«Castropignano». Studio sugli aspetti storici, folkloristici, sociali ed economici di un comune del Mezzogiorno

Raffaele Sardella

 

 

(II.)

 

63. Parole (incerte) di lingua bulgaro-magiaro-mongola rimaste nel dialetto castropignanese  81

64. Carattere dei Castropignanesi  81

65. Difetti del Castropignanese  82

66. Titoli nobiliari  83

67. Il Castropignanese e la religione  84

68. Soprannomi di alcune famiglie di Castropignano  86

69. I titoli di ”don” e "donna”  87

70. I nomignoli  87

71. La "nevera”  87

72. Il petrolio  88

73. Piccole industrie ed attività artigianali scomparse  88

74. Allevamento del bestiame  89

75. Pesca sul Biferno  89

76. Sepolture dei nostri antenati  89

77. Apicoltura  90

78. Misure locali  90

79. Vita di Castropignano sino al 1800  92

80. La lapidazione del gallo  95

81. Il "laccio”  96

82. Il trasporto della dote  96

83. Etimologia di alcuni cognomi delle famiglie di Castropignano  96

84. Conclusione sui cognomi  103

85. Le "botte” (percosse, risse) di S. Giacomo  103

86. Arti e tradizioni popolari  104

87. La sorte  104

88. Il mercato dei suini  104

89. L’ulivo benedetto  104

90. La croce  105

91. Speleologia  105

92. Tabula Peutingeriana e legge sugli scavi archeologici  105

93. Reperti archeologici dell’agro di Castropignano  106

94. Zone d’interesse archeologico  108

95. Opere che parlano del Sannio Pentro (di cui fa parte Castropignano)  109

96. Giornali conservati nella Biblioteca Provinciale di Campobasso che parlano del Molise e a volte di Castropignano  109

97. Il "doddario”  109

98. Re cunsuole (consolazione, condoglianze). Re puorche de S. Antonio  110

99. Saluti e frasi augurali  111

100. Frasi di chiamata  112

101. Invocazioni - Imprecazioni ed offese  112

102. Pubblica istruzione  112

103. Acqua Sannita - Sorgente di acqua minerale di Castropignano  113

104. Emigrazione  116

105. La “chempagnia” (pellegrinaggio)  118

106. Castropignano prima del 1456  118

107. Paolo Diacono - Storico che parla del Molise  121

108. Storia delle torri con riferimento a quelle di Castropignano  122

109. Il Palazzo del "Capitano”  124

110. Vita durante il feudalesimo  125

111. Castropignano in epoca fascista  127

112. Castropignano e le guerre  128

113. Ricompense al valore  129

114. I nati e i morti di fine anno  130

115. Gastronomia  130

116. Eugenio Cirese poeta del Molise  131

117. Il miserere  132

118. Parole inglesi italianizzate e ricorrenti nel discorso di nostri anziani emigrati nel Nord America  132

119. Relazioni di Castropignano coi paesi vicini  133

120. Giochi caratteristici  134

121. Le campane delle chiese di Castropignano  135

122. Moneta di Claudio  136

123. Iscrizione indecifrabile posta (internamente) al di sopra della porta della "chiesa del convento”  137

124. Chiesa del SS. Salvatore  137

125. Chiesa Madre  137

126. Chiesa di Maria S.S. delle Grazie o del Convento  138

127. Chiesa di S. Nicola  140

128. Chiesa di S. Lucia  140

129. Notizie sulla vita di S. Pietro Martire da Verona, Patrono di Castropignano  141

130. Devozione alla Vergine  143

131. Santi venerati in Castropignano  143

132. Il quadro di S. Leonardo  144

133. Storia e notizie sulla frazione di Roccaspromonte  145

134. L’agro di Roccaspromonte  146

135. Aspetto dell’abitato  146

136. Produzioni locali artigianali scomparse  147

137. Popolazione  147

138. Famiglie di Roccaspromonte  147

139. Chiesa di S. Maria della Pietà  148

140. Santo Patrono della frazione - Attività culturali ed artistiche  148

141. Le mascherate tradizionali  148

142. Mascherata di Zeza  149

143. Mascherata dei briganti  150

144. I dodici mesi  152

145. Consiglieri provinciali  154

146. Uomini di spicco del passato  156

147. Cittadini onorari di Castropignano  156

148. Le maitenate  157

149. Canto dei mietitori e delle mietitrici  158

150. Distanze di Castropignano dalle maggiori città italiane  159

151. Notizie frammentarie  160

152. Fisionomia politica di Castropignano  161

153. Carestie - Terremoti - Peste - Colera Spagnola  161

154. Notizie storiche dal VII secolo a.C. al XIX secolo d.C.  162

155. Orientamento dell’abitato di Castropignano rispetto ad alcune città italiane e straniere  163

Congedo

 

    Bibliografia

 

 

63. PAROLE DI LINGUA BULGARO-MAGIARA, RIMASTE NEL DIALETTO CASTROPIGNANESE

 

    Pas: in lingua iugoslava vuol dire cane. In dialetto castropignanese per allontanare il cane si dice "Passa a llà".

 

    Cuccia: in lingua iugoslava Kucia vuol dire casa, ricovero. In dialetto al cane si dice "Cuccia llà”.

 

    Ruca: Parola dialettale per indicare mulattiera o via stretta. Deriva dal russo droga, trasformatasi in druga e Ruca. In Castropignano esisteva "la ruga de re furne" cioè la via del forno (pubblico). In epoca medioevale si cuoceva il pane nel forno del duca e si pagava il "panatico".

 

Parole di origine slavo-magiaro-mongola sono i diversi richiami di animali come ruk ruk per richiamo dei colombi, tiuk Tiuk o ti ti per i polli, zeré per la capra, cik cik per il maiale.

 

 

64. CARATTERE DEL CASTROPIGNANESE (E DEL MOLISANO IN GENERE)

 

Il castropignanese è in genere di carattere buono, pieno di rispetto per il prossimo, difensore sino all’eccesso dei suoi diritti, riservato con chi poco conosce, accogliente ed ospitale con i forestieri, parenti ed amici.

 

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Lavoratore fino all’abnegazione, modesto nel vestire, parco a mensa, tenace nel risparmio (destinato all’acquisto di immobili), estremamente attaccato alla famiglia, espansivo, zelante, cordiale nell’amicizia. ”È posato come un sacerdote nella parlata ”È di ambizioni moderate. Ha quasi il culto della tradizione: "acchesci faceva mamma - acchescì faceva tata” (così si comportava mamma - così si comportava papà). E molto diffidente delle innovazioni. Queste imita sulla scorta di fatti e dimostrazioni con garanzia di sicuro successo. Non rischia in affari grandi o piccoli che siano. Avanza e progredisce sempre coi piedi di piombo. Individualista senza eccezioni negli interessi od occasioni di guadagni. Aborre lavori in società e cooperazione che abbiano una certa dimensione. E sempre attuale il proverbio "semena e semena sule e sia pure meza mesura” (Semina e semina da solo sia pure in piccola quantità). E rispettoso della Fede nel più profondo del cuore, anche se poco praticante e cristiano a suo modo. Non indulge a tutto ciò che concerne questioni di serietà e compostezza della donna, sorella, fidanzata, o cognata che sia. ”E un individuo che considera seriamente la vita da spendere minuto per minuto in cose buone e di valore”. Per concludere il castropignanese fa parte della "gente buona” magistralmente descritta da Eugenio Cirese:

 

Chest’è la terra de la bbona gente

Che penza e parla senza furbaria.

Veste all’antica, tira a la fatia

Vo bbene a la fameglia e ie chententa.

 

Questa è la terra della gente buona, che pensa e parla senza furberia. Veste all’antica, lavora, vuol bene alla famiglia ed è contenta.

 

 

65. DIFETTI E VIRTÙ DEI CASTROPIGNANESI (E MOLISANI IN GENERE)

 

Il castropignanese trascende facilmente in questioni d’interesse. Vede molto spesso minacciati i propri diritti e difficilmente accetta che altri mettano in discussione la sua opinione. Ha un vero culto della proprietà (terreni e fabbricati) che vede intaccata anche per fatti di minima importanza. Crede ed ha profondo rispetto della Fede, ma con altrettanta facilità bestemmia nei momenti di ira o di grave disappunto. Del culto rispetta a modo suo le feste, mentre per il resto fa piuttosto quello che gli garba (giustificandosi con disinvoltura) non quello che la Chiesa prescrive.

 

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Ma il vero ritratto del castropignanese (e del Molisano) è stato fatto con precisione dallo scrittore Michele Prisco il quale dei Molisani scrive così:

 

”È restato nel temperamento sannita un senso della dignità ed una contenuta fierezza di carattere che sostiene nelle avversità e fa discreti nelle gioie. Procedendo nel duro Molise vi è facile imbattervi in gente dai volti adusti segnati color del cotto, dai gesti lenti e laconici improntati a grande mobilità e si ha l’impressione di ritrovare la vera essenza italica. E rimasto un senso della laboriosità schiva del lusso e delle raffinatezze ed un civilissimo senso di ospitalità e di onore e di orgoglio che conferiscono a quella popolazione una fisionomia tutta particolare fra le gente meridionale”.

 

Un altro scrittore aggiunge:

 

”Qui si nasce per vivere e vivere è un peso se non addirittura una maledizione. Qui è la gente che ha come retaggio l’amara necessità dell’esodo. Qui è la gente che ama disperatamente la sua terra ed è costretta a lasciarla per cercare un pane sempre più lontano. Qui i bambini sono adulti e gli adulti sanno essere bambini”

 

”Qui sono le immagini eterne della gioia e del dolore di nostra gente, sotto il cielo pregato con selvaggia fede, sulla terra lavorata con pazienza secolare. Qui passano le vaste greggi condotte da pastori solenni e grandiosi come patriarchi. Qui si svolgono lungo i campi del lino fiorente, lungo i campi del frumento maturo, le pompe delle nozze, dei voti e dei mortori. Qui gli uomini accesi da una brama inestinguibile seguono a torme la femmina bella e possente che emana dal suo corpo una malia sconosciuta. Qui turbe fanatiche vanno dietro i loro idoli gridando stupefatti dalla monotonia dei loro gridi. Qui la vergine esangue liberata da una fattura d’amore, dopo aver veduto la faccia della morte va a sciogliere un voto... e il fragile fantasma bianco in mezzo alle belle femmine feconde, in mezzo agli agricoltori adusti e nodosi, passa quasi aereo nella luce del meriggio, sotto l’azzurro inserorabile lungo la messe alta bionda infinita. Tutti i drammi, tutti gli idilli, tutte le immagini della gioia e del dolore di nostra gente sono qui come in un visibile poema. Ed in ognuno di questi esseri l’Artefice lascia intravvedere un’anima senza limiti...la profondità della vita”.

 

Sono parole di Gabriele D’Annunzio che valgono per Abruzzesi e Molisani.

 

 

66. TITOLI NOBILIARI

 

Accertato che in Castropignano ha dominato per secoli la famiglia ducale D’Evoli, è bene spiegare il significato dei seguenti titoli nobiliari tuttora vigenti.

 

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È noto che il maggior titolo è quello del re derivato dal latino rex. Titolo immediatamente seguente è quello di principe, derivato dal latino princeps principis che vuol dire il primo, un capo che affianca il re. Titolo inferiore è quello di conte, nome derivato dal latino Comes comitis, che vuol dire compagno, compagno del principe. Dopo il conte viene il marchese, che indica capo della marca (regione di confine tra una nazione ed un’altra); duca deriva dal latino ducis e dal bizantino douca che vuol dire capo o condottiero; barone deriva dal latino baronis che vuol dire uomo forte e valoroso. Tutti questi titoli indicano potere e ricchezza in una gerarchia che va dal massimo (re) al minimo (barone).

 

 

67. IL CASTROPIGNANESE E LA RELIGIONE

 

La popolazione di Castropignano ha una tradizione secolare di forte attaccamento alla chiesa. La fede in Gesù e la devozione alla Madonna sono vivissime quasi in ogni singola persona. Ciò si evidenzia anche attraverso il numero delle chiese: quattro su un migliaio e mezzo di abitanti. Il sacerdote è molto rispettato dalla totalità del popolo. Fin dai primi secoli del Cristianesimo, Castropignano tu sede di Protonotariato Apostolico [1] ed Arcipretura Nullius [2]. La parroccchia dipese direttamente dalla Santa Sede sino al 1200. In seguito passò sotto la diocesi di Trivento. Il sacerdote di Castropignano aveva il diritto o privilegio di vestire abiti e calzature particolari. Nel secolo scorso la parrocchia vantava un numero rilevante di vocazioni sacerdotali ridotto a zero ai prima del 1900. Dagli emigrati castropignanesi, numerosi negli Stati Uniti e Canada, giungono annualmente discrete somme per i bisogni della Chiesa e per le feste. Frequenti sono le comunioni e quasi quotidianamente vengono celebrate messe in suffragio dei defunti. Discreto è il numero delle offerte inviate a santuari della regione e nazionali. Pellegrinaggi vengono effettuati nei più celebri santuari del Molise, Campania e Puglia: Santuari di Castel Petroso, Sepino, Roccamandolfi, Pompei, Montevergine, Pomigliano, Mugnano, Montesantangelo, S. Giovanni Rotondo, Bari, Foggia, Montecassino e Loreto.

 

 

1) Protonotariato apostolico: collegio dei sette "primi notari”, prelati con l’incarico di registrare tutti gli atti emanati dalla Curia di Roma.

 

2) Arcipretura Nullius: titolo di ufficio ecclesiastico, che sembra avesse il potere di celebrare matrimoni ed ordinare sacerdoti senza nulla osta della diocesi.

 

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Fino agli anni seguenti la prima guerra mondiale molti fedeli si recavano a piedi ad Assisi, Montesantangelo, Bari, Cassino e Roccamandolfi. Non è stato mai organizzato un pellegrinaggio a Milano, dove, nella più antica basilica di quella città, è custodito il corpo santo di S. Pietro Martire patrono di Castropignano: - Basilica di S. Eustorgio a Porta Ticinese - Il due novembre presso molte famiglie si lasciano accesi per tutta la notte lumini in memoria dei cari defunti. Le processioni raccolgono fedeli più o meno numerosi a seconda dell’importanza delle ricorrenze religiose. Stentano a sopravvivere le congreghe, una volta fiorenti, del "Rosario” e del "Carmine” "Esse, mediante modeste quote degli iscritti, provvedevano ai festeggiamenti della Madonna ed ai funerali dei "fratelli”. Per la nomina del Priore [3] della Congregazione (cristiano di nota devozione) i "fratelli” [4] votavano l’elezione dello stesso con fagioli bianchi (si) e fagioli neri (no). Fra gli ultimi priori si ricordano i defunti Iocca Rosario, Macoretta Raffaele e Borsella Ferdinando. I "fratelli” del "Rosario” vestivano, su abiti civili, tunica bianca e cotta [5] azzurra, distintivo della Madonna e cordone bianco con fiocchi alla cinta; quelli del "Carmine” vestivano tunica bianca con cotta violacea, distintivo della Madonna e cordone bianco con fiocco annodato alla cinta.

 

Con questo addobbo priore e fratelli precedevano processioni e funerali. Una volta le congreghe che riscuotevano censi e quote in natura avevano consistenti possibilità finanziarie. Questo perché l’economia locale si fondava prevalentemente sull’agricoltura e l’allevamento del bestiame, specie ovino e caprino ed i prodotti della terra erano ben quotati sul mercato. Si racconta che la Chiesa del S.S. Salvatore si riempiva sino al soffitto di grossi covoni di grano in occasione della festa del "Carmine” (16 luglio). Molti sono gli ex voto donati nel corso dei secoli alla Madonna del Rosario, Madonna del Carmine, S. Antonio, Madonna delle Grazie e S. Lucia. Si tratta di un vero tesoro costituito da gioielli in oro, argento e pietre preziose. Per mano di persone di specchiata onestà tutto è stato sempre preservato da furti, guerre ed altre calamità. Certamente nel 13°/14° secolo Castropignano elesse come santo patrono S. Pietro martire da Verona il cui corpo santo è custodito (come si è detto) nella basilica di S. Eustorgio di Porta Ticinese a Milano.

 

 

3) Priore: Priore deriva dal latino prior, prioris, che vuol dire superiore, primo, capo della congrega.

 

4) Fratelli: "fratelli” erano fedeli iscritti alla congrega.

 

5) Cotta: cotta era una mantellctta indossata da sacerdoti o "fratelli” iscritti alla congrega.

 

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68. SOPRANNOME DI ALCUNE FAMIGLIE DI CASTROPIGNANO

 

Come in quasi tutti i paesi d’Italia anche in Castropignano molte persone vengono indicate col soprannome oltre che col cognome legit- timo. Quasi tutte le famiglie del paese hanno un soprannome derivato da fatti o motivi spesso inspiegabili. Attualmente quelli più in uso sono i seguenti:

 

Barraccano soprannome della fam. Saltarelli

Canturro        ”          ”          ”          Maddalena

Chiovitto       ”          ”          ”          Colitti

Carletto         ”          ”          ” Sceppacerqua

Ciannavotta  ”          ”          ”          Luciani

Ciardeniello  ”          ”          ”          Marrone

Celluccio       ”          ”          ”          Maddalena

Dondalespre ”          ”          ”          Luciani

Donatone      ”          ”          ”          Maddalena

Frabbizio       ”          ”          ”          Molinaro

Grieco ”          ”          ”          Pizzacaclla

Lupadomini  ”          ”          ”          Greco

Lucarelli        ”          ”          ” Sceppacerqua

Mascione       ”          ”          ”          Venditti

Mastino         ”          ”          ”          Alfieri

Melone 1        ”          ”          ”          De Felice

Marcuccio     ”          ”          ”          Di Felice

Pavlit  “          ”          ”          Paolone

Pelliccio         ”          ”          ”          Palma

Pellegrino      ”          ”          ”          Sardella

Peppechiacchiare     ”          ”          ”          Paolone

Peppedaleterio (Peppe di Eleuterio)        ”          ”          ”          Maddalena e Sardella

Stregone        “          ”          ”          Luciani

Santicchio     ”          ”          ”          Maddalena

Stagnariello  ”          ”          ”          Petti

Scenardo       ”          ”          ”          Macoretta

Spezzacantuni          ”          ”          ”          Di Vincenzo

Totaro             ”          ”          ”          Cameli

 

e tanti altri. È da notare che le famiglie più elevate per censo e professione sono indicate non col soprannome ma col nome del capo famiglia preceduto da "quelli di” (quelli di don Cleto, componenti la famiglia Borsella, "quelli” di don Crescenzo, componenti la famiglia Maddalena ecc.).

 

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69. I TITOLI DI "DON” E "DONNA"

 

Il "don”, che si premette ai nomi di cittadini del napoletano e in genere di quasi tutta l’Italia centro meridionale, è accorciativo del latino dominus (padrone, proprietario, signore, capo). Il ”don” si dà ai cittadini di rango elevato (professionisti, grandi proprietari, impiegati dello stato, grossi commercianti). "Donna”, derivato del latino domina, si dà alle signore benestanti, aristocratiche e che sono mogli di uomini ragguardevoli. Dominus e domina latini si trasformarono con l’andare dei secoli in dom, don, e donna. Questi titoli si usano ancora, ma vanno quasi scomparendo. Essi intendono sottolineare una certa nobiltà, cultura, onestà e ricchezza. Ancora in uso tra qualche persona anziana è il titolo di "signorìa” (buon giorno a segnerìa! come piace a segneria).

 

 

70. I NOMIGNOLI

 

Il nomignolo in Castropignano, come in tutte le località centro meridionali, allude a qualità fisiche o particolari di una persona. Citiamo i seguenti: ceppariello, cavatiello, passareccio, barese, cinese, commissario, segretario, marconi (per dire persona intelligente e colta) negus, cacciatore ecc.; tra le donne: macchina, Baczetta, menelecca, telona. Chi non ha nomignolo viene indicato col nome della madre, del padre o del mestiere che esercita: Pasquale di Bettina, Antonio di Marietta, Tonino di Valentino, Angelo Mastrangelo.

 

 

71. LA "NEVERA”

 

"La nevera” è una contrada dell’agro di Castropignano che si estende a nord ovest del castello a confine con le contrade Canala e Fonte nuova. Nevera corrisponde al vocabolo italiano neviera ed indica caverna o grande pozzo dove d’inverno si ammassava e comprimeva grande quantità di neve da vendere o usare d’estate. Un modello di neviera (antichissima ed in perfetto stato di conservazione) si trova nella Piazzetta delle conserve di Cesenatico (Forlì) [1].

 

 

1) La neviera di Cesenatico (Forli) è formata da una costruzione tronco-conica profonda sei, sette metri, con fondo e pareti di muratura in mattoni. Il diametro a livello del terreno è il doppio di quello alla base (fondo della neviera).

 

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Della neve si servivano i pescatori di quella cittadina per non far guastare il pesce. Dalla neviera prese nome la contrada oggi detta ”La nevera”. Di questa costruzione e della neve relativa si serviva forse il Duca per rinfrescare viveri e bevande nei mesi estivi. La neviera poteva essere fatta anche con un semplice e profondo fosso scavato nel nudo terreno. In esso si comprimeva neve intramezzata da strati di paglia.

 

 

72. IL PETROLIO

 

Mentre si procedeva alla costruzione dello svincolo della Bifernina per Castropignano (viadotto La Rocca), dallo scavo di fondazione per pali di cemento armato venne fuori un liquido dall’odore caratteristico del petrolio. L’assistente ai lavori per tema che i lavori venissero sospesi riempì con estrema celerità lo scavo stesso.

 

 

73. PICCOLE ATTIVITÀ ARTIGIANALI SCOMPARSE

 

Castropignano per tutto l’ottocento è stato rinomato per il numero notevole di calzolai, stacciai, funai e tessitrici. I calzolai manifatturavano qualsiasi tipo di scarpe che vendevano sul posto e nei comuni di Torella del Sannio, Molise, Frosolone, Bagnoli del Trigno, S. Pietrefin Valle e S. Stefano. Maestri di calzature furono Nicola Caperchione, Francesco Di Felice, Giuseppe e Vespasiano Scapolati e Ferdinando Borsella. Tutti si rifornivano di cuoio a S. Maria Capua Vetere. Stacciai, crivellai e stagnini furono Angelo e Gaetano Trivisonno, Michelarcangelo Zinni e Pietro Petti. Questi portando la merce a spalla o con quadrupedi, raggiungevano fiere e mercati dei più lontani paesi del Molise. Trivento e Pescolanciano erano a portata di mano!.... Il gruppo dei funai era rappresentato dai fratelli Nicola, Peppino e Gennaro Camposarcone. Quasi ogni famiglia di artigiani aveva un telaio e le donne erano abili tessitrici di lana e lino. I funai importavano canapa dal napoletano. Fino agli ultimi anni del 1800 erano in funzione due fornaci di laterizi e calce (Fornace Maddalena a contrada Palata e fornace Pignotta a cotnrada S. Eustachio). Nella stessa epoca erano in funzione anche due trappeti per la produzione di olio: uno nelle vicinanze del castello (proprietà Pietro Pignotta) e l’altro in piazza S. Antonio (proprietà Federico Borsella). Ambedue erano azionati da quadrupedi.

