distretto giurisdizionale barbarico della centena». Bognetti, pp. 95, n. 3. Sena. Contrib. conlinuità, pp. 5.

 

 

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Forum Julii, poi Verona - Patriarcato di Aquileia; Emilia: cap. Spoleto - Arcivescovado di Ravenna; Tuscia: cap. Lucca; Littorale Marittimo: cap. Embrun con gli Arcivescovadi di Aix ed Embrum.

 

Il Duca, intendente di finanza e giudiziaria, era sempre «missus dominicus», ossia rappresentante del Re, e talvolta ricopriva l’ufficio di Marchese con ufficio militare.

 

Può dirsi ormai cosa accertata, contro l’antico insegnamento del Muratori, che la «Marca» in Italia è costituita da una pluralità di comitati (124). Le Marche in Italia portano il segno di creazione di carattere politico, non inquadrate in divisioni tradizionali, nè hanno creato circoscrizioni durature al di sopra del comitato. Già nell’ Alto Medioevo cominciarono a disgregarsi (125).

 

Le nuove Marche furono quelle di Ivrea, di Lombardia, di Trento, istituite da Guido nell’ultimo scorcio del IX secolo. La Marca di Ivrea, i comitati di Ivrea, Vercelli, Santhià, Ossola, Pombia, Stazona, Lomello e Bulgaria; comprendeva quindi anche Borgolavezzaro, qualunque fosse la sua posizione nei confini del Comitato Bulgarico.

 

Tra la morte di Carlomagno (814) e la coronazione imperiale di Ottone I (962), scompare ogni unità di governo; all’autorità subentrarono la forza e l’arbitrio; quindi dominò l’anarchia e la violenza in ogni cosa; che valsero potentemente a logorare le forze della nobiltà e del clero, nella prostrazione delle quali e nell’abbandono d’ogni stabile reggimento,

 

 

(124) Pivano, Il Comitato di Parma e la marca lombardo-emiliana, in: Arch. St. per la Prov. Parm., 1922, pp. 40-1.

(125) Vaccari, Dall’unità, ecc. pp. 140. Anche i Franchi, come i Longobardi trasferirono in Italia usi e leggi germaniche. Vesme e Fossati, Vicende della proprietà, pp. 377. Le principali novità introdotte furono sulle autorità politiche e l’autorità dei clero, e benefici.

 

 

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nacque necessità ed opportunità al volgo di ordinarsi a difesa, prendendo legge dalle consuetudini e dai bisogni pressanti (126).

 

La divisione e suddivisione delle investiture feudali, germinò una progenie infinita di conti, di nobili, di nobili d’arme, ai quali il Re o il maggior Duca affidavano la difesa e il governo di qualche regione. L’investitura da dativa e personale col tempo divenne gentilizia ed ereditaria: era una funzione insieme religiosa e militare, poiché si prestava giuramento a Dio di fedeltà e di servizi per i bisogni di guerra.

 

In questa gamma policroma di investiture, i semplici possessori del territorio infeudato occupavano il grado inferiore.

 

I grandi possessori delle terre che avevano in retaggio, lo erano pure dei miseri che le abitavano, su cui comperavano sempre nuovi privilegi, o dal sovrano o dalla fame dei soggetti. Chiusi nei loro merlati castelli, quali principi indipendenti, dettavano leggi e amministravano la giustizia (127).

 

C. Ramponi

 

 

(126) Sala, Feudi e Comuni, pp. 201. Una serena critica del sistema feudale con l’enumerazione delle buone e cattive sue conseguenze presso il Savio, Storia del Medio Evo, Torino, pp. 112-114.

(127) Sacchi Def., Della condizione economica, morale e politica degli Italiani nei tempi municipali. Ep. II, pp. 162.

 

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