 

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74. ALLEVAMENTO DEL BESTIAME

 

Sino al 1950 l’allevamento del bestiame si basava essenzialmente su pecore, capre, maiali e animali da cortile. Dal I960 si è sviluppato in modo straordinario l’allevamento dei bovini da carne e da latte. Prima della seconda guerra mondiale in Castropignano esistevano solo due buoi per l’aratura ed una vacca da latte, mentre i bovini censiti ad ottobre 1982 ammontavano a 316. Ultimamente è sorto un allevamento di polli su scala industriale a contrada Canala.

 

Il censimento agricolo del 1982 si concluse come segue:

 

Bovini 316

Ovini 2112

Caprini 165

Suini 289.

 

 

75. PESCA SUL BIFERNO

 

Le squisite trote, anguille e capitoni del Biferno sono ormai un lontano ricordo perchè le acque del fiume sono inquinate dagli scarichi industriali di Boiano, da quelli fognari di Campobasso e di tanti altri comuni. Sono perciò scomparse le primordiali caratteristiche "cannizze", "nasse”, "martafielli” (bertavello), schiazzi (giacchio) e "mandrelle” (primitivo e probabilmente unico modo di pescare). Per molto tempo anguille e capitoni si pescavano con "cordelle” (lenze) e "cannizze” [1], trote e cavedani con le ordinarie reti. Ai pochi pescatori di una volta (veri maestri) che furono Angelo Polione, Leopoldo e Giovanni Borsella seguì la schiera dei fratelli Ciolfi. Ora sulle rive del Biferno ci sono pescatori a centinaia per adescare le poche trote di ripopolamento e i cavedani duri a finire. Accanto alle porte delle masserie vicine al fiume non si vedono più le nasse di vimini usate fin da epoca sannitica.

 

 

76. SEPOLTURE DEI NOSTRI ANTENATI

 

Sino all’anno 1000 ogni famiglia provvedeva alla sepoltura dei propri morti. Solo personaggi di un certo rilievo avevano sepolture particolari.

 

 

1) "Cannizza”: caratteristico ed antichissimo attrezzo fìsso da pesca, formato da una trave ed una grata di canne palustri.

 

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Romani (e forse Sanniti) seppellivano i morti fuori dell’abitato ai lati delle strade. Dal 1000 in poi i morti cominciarono ad essere seppelliti in fosse comuni in vicinanza di chiese e castelli. In Castropi- gnano abbiamo due fosse di quei tempi: quella a Nord del Castello e quella a nord della Chiesa Madre detta in dialetto ‘ngopp’a le fossa” (sopra la fossa). La fossa (o fosse) era costituita da un grande vano sotterraneo con volta di pietra e botola per calarvi i cadaveri. In seguito i morti furono sepolti nei sotterranei delle chiese e questo tipo di sepoltura fu adottato sino al 1870. Dopo tale data si sono avuti gli attuali cimiteri, recinti di mura e posti ad una certa distanza dall’abitato. Dal 1200 al 1300 i morti furono sepolti nel sotterraneo della chiesa di S. Nicola, dal 1300 al 1400 al "cementerio” (cimitero). Si chiamava "cementerio” una diruta chiesetta dedicata a S. Rocco, sita sul tratturo di fronte alla chiesa di S. Lucia. Ruderi di questa chiesetta ed ossa sparse erano visibili sino alla data di costruzione del monumento ai caduti. La base della ringhiera che delimita l’area del monumento fu costruita sul muro petrimetrale della chiesa. La stessa fu dedicata a S. Rocco perchè protettore della peste. Detta epidemia si ripeteva molto spesso per le pessime condizioni igieniche di quei tempi. Dal 1500 al 1600 fu adoperato come sepoltura il grande vano sotterraneo della Chiesa Madre. Dopo la costruzione del Convento (1700) i morti furono sepolti per breve periodo in tre vani (ora carceri) adiacenti alla Chiesa della Madonna delle Grazie. In seguito furono di nuovo sepolti sotto la Chiesa Madre. Altri nostri antenati sono forse sepolti sotto la Chiesa del S.S. Salvatore.

 

 

77. APICOLTURA

 

Per antica tradizione in Castropignano è stata sempre discretamente sviluppata l’apicoltura con produzione di pregiato ed aromatico miele. Attualmente è un po’ in declino a causa dei diserbanti chimici adoperati nei pochi fondi ancora coltivati. Tuttavia non manca anche qualche appassionato apicoltore come Scapillati Giuseppe, Sardella Gennaro ed Angelo, Evangelista Osvaldo. Specializzati in materia erano Corrado Piccinocchi e Nicola Scapillati.

 

 

78. MISURE LOCALI

 

Oltre le misure del sistema metrico decimale ancora sono in vigore alcune tradizionali vecchie misure. Qualcuna è scomparsa di recente e fra esse il tomolo (misura di cereali ed altri prodotti agricoli).

 

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Statua del Protettore: S. PIETRO MARTIRE DA VERONA

 

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Di conseguenza è difficile trovare il "mezzetto” consistente in un recipiente tronco conico di legno (faggio o abete) della capacità di venti litri. Il tomolo era suddiviso in "mezzetti” (2), quarti (4), "misure” (16). Al tempo dei Sanniti e dei Romani, e sino al medioevo, in ogni comune esisteva una misura di volume pubblica (scavata nella pietra) della quale tutti si servivano per misurare, vendere o comperare cereali. Tali misure (pezzi da museo) esistono ancora a Boiano (presso una chiesa) e Rocca- mandolfi (al centro del paese). Nel medioevo cominciarono ad usarsi i "mezzetti” e "misure” di legno acquistati dai falegnami di Pietrabbondante. Tutte le famiglie contadine erano provviste di queste misure. Nel medioevo cessò di essere usato anche il "cannale”, misura consistente in un paletto di ferro infisso nel muro. Questo rappresentava la misura detta "canna”. Su questo arnese tutti andavano a misurare per la .compravendita delle stoffe (a quei tempi solo lino e lana). Una misura locale ancora usata è la "canna”. Si usa ancora oggi per vendere legna e consiste in una catasta lunga quattro metri, larga ed alta uno. Una volta si vendevano anche le pietre (appena squadrate) a "canna”. Questa "canna” si suddivideva anch’essa in mezza e quarti. Per quanto riguarda i terreni sembra che i notai negli atti di vendita fanno o debbono fare ancora riferimento alla misura locale.

 

I terreni continuano a vendersi a "tomolo”, misura locale di superficie corrispondente a duemilaottocento metri quadrati. Il tomolo si suddivide in "mezzetti” e "misure”. Un "mezzetto” corrisponde a millequattrocento metri quadrati, la "misura” a centosettantacinque. Per i terreni esiste anche il "quarto” (di tomolo) di settecento metri quadrati. Degno di nota è il fatto che un tomolo di grano indica l’esatta quantità di grano occorrente per un tomolo seminato (quaranta litri di grano su duemilaottocento metri di superficie). Singolare inoltre è l’osservazione che marito e moglie contadini - in una giornata - dall’alba al tramonto, riuscivano a seminare esattamente un tomolo di terreno. Sono scomparsi "rotoli”, libbre, ”staia”, once ecc. Qualche anziano - tra le misure di valore - parla ancora di ducati, tornesi, nechelle e soldi.

 

 

79. VITA DI CASTROPIGNANO SINO AL 1800

 

Sino al 1800 i Castropignanesi bastavano a se stessi per viveri e vestiario. In casa si tesseva lino e lana con filatura e tessitura primordiale.

 

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La tela di lino serviva per farne camicie, lenzuola, tovaglie, tovaglioli ed altro. La lana serviva per abiti, mantelli, calze ed il caratteristico "panno” [1] per le donne.

 

La lana ed il lino erano usati indifferentemente d’estate e d’inverno. Per tingere il panno si usava la robbia [2] e l’indaco [3]. Per lavare i diversi capi di vestiario ci si recava al Biferno, alla Canala, Cananella ed Acque Vive d’inverno, perchè l’acqua di queste piccole sorgenti era meno fredda. Il bucato, igienica antichissima usanza, si faceva in grossi tini di legno versando acqua bollente su cenere. Attraverso una rozza tela di lino passava solo acqua ed elementi chimici della cenere (calcio e potassio). Sulle mense erano sconosciuti mandarini, pomodori, arance, limoni, peperoni, patate, fagioli, granone. Da tempo remoto ogni famiglia mattava per uso familiare uno o due maiali per conservarne carne e grasso. Il maiale mattato si spellava facendolo passare su fiamme di ginestre o stoppie. Infine si rasava con coltelli bene affilati. Antichissimo è l’uso di preparare prosciutto, salsicce, soppressate, capocollo, "noglie [4], gelatina, sanguinaccio e farro [5] con grasso. Diffuso era il consumo del vino. Sconosciuti l’uso di liquori e birra. Abbastanza adoperato era l’olio. Vigeva l’usanza di cuocere un po’ di uva diraspata in caldai di rame per dare un colore più scuro al vino. Il vino era conservato esclusivamente in botti di rovere da uno a trenta quintali. Tutti facevano il pane in casa con farina dei mulini ad acqua del fiume (Mulino la Terra, Mulino la Rocca, Mulino al Cerreto). Accanto ad ogni camino esisteva immancabilmente il forno da pane. Nelle "fusine” (grossi recipienti di terracotta internamente smaltati) si conservavano grasso di maiale e salsicce.

 

In qualche macelleria nelle domeniche e festività più solenni si vendeva solo carne di agnello, capretto, pecora e capra. La carne si portava a casa legata ad un rametto di ginestra in tempi più lontani e, successivamente, avvolta in carta paglia. Gli arnesi per l’agricoltura si compravano a Frosolone e gli oggetti d’oro a Campobasso e Napoli. La carne costituiva cibo di lusso ed era a tavola a Natale, Pasqua e pranzi di nozze.

 

 

1) "Panno”: detto in dialetto "puanne". Era un pezzo di stoffa rettangolare di lana, col quale le donne si proteggevano dalle intemperie.

 

2) Robbia: in dialetto "ruoia”. Pianta erbacea. Con le radici si tingevano di rosso panni di lana e lino.

 

3) Indaco: in dialetto "inaca". Pianta originaria dell’India. Serviva per tingere di turchino.

 

4) Nodi: in dialetto "noglie" - grosse budella di maiale salate ed atomizzate con aglio. Dopo il medioevo si aggiunse pepe e peperoncino. Ottimo condimento per i fagioli.

 

5) Farro: in dialetto "sfarrato”, in italiano sfarinato. Era grano macinato con mulino a mano.

 

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Sino a pochi anni or sono le nostre mamme nascondevano sotto il grembiule la carne, perché chi la comprava (magari per bambini o malati) era considerato spendaccione o goloso. Per le scarpe la numerosa schiera di calzolai comprava cuoio a S. Maria Capua Vetere. Non esistevano scuole. Maestri improvvisati erano sacerdoti o frati. A proposito è da ricordare il Duca Vincenzo D’Evoli, il quale istituì una scuola privata diretta appunto da sacerdoti. Esisteva una Confraternita della carità per malati poveri, che aveva in dotazione un fondo e qualche vano di fabbricato come ricovero-ospedale. Le professioni più in voga erano quelle di notaio, medico, speziale (farmacista) e compassatore (geometra). Erano esercitate empiricamente e quasi in modo artigianale. I veri laureati cominciarono ad aversi dopo l’istituzione dell’Università di Napoli (1600). I libri erano lusso di gran signori. Non esistevano fognature e illuminazione. L’acqua per uso domestico si attingeva nei vari pozzi siti alla periferia dell’abitato. I divertimenti erano cantina, carte da gioco e bocce. Armi da difesa furono fino al tardo medioevo pugnali più o meno lunghi, successivamente un acuminato serramanico. Piuttosto frequenti erano omicidi e ferimenti per ubriachezza, interessi ed onore. Il corredo della sposa si conservava in lunghe e profonde casse di noce. Tra i capi di biancheria si mettevano numerosi mazzetti di spigo ("spiganardo”). Pietanze e stoviglie si tenevano da parte nella caratteristica "arca”, una specie di larga e profonda cassa costruita con cunei di legno al posto dei chiodi. La posta non esisteva e le notizie si mandavano a mezzo di corrieri e commercianti, a voce. Numerose erano tasse e gabelle: panatico - tassa sul pane -, pesca- tico - tassa sulla pesca nel fiume -, pedaggio - tassa per passare sui ponti -, e tante altre. Tutto si pagava in natura, denaro e lavoro ai cassieri del Duca. Pane o focacce s’impastavano su un semplice quadrello di legno (pioppo). In casa l’acqua per la cucina e per bere si teneva in una o due ”tine” [6] provviste di relativi "manieri” [7]. Mezzi di trasporto erano asini, muli e qualche cavallo. L’abitato comprendeva numerosissime stalle con ogni specie di animali domestici. I cibi in campagna agli agricoltori al lavoro si portavano con bisacce, "fiasche” [8] e "minucci” [9] comprati a Roccamandolfi.

 

 

6) "Tina” conca di rame, per trasportare acqua, della capacità di dieci quindici litri. Quando serviva per trasportare mosto, in essa bisognava mettere un piccolo sasso per evitare il velenoso "verde rame”. Caratteristico recipiente di Abruzzo, Molise e Lazio (Ciociaria).

 

7) "Maniero": mestolo di rame col quale si attingeva acqua dalla "tina”.

 

8) "Fiasca”: recipiente di terracotta per contenere vino.

 

9) "Minuccio": in italiano mina. Caratteristico recipiente di forma cilindrica, basso, di faggio. Se ne vendevano di diverse grandezze a Roccamandolfì (Campobasso).

 

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Si potevano contare sulla punta delle dita i fabbricati rurali (proprietà di signori e del Duca). Numerosissimi erano i "pagliai”. Qualcuno faceva anche da abitazione. Per i parti le donne si arrangiavano vicendevolmente! Dei contadini nessuno abitava in campagna ad eccezione di mezzadri e fittavoli del Duca. Quasi nessuno aveva in casa gabinetti o bagni. Le immondizie si gettavano in diversi punti della periferia dell’abitato. Per questo si avevano ricorrenti epidemie di peste, colera e tifo.

 

 

80. LA LAPIDAZIONE DEL GALLO

 

Il 15 e 16 Agosto di ogni anno si svolgeva alla periferia del paese (sul fratturo presso la Chiesa di S. Lucia) la tradizionale antichissima lapidazione del gallo. Un capo di un pezzo di spago veniva legato ad un picchetto fissato per terra, mentre l’altro si legava ad una zampa del gallo. Lo spago aveva la lunghezza di qualche metro. In tal modo la bestiola aveva una certa libertà di movimento; dalla distanza di dieci quindici metri veniva presa a sassate. Queste continuavano sino al momento in cui l’animale, per i colpi ricevuti, non dava più segni di vita. Per ogni sassata si stabiliva una tariffa che si pagava di volta in volta al proprietario del gallo. Chi riusciva ad ammazzare il gallo (anche con una sola sassata) se lo aggiudicava. Naturalmente spesso seguivano violenti litigi per la morte vera o presunta del povero lapidato. Non si sa se questa singolare tradizione venne sospesa per ricorso della società protettrice degli animali o per ragioni di ordine pubblico. Per alcuni anni oltre alla lapidazione ci fu anche il "tiro al gallo”, fatto a colpi di doppietta. Questo tiro si svolgeva a monte del campo sportivo. La lapidazione e "tiro” durarono fino al 1925. Le sassate venivano effettuate al grido di "Sciò S. Rocco” (Vola via! S. Rocco ti protegga) da parte del padrone del gallo. Tale usanza risale al tempo della civiltà greca, perchè i greci veneravano Esculapio come dio della medicina, della forza e della guarigione. Il culto di Esculapio fu introdotto a Roma nel 289 A.C. Gli ammalati offrivano in sacrificio ad Esculapio un gallo a guarigione ottenuta. Forse dall’usanza pagana d’invocare Esculapio si passò a quella cristiana d’invocare S. Rocco. Ad Esculapio si sacrificava un gallo simbolo della forza e della salute.

 

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81. IL "LACCIO”

 

Il "laccio”, antica usanza con cui si tagliava la strada agli sposi appena usciti dalla porta del Comune o della Chiesa, andò completamente in disuso negli anni immediatamente seguenti la seconda guerra mondiale. Il laccio consisteva in un grande fazzoletto di seta - bianco o di colore - piegato a triangolo e tenuto teso per due capi da ragazze o donne anziane. A questo fazzoletto erano infilate collane e anelli d’oro. Appena gli sposi uscivano dalla porta della chiesa si vedevano tagliata la strada. Gli sposi, dopo aver pagato una specie di pedaggio (offerta in denaro a piacere a seconda delle possibilità) potevano proseguire verso casa.

 

 

82. IL TRASPORTO DELLA DOTE

 

Nel giovedì precedente il giorno delle nozze un numero di ragazze, proporzionato alla consistenza della dote, si recava alla casa della sposa. Questo stuolo di giovani da marito (amiche o parenti degli sposi) - in compagnia dello sposo - veniva accolto con gioia nella casa della sposa. I genitori di questa offrivano a queste portatrici dolci, vino e liquori. Dopo questo breve ricevimento venivano posti sulla testa delle ragazze canestri e ceste di vimini con indumenti ed oggetti domestici costituenti la dote. Tutti i capi di vestiario erano ben riconoscibili e messi in mostra. Fatti questi preparativi il corteo delle ragazze, in fila indiana, sfilava per vicoli, vie e piazze del paese. Gli astanti ammiravano e commentavano, mentre questa schiera di giovani procedeva composta e silenziosa verso la nuova dimora. Lo sposo, con la giacca posta sulla spalla sinistra, chiudeva il corteo. Alla casa dello sposo tutto veniva deposto e ordinato. Dopo aver composto il letto nuziale, nella generale allegria, i genitori dello sposo offrivano una lauta cena preceduta da un’abbondante affettata di prosciutto. Questa usanza tanto bella e pittoresca è ormai cosa dei tempi passati. Sarebbe d’altronde poco pratico portare canestri con lavatrici, frigoriferi ecc. ...!

 

 

83. ETIMOLOGIA DI ALCUNI COGNOMI

 

Prima di passare ad analizzare i cognomi singolarmente, è necessario fare una premessa. Essi sono di origine latina, greca, tedesca slava. Come si sa, il moderno cognome, presso gli antichi aveva forza di soprannome.

 

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Era l’ultimo dei tre appellativi del cittadino romano (praenomen personae, nomen gentis, cognomen familiae). Anche i greci usarono il cognome per indicare le qualità fisiche e morali del capo famiglia. I Romani furono i primi a imporre il cognome (cum nomine), cioè una qualità da aggiungere al nome. Si ebbe così il nostro moderno cognome. I primi cognomi romani derivarono dall’agricoltura e dagli animali. Si ebbero così i Cicero (da cece), i Fabi (da fava), gli Apiii (da api), i Lentuli (da lenticchia), i Meli (da mela), i Vitelli (da vitello), gli Asinii (da asino). Seguirono i nomi derivati da qualità fisiche della persona e da queste ebbero origine i Crassi (da grasso), i Cincinnati (da cenci), i Nasoni (da naso). Altri cognomi derivarono dal luogo di nascita o di residenza, dalle scienze, dalle arti ecc. Nel medioevo si ebbero cognomi derivati da condizioni civili, professioni e mestieri come Duca, Conti, Nobili, Vassalli, Vescovi, Abbati, Alfieri, Balestrieri, Barbieri, Giudici, Medici, Maestri, Mastri, Amici, Amati, Bianchi, Rossi, Biondi, Calvi, Cortesi, Cordiali, Gentili, Crespi, Mancini, Greci, Pelosi. Nella stessa epoca molte famiglie del popolo non avevano cognome e perciò molti presero il nome del padre o della madre: Di Nicola o Di Cola, Di Giacobbe, Di Francesco, Di Felice, Di Maria. Dalla città di origine derivarono i Recanatesi, i Napoletani o Napoletano, gli Anconetani, Romani, Gaetani. Taluni cognomi vennero imposti ex novo a figli illegittimi. Molte famiglie (e relativi cognomi) si sono estinte nel corso dei secoli, come i Velia, De Posta, La Guardia, Colozza, laniero ed altre.

 

            Alfieri: dallo spagnolo alferez o dall’arabo Al faris (cavaliere). Può derivare dal latino, "alte fero - signum -” porto in alto la bandiera. Quindi portabandiera, cittadino o soldato valoroso.

 

            Antonecchia: dal greco anton (fiore) e nike (vittoria) quindi fiore della vittoria, guerriero valoroso, gente coraggiosa.

 

            Bax: forse dallo slavo Bacz, ma molto più probabilmente dal latino pax per indicare gente pacifica.

 

            Battista: cognome in onore di S. Giovanni Battista.

 

            Bottini: Antichissima e numerosa famiglia di origine slavo-bulgara. Bottini deriva da Botkin (italianizzato in Bottini). Tatiana Botkin, figlia del medico dell’ultimo zar di Russia, ha pubblicato ”A; tempo degli zar” Ed. S.E.I. Torino.

 

            Brunetti: dal tedesco antico brun (nero di capelli). Da brun è derivato Bruno, Brunetto, Brunini, Brunone, Brunetti.

 

            Borsella: dal greco boursa e dal latino bursula, bursilla e borsella.

 

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Boursa in greco indica sacchetto di pelle cava per tenere danaro. Cognome di gente facoltosa. Altra ipotesi è la probabile derivazione da Wurtzell. Ciolfì: forse dallo slavo-bulgaro Tcholv italianizzato in Ciolfi.

 

            Carmosino: dallo slavo-bulgaro Karmosin, italianizzato in Carmosino. Molti nomi slavi terminano con la desinenza ”in”: Bucarin, Rasputin ed altri. Cognome di origine slava certamente, data la presenza bulgara in Castropignano dopo il VI secolo.

 

            Cirese: è forse di origine latina, da cereus, trasformatosi in cereso e cirese. Indica gente dal colorito bruno cereo (colore della cera delle api). Antica e nobile famiglia di Fossalto, trasferitasi a Castropignano verso fine ottocento.

 

            Colagiovanni: di origine medioevale. Da Cola o Nicola di Giovanni poi abbreviato in Colagiovanni.

 

            Cirone: di origine slava. Cern o cerene, equivale a nero o bruno.

 

            Colitti: di origine medioevale, derivato da Nicola o Cola. Da un Cola capostipite, i diminutivi di Coletti, Colitti, Colucci, Colini, Colacci.

 

            Colozza: di sicura origine slavo-bulgara. Deriva da Kolocka (Nicolina).

 

            Coppola: di origine medioevale (o più antica), derivato dall’omonimo berretto di lana usato dai pescatori napoletani.

 

            Conte: di origine medioevale, per indicare persona dai modi gentili. Comportamento da conte.

 

            Cianci: dal mongolo Cian Ci. La desinenza lo fa supporre. Tra i bulgari di Castropignano forse ci fuorno anche mongoli. Può derivare anche da ciancia (burla) e quindi gente scherzosa.

 

            Carovillano: nome etnico, cittadino di Carovilli - cognome di origine medioevale.

 

            Cameli: dal latino camelus o dal greco camilos (cammello).

 

            Camposarcone: deriva forse dal Campus Erculanus, in riferimento a città sannitica distrutta dai romani nei pressi di Campobasso. In Ripamolisano sono i Camposarcuno (funai). Può darsi che i Camposarcuno di Ripamolisano si trasferirono - alcuni - a Castropignano ed il cognome di Camposarcuno diventò Camposarcone. Nell’agro di Campobasso esiste la contrada Camposarcone.

 

            Caperchione: dal greco capros (cinghiai) e hion o kiion (bianco). Cinghiale, per indicare gente forte ed arcigna.

 

            Chiocchio: forse di origine slavo-mongolo, kio-kio.

 

            Di Bartolomeo: deriva da figlio di Bartolomeo, discendente di un capostipite Bartolomeo. Qui è bene fare una digressione.

 

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Durante il medioevo a causa di pestilenze ed incursioni di saraceni c barbari, molte famiglie rimanevano smembrate. Uomini e donne in salute venivano deportati, mentre vecchi e bambini rimanevano a casa. Gli scampati a tali devastazioni conoscevano il nome del padre o della madre dei bambini abbandonati, ma non il cognome. Per questo motivo i vecchi allora imponevano il nome ”di Maria”, ”di Francesco”, ”di Felice”, ”di Vincenzo” di Pasquale o de Pasquale ecc. In seguito questi appellativi diventarono cognomi: Di Felice, Di Vincenzo, Di Onofrio o D’Onofrio.

 

            De Palo: deriva dal latino "de Paolo” cittadino proveniente da Palo del colle (Bari).

 

            D’Aversa: Dal latino ”de Aversa”. Cognome etnico. Cittadino di Aversa o proveniente da Aversa, come De Capua, De Eboli, Del Vasto ed altri.

 

            D’Evoli: dal latino "De Ebulo”. Cognome etnico derivato da Ebulum poi diventato Eboli, antichissima cittadina in provincia di Salerno. Spesso la b latina si è trasformata in v, come taberna (latino) si è trasformata nell’italiano taverna, ed Ebolum in Evolum ed Evoli. E da notare che nei tempi passati spesso ricorrevano epidemie come peste e colera che distruggevano rioni, contrade e villaggi. Spesso di una famiglia rimaneva in vita un solo bambino. Allora a questo ragazzo che non conosceva il cognome dei genitori se ne dava un altro completamente inventato e dei più vari o particolari come anche quello del luogo di nascita. D’Evoli è il cognome della famiglia ducale di Castropignano.

 

            Evangelista: cognome di diffusori del Vangelo? Oppure cognome devozionale riferito a S. Giovanni.

 

            Festa: di origine latina derivato da festum (giorno ferivo). Indica gente allegra, festosa.

 

            Folchi: deriva dal latino folchus (ragno). La storia ci parla anche di un Folco trovatore provenziale. Folco di Marsiglia si fece frate nei 1195 e morì vescovo di Tolosa, Dante (par. IX-94).

 

            Fraraccio: derivato da fratres (frati). I frati, nel dialetto veneziano, si dicono frari. Da frari o frare derivarono Frarini, Fraroni Fraraccio ed altri.

 

            Fazioli: di origine latina derivato probabilmente da factiosus. indica persona turbolenta, ribelle e prepotente.

 

            Gallo: dal latino gallus (francese) oppure gallo (animale).

 

            Greco: dal latino graecus (abitante della Grecia). Può riferirsi a schiavi, liberti o liberi artisti venuti nel Sannio come coloni.

 

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Può darsi che si tratti di famiglia di pastori venuti dagli estremi confini della Magna Grecia e fermatisi a Castropignano. Ultima ipotesi è che si tratti di famiglia slava di cognome Grecko poi italianizzato in Greco. Grecko fu Capo di Stato Maggiore dell’esecito russo nel 1960.

 

            Grandilli: dal latino grandiculus (grandicello) trasformato in grandiculi e Grandilli.

 

            Giargaro: dal tedesco Karg (furbo) o da Karg Karg (due volte furbo). Oppure gargaro, per indicare voce dal profondo della gola? Gargaro in dialetto molisano indica pastore.

 

            Iaciofano: dal greco Gea faeino (Gea splendente) Nome devozionale della Dea Terra?

 

            Iocca: di origine slava (magiara?). Tyuk significa gallina. Il cognome forse vuol indicare gente prolifica come la dialettale fiocca” (chioccia). Tyuk diventò Iocca (italiano).

 

            Luciani: dal latino Lucius. Luciani, fautori di Lucius. Lucius capostipite.

 

            Lombardi: dal tedesco lang bart (lunga barba). I longobardi erano così chiamati, come si sa, perchè avevano la barba lunga. Quindi, cognome longobardo o abitante della Lombardia.

 

            Latino: da latinus, abitante, cittadino del Lazio.

 

            Longano: dal latino longaminis (placido, indulgente, paziente, buono).

 

            La Fratta: cognome di origine medioevale, derivato dal Rione La Fratta. Una volta si diceva "Peppino la croce” o ”Zi Giusèppe la croce”, invece di Giuseppe Macoretta, per indicare quel tale Peppino o Giuseppe che aveva la casa proprio vicino ”La Croce” (Rione di Castropignano dove esiste croce di pietra”).

 

            La Guardia: famiglia estinta, abitante vicino al "Cantone La Guardia”, maestosa punta di roccia al centro dell’abitato di Castropignano. Forse il più illustre sindaco italiano di New York, Fiorello La Guardia, era discendente di una famiglia emigrata da Castropignano. Si sa di certo che il padre di Fiorello era un italiano emigrato nell’America del Nord dall’Italia meridionale. Fiorello La Guardia fu Sindaco di New York dal 1920 al 1934. Nacque a Greenvich Village di Manhattan 1’ 11 Dicembre 1882 e morì a New York il 20 settembre 1934. (Un italiano a New York "Selezione” di settembre 1983). Come, già detto, in Castropignano abbiamo il "Cantone La Guardia” che prende nome certamente dal cognome La Guardia.

 

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È da notare che in Castropignano abbiamo il "Cantone Petrillo" il "Cantone Giorgione” il "Cantone Barbaruscio" tutte maestose punte di roccia riferite a nomi di persone come il detto "Cantone La Guardia".

 

            Mattiacci: cognome di origine slavo-croata: Mattiach.

 

            Meffe: di origine slava: miev?

 

            Molinaro: dal latino molinarius (operaio del mulino). Può essere anche di origine slavo magiara: molnar (operaio del mulino).

 

            Mengia: al tedesco mensch (uomo).

 

            Mascione: dal francese maçon (muratore).

 

            Macoretta: dal greco macaritos (felice, beato).

 

            Maddalena: dal latino gens magdalena. Forse famiglia proveniente da Magdala, località della Palestina presso il lago Tiberiade. La famiglia può essere anche di origine ebraico-palestinese, portata schiava a Roma. Dall’Urbe discendenti di essa furono portati o arrivarono nel Sannio come schiavi, liberti, o coloni. Maddalena sono a Circello (Benevento), Campobasso e numerosi a Castropignano. Molti Maddalena sono emigrati negli Stati Uniti. Nome illustre dei Maddalena è Umberto Maddalena, ardimentoso Ufficiale Pilota che salvò dalla Tenda Rossa il Generale Umberto Nobile e compagni. Maddalena può darsi che sia derivato anche dall’isola della Maddalena (isola a nord della Sardegna) .

 

            Marrone: dal longobardo marrah (cavallo). Sta ad indicare forse gente forte come...il cavallo, o dal colore marrone dei capelli o del viso. Mascitelli: Masci è cognome abruzzese (della provincia de "L’Aquila"). Forse famiglia di pastori abruzzesi fermatasi in Castropignano. Soprannominati Mascitelli (diminutivo) per la loro piccola statura.

 

            Melideo: dal greco melos (musica e teos) Musica di dio, forse riferito alla voce e al carattere buono della persona.

 

            Messere: dal francese mon sire e poi messere.

 

            Novelli: dal latino novellus (nuovo, giovane). In dialetto si dice novielle e nevellino per indicare pianta giovane e robusta.

 

            Ortensio: di origine latina, derivato da hortensis (ortolano).

 

            Panunto: Originato da nomignolo.

 

            Palma: di origine latina. Si riferisce alla "palma” del martirio o della vittoria. Palma era anche il simbolo del martirio dei primi cristiani. Il cognome fu forse attribuito agente forte e devota. Pellegrino che ritornava dalla terra santa e per ricordo portava un ramo di palma.

 

            Palmerino: era il pellegrino che portava con sé un ramo di palma ritornando dalla Terra Santa. Può essere anche cognome di origine slava: Palmerin, italianizzato in Palmerino.

 

 

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            Passero: dal latino passer (passero).

 

            Presutti - dal latino praesutus (coperto, chiuso, avvolto).

 

            Pignotta: etimo incerto. Forse gente piccola e forte come il frutto del pino: Pigna, Pignotta.

 

            Pizzacalla: originata da nomignolo.

 

            Petti: dal latino pedites (soldati, guerrieri). Col tempo pedites si trasformò in petti. In Atene c’è una famiglia (negozio) Pettas.

 

            Paolone: derivante da una capostipite Paolo molto grande e robusto: Paolone.

 

            Priano: Priamo trasformato in Priano.

 

            Palmieri: stessa origine di Palmerino.

 

            Porfirio: dal greco porfireos (pietra). Gente di carattere duro, severo.

 

            Piccinocchi: Nei registri parrocchiali Picinocca.

 

            Ruta : dal latino Ruta, Rutae. Ortaggio piccante. Può darsi che sia anche cognome di origine slava e cioè accorciativo di Ruteni. Insieme ai Bulgari nel VII secolo vennero anche famiglie di origine tedesca e famiglie della Rutenia.

 

            Saltarelli: va riferito forse al saltarello, ballo caratteristico meridionale. Modo di camminare?

 

            Sardella: può derivare dal latino sardae (sarda), sardula e Sardella. Santo: cognome etnico derivato da Sarno, città della Campania. Sarno, come i cognomi Napoli, Gaeta, ed altri.

 

            Sepede: dal latino sex pedes (sei piedi). Indica gente attiva, veloce?

 

            Sergnese: dal latino Aeserniensis (iserniese, cittadino di Isernia).

 

            Sciarra: di origine slava. Sciarra sono a Roma ed Isernia. Un certo Godlidze fu capo della Segreteria di Beria e Sciaria fu diretto consigliere di Godlidze (epoca staliniana). Sciarra, nella lingua italiana, significa lite.

 

            Scapillati: Etimo incerto. Si propende a credere cognome derivato dal latino sica o sicarius Pilati (guardie di Pilato). Sicari Pilati accorciato in Sica Pilati e Scapillati. Scapillati, forse senza capelli?

 

            Santarella: santarella per dire piccola santa, gente devota.

 

            Stefanelli: antenato di nome Stefano e quindi Stefanucci, Stefanelli, Stefani ed altri.

 

            Venditti: dal latino vendicta (vendetta). Gente vendicativa?

 

            Tullo: dal latino Tullius? Dal francese tulle? Tulle è stoffa di seta finissima. Forse indica gente molto fine, educatissima?

 

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84. CONCLUSIONE SUI COGNOMI

 

Molte famiglie nel corso dei secoli si sono estinte, altre si sono trasferite in diverse parti d’Italia ed altre ancora sono emigrate in Canada, Stati Uniti, Argentina e Brasile. A proposito di nomignoli e soprannomi, che sono stati riportati a soli fini documentativi per la completezza della presente ricerca, ”absit inniuria verbis” (E lontana qualsiasi intenzione di offendere con le parole). Come si sa nomignoli hanno fatto folklore e storia. Ricordiamo il celebre Pipino il breve, così detto perchè piccolo di statura, ”il nibelungo travestito da Charlot” a proposito di Hitler, "il nanetto col berretto fregiato da capostazione” a proposito di re Vittorio Emanuele III. Così soprannominò D’Annunzio certi personaggi. E risaputo che durante le molteplici invasioni barbariche subite dall’Italia dal V al X secolo molti cognomi finirono. In tali circostanze bambini rimasti orfani ed in tenera età, protetti o accolti da famiglie pietose e cristiane, presero nuovi cognomi o soprannomi derivati da fatti e cose, le più strane. Si ebbero così cognomi di piante, di animali, di qualità fisiche od altro.

 

 

85. "LE BOTTE” (PERCOSSE, RISSE) DI S. GIACOMO

 

Annualmente, da tempo immemorabile, il 25 luglio di ogni anno si celebra la festa di S. Giacomo Apostolo nella cappella sul trattura Lucerà-Castel di Sangro, sulla riva sinistra del Biferno. In epoca fascista alla festa si aggiunse anche una fiera di merci e bestiame! La stessa però ebbe poco successo, nonostante fossero messi in palio premi per i migliori capi di bestiame. Alla festa si andava anche per una scampagnata ed un fresco bagno nel Biferno. Gli agricoltori vi si recavano numerosi per una giornata di riposo dopo i lavori della mietitura e trebbiatura. Siccome nell’agro di vino se ne produceva in abbondanza e le caratteristiche "fiasche” si vuotavano con molta facilità, la preziosa bevanda dava facilmente alla testa... Per questo motivo alla minima sciocchezza si accendevano furibonde liti, seguite da vere e proprie batoste. Così a poco a poco invalse l’uso che ogni anno qualcuno (come per penitenza e devozione!...) doveva ritornare in paese con testa fasciata ed occhi gonfi!...

 

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86. ARTI E TRADIZIONI POPOLARI

 

Visto che tante belle tradizoni popolari vanno scomparendo sarebbe molto interessante costituire in Castropignano un museo delirarti e tradizioni popolari, come è stato fatto in molti comuni dell’Emilia Romagna e del vicino Abruzzo. Esso potrebbe trovare posto nel castello D’Evoli, opportunamente restaurato. Vi si potrebbero conservare oggetti agricoli, casalinghi e capi di vestiario scomparsi o sul punto di scomparire. Una simile istituzione sarebbe, come lo è per le regioni sopradette, di grande attrazione culturale e turistica.

 

 

87. LA "SORTE” (SORTEGGIO, LOTTERIA)

 

Usanza ormai scomparsa è ”la sorte”. Con essa venivano messi in palio diversi manufatti di rame quali ”tine”, caldai, mestoli, schiumamele, secchi ed altro. Il tutto veniva appeso ad una stecca di legno che aveva in alto altre tre stecche chiodate a forma di triangolo equilatero. Questo arnese, con gli oggetti sopradetti, veniva appoggiato alla parete- interna della "chiesa madre”. Con il ricavato della vendita dei biglietti di questa originale lotteria ("sorte”) si sopperiva in parte alle spese sostenute per alcune festività religiose (Festa del Santo Patrono, della Madonna del Carmine e della Madonna del Rosario). Il sorteggio avveniva sul sagrato della chiesa nelle ore pomeridiane della festa. A volte si sorteggiava anche un agnello adornato con nastro multicolore.

 

 

88. IL MERCATO DEI SUINI

 

Ogni anno, forse fino al 1925, l’8 e il 13 Dicembre si teneva sulla piazzetta antistante la chiesa madre il mercato dei maiali. In epoca fascista detto mercato fu spostato in Via Biferno (a Valle di Piazza S. Antonio) per motivi religiosi e d’igiene. Il mercato durava dalle nove alle dodici e le vendite si facevano a compaesani e macellai di Campobasso.

 

 

89. L’ULIVO BENEDETTO

 

Una pia devozione è ancora in uso nelle campagne. Rametti di olivo benedetto nella domenica delle Palme e nella festa di S. Pietro Martire da Verona vengono legati a rami o tronchi di alberi da frutta per invocare dal Signore raccolto abbondante e protezione da calamità naturali.

 

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Nei campi di grano, prati, vigne ed orti viene posta una piccola croce di canna in cima alla quale vengono infilati piccoli rami dell’ulivo benedetto. Nella Domenica delle Palme una processione parte dalla Chiesa Madre e si reca alla "Croce”. Alla croce di pietra, che sovrasta una semplice colonna su dorso di leone, si lega un ramo di olivo benedetto.

 

 

90. “LA CROCE”

 

Al termine di Via Umberto 1°, su colonna di pietra locale, esiste una croce sulla quale è scolpito Gesù crocifisso e la data del 1636. Il tutto è adagiato su dorso di un rudimentale acquattato leone. Si racconta che qualche secolo addietro il piccolo monumento fu spostato dal centro del quadrivio e ricostruito dove si trova attualmente. Dalla croce prende nome la relativa "Piazzetta la croce” o "La croce”. Alcuni cittadini di Castropignano presero il nomignolo di "La Croce” (Giovanni, Giuseppe, Michele "La Croce" perchè abitanti nelle vicinanze).

 

 

91. SPELEOLOGIA

 

Una spelonca di notevole profondità (mai visitata e studiata) esisteva (verso nord) ai piedi del Cantone La Guardia e precisamente a sinistra della casa di abitazione di Ciolfi Beniamino. Durante la seconda guerra mondiale servì anche da rifugio antiaereo pur essendo semiocclusa da immondizie. Riportiamo questa notizia per eventuali appassionati di speleologia.

 

 

92. TAVOLA PEUTINGERIANA

 

La Tavola Peutingeriana fu scoperta nel 1507 dal Viennese Celtes e fu pubblicata dall’umanista Peutinger. Detta tavola è la carta stradale deH’Impero Romano del IV secolo d.C. E composta di 12 parti e comprende tutte le strade dalla Britannia (Inghilterra) alla foce del Gange (India).

 

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In essa sono indicate tortezze, terme, templi e località dove tacevano tappa esercito e veicoli per trasporto di merci e persone. La Tavola Peutingeriana nei dettagli non è precisa come una carta geografica attuale, ma le località principali sono esattamente riportate. Questo capitolo interessa direttamente Castropignano, perchè nel nostro agro esiste la località AD CANALES (contrada Canala, fonte o sorgente della Canala, con ruderi della "meravigliosa fonte della canala, lavoro delle legioni romane”). Detta località è riportata erroneamente a destra anziché a sinistra del Biferno. Inoltre, a sud est della sorgente, degni di nota sono ruderi di epoca romana su fondo di proprietà Santarella Nicola (a confine con fondo di eredi Marinelli Michele).

 

 

93. REPERTI ARCHEOLOGICI DELL’AGRO DI CASTROPIGNANO

 

Tombe di soldati Sanniti e Romani, fatte in modo sia pure rudimentale sono andate distrutte col volgere dei secoli dal bidente e piccone del contadino molisano. Tuttavia qualcosa di sorprendente ogni tanto affiora da questa inesplorata terra del Sannio. Con le perlustrazioni che saranno fatte per via aerea, il Molise potrebbe dare all’archeologia e storia del passato un contributo veramente notevole e insospettato. La nostra terra archeologicamente fu quasi cancellata dalla carta geografica per mano del console romano Siila. Uno storico romano scrisse queste tremende parole "invano troveresti nel Sannio lo stesso Sannio” (Eutropio). Tutto fu dunque distrutto e incendiato ma le fondazioni di ville, città ed edifici pubblici certamente lasciarono tracce di sè e sono ancora da scavare. Per questo nell’agro del nostro comune si è spesso verificato il caso di rinvenimenti archeologici di notevole interesse. Nell’ottobre 1962 fu rinvenuta una moneta del tempo dell’Imperatore Claudio (41-54 D.C.) fuori "La Porta” di Castropignano. Detta moneta venuta alla luce mentre si procedeva allo scavo per le fognature, raffigurava la testa dell’imperatore da una parte e dall’altra una donna con la scritta "Libertas augusta s.c.”. Il Prof. Giuseppe Giacosa (Piazza delle Repubblica 21 Milano) esperto di numismatica, interpellato sul valore archeologico della moneta, rispose che la stessa era rarissima e di grande valore storico. Aggiunse che era un sesterzio. Nel 1952 a contrada Colle Pignatelli, nelle immediate vicinanze della Masseria di Luciani Rosario e Mascitelli Pietro, furono scoperti ruderi di una costruzione di epoca sannita o romana.

 

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TORRE DELL’OROLOGIO - TORRE CAMPANARIA SCORCIO DELLA CHIESA DI S. NICOLA

 

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Qualche anno dopo, su fondo di Mette Francesco, mentre lo stesso procedeva all’impianto di un vigneto, furono rinvenuti due scheletri con accanto due punte di lancia di ferro lunghe circa trenta centimetri. Nell’avambraccio di uno scheletro si trovò un bracciale, a forma di spirale, di ottone.

 

Nel 1965 un gruppo di studenti scoprì una tomba a schiena d’asino con dentro uno scheletro e una coppa smaltata di nero. La stessa tu consegnata al Geom. La Fratta della Soprintendenza alle antichità di Chieti. La scoperta avvenne all’incrocio delle mulattiere Canala, Cananella, Collctrone Vallo (Ualle). Una lapide con fascio littorio di epoca romana è murata sulla facciata della chiesa di S. Lucia. Nel 1770 nell’agro di Roccaspromonte fu rinvenuta una statua di Minerva, attualmente conservata nel Museo storico artistico di Vienna. Ad est della casa rurale di Macoretta Angelo, a contrada Cananella, esiste una fondazione a pianta quadrata dello spessore di circa un metro (lato metri 10 circa).

 

 

94. ZONE D’INTERESSE ARCHEOLOGICO DI CASTROPIGNANO

 

Castropignano potrà diventare centro di notevole interesse archeologico e turistico se saranno effettuati nell’abitato e nei diversi punti dell’agro sondaggi di natura archeologica. Le zone da perlustrare con risultati certamente positivi sono le seguenti:

 

1 - Ruderi di epoca sannitica o romana su fondo degli eredi di Luciani Rosario e Mascitelli Pietro a Colle Pignatello.

 

2 - Scavi alla contrada Canala sul confine dei fondi di locca Antonio e Marinelli Michele per riportare alla luce resti dell’edificio adibito a stazione di riposo delle legioni romane

 

3 - Scavi alla contrada Selva. Su fondo di proprietà Meffe Rosario esiste un vano di m. 4x2 con muro (cocciopesto) dello spessore di circa un metro.

 

4 - Scavi o sondaggi andrebbero eseguiti a sinistra delle Chiesa del S.S. Salvatore al di sotto dell’orto di Proprietà Piccinocchi. Probabilmente verrebbero alla luce il tribunale di epoca romana. Il vicino rione è chiamato in dialetto "Trevuna” storpiativo dialettale del vocabolo latino tribunal

 

5 - Sondaggi sarebbero necessari per riportare alla luce resti della "meravigliosa fonte della canala lavoro delle legioni romane”. Detta costruzione rovinò a causa di una frana nel 1456. Un rudere di detta fonte è semidistrutto per le opere di raccolta della sorgente.

 

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6 - Su fondo di Petti Giovanni in agro di Roccaspromonte, fu rinvenuto nel 1966 frammento di pavimento di epoca romana (opus spi- natum)

 

7 - Particolare cura dovrebbe essere rivolta al restauro del Castello di Castropignano sorto su ruderi di fortezza sannita.

 

 

95. OPERE CHE PARLANO DEL SANNIO PENTRO, CHE COMPRENDEVA ANCHE CASTROPIGNANO

 

Memorie Historiche del Sannio di Giovanni Vincenzo Ciarlanti. L’antico Sannio e l’attuale provincia di Molise di Alfonso Perrella. Descrizione del Contado di Molise - G.M. Galanti. Dette opere sono edite dalla casa Editrice Forni di Bologna.

 

 

96. GIORNALI DELLA BIBLIOTECA PROVINCIALE DI CAMPOBASSO CHE PARLANO DEL MOLISE E A VOLTE DI CASTROPIGNANO

 

Il Sannita (1848), Il Sannita Unitario (1865), La voce del Sannio (1867), La palestra del Sannio (1870), IL Fremano (1872), Isernia (1878)), Il Biferno (1878), Il pensiero sannita (1881), Il pensiero del Sannio (1882), La provincia di Molise (1882), Unione (1886), Vita nuova (1889), Venafro (1889), Istrice (1890), Il Molise (1893), Il battagliero (1893), L’Eco del Sannio (1893), La riscossa (1900), 11 Sannio Moderno (1900).

 

 

97. IL DODDARIO

 

Il ‘doddario” è una parola dialettale che equivale ad "elenco di capi della dote”. Era l’elenco con relativa stima della dote della sposa. Comprendeva i seguenti capi di vestiario: lenzuola da 10 a 40; materasso con 40-50 chili di lana; cuscini con 4-10 chili di lana; asciugamani da 10 a 40; tovaglie e tovaglioli da 10 a 12. Coperta di lana semplice; coperta imbottita di lana; sovracoperta di lana; sovracoperta di lino; sovracoperta di seta; sovracoperta di merletto; sottovesti da 10 a 20; biancheria intima da 10 a 20 capi; calze di lino e di lana da 10 a 20 paia;

 

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"mappine” (piccole tovaglie) da 10 a 20; panno di lana; scarpe due paia da lavoro e due per i giorni festivi.

 

Della dote faceva parte immancabilmente la conca di rame per portare acqua (la caratteristica "tina” in uso nel Lazio, Abruzzo e Molise) con relativo mestolo ("maniero”), due o tre caldai di diversa grandezza, schiumaruola e pentole diverse. Fino agl’inizi del 1800 il vestiario veniva custodito in una lunga e profonda cassa ("cascia”) di quercia o noce unitamente a mazzetti di spigo("spiganarda").

 

Questa era la dote della sposa contadina (o artigiana) più o meno agiata.

 

Per la sposa appartenente a famiglie di "galantuomini" la dote aveva ben altra consistenza e qualità. E necessario ricordare che con la parola "galantuomini”, nel dialetto di Castropignano e di molti altri comuni del Molise, si indicavano professionisti che nella generalità dei casi erano anche proprietari terrieri. Il nome di questi era preceduto dall’appellativo "don”.

 

 

98. RE CUNSUOLE (LA CONSOLAZIONE)

 

Re cunsuole nel dialetto castropignanese indica nello stesso tempo conforto e cena, insieme a persone amiche o parenti colpiti da recente lutto. "Cunsuole” tradotto in italiano vuol dire conforto, sollievo, consolazione. Re cunsuole consisteva (e tuttora consiste) nell’usanza di portare cibi cotti e bevande a tutti i familiari di persona di recente deceduta. Dopo la celebrazione dei funerali e relativo trasporto della salma al cimitero, parenti, amici e compari, un giorno per ciascuno, portano da mangiare ai congiunti del defunto o defunta. Verso l’ora della cena o del pranzo due o tre donne con canestri di vimini e di faggio ("minucci” di Roccamandolfì) pieni di stoviglie e pietanze calde, seguite da coloro che hanno preparato "re cunsuole”, si recano nella casa dei congiunti del deceduto e pranzano tutti insieme. Consumato il pasto, durante il quale il defunto viene più volte ricordato, ci si congeda rinnovando le condoglianze. L’usanza de "re cunsuole” va man mano scomparendo. Esso ricorda certamente il banchetto funebre in uso tra romani greci e sanniti.

 

 

RE FUORCHÉ DE SANT’ANTONIE (IL PORCO DI S. ANTONIO)

 

Una usanza abbastanza particolare, di cui non si conosce l’origine, era quella di allevare un maiale per devozione a S. Antonio di Padova.

 

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Questa tradizione è andata in disuso nel 1925/30. Il fatto si svolgeva nel seguente modo: per far fronte alle spese della festa del santo, un devoto comprava un maialetto e lo lasciava in libertà per il paese. Quotidianamente tutti davano da mangiare qualche cosa alla bestiola. Qualcuno provvedeva al suo ricovero notturno. L’animale veniva accarezzato e chiamato col nome di Antonio se maschio, con quello di Antonietta se femmina! A fine anno il maiale veniva venduto e col ricavato si pagavano in parte le spese per la festa del Santo.

 

 

99. SALUTI E FRASI AUGURALI

 

”A la salute” è una frase augurale che amici e parenti si scambiano brindando. "Prosit” (in dialeto prost) è verbo latino che significa ti giovi, ti faccia bene, ti dia salute la bevanda o il cibo che sto bevendo o mangiando e che ti offro. Alla gente dei campi che sta pranzando seduta o sdraiata per terra si dice: "Prost belle gge!” (Prosit bella gente - quello che state mangiando vi faccia bene); gli interpellati rispondono: “Faverisce che nnu” (favorisci con noi - vieni a mangiare con noi). Il passante deve solo rispondere "grazie” e mai accettare l’invito. "Sante Martine!" è la frase che si rivolge a chi sta mietendo, trabbiando, vendemmiando, travasando vino, impastando pane o raccogliendo frutta in genere. A questa frase si risponde "bemmenute” (ben venuto - il raccolto è risultato buono). A chi sta lavorando sui campi di dice ”Alegre! Alegre!”, saluto d’incoraggiamento che vuol dire: "Stai allegro, felice, non ti affliggere per il lavoro che stai svolgendo. A questa frase gentile il lavoratore (o i lavoratori) risponde "grazie!” - "Dia te benedica!" è un saluto - invocazione che si rivolge ai bambini nella culla o grandicelli, alla sposa, ai fidanzati ed altri. "Crisce! Crisce sante!" (cresci! cresci santo) è frase augurale che si rivolge a bambini e giovinetti in caso di starnuto. "Salute" è l’augurio rivolto agli adulti in caso di starnuto. "Bommespre!” (Buon vespro) era saluto che ci si scambiava verso rimbrunire. "Dia r’arrequia” (Dio l’accolga bene, gli dia pace) parlando di persona defunta. "La bbonalma” (la buona anima) viene comunemente riferito a defunto di cui si sta parlando ...anche se questi in vita fu un poco di buono.! - "Nnome de Dia” (In nome di Dio) si pronunzia iniziando semina, costruzioni in genere, eseguendo piantagioni ed in tante altre occasioni.

 

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100. FRASI DI CHIAMATA

 

"Ma’!” viene rivolta alla mamma, ”Ta’!” al padre. Tata (papà) era in uso nella famiglie contadine ed artigiane "Tata” si usava per chiamare il nonno. "Mammarella” e "mammuccia”, "tata”, "tatuccio" e "tatone” erano diversi appellativi di nonna e nonno. Una volta si diceva "scioscia meia”, (dal latino soror mea) rivolgendosi a bambina o donna coetanea. "Zia seia” significa "nipote mia”. È frase diretta da zia a nipote o da vecchia a giovane. "Mamma meia!" (madre mia), "Figlia meia!" (figlia mia) "Madonna meia!” (Madonna mia) sono acclamazioni di terrore, sbigottimento o grande meraviglia. Per i bambini sino a due tre anni di età si usa "citro" o "Citra” (bambino o bambina). Giovani dai 10 ai 15 anni si chiamavano, "quatraro” e "quatrara”. Citro e citra sono ancora in uso mentre non si parla più di quatraro e quatrara. Mamma e papà tata e tatà sono evidentemente termini che traggono la loro origine dal primo spontaneo sillabare di bambini in tenera età.

 

 

101. INVOCAZIONI

 

"Santa Lucia” si esclama in vista di cose pericolose o straordinarie "Santa Barbara!" in occasione di tuoni, lampi e grandine. "Sante Demineche!” vedendo serpi. "Sante Matte!" vedendo qualcuno che si abbuffa o divora frettolosamente i pasti.

 

 

IMPRECAZIONI ED OFFESE

 

"Sci malditte! Sci maldetta” (Che tu sia maledetto, che tu sia maledetta) "Te pozzan’accide” (che ti possano uccidere) "Che sci ccise” (che tu sia ucciso) "Che te puozze cancarnà!" (Che tu possa essere colto dal cancro) "Te puozze schiattà” (che tu possa scoppiare) "Pedecchiuse" (Pidocchioso, sozzo, fannullone) "Muorte de fame" (miserabile, fannullone) "Spranzone” (fannullone, svogliato) "Vretta" (donna di malaffare). Tante altre frasi non si riferiscono. Diciamo con rammarico che è molto diffusa la bestemmia.

 

 

102. PUBBLICA ISTRUZIONE

 

I veri pionieri dell’istruzione in Castropignano, come altrove, furono preti e monaci. Un antesignano dell’istruzione, fu il Duca Vincenzo D’Evoli che istituì una scuola per la sua piccola corte.

 

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I maestri elementari iniziarono la loro carriera nel 1800. Questi in un primo tempo furono compensati dal Comune e in seguito dallo Stato. Nel 1800 si ebbero i primi laureati all’università di Napoli - medici e notai - appartenenti alle famiglie Borsella, Maddalena e Venditti. Dopo la prima guerra mondiale c’erano in Castropignano cinque insegnanti elementari tutti del posto. 1 maestri "suonavano sodo" - non solo in classe. Molto spesso ricorrevano a calci, bastonate, schiaffi e ceffoni...! Questi mezzi erano ordinariamente raccomandati dai genitori degli alunni. Ai primi del novecento c’erano in Castropignano un sacerdote, un avvocato-notaio, due farmacisti, quattro medici, di cui tre laureati di recente ed un geometra. Oggi (1987) abbiamo circa quaranta studenti delle scuole medie, periti, geometri, ragionieri, laureati e laureandi. Sono giovani provenienti da tutte le classi sociali. Una volta gli studi superiori erano privilegio e possibilità di signori e vigeva addirittura la mentalità che chi era figlio di contadino, artigiano od operaio doveva continuare ad esercitare il mestiere del padre. Per le loro benemerenze educative, particolare menzione meritano Don Nicola De Falco, arciprete di Castropignano in epoca fascista e Don Oliviero Fiocca, nipote del De Falco. Coltissimo, poeta satirico fu il primo, insigne oratore e commentatore del Vangelo fu il secondo. Furono, questi, valenti insegnanti di una piccola schiera di professionisti attuali. Particolare ricordo merita inoltre Don Eugenio Cirese, poeta del Molise, maestro di più generazioni di Castropignano. Con lui è da ricordare il fratello Rocco, colonnello dell’esercito e provetto insegnante di matematica. Nel 1960 fu istituita la scuola media "Eugenio Cirese” e primo preside fu il compianto professore Nicola Savino. Recentemente è stata costruita la scuola elementare e l’asilo infantile; quest’ultimo sul fratturo in corrispondenza del millenario "Pozzacchio”. Nelle vecchie generazioni sopravvive ancora l’analfabetismo. Tra i giovani è poco diffusa la lettura ad eccezione di qualche giornale sportivo. Su circa 1300 abitanti, solo uno è abbonato ad un quotidiano. Nel 1928 c’erano in Castropignano solo cinque studenti.

 

 

103. ACQUA “SANNITA”

SORGENTE DI ACQUA MINERALE DI CASTROPIGNANO

 

Fo stabilimento tipografico Cav. Guido Colitti e figlio di Campobasso pubblicò nel 1911 un opuscolo col titolo "Acqua Sannita - Sorgente di Castropignano”.

 

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Da questo opuscolo sono tratte le seguenti righe:

 

"L’acqua Sannita, sorgente che s’apre in una ridente collina di Castropignano sul Biferno, nella Provincia di Campobasso, è una delle più notevoli del Mezzogiorno d’Italia per la particolarità della sua composizione chimica. Questo fatto di non poca importanza è oggi illustrato da una tradizione quasi secolare intorno agli effetti medicinali della "Sannita" sperimentati in un periodo più o meno leggendario. Il luogo suddetto è conosciuto col nome di contrada del Donno o Piana del Signore donde il nome di acqua del Donno all’attuale Sannita... antichità di origine codesta che è provata dall’esistenza di un acquedotto a circa m. 2,60 di profondità il quale, partendo dalla sorgente, si dirama attraverso l’area di protezione ed oltre. Acqua di prodigiosa radioattività”... ecc.

 

Prima di proseguire nella descrizione è opportuno fare alcune considerazioni di carattere archeologico ed etimologico della contrada. Sul luogo della sorgente esiste un pozzo molto profondo e una grande vasca. L’acqua della sorgente permane anche nei periodi di più accentuata siccità. Su tutto grava ormai un secolo di abbandono. Circa il nome della contrada non è errato supporre che si chiamasse “contrata domini” (latino volgare), cioè terreno appartenente al domi- nus latino, proprietario del fondo. Da dominus forse derivò l’accorciativo donno (latino volgare). Relativamente a Piana del Signore è da notare che la sorgente è sita in terreno pianeggiante e forse fu chiamata Piana del Signore per gli effetti salutari dell’acqua in parola "...effetti sperimentati in un periodo più o meno leggendario”. Dal punto di vista archeologico c’è da osservare l’importanza che ha la frase "antichità provata dall’esistenza di un acquedotto a circa m. 2,60 di profondità il quale, partendo dalla sorgente, si dirama attraverso l’area di protezione ed oltre..."

 

Da queste parole si può dedurre che la sorgente, prima di essere sistemata, aveva forse allo scoperto ruderi di epoca sannita o romana. Opportuni scavi, o semplice risistemazione della diruta costruzione, potrebbero portare alla luce resti di notevole interesse. Ciò premesso veniamo alla storia recente della Sannita. Nei numeri 3 e 4 del 1° e 15 luglio 1910 del quindicinale ”11 Sannio operoso” edito a Benevento dal Direttore e proprietario avv. Luigi Riccardi si legge quanto segue: "La Sannita” sorge nell’agro di Castropignano, che è provincia di Campobasso a circa 20 km da questa città, ad oltre 600 metri dal livello del mare, presso la sinistra del Biferno. Il prof. Giuseppe Laface, dell’università di Roma, avendo scrupolosamente esaminato le sorgenti della "Sannita", ne dà la seguente composizione chimica per litro:

 

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Carbonato di calcio 0,2078

Carbonato di magnesio 0,3948

Carbonato di litio 0,0100

Carbonato di ferro 0,120

Solfato di magnesio 0,6000

Solfato di calcio 0,1857

Solfato di sodio 1,4589

Solfato di potassio 1,3000

Silice 0,4000

Anidride carbonica tracce Residuo totale (100) 4,3092

 

Roma - settembre 1909 Prof. Giuseppe La Face - chimico.

 

L’illustre dottore Giulio Faelli del Laboratorio di Batteriologia del Municipio di Roma con attestato del 18 Maggio ultimo, ha dichiarato di .averla trovata batteriologicamente pura. La "Sannita” è un’acqua salino-carbonato-calcio-magnesiaca che per la ricchezza del suo contenuto e la natura dei componenti naturali va senza dubbio classificata tra le migliori e più cospicue acque minerali d’Italia, a parte la presenza o meno degli elementi chimici cosiddetti rari, che per la loro quantità estremamente piccola, non modificano essenzialmente le proprietà terapeutiche di un’acqua. La "sannita” ha una composizione costante, come immutabili ne sono le proprietà fisiche ed organolettiche. La Sannita dell’antica e rinomata sorgente di Castropignano è tra le moderne acque minerali assai pregevole soprattutto per la non eccessiva quantità degli elementi mineralizzatori ed anche per la loro quantità e maniera di aggruppamento molecolare in cui sembra riposta la indiscutibile medicamentosa igienicità di qualsivoglia acqua naturale. Dall’insieme di così eminenti proprietà non va neppure escluso il potere radioattivo, nella Sannita mediocremente accennato, senza molta intensità, la quale, del resto secondo alcuni non sarebbe innocua. La Sannita ha una tradizione sincera e vivissima appo le popolazioni del Sannio, tradizione che si comincia ad estendere in molte parti d’Italia e del mondo. La Sannita ha effetti salutari contro tutte le forme di alterato ricambio e le conseguenze che ne derivano, come altresì nella cura e guarigione del catarro gastrico, fermentazioni intestinali, gotta ecc.” A quanto innanzi si aggiunge che il cav. Enrico Tosi, originario di Mantova, iniziò la carriera di Magistrato nella Pretura di Castropignano, sposò una Maddalena, figlia di nobili professionisti del posto e qui si ritirò in pensione dopo aver raggiunto il grado di procuratore del re.

 

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Lo sfruttamento dell’acqua minerale "Sannita” fu intrapreso dal cav. Enrico Tosi con poche migliaia di bottiglie e con la distribuzione di opuscoli e volantini pubblicitari. Discrete furono le vendite. Dopo poco tempo però, l’interessante e proficua iniziativa fu stroncata per beghe con l’amministrazione comunale. Avvenne qualcosa di simile a ciò che sta avvenendo per lo sfruttamento della benefica acqua delle "tre fontane” di Sepino. Il fondo sul quale si trova la sorgente sopradetta fu venduto al defunto Paolone Gennaro ed appartiene attualmente al Sig. Paolone Nicola, emigrato in Argentina. Si è in attesa che qualche nostro lettore facoltoso riprenda l’iniziativa di valorizzare quest’acqua dalle qualità quasi miracolose.

 

 

104. EMIGRAZIONE

 

Appena compiuta l’unità d’Italia, cominciò la prima emigrazione- dei Castropignanesi. Primi paesi di emigrazione furono il Brasile e immediatamente dopo gli Stati Uniti. In un secondo tempo il flusso emigratorio prese la via del Canada e dell’Argentina. Dopo la seconda guerra mondiale l’emigrazione riprese in maniera molto accentuata per l’Argentina e il Canada. In quest’ultima nazione emigrarono famiglie- intere di contadini ed artigiani. Altri Castropignanesi cercarono lavoro nel Venezuela, Australia, Inghilterra, Belgio, Svizzera, Francia e Germania. In questo periodo in percentuale minima emigrarono anche giovani donne sole. Quali i motivi del fuggi fuggi? Sovrappopolazione, tasse e imposte elevate, prodotti della terra svalutati, bassa remunerazione dei braccianti agricoli e ricerca di più umane condizioni di vita. In paese mancavano acquedotto e fognature, l’automobile era un lusso, difficili le comunicazioni, l’agricoltura procedeva con strumenti primordiali e a studi superiori potevano accedere solo eredi di famiglie agiate. Per il castropignanese abituato al duro lavoro dei campi, alle più estenuanti fatiche, a secolari rinunzie, il lavoro all’estero protetto, umano, razionale e sollecitamente ricompensato rappresentò un gioco da ragazzi. Per questi motivi molti nostri emigrati fecero fortuna e s’inserirono, per le loro capacità di adattamento, molto bene nelle nazioni straniere. I "boss" dell’America fecero con questi rudi e tenaci lavoratori grande fortuna. Così tutto filò bene, e per lungo tempo, tra lavoratori e datori di lavoro.

 

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Per molti anni ed ancora oggi, per il gigantesco sviluppo industriale il lavoro degli Italiani e meridionali in genere ha riscosso ampi riconoscimenti. Anche oggi, in piena crisi economica, quasi tutti hanno un lavoro; tutti continuano ad avere la loro sicura "giobba”. Castropignano ha delle vere e proprie colonie nei famosi quartieri di Niagara Falls. Altre comunità sono nel Canada, a Welland, Toronto, Ottawa, Brantford, Thorold, St. Catharines ed altri centri. In Argentina i castropignanesi sono concentrati quasi tutti a Buenos Aires, nel quartiere di Villa Ballester. Negli anni precedenti la prima guerra mondiale i Castropignanesi partirono a torme per gli Stati Uniti e il Canada guidati sino a Napoli dal popolare ”Zi Felice Marino”, per imbarcarsi all’ ”Immacolatella vecchia”! Ragazzi e giovani dai quindici ai venti anni, dopo aver lavorato sodo (per raggranellare la somma per le spese di viaggio), s’imbarcarono per l’America rappresentata per loro semplicemente da New York. L’ultima visione dell’Italia che rimaneva nei loro occhi era rappresentata dalla propria casa, la famiglia, il paese natio, l’"Immacolatella vecchia” Napoli e il Vesuvio. Addio Italia! Questa era la loro Italia, perché a quei tempi raggiungere o conoscere Roma, Firenze, Torino, Milano Venezia ecc. era possibilità esclusiva di signori. Molti di coloro che andarono via prima del 1914 restarono definitivamente negli Stati Uniti, ma buona parte dei nostri giovani emigrati partirono col preciso scopo di risparmiare e comprare - al ritorno in Italia - terreni e fabbricati di alcuni "galantuomini” in serie difficoltà economiche. Questo stato di grave crisi si verificò perchè, affittuari, mezzadri e braccianti, erano quati tutti emigrati nell’America del nord. Buona parte di emigrati castropignanesi ritornarono in patria per realizzare un loro sogno secolare: quello di diventare "proprietari” di terreni e casa e non essere più una specie di servi. A quell’epoca l’economia si basava sul lavoro dei campi. Una rilevante emigrazione stagionale sopravvisse sino al 1900. Fu rappresentata dalla mietitura del grano nella Puglia, terra nella quale detto lavoro si faceva prima che sulle nostre colline. Molti contadini si assentavano da casa per tutto il mese di giugno ed al ritorno, mietevano il grano locale. Gli emigrati che fecero fortuna negli Stati Uniti furono i diversi Iocca, Palma, Maddalena, Luciani, Passero, Sardella, Paolone, Cameli e tanti altri che acquistarono terreni e fabbricati di La Porta, Colqzza, Borsella, ecc. Nel secondo dopo guerra molte famiglie emigrarono senza progettare l’eventualità di un ritorno. Intanto la traversata scese da quindici giorni ad una settimana. Ora i nostri emigrati tornano per turismo-nostalgia volando solo per poche ore!

 

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105. “LA CHEMPAGNIA” (COMPAGNIA, PELLEGRINAGGIO)

 

"Chempagnia” in dialetto castropignanese vuol dire pellegrinaggio. Sino al 1914 da Castropignano si organizzavano pellegrinaggi per Assisi (S. Francesco), Montesantangelo (S. Michele) e Bari (S. Nicola). Si premette che pellegrino deriva dal latino peregrinus, e significa viandante, viaggiatore, forestiero. Questi pellegrinaggi si facevano a piedi e ad essi partecipavano per il lungo e faticoso viaggio persone adulte e in buona salute. Il numero dei pellegrini era poco rilevante, trenta o quaranta al massimo, erano solo uomini e nei primi tempi anche armati per evitare spiacevoli incontri. Dopo la costruzione di strade rotabili e ferrovie, a detti pellegrinaggi parteciparono anche le donne. In epoca più recente a pellegrinaggi più brevi parteciparono anche ragazzi capaci di camminare per una intera giornata. Le donne portavano avvolti in un panno viveri per tutto il viaggio. Il fagotto era posto sulla testa sopra la "spara” (cercine). Gli uomini portavano viveri in tascapane o bisaccia. Lungo il percorso si facevano due fermate per desinare (ore nove colazione, ore 15 "merenda”). Poi si facevano altre piccole soste per mettere all’asta...la croce. Chi offriva la somma maggiore otteneva l’onore di portare un crocifisso di legno. Durante il cammino si recitavano preghiere c cantavano litanie. Per brevi tratti si raccontavano tra pellegrini anche fatti di famiglia. Ai ragazzi indisciplinati s’imponeva di portare per penitenza, e per un tratto di strada più o meno breve, una pietra di media grandezza. Con la somma ricavata dalle diverse aste per la croce si celebrava una messa di ringraziamento. La "chempagnia" era organizzata e diretta da persona anziana nota per devozione ed onestà. Il pellegrinaggio più numeroso era quello di Roccamandolfi (S. Liberato) ed aveva il seguente percorso: Castropignano, Casalciprano, Spinete, Cantalupo, Roccamandolfi, Santuario di Castelpetroso, Taverna di Castel petroso, S. Angelo in Grotte, Macchiagodena, Chiesa dell’Incoronata, S. Elena Sannita, Chiesa dell’Annunziata di Casalciprano, Castropignano. Si pernottava nella chiesa di Roccamandolfi e nella Taverna di Castel petroso. Il pellegrinaggio durava due giorni, il ritorno a casa avveniva in processione. Questa si fermava alla "Fonte a monte” c raggiungeva la Chiesa Madre dove si concludeva.

 

 

106. CASTROPIGNANO PRIMA DEL 1456

 

Nel 1930 fu fatto stampare dal Sig. Antonio Scapolati, presso l’industria di cartoline A. Ragazzi di Piacenza, un antico disegno di Castro pignano.

 

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Al di sotto di questo disegno c’era la seguente scritta: "Castropignano prima del gran terremoto della notte del 1456 che con nove giorni di susseguente diluvio causò il franamento delle rocce e dell’abitato e di 2000 anime rimasero 500! La meravigliosa fonte della Cariala lavoro delle legioni romane quasi scomparve. L’abitato di fonte nuova subì la stessa sorte e gli scampati guidati da giovani si accamparono presso le mura del convento di S. Giovanni in Caldo e vi fondarono la città. Da un grafico di fra Zagomo Iacovone maestro di novizi a Castropignano”. In questo disegno si vede un ponte sul Biterno in corrispondenza del fratturo, il "pozzacchio”, ormai coperto e distrutto con la costruzione della scuola materna, una grande costruzione al posto del Convento, un muro che circonda l’abitato, il calvario con tre croci; un altro muro circonda l’attuale casa Cirese e SS. Salvatore. E un disegno molto rudimentale ma assai indicativo. Il terremoto storicamente avvenne nella notte del 5 Dicembre 1456, all’ora decima di notte. Fece quarantamila vittime colpì tutto il Molise centrale, da Isernia a Trivento, da Boiano a Sepino, da Mirabello a Toro. Boiano fu sommersa da nuove sorgive ("Pietre Cadute?”). Notizie più diffuse a tale proposito possono leggersi a pag. 440 delle Memorie Historiche del Sannio di Giovanni Vincenzo Ciarlanti illustre storico di Isernia.

 

Quello che più interessa in questo disegno è la frase "meravigliosa fonte della canala, lavoro delle legioni romane, quasi scomparve". A proposito di questa frase c’è da osservare che la tavola Peutingeriana indica sulla strada che da Boiano menava a Gerione (in agro di Casaca- lenda) la statio ”ad canales” più o meno all’altezza di Castropignano. Un ultimo rudere (opera muraria con tubo di terracotta del diametro di cm. 15 circa) esiste a contrada "Canala”, immediatamente al di sopra della sorgente. Ad canales rimase realmente distrutta per frana dovuta ai nove giorni di "susseguente alluvione”. Infatti della ”Meravigliosa fonte" rimase intatta solo l’opera di presa della sorgente. In tale occasione l’acqua riprese a sgorgare più a valle, a causa della frana. A poca distanza dalla sorgente esistono ruderi su terreno degli eredi di Iocca Antonio. Un enorme mucchio di macerie frammisto a qualche frammento di orli di anfore esisteva sino a qualche anno fa nel terreno di un certo "Zolferino” (emigrato in Canada). Queste macerie furono poi prese ed utilizzate per una costruzione. Queste macerie erano il ricavato di una diruta costruzione romana (macerie di scarto). Le pietre di una certa grandezza furono utilizzate per la costruzione di un profondo pozzo esistente ed adiacente a detto mucchio.

 

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L’illustre storico molisano Alfonso Perrella notò i ruderi della Statio ad Canales (ruderi a contine dei fondi Iocca-Marinelli), ma non scoprì l’opera di presa della sorgente. A quell’epoca la stessa era coperta da rovi ed altre sterpaglie. L’aggettivo "meravigliosa” sta ad indicare che presso Ad Canales esisteva una fontana monumentale, eretta dai Romani dopo l’occupazione del Sannio; la lapide con fascio littorio, ora murata sulla facciata della chiesa di S. Lucia, forse fu recuperata proprio alla Canala (unica lapide tra le altre sommerse dalla trana o diversamente utilizzate). Da quanto sopra descritto si può dedurre che la strada consolare che da Boiano portava a Casacalenda, Gerione, Larino e Buca (Termoli?), passava per "ad Canales, rasentando Castropignano (Palombinum dei Sanniti e Cast rum Piniani dei Romani). Infine la scritta del disegno dice che gli scampati dal terremoto e susseguente diluvio di nove giorni si accamparono presso le mura di S. Giovanni in Galdo e vi fondarono la città. Dunque secondo la scritta del disegno di fra Zagomo lacovone, S. Giovanni in Galdo è di origine castropignanese, perchè fondata dagli scampati del terremoto del 1456. Tra le famiglie attuali di detto comune vi è il solo cognome Mancini, oggi molto Comune in Castropignano. Qualche antenato della famiglia Mancini di Castropignano si stabilì definitivamente in S. Giovanni, dopo il disastroso evento! Altre famiglie come Oriunno, Piccirilli, Fiorilli, Geremia, Fazio, Graziano, Cutrone, Del Vecchio ed altre non lasciarono discendenti in Castropignano o qui si estinsero nel corso dei secoli seguenti. E da notare inoltre che in S. Giovanni in Galdo esiste un antico convento ora abbandonato. Un secondo disegno dello stesso autore, di proprietà del prof. Enzo D’Alessandro di Torella del Sannio, porta la seguente scritta:

 

"Da sinistra Rocchetta, Pesco del Corvo, Vallone dei Gattilli, Grotta s. Michele, oratorio. Tomba di Wurzell seppellito a tre uomini di profondità nel 569 forse oggi croce di S. lucia, quercia degli spellecchioni, Castrum Pineani, console sannita oggi convento, trivecchia, chiesa s. Antuono, cantone della Guardia, Castello di Buliano Wurzell 1182 longobardo oggi torre dell’orologio, palazzo costruito da Giovanni D’Ebulo il normanno, che nel 1343 sposò Claritia di Vito Wurzell ed ebbe in dote il feudo di Castropignano, strada sotterranea del palazzo e delle tornelle, Valle frane Torre dei donzelli o Mazzamarielli, fonte della Canala a sinistra, Don Alessio bel bello a passeggio, vicino allo storico nobile Forconio, col suo cavallo per cravarcare quia nobiliter vivit, contessa Claritia che va a messa seguita dalle serventi, il conte col fedele claudicante Pedelegio e due bravi, Zampalunga con la vatica e tre muli, la Torre delle criate,

 

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il lago del gallo, Maria Rosa che attinge acqua a sinistra, Marterella con le sue pecore, Malpasso e strada per Boiano Molinetto del signore di Oratino, quercia dei pidocchi e fonte dei pezzenti, Torre della rocca, Scappaticelo il Cursore che va a Campobasso, Mulino della terra con gualchiera, Cartiera e torre delle Gabelle, ponte curvo, Taverna, Chiesa di S. Giacomo, Casino Vicenda e lago Don Ciccio e sagrestano alla pesca, Cantone pertuso, Don Filippo a caccia, Cantone della vedova, Ponte della fraglia, Mulino Cerreto, scoppalegge col suo cavallo”.

 

Questa scritta interessa soprattutto per spiegarci con ragione e con documento l’origine del nome Castropignano. In essa fra Iacovone parla di "Castrum Pineani console sannita oggi convento”. Per tradizione o da qualche precedente documento questo frate ebbe per le mani Castrum Pineani? Forse per tradizione si era tramandato il nome di questo sconosciuto console sannita di nome Pineanus? La frase "oggi convento” indica il castrum (casa o fortezza del console stesso) sui ruderi del quale forse sorsero il convento e la Chiesa di S. Maria delle Grazie? Detta Chiesa fu costruita nel 1500 mentre il convento fu costruito due secoli dopo. Non abbiamo documenti o testimonianze circa la preesistenza di ruderi di epoca romana. La scritta sopracitata è una interessante pagina di storia di Castropignano e molte contrade e località in essa indicate hanno lo stesso nome ancora oggi. E da notare che lo stemma del nobile Forconio (quia nobiliter vivit) esiste tuttora sopra il portale di accesso al retrostante cortile. Oltre questo portale si accede alle abitazioni di Gioiti Silvio ed eredi di Sardella Livio. Lo stemma anzidetto racchiude in un ovale un rustico forcone da fieno. A titolo di curiosità si spiega che nel dialetto castropignanese un attrezzo agricolo rudimentale fatto con ramo biforcuto di olmo o di ornello si chiama forcone e serve per raccogliere ed ammucchiare fieno.

 

 

107. PAOLO DIACONO

STORICO DEL MOLISE MEDIOEVALE

 

Paolo Diacono era Longobardo e siccome nel Molise di fermarono molti Longobardi, lasciando come preciso retaggio il cognome Lombardi (Longobardi), si danno brevi cenni della sua vita. ”I Longobardi o Langobardi, cosiddetti per le lunghe barbe (dal tedesco lang bart: barba lunga) che portavano, furono fra tutti i barbari che invasero l’Italia, i più primitivi, perchè non avevano avuto contatti con il mondo romano.

 

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Nel corso di un paio di secoli la loro rozzezza si mitigò, specialmente dopo la loro conversione al cattolicesimo. Uomo notevolmente colto fu per quei tempi il longobardo Paolo Varnefrido, detto Paolo Diacono. Nato da nobile famiglia, fu educato ed istruito alla corte del re Rachi, a Pavia, ed entrò poi nella vita ecclesiastica. Quando il re Desiderio, a cui era caro, fu sconfitto dal re dei Franchi Carlo Magno, Paolo si ritirò nel Monastero di Montecassino. Qui scrisse la sua "Historia Longobardorum”, in cui narra le vicende del suo popolo fino alla morte del re Liutprando”.

 

 

108. LE TORRI DI CASTROPIGNANO

 

Molte città italiane conservano qualche torre del Medioevo. A S. Gimignano (Siena) ne sono rimaste diecine. Nell’età dei comuni Firenze giunse ad averne Fino a centocinquanta. Bologna non ne ebbe forse meno. Queste torri non facevano parte del sistema difensivo del comune che aveva le sue mura e le sue porte ben vigilate. Erano abitazioni, case torri, in cui le famiglie più ricche e più potenti si rinserravano come in una fortezza privata. Per passare da un piano all’altro ci si serviva di scale che, all’occorrenza, potevano essere tolte. Nelle città le lotte di fazioni erano frequenti e sanguinose e chi poteva si premuniva contro gli attacchi dei nemici. Avere la torre più alta, poi, diventava una ragione di prestigio. Le famiglie gareggiavano a colpi... di piani. A S. Gimignano (Siena) esiste qualche torre più bassa delle altre e si narra che appartenne a famiglia sconfitta, che dovette abbattere un piano o due per imposizione del vincitore. Sarà leggenda, ma indica con chiarezza cosa furono contese e lotte familiari all’interno dei comuni (guelfi e ghibellini, Medici e Pazzi, Caputeti e Montecchi ecc.). Perciò lenta e difficile fu la nascita della "nazione italiana”. Nelle antiche terre italiane e francesi esisteva l’uso di costruire torri isolate destinate a sostenere una campana per suonare l’allarme o il coprifuoco e per convocare a raccolta il popolo. I campanili delle chiese adottarono vecchie torri perchè il suono delle campane si diffondesse il più lontano possibile per chiamare i fedeli a raccolta, (per commemorare fatti, per festeggiamenti ed altri scopi ancora). Esistono molti modi di suonare le campane: a festa, a morto, a martello ecc. Fino ai nostri giorni le campane hanno segnato praticamente tutte le più importanti tappe della nostra giornata, dall’alba al tramonto. I contadini si regolavano col suone delle campane.

 

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CHIESA DEL S.S. SALVATORE

 

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Per Castropignano vigeva un suono particolare delle campane: si suonava a "luonghe” (a lungo) con tutte le campane per la morte di un bimbo, "matetina” (mattutino) al levarsi del sole, "ventunora” (ventuno ore) alle tre pomeridiane, "ventequattore” (ventiquattro ore) al tramonto, ”n’ora” de notte (un’ora di notte) un’ora dopo il tramonto. Quando moriva il papa si suonava a morto per circa mezz’ora, si suonava a "luonghe” per allontanare temporali o grandine. Attualmente, rispetto all’orario, le campane suonano solo a mezzogiorno. Il campanile è una torre a pianta circolare, quadrata o poligonale, solitamente disposta a fianco della chiesa. I campanili più antichi risalgono alla fine dell’ottavo secolo e appartengono alle chiese di Ravenna. Famosissimo il campanile di Giotto, più noto come la Torre pendente di Pisa. In Castropignano nell’anno mille sistevano tre torri: torre adiacente alla chiesa di S. Nicola (attuale torre campanaria), torre dell’orologio e torre vecchia ” trivecchia” (torre osca, in vicinanza del calvario, andata distrutta) ; sulle sue fondazioni, in coccio pesto, a pianta quadrata, fu costruita parte della casa di Luciani Angelo. In ragione di queste tre torri fu istituito lo stemma di Castropignano!

 

 

109. IL PALAZZO DEL "CAPITANO"

 

In piazza s. Antuono s’impone all’attenzione del turista una casa gentilizia con torre colombata e giardino. Questo palazzo fu costruito verso la fine dell’ottocento su progetto del proprietario architetto Raffaele Borsella. Dagli anziani era chiamato il "Palazzo del capitano” perchè il Borsella fu capitano della "guardia nazionale” dopo la cacciata dei Borboni da Napoli. Dopo la conquista del regno di Napoli alcuni ufficiali dell’esercito borbonico e civili contrari a casa Savoia (nuovo governo) si dettero alla macchia con la speranza di riportare al trono i Borboni. Per combattere questa forma di guerra civile, detta brigantaggio, fu istituito un corpo di polizia, detto guardia nazionale, che in effetti pose fine alla rivolta (1860-1864). Proprio in quell’epoca fu rapito Antonio Evangelista proprietario terriero di Castropignano! Per riaverlo, la famiglia dovette pagare regolare riscatto. Ritornando al palazzo, si osserva che nell’ampio ingresso pavimentato con basoli di pietra locale esistono due statue di gesso rappresentanti due Abissini, un uomo e una donna armati di lancia. Un’altra statua, una ragazza, col braccio destro alzato regge una lampada.

 

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Sulla volta ad arco ribassato dell’atrio sono due bassorilievi di notevole valore artistico intitolati "Festa dei fiori” e "Caccia alla tigre”. In cima alla scala del 1° piano troneggiava una statua di Vittorio Emanuele II a cavallo. Non si sa quale è stata la fine della stessa. Molti affreschi dello stesso Borsella andarono distrutti a causa di eventi bellici. Il Palazzo, di stile umbertino, probabilmente fu costruito al tempo della prima guerra d’Africa (1896). Per quell’epoca la costruzione del palazzo destò grande stupore, tanto che molta gente accorreva dai paesi vicini per vederla. Nelle località vicine non esisteva un edificio simile per valore artistico. Il giardino con palme, abete pungente, cipressi, lauro, fiori diversi e numerose aiuole aveva un artistico cancello di ferro. Finestre e balconi avevano al di sopra dell’architrave teste di donna, mentre due prospetti presentavano bugnato a stucco. Portone d’ingresso, balconi e finestre furono opera di valenti scalpellini di Oratino. Un grande ed artistico camino in pietra da taglio ornava la cucina. Alla colombaia si accedeva con scala esterna munita di gradini di legno e ringhiera di ferro. Il proprietario (o figlio del proprietario) andò in rovina per il risarcire i danni causati ad un aereoplano che stava imparando a pilotare. Causa della sua cattiva sorte fu anche la separazione dalla moglie (della fam. Chinno di Casalciprano). Sopraffatto dai debiti, vendette terreni e fabbricati ad un onesto ed attivo commerciante del posto, Pietrantonio Colozza, originario di Frosolone. Ciò fatto si trasferì a Napoli dove visse, facendo il pittore. Il palazzo fu ereditato dal dr. Giovanni Colozza, il quale, stabilitosi a Campobasso, lo rivendette alla dottoressa (farmacista) Sardella Nicoletta. Costei procedette ad un parziale restauro ed ampliamento dei locali. La detta Sardella, dovendosi trasferire a Venafro col marito Prof. Eustachio Cipolla e figli, rivendette. Tre furono gli acquirenti che si divisero casa e giardino. Solo nel 1980 della costruzione fu rifatto rintonaco esterno; la bellezza artistica originale fu del tutto sopraffatta. Per finire si racconta che il Borsella, lasciando la sua casa, uscì volgendo le spalle alla strada.

 

 

110. VITA FEUDALE

RIFERITA A CASTROPIGNANO E TANTI ALTRI COMUNI DEL MOLISE

 

Durante il medio evo (epoca compresa che va dalla caduta dell’Impero Romano sino alla scoperta dell’America) ai figli primogeniti dei feudatari toccavano in sorte i feudi.

 

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Gli altri figli, con una cerimonia speciale, venivano nominati cavalieri, cioè difensori della religione, dei poveri e dei deboli. S’impegnavano inoltre a combattere le propotenze. Spesso però facevano tutto il contrario di quello che avevano solennemente promesso. Feudo deriva dal latino volgare feudum, ossia dominio su un vasto territorio. Il feudatario abitava nel castello ed aveva il titolo di barone, marchese, duca, conte o principe. I servi del feudatario non avevano libertà personale, potevano sposarsi solo dopo aver portato la novella sposa nella casa del feudatario (ius primae noctis - diritto della prima notte), potevano essere venduti insieme al terreno che lavoravano. Questi cosiddetti servi della gleba erano i più poveri tra i contadini. Erano legati alla terra che coltivavano con le loro famiglie e non potevano abbandonarla nemmeno se il padrone la vendeva (in tal caso rimanevano alle dipendenze del nuovo padrone). Oltre a coltivare le terre che avevano in affitto, dovevano lavorare anche fondi particolari del signore senza compenso. Al padrone del feudo si dovevano pagare i seguenti tributi in natura: farina sul grano macinato, pesci su quanto si pescava nel fiume, grano sulla terra che coltivavano, mosto al tempo della vendemmia e tante altre cose. L’unico dovere del padrone nei confronti della sua gente era quello di difenderla in caso di guerra o altre aggressioni. All’avvicinarsi del nemico, contadini e artigiani si rifugiavano nel castello, o fortezze più grandi, portandosi dietro animali e masserizie. Interessa a questo punto quella che è stata la storia della proprietà terriera nel corso dei secoli. In epoca sannitica esistevano fondi coltivati da gruppi familiari. Tali fondi erano circondati da strade mulattiere. Dopo la conquista romana i migliori terreni furono dati ad ufficiali (centurioni) dell’esercito romano posti in congedo. I pochi contadini sanniti superstiti dopo diecine di anni di guerra, continuarono a coltivare le terre poste sotto il dominus romano, pagando pesanti contributi a Roma. All’indomani delle invasioni barbariche, ai domini (centurioni romani) si sostituirono i feudatari (nuovi padroni). Finita l’epoca medioevale ed estinte le famiglie dei feudatari, i contadini che lavoravano le loro terre rimasero padroni delle stesse. Le famiglie più ricche sopravvissero ai tanti eventi precedenti l’epoca attuale. Altre famiglie, con successive divisioni ereditarie e per l’impossibilità di emigrare, ridussero la proprietà terriera agli attuali fazzoletti di terra (polverizzazione della proprietà).

 

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111. CASTROPIGNANO IN EPOCA FASCISTA

 

In epoca fascista Castropignano fu roccaforte di questa storica ideologia e relativo regime. Per i giovani che non vissero in quell’epoca si consiglia di leggere le opere dello storico italiano Renzo De Felice e dello storico inglese Mac Smith. In epoca fascista furono eseguiti in Castropignano i seguenti lavori pubblici: restauro dell’ex convento, costruzione del monumento ai caduti in guerra e relativo parco della rimembranza (1926 - oggi "pineta”); costruzione ex novo di scala S. Francesco (lato sud ovest del convento); sistemazione del selciato per tutto il percorso della processione (via S. Lucia, Trivecchia, Via S. Marco, Vico I Guardia, SS. Salvatore, Via S. Martino, Via Chiaia, Via Piano, Municipio). Al posto dell’antichissimo ponte del Tivone fu costruito il ponte di cemento armato a tre arcate (1922). Fu costruita la cappella al cimitero e restaurata in parte la chiesa di S. Nicola (mura perimetrali e tetto). Per le opere di reastauro fu venduto (e sostituito) il portale d’ingresso a detta chiesa. L’arco a sesto acuto (stile gotico) con l’agnello crucifero portava la data del 1323. Una porta laterale della chiesa di S. Nicola è quella che fa da entrata alla cappella del Cimitero. Esponenti autorevoli di epoca fascista furono il Cav. Antonio Sardella, sindaco e podestà; il fratello Dr. Luigi Sardella, Ispettore Federale Fascista, il capo manipolo e poi console della M.V.S.N. geom. Antonio Petti. Segretari del P.N.F. furono Nicola Cirese, Vittorio Venditti e Gennaro Sardella. Segretaria femminile del Fascio fu l’ins. Tagliaferri Cirese Concetta. Aderirono al fascismo tutti gli ex combattenti e le nuove generazioni. Il Segretario Federale Fascista del Molise fu l’avvocato Tito Di Iorio, valente professionista e dotto oratore. In quell’epoca la lira fu valuta notevole per l’alta competenza finanziaria dei diversi ministri del tesoro. Furono tenuti in alta considerazione religione e sacerdoti, furono rispettate tutte le autorità dello stato e in modo speciale gli ex combattenti. Perfetto fu l’ordine pubblico (polizia stradale, ferroviaria, portuale, tributaria ecc.). Sommo prestigio godette l’Arma dei Carabinieri. Vittima della guerra civile scatenatasi nell’Italia del Nord dopo l’arrivo degli anglo-americani (1945) fu il console della M.V.S.N. geom. Antonio Petti. Altra vittima della guerra civile fu il fratello di Giuseppe Saluppo, assassinato in Milano.

 

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112. CASTROPIGNANO E LE GUERRE

 

In qualità di coscritti e volontari i castropignasesi parteciparono alle diverse guerre di questo secolo (guerre di Libia, Abissinia e Spagna). Molti caduti e feriti si ebbero con la prima e seconda guerra mondiale. Dal fronte russo ritornò Molinaro Angelo e pochi altri. Molti sono i reduci del fronte greco albanese, della Libia e dell’Africa orientale. Numerosi furono i prigionieri rientrati da Sud Africa, Inghilterra, Germania, Francia e Iugoslavia. Il 1° ottobre 1943 Castro- pignano subì il primo bombardamento aereo (americano). Rimasero sotto le macerie sei persone tra le quali moglie, madre e due figli di Pasquale Maddalena (”Marinelli”). La sua casa fu rasa al suolo con la perdita di masserizie, un carretto e due muli. In seguito a questo bombardamento quasi tutta la popolazione si rifugiò in campagna e nei paesi vicini. Una grossa bomba cadde nella vigna di Antonio Maddalena ed un’altra - rimasta inesplosa - cadde presso il Cantone La Guardia (davanti alla casa di Galdino Scapolati). Gli aerei spuntarono nel cielo di S. Stefano (probabilmente provenienti dall’aereoporto di Foggia) e virarono sopra Torella. Le bombe dovevano colpire la curva di S. Antuono. Questo posto fu preso di mira per ostacolare e ritardare la ritirata delle truppe tedesche. Con un secondo bombardamento morirono Iocca Angelo e Sardella Domenico. Rocco Sardella morì all’Ara Valeri colpito da proiettile di artiglieria. Dopo la ritirata dei Tedeschi, per essersi imbattuti in ordigni inesplosi morirono o rimasero feriti diversi ragazzi. Il 24 ottobre 1943 i Tedeschi con mine distrussero le case di Gennaro Evangelista, Borsella Valentino, Sardella Pasquale, ed Angelo Iocca. Per lo scoppio furono gravemente danneggiate le vicine case di Felice Marino, Settimio La Porta e Domenico Coppola. Per lo spostamento d’aria crollò anche la volta della Chiesa del Convento. Il paese fu saccheggiato dai Tedeschi ed anche da qualche sciacallo locale. Fossalto e Ripalimosano accolsero con fraterna ospitalità molti Castropignanesi sfollati. La strada Garibaldi tu interrotta per l’esplosione di una mina collocata sotto un ponticello, tra le case di Sardella Luigi e Mattiacci Claudina. l’interruzione fu riparata dalle truppe alleate dopo la ritirata dei Tedeschi. Questi ultimi lasciarono a Castro- pignano, ancora per qualche giorno, solo una diecina di soldati appostati con mitragliatrici in casa Piccinocchi e Contrade Coste, Valle Frane, oltre che a Roccaspromonte. Una postazione di artiglieria fu situata ad est della Casa di Liberato Iocca a contrada Selva (inizio vallone del Carpine).

 

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Le truppe americane entrarono a Castropignano parecchi giorni dopo la costituzione del fronte Terracina, Cassino, Roccaraso, fiume Sangro. Il paese ospitò soldati polacchi e canadesi. La popolazione rimase oltremodo stupita per la religiosità dei soldati polacchi.

 

 

113. RICOMPENSE AL VALORE (FRONTE GRECO ALBANESE)

 

Medaglia di bronzo al valore militare conferita al soldato del 14° Reggimento Fanteria Divisione "Pinerolo” Pizzacalla Carmine di Domenico e di Iorio Giovanna da Castropignano (Campobasso). Porta arma tiratore, durante aspro combattimento non esitava a spingersi in linea con i compagni fucilieri per meglio appoggiare l’azione. Benché fatto segno ad intenso fuoco di artiglieria che gli colpiva la mitragliatrice, da solo provvedeva a rimettere in efficienza l’arma, ricominciando con estrema calma e serenità un nutrito e preciso fuoco contro il nemico.

 

Chiaf e Lusit 13 Marzo 1941 XIX

 

Il Minsitro Segretario di Stato per gli affari della guerra rilascia quindi il presente documento per attestazione del conferito onorifico distintivo.

 

Roma addì 11/2/1942

 

Il Ministro

Benito Mussolini

 

Registrato alla Corte dei Conti addì 12/1/1942 XX

            Registro 1 guerra foglio 319

 

Cavallari

 

Ricompensa al valore (1a guerra 1915—1918)

medaglia di bronzo al valor militare conferita a

Ciolfi Nicola da Castropignano (Campobasso)

 

Durante il combattimento caduto il comandante di una sezione pistola-mitragliatrice, sotto vivo bombardamento nemico, riuniva i compagni e ne prendeva poscia egli stesso il comando.

 

Selo 20/8/1917

 

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114. STATISTICA DEMOGRAFICA DI FINE ANNO

 

Nella messa serale di fine anno è tradizione antichissima che il sacerdote debba annunziare al popolo, dopo la celebrazione del ”Te deum”, quanti sono i nati e i morti dell’anno che sta per finire. Questo annunzio statistico demografico risale forse al tempo dei Sanniti? I sacerdoti sanniti ricordavano nel tempio i numerosi caduti in guerra. Gioivano e ringraziavano gli dei per i neonati dell’anno. Tale usanza fu rispettata come tante altre dalla religione cristiana.

 

 

115. GASTRONOMIA

 

Antichissimo è l’uso di fare il pane in casa con pagnotte da uno a quattro chili. Spesso al posto del pane si usava mangiare una focaccia impastata con acqua lievemente salata e senza lievito. La farina per l’impasto era di grano oppure di orzo. Questa focaccia, cotta sotto una "Coppa” di ferro, si mangiava calda o fredda. Spesso si tagliava orizzontalmente in due parti mettendovi dentro, a seconda dei casi, fettine sottili di formaggio, prosciutto, salsiccia o pancetta di maiale. Nell’impasto di questa "pizza mangheleveta” (focaccia non lievitata) si metteva seme di anacio e un po’ di pepe macinato. Questo pane senza lievito si preparava molto sbrigativamente e si mangiava per lo più caldo. Dopo la scoperta dell’America, quando si cominciò a coltivare il mais, questa focaccia o "pizza” si fece con farina di granturco. Per companatico si continuò ad usare formaggio, prosciutto o salsiccia. Spesso sotto la "coppa” si metteva a cuocere pasta lievitata di sola farina di grano, oppure di farina di grano mescolata a farina di granturco. Questa originale "pizza” aveva un sapore particolare. Focaccia speciale di mais era la "pizza de grandinie che re cicre” (focaccia di mais con i cigoli). "Re cicre” (i cigoli) si ricavavano dallo scioglimento della sugna di maiale. I salami di maiale, salsicce, soppressate e relativi prosciutti risalgono certamente ad epoca sannita. Tutte le parti del maiale che non potevano essere utilizzate come salame si conservavano lessate e condite con aceto sale e foglie di lauro ("ielatina"). Le minestre più antiche erano quelle fatte con rape, cavoli, ceci e fave. Tutti questi ingredienti erano conditi con sale ed olio, dopo essere stati lessati. Per condimento si usava generalmente grasso di maiale: sugna, lardo o pancetta.

 

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Nel medioevo ebbe inizio l’uso delle minestre fatte di patate e fagioli, di soli fagioli, di patate, patate fagioli e "pizza di grandinie”, "pizza di grandinie” e rape, pizza di granone cavoli patate e rape. Tutti questi cibi lessati si condivano con sale, olio o grasso di maiale. I suddetti ingredienti mescolati e schiacciati con la forchetta davano luogo ad un impasto assai saporito. L’uso dei maccheroni e riso in cucina giunse da Napoli a Campobasso e da Campobasso a Castropignano (1500). Le pietanze più comuni erano carne di agnello, capretto, maiale, capra e pecora; quasi sconosciuta la carne bovina per mancanza di allevamenti. Consumata diffusamente era la carne di pollo, perchè ricchi e poveri avevano il proprio allevamento. Consumato da tutti era il formaggio fresco o secco e relative ricotte, fatte con latte di capra o pecora. Nella frazione di Roccaspromonte, quando si diffuse discretamente l’allevamento bovino, cominciarono a prodursi squisite scamorze. Come pesce si consumava solo quello del Biferno (trote, cavedani, anguille e capitoni). Pesce marino non arrivava dalle nostre parti per la difficoltà delle comunicazioni. L’insalata più antica era quella fatta di lattuga. Dopo la scoperta dell’America si diffusero le insalate di pomodori e cetrioli. La bevanda più diffusa, anzi unica, era il vino. Nell’ottocento si cominciò a bere liquori e birra. Sino a fine ottocento, quando si ammazzava il maiale, si preparava lo "sfarrato” (sfarinato?), fatto con farina di grano prodotta rudimentalmente con mulino a mano. Questa farina si faceva bollire con acqua opportunamente salata e si condiva con grasso di maiale. Era una poltiglia poco bella a vedersi, ma molto in uso. Era il farrum dei Romani?

 

 

116. EUGENIO CIRESE

POETA DEL MOLISE

 

Eugenio Cirese iniziò la sua carriera d’insegnante a Castropignano dove trascorse la sua giovinezza e compose le sue più belle liriche. A Castropignano educò diverse generazioni. Fu ammirevole per il suo carattere eminentemente umile, buono e riservato. Per i suoi meriti letterari e didattici fu nominato direttore didattico e poi ispettore. A Castropignano ebbe la sua casa con annesso giardino. Morì a Rieti ed ora riposa nel cimitero del nostro paese - sua patria d’elezione -. In una primaverile e serena giornata di febbraio, verso il tramonto, quando le prime stelle cominciavano a brillare, dopo un breve rito funebre nella Chiesa Madre ed il commovente elogio funebre del suo diletto ex alunno, Sardella,

 

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portato a spalla fu accompagnato al cimitero dall’intero popolo di Castropignano. Fu un addio commovente e fu un’altra poesia che invece di lui compose la natura e quanti lo seguirono. Eugenio Cirese nacque a Fossalto il 21 Febbraio 1884 e morì a Rieti l’8 febbraio 1955. Dalla sua originale e profonda ispirazione poetica nacquero: Quaderni sull’arte infantile, Gente Buona, Canti popolari del Molise, Sciure de fratta, Ru cantone de la fata, Suspire e resatelle, Lucecabelle, Tempe d’allora e Nuove poesie. Eugenio Cirese fu cultore di musica e di questa sublime arte ci ha lasciato due belle canzoni da lui stesso musicate: Canzone d’atre tiempe e Rusella.

 

 

117. IL MISERERE

 

Nel giovedì della settimana santa tre vecchi (quello di mezzo portava una croce nera con un pezzo di stoffa bianca) accompagnati da quattro bambini con torce, partivano dalla Chiesa Madre ed effettuavano una piccola processione. Questo gruppo di fedeli scendeva alla Porta e S. Antuono, risaliva per il Convento e la Trivecchia e, dopo aver riattraversato la Porta, ritornava in Chiesa. Il rito è finito dopo il 1950. La cerimonia si svolgeva qualche ora dopo il tramonto.

 

 

118. PAROLE INGLESI ITALIANIZZATE E RICORRENTI NEL DISCORSO DI NOSTRI ANZIANI EMIGRATI E RIENTRATI DAL NORD AMERICA

 

Bebi (bambino o bambina), Ghella (ragazza), Giobba (posto di lavoro), Buord (pensione). Boss (padrone), Tomba (nettezza urbana), Sementeuork (Fabbrica di cemento), Subbué (metropolitana), Pippe de gas (gasdotto), Pippe d’acqua (acquedotto), Faite (pugno), Schiacchenza (fare conoscenza), Blaccause (cesso), Blacca ens (mano nera), Niclblend (Fonderia di Nikel), Store (negozio), Besenisse (affare), Tracca (ferrovia), Car (automobile), Naise (buono), Sciuranze (assicurazione), Sciot (bicchiere), Trinka (beve), Televesce (televisione), tlefone (telefono), Box (barattolo), Sanemabec (figlio di buona mamma...), Gurahell (vai a quel paese...), Kenga (associazione a delinquere), Chebbaie (ciao), Pezz (dollari), Ciaienese (cinese), Nicrefolz (Niagara Falls).

 

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119. RELAZIONI DI CASTROPIGNANO COI PAESI VICINI

 

Castropignano vantava un tempo una numerosa schiera di calzolai, stacciai, stagnini e crivellai. Per la vendita dei loro prodotti questi artigiani avevano continue relazioni con i paesi vicini. I nostri contadini invece vendevano vino del Tivone, Macchie, Vicenna e S. Eustachio nei paesi di montagna. Specie la popolazione contadina partecipava e partecipa ancora ma in tono assai minore alle fiere di Frosolone in agosto e settembre e di Torella del Sannio il 12 Ottobre. Per devozione si accorre alla fiera della Madonna del Piano in prossimità di Molise (2 luglio). A Frosolone e Torella si va ancora per vendere bestiame ed acquistare masserizie. Alla "Madonna del Piano” si acquistano formaggio pecorino, caciocavalli e "manteche” di Frosolone ed Acque Vive, attrezzi agricoli e casalinghi. In tale occasione si vende la lana tosata nei mesi di maggio e giugno. Alla fiera di Torella c’è scambio di quadrupedi in genere e suini. Con grande devozione si andava e si va immancabilmente alla fiera dell’Annunziata di Casalciprano. Nella chiesa, in occasione della festa, si svolgeva una cerimonia di devozione ed amicizia, facendo un giro attorno all’altare della Madonna e recitando preghiere, si diventava compari e comari, similmente a quanto avviene per la cresima. L’usanza forse risale al tempo dei Sanniti quando tra persone di pari rango, i bambini accompagnati dai genitori e amici, si giurava amicizia e protezione attorno all’altare degli dei. La chiesa dell’Annunziata con tutta probabilità sorse su piccolo tempio pagano dedicato a Venere Ciprea. Infatti dietro questa chiesetta esiste un opus spinatum (muro di mattoni posti a spina di pesce). Comare e compare derivano da cum patre e cum matre (con padre e madre) perchè i cristiani grandi e piccoli venivano accompagnai al battesimo dai genitori e amici. Forse la cerimonia dei Sanniti fu assorbita dalla religione cristiana.

 

Quando s’impiantavano nuovi vigneti Castropignano aveva contatti con Oratino. Da questo paese - infatti - giungevano i nuovi sarmenti (vitigno di Oratino). Scarse erano le relazioni con Ripali mosano, eccezion fatta per l’occasione della festa della Madonna della Neve (12 agosto). Ci si andava per devozione e per assistere alla corsa dei cavalli su percorso tratturo - chiesa. Da Montagano venivano a Castropignano venditori di ortaggi, peperoni, pomodori ed uva. Da Boiano arrivavano venditori di peperoni, alimento assai consumato dagli agricoltori durante mietitura e trebbiatura (uova e peperoni fritti per "merenda” e "colazione”).

 

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Con Campobasso c’era ogni specie di rapporti commerciali e si partecipava a fiere affollatissime di merce e bestiame (8 marzo, 8 settembre). Alla festa del Corpus Domini si andava in massa adulti e bambini. Immancabili erano e sono i pellegrinaggi a Roccamandolfi (s. Liberato, prima domenica di giugno) e al Santuario dell’Addolorata di Castel Petroso (22 marzo ed ultima domenica di settembre). L’apparizione dell’Addolorata avvenne il 22 marzo 1888.

 

 

120. GIOCHI CARATTERISTICI DEI RAGAZZI

 

            ”Cavarozze" (Buchette) - Si praticavano nel terreno 5 buchette semisferiche disposte a forma di croce. Il gioco consisteva nel lanciare una palla di legno da una distanza prestabilita e fare in modo che andasse a finire in una delle buche. La partita era di 11 e 24 punti. Se la palla finiva nel buco centrale si facevano 5 punti, la palla finita in una buca laterale faceva un punto. Nella buca centrale si metteva una somma di denaro costituita dalle quote uguali versate dai giocatori.

 

            ”Sticchio” (scheggia) - Questo gioco consisteva nel lanciare da una distanza prestabilita ed a turno una pietra piatta di poco più di un decimetro quadrato contro un’altra posta di taglio sul terreno; dietro di questa c’era la posta in gioco in denaro. Se l’aggiudicava colui che colpiva la pietra posta sul terreno.

 

            "Voche” - La partita a ”Voche” si disputava per lo più in due persone. Ognuno dei giocatori aveva un pezzo di pietra piatta (voca) la quale veniva lanciata col proposito di farla andare quanto più possibile vicina ad un altro pezzo di pietra piccolo (mierchie) - precedentemente lanciato ad una certa distanza. La ”voca” che più si avvicinava al ”mierchie” faceva punto. La partita era di 11 oppure 24 punti. La posta in gioco era una piccola somma stabilita dai due giocatori.

 

            "Mazza e Piveze - In italiano sta ad indicare bastone e bastone piccolo appuntito nelle due estremità. "Mazza e pivero” oppure ”a pivezo” era un antichissimo gioco di bambini e giovanetti. Il gioco si praticava con due pezzi di legno: uno, lungo venti, trenta cm. ed appuntito da ambo le parti, detto "piveze”, dello spessore di due, tre cm.; l’altro, un bastone (senza manico ricurvo) lungo circa un metro, detto "mazza” (stesso spessore del "piveze”). Il "piveze” si poneva a terra in un cerchio segnato col carbone e del diametro di circa 60 m. Con la "mazza” si batteva sulla punta del "Piveze”.

 

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Questo, dopo essersi "librato” in aria per qualche metro, doveva essere colpito una seconda volta (in aria) con la mazza ed essere lanciato il più lontano possibile. Si misurava quindi la distanza dal punto in cui era caduto il "piveze” e il bordo del cerchio, avendo come misura la "mazza”. Tante mazze, tanti punti. La partita era vinta da chi prima raggiungeva 80-100 punti. A partita finita il vincitore poneva il ”piveze” sopra due pezzi di pietra alti una trentina di cm. (a mo’ di ponte) e batteva contro lo stesso un colpo con la "mazza” facendolo andare il più lontano possibile. Il perdente doveva di corsa andare a prendere "mazza” e "piveze” e raggiungere il vincitore, che, intanto, su un solo piede ("calecaciuoppe") si adontava dal cerchio. Il perdente, preso il vincitore, doveva caricarselo sulle spalle e portarlo fino al cerchio.

 

            "Azzoppa Mure” (batti muro) - gioco di giovani e ragazzi. La partita si giocava tra due o più giocatori e ognuno di questi doveva battere contro il muro una moneta prestabilita. Se due monete cadevano alla distanza minore di un palmo il battitore aveva il diritto di intascare le due monete vicine. Gli altri giocatori continuavano il gioco sino all’esaurimento delle monete in palio.

 

            Azzicche (Azzeccare) - Il gioco consisteva nel lanciare monete facendole strisciare su un pavimento o selciato liscio e facendole avvicinare il più possibile alla base di un muro. La partita si giocava tra due o più giocatori. Il giocatore della moneta che più si avvicinava al muro ritirava tutte le altre. Il vincitore le lanciava in aria al grido di testa o croce e prendeva tutte le monete ricadute in terra secondo quello che aveva previsto (testa o croce).

 

            Schiappe (Schiaffo) - Lo schiaffo era un gioco certamente di origine ed epoca romana, con la differenza che allora si prendevano schiaffi sulla faccia, con le spalle rivolte agli schiaffeggiatoti. Lo schiaffo dei tempi nostri si prendeva sulla mano sinistra aperta e messa sotto l’ascella destra, (spalle rivolte allo schiaffeggiatore). Lo "schiaffo" continua sino a quando lo schiaffeggiato indovina chi lo ha colpito. Quando colui che ha colpito è stato scoperto deve a sua volta prendere schiaffi. Il gioco continua sino alla stanchezza dei partecipanti.

 

 

121. LE CAMPANE DELLE CHIESE

 

Come abbiamo già detto Castropignano ha una viva e profonda tradizione religiosa e per questo sono nell’abitato cinque chiese, su una popolazione che ha sfiorato i tremila abitanti.

 

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Ogni chiesa è provvista di campanile con una o tre campane, quasi tutte della Fonderia Pontificia Marinelli di Agnone. La campana entrò nell’uso rituale nel V secolo per opera di S. Paolino da Nola (Campania). Dalla Campania prese il nome. Si diffuse però solo nel IX secolo. Fin da epoca sannitica e romana esistevano campanelli (vedi scavi di Pompei) detti in latino tintinnabula. Campanacci portavano mucche ed altri animali per essere rintracciati col suono quando si smarrivano o per tenere lontano i lupi. Dopo il nono secolo le campane cominciarono a fondersi in bronzo (lega di stagno, rame e zinco). Col tempo si fusero anche campane di ghisa ed acciaio. Per curiosità si aggiunge che le più grandi campane del mondo sono sono la Zar Kolokla di Mosca (200 tonnellate), quella di Colonia (501.) e la campana dei caduti di Rovereto (181.). La campana più antica di Castropignano è la cosiddetta "campana vecchia”, quella posta ad ovest della torre campanaria.

 

 

122. MONETA DI CLAUDIO

 

Il 12 Ottobre 1962, mentre si procedeva allo scavo per le fognature, fu rinvenuta una moneta di epoca romana. Questa, su un verso, portava una figura di donna a braccia aperte e le parole "Libertas augusta; ai lati le lettere s e c.

 

Sull’altro verso c’era la testa dell’imperatore con la iscrizione "Claudius Caesar Aug”. Per avere notizie precise si richiese parere all’esimio studioso di numismatica Dr. Giorgio Giacosa (Piazza della Repubblica 21 Milano), il quale, cortesemente rispose con la seguente lettera:

 

"Milano 20/5/1963 Egregio Geom. Sardella,

 

La moneta da lei trovata è un sesterzio (cioè la massima moneta di bronzo romana di epoca imperiale), coniata sotto l’impero di Claudio e cioè tra il 41 e 54 dopo Cristo. È una moneta interessante abbastanza. Dal disegno che lei unisce alla lettera, direi che la moneta porta sul diritto nel punto da me segnato con freccia rossa una contro marca d’epoca più tarda, che ne accresce ulteriormente l’interesse.

 

Non posso darle indicazioni esatte sul valore numismatico attuale di tale moneta, in quanto, non avendola sotto gli occhi, non posso conoscere lo stato di conservazione. Comunque come le ho già detto, indipendentemente dal valore commerciale, è moneta assai interessante.

 

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Le consiglio di annotare la località esatta e la profondità a cui la moneta è stata ritrovata: questo per precisione e per eventuali futuri rilievi archeologici. Ben lieto se potrò essere di nuovo utile in futuro, le porgo i miei più distinti saluti. Giorgio Giacosa.

 

 

123. ISCRIZIONE INDECIFRABILE

(internamente e al di sopra della porta della chiesa del convento)

 

Riportiamo qui di seguito ciò che rimane di una iscrizione a lettere in oro zecchino nell’interno della chiesa della Madonna della Grazie, al di sopra della porta di entrata, con la speranza che nell’archivio di stato di Campobasso o di Napoli si possa trovare la stesura originale completa. L’iscrizione, in alcuni punti leggibile, racchiusa da cornice di stucco, è la seguente:

 

INCIPIES.... IN.... VITE.... MORT.... US.... EST.... PROPTER.... PIES.... FILIUM.... ET.... DELIC PROPTER.... IUSTIFICA.... ANVEL.... TIONEM.... NOSTRAM....

 

 

124. CHIESA DEL S.S. SALVATORE

 

La chiesa del S.S. Salvatore per il suo artistico portale di stile gotico è certamente databile al secolo XIII. Nell’interno conserva un’artistica acquasantiera della stessa epoca, con alla base lo stemma di Castropignano (tre torri circondate da muro e da una porta). Fu più volte restaurata. Si dice che ad essa era annesso il Convento di S. Martino sul quale, diruto ed abbandonato, fu costruita l’attuale casa della famiglia Piccinocchi. Può darsi che l’antico convento sorse sulle rovine dell’antico tribunale (sannita o romano) perché l’adiacente rione ha conservato l’antico nome di tribuna, accorciativo di tribunal o tribuna (nel dialetto ”trevuna”). Nell’interno sono le statue di S. Filomena, S. Giuseppe e della Madonna del Carmine.

 

 

125. CHIESA MADRE

 

La Chiesa Madre è la chiesa più antica di Castropignano. Fu costruita o meglio ricostruita su altra chiesa, dopo il terremoto del 26 Luglio 1805. Non si conosce la data di fondazione, ma solo quella della ricostruzione (ed ampliamento) avvenuta nel 1826.

 

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La primitiva chiesa forse rimonta ai primi secoli del cristianesimo. Siccome le due cappelle laterali hanno archi a sesto ribassato uno diverso dall’altro è da presumersi che l’ampliamento del 1826 fu fatto restringendo l’attuale Piazza S. Marco. Nella chiesa sono le statue di S. Pietro Martire da Verona (protettore), S. Liberato, l’Addolorata, S. Maria Immacolata, Maria S.S. del Rosario, il Sacro Cuore, S. Giovanni Battista, S. Michele e S. Rocco.

 

 

126. CHIESA DI MARIA S.S. DELLE GRAZIE O DEL CONVENTO

 

La Chiesa della Madonna delle Grazie dal punto di vista artistico e storico è la chiesa più interessante di Castropignano. Per il suo portale di stile rinascimentale e per i suoi bassorilievi in stucco, coperti di oro zecchino, fu dichiarata monumento nazionale. Pur essendo forse l’unico monumento rinascimentale del Molise, è incredibilmente sconosciuta. Nell’interno si ammirano: La Deposizione, L’Annunciazione, due angeli diversamente oranti, i Dodici apostoli, Cristo Risorto, Dio Padre, due angeli (lampade) e due leopardi di cui non conosciamo il significato simbolico. La chiesa fu costruita nel secolo XVI a spese della famiglia ducale D’Evoli e in particolare del Duca Vincenzo D’Evoli (sepolto sotto l’altare). Per la costruzione contribuirono volontariamente e con generosità pastori e proprietari di greggi Abruzzesi, Molisani e Pugliesi. Per ricordare tale contributo il progettista, sotto il cornicione di volta, fece riprodurre forme di cacio alternate a teschi bovini. La volta della chiesa crollò nel 1943 in seguito a scoppio di mine poste nelle case adiacenti. Non si conosce il nome dell’artista che eseguì i bassorilievi e del progettista. Dell’evento miracoloso relativo alla statua della Madonna delle Grazie si è già parlato. Alla chiesa fu annesso il convento francescano (1700) . Per questo motivo furono poste alla venerazione dei fedeli le statue di S. Pasquale S. Antonio di Padova, S. Francesco di Assisi e S. Francesco di Paola. Le statue di S. Luigi e di S. Rita sono state aggiunte di recente. Il due agosto nella chiesa si svolgono le "passate”. Questo rito di preghiera si attua uscendo e rientrando nella chiesa e girando attorno ad una croce posta nell’antistante piazzetta. È un privilegio speciale relativo all’indulgenza plenaria. Il convento, con annesso orto di pianta triangolare, fu chiuso (per mancanza di frati) e divenne proprietà del Comune nel 1811 (v. arch. di Stato di Campobasso).

 

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CASTELLO D’EVOLI

 

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"L’orto dei monaci” fu acquistato dalla famiglia La Porta (ora estinta) e da questa fu rivenduto alle famiglie Maddalena, Pignotta, Iocca, Caperchione, Panunto, Petti, Mattiacci e Sardella. Nel 1860 il terreno fu attraversato dalla strada Garibaldi.

 

 

127. CHIESA DI S. NICOLA

 

La chiesa di S. Nicola (ora sconsacrata e tenuta in consegna dal Comune) è sita a nord ovest della torre campanaria. La sua costruzione risale al XIII secolo. Il tempio si presume dedicato a S. Nicola perchè in quell’epoca numerose dovevano essere nel paese le famiglie di origine bulgara (detto santo è particolarmente venerato dai popoli slavi). Nel 1920 di S. Nicola esistevano solo le mura perimetrali, mentre l’interno era coperto di ortiche e rifiuti. In epoca fascista la Chiesa fu parzialmente trasformata e restaurata. Il tetto fu rifatto al completo, furono sgombrate le macerie e fu venduto ad un antiquario il portale che portava in cima la data del 1323. Un portale laterale (prospetto sud ovest) fu utilizzato come entrata dell’attuale cappella principale del cimitero. Un quadro del pittore Romeo Musa, che raffigura questa chiesa (prima del parziale restauro) si trova nell’Aula Magna del Convitto Mario Pagano di Campobasso. E opportuno qui dare un breve cenno sulla vita di S. Nicola. Sappiamo che fu vescovo di Mira (Licia-Asia-Minore-oggi Turchia) nel IV secolo D.C. Le sue spoglie furono rapite da mercanti baresi per sottrarle alla profanazione degli infedeli e recate a Bari nell’anno 1087. In detta città a causa, di tanti e provati miracoli, fu eretta la famosa basilica di S. Nicola.

 

 

128. CHIESA DI S. LUCIA

 

La Chiesa di S. Lucia fu edificata nel 1705 a spese di Giovannantonio De Posta e dallo stesso fu anche arredata, come da scritta sulla parete di fondo. Forse fu edificata su ruderi di tempio pagano dedicato a Mercurio, dio del commercio e protettore dei viandanti. E probabile supporre che Mercurio era invocato in questo punto dai pastori, di epoca sannitica e romana, che passavano sul fratturo.

 

La lapide con fascio littorio murata nella facciata della chiesa forse proviene dai resti della Statio ad canales (la Canala) di cui abbiamo parlato o da resti del del diruto tempio pagano.

 

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Al di sopra della nicchia con la statua di S. Lucia è affrescato lo stemma del De Posta e la iscrizione: D. IOANNIS ANTONIUS DE POSTA FUNDAVIT ET DOTAVIT ANNO DOMINI 1705 (Il signor Giovanni Antonio De Posta fondò e arredò nell’anno del Signore 1705) ”S. Lucia” fu parzialmente restaurata dall’arciprete Pompilio Di Rienzo (nativo di Salcito) parroco di Castropignano dal 1936. E opportuno ricordare che S. Lucia Vergine e martire nacque a Siracusa nel 283 d.C. Fu decapitata nel 303 all’età di venti anni. Preferì il martirio piuttosto che abiurare alla fede in Gesù Cristo. Il corpo santo da Siracusa fu portato dai veneziani nella loro città per sottrarlo agli infedeli (saraceni). Le sacre spoglie della martire sono attualmente nella Chiesa di S. Geremia a Venezia, dalla quale, nel 1982 furono sottratte da ignoti e poi fortunatamente ritrovate. Il tempio di S. Lucia a Siracusa fu eretto utilizzando un antichissimo tempio di stile dorico, costruito da coloni della Magna Grecia nel V secolo a.C.

 

 

129. NOTIZIE SULLA VITA DI S. PIETRO MARTIRE DA VERONA, PATRONO DI CASTROPIGNANO

 

E bene subito spiegare che patrono deriva dal latino "patronus” e significa protettore, difensore del cliente. Era l’avvocato che difendeva e proteggeva l’accusato. Nel senso ecclesiastico-cristiano assunse il significato del santo che, per sua intercessione, chiedeva al Signore grazie e il perdono del peccatore. Patrono indica anche santo che con le sue preghiere protegge da malanni e calamità varie una certa categoria di persone. Fatta questa premessa diciamo subito che il corpo santo di S. Pietro Martire è custodito nella basilica di S. Eustorgio a Milano presso Porta Ticinese. Pietro da Verona nacque nel 1205-1206 da genitori eretici (sostenitori di cose contrarie alla Dottrina della Chiesa). Uno zio di Pietro era anch’egli eretico ed avvocato difensore di eretici. Non si conosce il cognome della famiglia. C’è chi dice Rossini, chi Milani. A 13 anni Pietro venne mandato all’Università di Bologna. Il 30 Maggio 1221 S. Domenico, nel giorno della Pentecoste, predicò al popolo di Bologna. Pietro era tra gli uditori. Dopo la predica Pietro si recò al convento dei domenicani e parlò con S. Domenico. Decise allora di prendere l’abito domenicano. Il giorno dopo entrò nel noviziato. Aveva 15 anni. I parenti, benché eretici, non si opposero alla volontà del giovane.

 

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In convento ammalò. Gli si serravano i denti. Poteva appena bere. Stava per morire ma superò il male. Mangiava pochissimo e per Bolgona si parlava del giovane come di un santo. Finito il noviziato studiò accanitamente, lo si vedeva sempre con un libro in mano. Mentre studiava, pregava, avendo spesso visioni e colloqui con le sante martiri Agnese e Cecilia. Ogni volta che assisteva alla messa, nel momento dell’elevazione chiedeva la grazia del martirio per vincere l’eresia dei manichei (setta anticristiana). Gli venne affidato, dopo essere stato nominato sacerdote, il ministero della predicazione e la prima predica la tenne a Firenze. Fu tale la folla dei fedeli che nelle chiese non si trovò posto. Fu stabilito perciò che il santo predicasse nelle piazze prima del Mercato Nuovo e poi nel Mercato vecchio. Tra la folla c’era spesso un nobile giovane a cavallo, per meglio vedere e sentire S. Pietro. Ad un certo punto della predica il cavallo s’inalberò, buttò a terra il cavaliere e si avventò contro l’uditorio. Il santo gridò "Fermatevi! Nessuno si muova!” e fece il segno della croce. Il cavallo si dileguò. Si pensò a feriti gravi. Ma, miracolo, c’era stata solo paura e nessun ferito. Questo fatto fu affrescato sulla facciata dell’Ufficio del Bigello. In seguito predicò a Roma e dal convento di Bologna passò nel convento di Como. Da Como fu trasferito a Iesi, perchè accusato di parlare con donne nel convento. Erano i colloqui con S. Agnese e S. Cecilia. Il priore di Como riconobbe in seguito l’errore e l’ingiustizia a carico di Pietro. Chiese scusa e perdono a Pietro e lo richiamò a Como. Nel predicare ebbe molta grazia nel persuadere. Fu meraviglioso nel commuovere. Per la sua predicazione e per la numerosa folla fu fatta allargare Piazza S. Maria Novella a Firenze. A Como guarì malati all’istante e liberò gli indemoniati con un semplice segno della croce. Dopo la morte, molti fedeli presero acqua in un pozzo fatto scavare da S. Pietro, ricevendone grazie e guarigione. Davanti alla basilica di S. Eustorgio, con la benedizione guarì un malato di artrite a letto da cinque anni e un ragazzo muto. A Carate Brianza guarì una monaca da sette anni immobile a letto. Guarì padre e figlio da male incurabile, imponendo la cocolla (abito con cappuccio dei monaci). A Venezia guarì ancora un ragazzo muto: dopo che il santo pronunziò le parole del segno della croce, il ragazzo rispose "Amen”. A Venezia guarì una matrona ferita gravemente da una coltellata del marito. A Cesena guarì un tumore alla mano di un Cesenate. Venne in seguito nominato inquisitore e poi inquisitore generale. Con la sua parola convertì molti eretici. Più i miracoli e portenti si succedevano con frequenza, più gli eretici gli si accanivano contro.

 

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Infine a Firenze formò un esercito per difendere la fede in Gesù Cristo. In un complotto di miscredenti fu assassinato nel Bosco di Farga presso Barlassina sulla strada che da Como conduce a Milano. Secondo pitture e bassorilievi esistenti nella Basilica di S. Eustorgio, S. Pietro fu assassinato con una coltellata in testa. Così è rappresentato nella statua di Castropignano ed altre località. Osservando il teschio che viene esposto il 29 aprile di ogni anno, si constata che il Santo fu ucciso da un colpo di bastone. Non è visibile il taglio netto di una coltellata. In occasione della festa del Santo Protettore (29 aprile) per tradizione il sindaco porta in processione una reliquia del martire seguendo il sacerdote.

 

 

130. DEVOZIONE ALLA VERGINE

 

In Castropignano la devozione per la vergine è stata sempre viva e sentita. E stata da tempo antico venerata col titolo di Assunta, molti secoli prima che ne fosse proclamato il dogma. La primitiva chiesa del posto fu a lei dedicata. Ma una devozione del tutto particolare la popolazione ha per la Madonna delle Grazie per il miracolo di cui abbiamo parlato. Fin dal 1500 tale venerazione non è venuta mai meno e lo si può constatare nei mesi di maggio ed ottobre durante la recita del Rosario. In quei mesi una gran folla di fedeli si accalca nella chiesa del Convento.

 

 

131. SANTI VENERATI

 

            S. Filomena. La statua è posta nella Chiesa del SS. Salvatore. La santa vergine e martire visse e morì nel terzo secolo D.C. Le sue spoglie sono a Mugnano di Napoli. In quella cittadina molti compaesani si recavano in pellegrinaggio.

 

            S. Lucia - Si venera nella chiesetta omonima, a confine col tratturo. La santa vergine nacque a Siracusa nel 283. Morì nella stessa città nel 303 D.C. Subì il martirio per opera del console o prò console romano Pascasio. Le spoglie di S. Lucia sono a Venezia, nella chiesa di S. Geremia.

 

            S. Francesco di Paola. E il santo protettore della Calabria. Nacque a Paola nel 1416. Visse sei anni da eremita in un bosco e 25 anni alla corte di Francia. Fu strenuo difensore dei poveri contro le angherie di principi e signori dell’epoca.

 

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Morì a Tours il 2 Aprile 1507. Si venera nella chiesa del Convento. È invocato per ottenere la prole. E patrono dei marittimi della nazione italiana.

 

            S. Rocco. Fu un nobile francese, celebre per la carità e l’abnegazione nell’assistere gli appestati in Italia, dove venne pellegrino. Nacque nel 1295 e morì nel 1327. Le reliquie del santo sono nella scuola di S. Rocco a Venezia. Il Tintoretto con un ciclo pittorico (nella stessa scuola) illustrò la vita del Santo. La statua di S. Rocco è nella Chiesa Madre. Una chiesa a lui dedicata fu eretta sul fratturo, ma col passare del tempo rimase abbandonata e distrutta. Sulle mura di fondazione (pianta quadrata) fu eretto il Monumento ai caduti di tutte le guerre. I nostri antenati dedicarono verosimilmente a S. Rocco la chiesa per essere protetti dalle ricorrenti epidemie di peste che nei secoli passati colpivano la popolazione.

 

            S. Liberato. Si venera nella chiesa Madre. La statua è opera del defunto Castropignanese Raffaele Borsella. S. Liberato subì il martirio nei primi tempi del cristianesimo. Fu soldato dell’esercito romano e forse cittadino di Roccamandolfì. Fu sepolto nelle catacombe e in un secondo tempo fu portato a Napoli. Da questa città, chiuso in una bara, fu portato a Roccamandolfì il primo mercoledì di Giugno nel 1870. Del Santo parla diffusamente Eugenio Cirese nel Libro "Gente Buona”

 

            S. Luigi Gonzaga. Nacque nel 1568 e morì nel 1591. Era figlio di Ferrante Gonzaga, marchese di Castiglione dello Stiviere (provincia di Mantova). Morì a 23 anni mentre si prodigava nella cura degli appestati. E patrono dei giovani.

 

            S. Rita da Cascia. Nacque a Roccaporena di Cascia verso il 1380 e morì il 22 Maggio 1457. Fu sposa, madre e poi suora.

 

            S. Pasquale. Nacque il 17 maggio 1540 a Torre Hermosa (Spagna) e morì a Villa Reai il 17 Maggio 1592. Passò l’infanzia e l’adolescenza nella pastorizia e nella preghiera. Restò umile fratello laico esercitando i più umili uffici. Si distinse per immensa devozione a Gesù sacramentato tanto da meritare il titolo di "Serafino dell’Eucarestia”. Entrò nell’ordine francescano ma non volle ricevere il sacerdozio, ritenendosi indegno di così alto privilegio. Fu canonizzato nel 1680. La statua è posta nella chiesa del Convento.

 

 

132. IL QUADRO DI S. LEONARDO

 

Il quadro di S. Leonardo non ha nulla d’importante dal punto di vista artistico, ma molto dal punto di vista storico.

 

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È un quadro antichissimo, forse copiato da altro precedente conservato nella Chiesa Madre anteriormente al 1826. Insistiamo sulla vetustà, perchè la storia di S. Leonardo è la seguente: fu compagno di Clodoveo convertito da S. Remigio, apostolo dei Franchi ed arcivescovo di Reims (Francia). Clodoveo fu battezzato da S. Remigio e visse dal 437 al 533. S. Leonardo morì nel 559. Non si sa la data di nascita. Il quadro in parola è quello appeso sulla parete destra della Chiesa Madre, subito dopo l’ingresso. Tralasciamo di parlare di altri santi come S. Francesco, S. Antonio di Padova, S. Giuseppe e S. Giovanni Battista, perchè patrimonio di fede di tutti. Una breve notizia riguarda il quadro della Madonna del Buon Consiglio, che si venera nella Chiesa madre. Quel quadro è la riproduzione deU’immagine dipinta nella chiesa di Genazzano (Roma). In quel Santuario si sono recati più papi ed è meta di continui pellegrinaggi.

 

 

133. STORIA E NOTIZIE SULLA FRAZIONE DI ROCCASPROMONTE

 

Risalendo ad epoca storica c’è chi ritiene che Roccaspromonte (in epoca medioevale Rocca Aspro Monte) sia l’antica Tifernum, posta sulla sinistra del fiume Tifernus (Biferno). Di questa città del Sannio parla Tito Livio nel libro X cap XIV. Queste sono le sue parole: ”Igitur non fefellere hostes in occulta valle instructi, ad Tifernum quam ingres- sos Romanos superiore ex loco adoriri parabant” (Perciò non rimasero inosservati i nemici schierati presso Tiferno in una valle nascosta, che si preparavano ad assalire i Romani dalle alture circostanti appena vi fossero entrati). Da quanto afferma Tito Livio è verosimile dedurre che l’esercito Sannita era schierato e nascosto nei boschi da Roccaspromonte (Tifernum) a Castropignano, pronto ad assalire l’esercito romano appena questo fosse sceso sul Biferno passando per il fratturo che rasenta, a sud, Castropignano. Ma le avanguardie o spie dell’esercito romano scoprirono il sotterfugio; i Romani, lasciate le salmerie ”in locum tutum” (in luogo sicuro), "modico praesidio” con un piccolo presidio a difesa sulle alture di Torella e Castropignano, si scontrarono con i Sanniti nell’agro dèi nostro comune a contrada Vicenna (la contrada in parola prese nome da questa vicenda e perciò Vicenna?). Siamo nell’anno 455 di Roma o 298 a.C. Da notare che Castropignano (Palom- binum) sarà occupata cinque anni dopo nel 293 a.C. La battaglia fu di estrema violenza e con alterne vicende.

 

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L’esercito romano era comandato dal Console Romano Fabio e dai tribuni Massimo (figlio di Fabio) e Marco Valerio. Probabilmente la contrada ara Valieri prese il nome dal tribuno Marco Valerio. Può darsi anche che Fabio Massimo figlio combattè alla contrada Vicenna e Marco Valerio combattè a contrada Ara Valieri. Sul campo, secondo Livio, rimasero uccisi tremilaquattrocento Sanniti e furono prese ventitré insegne. Possiamo però pensare, senza tema di errore, che anche tra i Romani tremenda fu la carneficina di soldati e cavalieri. Ciò è tanto più vero in quanto l’esercito romano dopo la vittoria non osò assediare ed attaccare Castropignano (Palombinum) che sarà occupata cinque anni dopo questo sanguinoso evento. Ma lasciamo la battaglia e veniamo alla posizione della città. E probabile che Roccaspromonte sia l’antica Tifernum ben più estesa dell’abitato attuale, perchè, come si sa, i Sanniti popolo di pastori e guerrieri, abitavano in povere case, costruite per lo più a secco e coperte con travi, canne ed embrici. Solo edifìci pubblici, templi e tribunali erano costruiti più alla maniera greca che romana. Ma, un indizio che Roccaspromonte sia l’antica Tifernum è dato dal fatto che nel suo agro (non sappiamo con precisione dove) fu rinvenuta una statua di Minerva donata dal Duca di Oratino al Museo Nazionale Archeologico di Vienna. Inoltre nello stesso agro nel 1975 furono rinvenute tracce di pavimento in laterizio (opus spinatum).

 

 

134. L’AGRO DI ROCCASPROMONTE

 

L’agro di Roccaspromonte, anche se poco esteso, è abbastanza fertile. E posto in leggero declivio (zona sud) e riparato dalla tramontana. Per tale ragione produce ottimi cereali, vino, ortaggi e frutti squisiti. Una sola sorgente prossima al Biferno (Acque Vive) esiste ad est dell’abitato. La portata è uguale a quella della Canala di Castropignano.

 

 

135. ASPETTO DELL’ABITATO

 

L’abitato, anche se poco esteso, ha belle casette, quasi tutte costruite con pietra locale. Ad esse si affiancano case moderne fornite di ogni comodità. Il tutto sorge su uno spuntone di roccia quasi a picco sulla valle del Biferno. Da viuzze, spiazzi e strada cipranese si godono vedute panoramiche pittoresche, ampie e bellissime verso il Matese, il Biferno, la montagna di Frosolone, Busso, Monte Vairano, Oratino e S. Stefano.

 

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L’aria del posto è saluberrima e in esso predominano scirocco e tramontana. Dopo la seconda guerra mondiale sono stati realizzati edificio scolastico, acquedotto, fognature e nuovo impianto d’illuminazione. La frazione è stata inoltre collegata alla Bifernina con una discreta strada asfaltata. Per interessamento del solerte arciprete Don Alessandro Porfirio è stata artisticamente restaurata la chiesa di S. Maria della Pietà. Le feste patronali si celebrano il venti agosto in onore di San Modesto. La borgata è fornita, inoltre, di ufficio postale dal 1975. Nel secolo scorso fu soppressa l’autonomia comunale per spese eccessive rispetto alle entrate.

 

 

136. PICCOLE INDUSTRIE ARTIGIANALI SCOMPARSE

 

Fiorente fu sino al 1930 la produzione di squisite scamorze, preparate dalle famiglie Petti, Bottini e Ruta.

 

 

137. POPOLAZIONE

 

La popolazione, una volta in maggioranza assoluta era dedita all’agricoltura ed allevamento del bestiame. Tenace l’attaccamento alla terra da parte degli agricoltori di questa piccola frazione. Numerosi sono gli emigrati di questo piccolo lembo di terra molisana. Vere piccolo colonie sono negli Stati Uniti, Canada, Australia e Venezuela.

 

 

138. FAMIGLIE DI ROCCASPROMONTE

 

Le famiglie più antiche di Roccaspromonte sono certamente Ruta e Petti, come etimologicamente già esaminato. A queste si aggiungono Brunetti, Fatica, Lombardi, Meffe, Colagiovanni, Pizzi, Bottini, D’Onofrio, Colitti, Palmieri, Iannantuono, Iapaolo, Cianci ed altre. Un particolare curioso riguarda la famiglia Bottini, chiaramente di origine slavo-bulgara, perchè il dottore dell’ultimo zar di russia si chiamava Botkin (italiano Bottini?). Aggiungiamo ancora per curiosità che il Presidente della terza sezione penale di Cassazione al "processo Moro” si chiama Francesco Bottini.

 

 

139. CHIESA DI S. MARIA DELLA PIETÀ

 

Dal punto di vista storico ed artistico notevole è il portale della Chiesa di S. Maria dela Pietà, costruita nel XIII secolo. La struttura principale è stata sottoposta a diversi restauri e rifacimenti, rimanendo, per fortuna, sempre intatto l’artistico portale in stile gotico. Recentissimo il restauro dell'interno.

 

 

140. SANTO PATRONO

 

Il santo patrono della frazione è S. Modesto. Vito, Modesto e Crescenzo erano tre fratelli di origine siciliana, tutti e tre santi martiri. L’imperatore Diocleziano fu loro persecutore (244-313 d.C.). Si racconta che S. Vito guarì miracolosamente il figlio di Diocleziano. Questi, nonostante la miracolosa guarigione, fece uccidere tutti e tre i fratelli. S. Modesto fu martirizzato fra il 240 e 320 d.C.

 

 

ATTIVITÀ CULTURALI ED ARTISTICHE DI CASTROPIGNANO

 

Da circa una ventina di anni funziona un centro di lettura, diretto un’insegnante del luogo. Castropignano ebbe anche per alcuni anni, a cominciare dal 1930, un concerto musicale diretto dal Maestro Giuseppe Lozzi di Salcito. Componenti di esso furono Caperchione Camillo, Nicola Scapillati, Evangelista Comingio, Belvedere Federico, Fiorio Antonio, Borsella Giovanni, De Felice Gaetano, Trivisonno Paolo, laniero Antonio, Marinelli Antonio, Chioccio Pasquale e tanti altri. Diressero lo stesso Concerto anche i Maestri Macoretta Giovanni e Ruta Michele. Tale attività artistica si è protratta anche in Canada, con i sassofonisti Caperchione Giovanni e D’Onofrio Ascenzo. Annualmente a giugno, nella vicina frazione di Roccaspromonte, si svolge una manifestazione di pittura estemporanea intitolata "Madonnina di Argento”.

 

 

141. LE MASCHERATE TRADIZIONALI

 

Le mascherate tradizionali sono saltuariamente organizzate. Le più note e quelle di cui abbiamo potuto avere notizie sono: Zeza, i Dodici mesi e i Briganti.

 

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Tutte provengono dal teatro popolare napoletano e queste a loro volta derivano dalle feste in onore di Bacco (Dio del vino al tempo dei romani). Le feste in onore di Bacco furono importate dalla Grecia a Roma nel II Secolo a.C. Durante queste feste, che si celebravano all’inizio della primavera in occasione del primo travaso del vino, si mangiava e beveva a crepapelle in onore di Bacco (latino) o Dioniso (greco). Con i fumi del vino nella testa se ne commettevano di tutti i colori. Da questo fatto derivò "baccano e Baccanali”. Da queste feste orgiastiche, da cui derivò la parola baccano, con l’avvento del cristianesimo ebbe origine il carnevale (carnem levare, togliere la carne al primo giorno di quaresima). Così il carnevale si trasformò in una o più feste di sana allegria. Come le baccanali si festeggiavano per le strade, così anche le mascherate di carnevale dei giorni nostri si svolgono per le strade a contatto con la folla. Nel medio evq si ebbero i celebri canti carnescialeschi (scialo di carne pensando all’astinenza della quaresima). Le mascherate erano e sono sempre suonate e cantate.

 

 

142. MASCHERATA DI ZEZA

 

Pulcinella :      Zeza! Zeza! i mo iesche

                        stiatt’attiente a sta figliola!

                        Tu che sci mamma fiarre na bona scola!

Coro:               Na bona scola!

Pulcinella :      tiella bene arrenzerrata!

                        Ne la fa praticà

                        Ca chelle che nen sa ze po’ mparaie!

Coro:               Ze pò ‘mparaie!

Pulcinella :      iere sera ive ngoppa,

                        ive accenne la cannela.

                        Quille puorche Don Necola

                        sott’a re liette steva!

Coro:               Sott a re liette steva!

Zeza:              Le male che te sbatte!

                        mbaccia a se brutte nuase

                        quille eva Don Giuanne padrone de casa.

Coro:               Padrone de casa!

Zeza:               Voleva re denare de re mese passate.

                        Se n’eva pe Vecenzella ive carcerate!

 

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Coro:               Ive carcerate

Zeza:               (rivolgendosi alla figlia Vicenzella)

                        Mo te voglie fa scialá

                        che ciente nnammurate,

                        che tanta bielle giu vane e pur’accasate!

Coro:               Pur’ accasate!

Vincenzella :   Mamma! Mamma! I re voglie!

                        Voglie sule a Don Necola!

                        Che belle Giovane

                        Maiestre de scola!

Coro:               Maiestre de scola!

Don Nicola:    I nen pense chiù a legge

                        Nen ce vede pe la via

                        I pense sule a te Vecenzella mia.

Coro:               Vecenzella mia!

Don Nicola:    Mo vaglie a re casine

                        a to’ re cacafuoche

                        te facce arremané ngopp’a ste luoche!

Coro:               ngopp’a ste luoche!

Pulcinella :      Pietà! Misericordia!

                        I songhe pazziate!

                        Sta fegliola pe té iè preparata!

Coro:               Sta preparata!

 

Per questa mascherata che ancora si rappresenta a carnevale a Pomigliano d’Arco (Napoli) è necessaria una regìa del tutto particolare e i personaggi devono essere truccati esageratamente. Prima della rappresentazione bisogna spiegare che Vicenzella è innamorata di Don Nicola e Pulcinella padre non è contento del fidanzamento. La madre Zeza ha simpatia per Don Nicola, mentre Pulcinella si oppone violentemente alle nozze. Di fronte alla minaccia del fucile di Don Nicola, Pulcinella cede e dice che la sua avversione era uno scherzo.

 

 

143. MASCHERATA DEI BRIGANTI

 

1° brigante:     Caporale! Caporale!

                        sento gente da lontano!

                        sento gente da lontano!

                        Vado io a ritrovar!

 

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Il coro ripete i due ultimi versi

2° Brigante:    Caporale! Caporale!

                        Una donna ho incontrato!

                        Ai vostri piedi l’ho portata!

                        Dite che dobbiamo far!

Il coro ripete i due ultimi versi

Capo brigante: Zingarella di questo cuore,

                        stai con noi allegramente!

                        Stai con noi allegramente

                        a noi ci servi per cucinar!

Il coro ripete i due ultimi versi

Zingarella:      Io vengo subito con voi!

                        Io per te ardo d’amore!

                        Tutto il bene di questo cuore!

                        Tutto il mio bene lo dono a te!

Il coro ripete i due ultimi versi

Caporale capo brig.: Per avere i baci tuoi,

                        per venirti a ritrovare,

                        il giardino col basso muro

                        io pensavo di saltar.

Il coro ripete come al solito

3° brigante:     Per le briglie l’ho afferrato!

Signore:           per le briglie l’ho lasciato!

                        Sono povero sventurato

                        e lasciatemi passar!

Il coro ripete

Servitore:        Per pietà! Misericordia!

                        Abbandono questo signore!

                        Son fatto sotto per la paura

                        e lasciatemi passar!

Il coro ripete

4° brigante:     Guarda un po’ questo coltello!

                        Ti scorticherò la pelle

                        Ti scorticherò la pelle!

                        Siete morto e non tremar!

5° brigante:     Guarda un po’ questi miei baffi!

                        Sono baffi a cannolicchio!

                        Mo ti strappo i tuoi vestiti

                        e non farmi più arrabbiar!

 

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Il coro ripete

6° brigante:     Alto là! Dimmi chi sei!

                        Caccia oro e moneta d’argento!

                        Siete morto e non tremar!

Il coro ripete

Signore:           Per pietà signori miei!

                        E la borsa voi prendete!

                        Per la moneta che ci troverete

                        e lasciatemi passar!

Il coro ripete

Zingarella:      Disgraziato e svergognato!

                        Prepotente! Sei liquidato!

                        Adesso sei un sequestrato!

                        Questo cuore non è per te!

Il coro ripete

7° brigante:     Guarda un po’ questo mio schioppo!

                        E spara giorno sera e notte!

                        E spara giorno sera e notte!

                        E noi vogliam sempre sparar!

Il coro ripete.

 

Anche questa mascherata ha bisogno di speciale regìa con briganti truci e barbuti, tutti forniti di fucile a trombone e pistole. Alla fine dei due ultimi versi della Mascherata i briganti alzano in aria il fucile, sparano colpi di pistola (naturalmente a salve). I personaggi possono recitare a cavallo o a piedi. Un brigante deve avere un coltello lungo cinquanta centimetri con punta acuminata. Tutti i briganti debbono portare tascapane o bisacce, scarpe chiodate da montagna, cappello a punta e mantelli a ruota neri. Alle gambe debbono avere parastinchi ("stinchinere”). Alle parole "sera e notte” tutti i briganti insieme e nello stesso istante debbono sparare. Il regista deve studiare tutti gli altri particolari comici e drammatici.

 

 

144. I DODICI MESI

 

I so’ iennare che la petatora

e ceche l’uocchie a tutte re pecriare,

e ceche l’uocchie a tutte re pecrare

a chi astema re mese de iennare.

 

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Venga la freve a chi febbraie me chiama!

Io sono il capo della primavera!

E se re mese mia fusse de tutte

faciarria ielà le vine dent’a la votte.

I so’ marze co la mia zappetta,

che pane e vine facce il mio digiuno

e nen t’ennammurà del mio fumette,

io faccio la mancanza de la luna.

I so’ aprile co le mie violette

faccio fiorire il monte e ogni vallone!

Aprile allora fa un bel mazzetto

e lo regala a ste belle uaglione.

Io sono maggio il mese di tutti!

Ho la nzalata fresca ogni momento!

La gente sona e canta e tira viente!

Pure re ciucce stanne allegramente!

I so’ giugne che re carré rutte!

Tira re carré e sarchie la maiese!

Mena chempagna meia ca mo è assutte,

se nen ve n’acqua è perza ogne spesa.

Io so’ luglie che la favecetta,

e mete grane sempe fretta fretta.

Nen manca mia la fiasca e saveciccia

e la carne pe la vocca me ze mbiccia!

I so’ agosto che la malatia

m’è stata urdenata na gallina!

re miedeche m’ha data na supposta

scusate pe la faccia vostra.

Io so’ settiembre che la fica moscia!

L’uva mescatella mo zè fenita!

Se quacche donna paté de paposce

ce vo na cosa chiatta e passa lisce!

I so’ ottobre buon vellegnatore.

Mo me voglie fa na velegnata

Me voglie fa na votte de mescate!

Na bella moglie che ne liette frische.

I so’ novembre buon seminatore

mo me la voglie fa na seminata!

I voglie semina per questi uccelli

e un altro po’ per queste donne belle.

 

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I so’ decembre so bianche sovrano!

A le sei iè santa Necola

le venticinque iè Nostro Signore!

Accide puorche senza ave dulore.

 

La mascherata deve avere spettacolarità di abbigliamento altrimenti cade in una banalità. Gennaio deve avere un grosso mantello a ruota un grande cappello, una lunga sciarpa attorno al collo, un lungo bastone da pecoraio nella sinsitra ed un "potaturo” nella mano destra. Attrezzi e indumenti devono essere esageratamente grandi. Può essere vestito con giacca di pelle di capra senza maniche, calzoni di pelle di pecora lunghi fino al ginocchio, bastone lunghissimo e grande ”potaturo”. Febbraio deve essere rappresentato da un uomo alto, magro e che trema per il freddo (tremarella continua). Deve essere bianco in viso. Marzo deve essere vestito da contadino con ”stinchiniere” e scarpe sporche di fango. Deve avere lunga zappa, intera "pizza di granone” e fiasca di vino o "peretto”. Aprile deve essere coperto interamente di fiori, deve avere un grande mazzo di garofani e rose in mano ed altri fiori nei capelli, in tasca, sulla giacca e nei calzoni. Maggio deve tenere sulle spalle un fascio di fieno e grosso falcione. Giugno si rappresenta con moglie e marito contadini con grandi bidenti, coi quali fanno finta di sarchiare. Luglio si rappresenta con contadino munito di falce, "cannelle” alle dita, "manicone” di pelle di pecora, camicia con maniche rimboccate, pagnotta di pane intero e capo di salsiccia. Agosto deve essere rappresentato con grossa supposta (lunga quaranta cm.) Settembre è rappresentato con grappoli di uva e "scerte” di fichi secchi. Ottobre viene rappresentato da due sposi con un barile sotto il braccio ed un asino con le bigonce. Novembre è un seminatore con sacchetto di grano e grembiule di lino, deve far finta di seminare e lanciare grano verso belle ragazze e la più brutta donna in vista. Dicembre porta a tracolla tre o quattro capi di salsicce, cotiche, piedi di maiali e vesciche di sugna. Deve portare in mano un piccolo presepe ed una statuina o figura di S. Nicola. I personaggi della mascherata devono essere vestiti col costume locale. Tutta la sceneggiata deve essere accompagnata da coro di giovani e ragazzi e suono di diversi strumenti.

 

 

145. CONSIGLIERI PROVINCIALI DI CASTROPIGNANO

 

Michelantonio Borsella 1861-86

Sardella Antonio 1952-56

Carmosino Nazario 1970-74

 

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CIPPO FUNERARIO

 

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146. UOMINI DI SPICCO DEL PASSATO

 

            Michelantonio Borsetta. Nacque a Catropignano nel 1818 e morì nel 1905. Era il più ricco proprietario di Castropignano. Fu coltissimo e intelligente avvocato. Scrisse "Storia di Castropignano e del suo governo feudale”. Fu per circa un quarto di secolo consigliere provinciale dopo il 1860. Era proprietario dell’intera contrada Covatta, oltre Vicenna, Carpineto, S. Lucia e Coste.

 

            Nicola Venditti. Discendente di una famiglia di valenti professionisti. Dopo aver conseguito la laurea in scienze agrarie, fece carriera nel Ministero dell’Agricoltura, finendo col grado di Ispettore Forestale della Sila. Nel 1921 pubblicò ”La Sila nel suo sviluppo economico e turistico”. Suo discendente (vivente) è il figlio Ing. Mario, residente a Roma.

 

            Giacomo Rosario Venditti. Figlio del maestro Giuseppe Venditti. Iniziò la carriera come Ufficiale di Finanza e la terminò col grado di Colonnello. Lasciò due figlie Tilde ed Egle, sposate in Romagna.

 

            Giovanni Borsetta. Discendente da nobile famiglia, rinunziando a beni e luogo nativo, dedicò tutta la sua vita alla professione di medico di bordo. La sua esistenza trascorse assistendo i nostri emigrati sulle navi che collegavano Argentina e Brasile con l’Italia.

 

            Gennaro Evangelista. Fu per più di venti anni Sindaco di Castropignano. Laureato in legge e farmacia all’università di Napoli, fu fervente sostenitore del partito socialista. Per la sua intelligenza e cultura fu soprannominato "Marconi” (dal nome di Guglielmo Marconi). Suoi eredi sono attualmente ad Almese (Torino) a Castropignano (Rag. Osvaldo Evangelista) e in Canada (Maria e Gennaro Evangelista).

 

 

147. CITTADINI ONORARI DI CASTROPIGNANO

 

            Tomasino D’Amico, nativo di Duronia. passò gli anni della giovinezza a Castropignano e gli ultimi della sua vita a Roma. Iniziò la sua carriera nella Pretura di Castropignano e la terminò a Milano come presidente del tribunale dei minorenni. Nel 1921 fu eletto consigliere provinciale. Ebbe inoltre qualità di pubblicista e scrittore. Di lui rimangono "Vita di Cilea” e "Come si ascolta l’opera”.

 

            Gilda Pansiotti D’Amico. Pittrice di fama internazionale. Cittadina onoraria di Castropignano per attaccamento al nostro borgo e per aver dipinto scene e personaggi della nostra regione.

 

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Partecipò alle più importanti mostre di pittura nazionali ed internazionali. Un panorama di Castropignano fu acquistato dall’Ambasciata Italiana di Berlino, prima della seconda guerra Mondiale.

 

 

148. LE MAITENATE

 

Il significato di "maitenate”, che alcuni interpretano malamente, è in verità molto semplice e in italiano indica mattinata. Si chiama ”maite- nata o mattinata”, perchè è un augurio suonato e cantato che si rivolge ai cittadini nei primi minuti del nuovo anno, cioè nella mattinata ( e perciò mattinata). C’è chi afferma che "maitenata” significa ”mai intonata”, perchè chi la fa, stona per il vino bevuto... ”Le maitenate”, ormai andate in disuso, si svolgevano nel modo seguente: passata la mezzanotte del vecchio anno, un gruppo di vecchi e giovani, con canti e musica si recavano davanti alla casa di ogni famiglia per gli auguri dell’anno nuovo. Naturalmente per fare il giro del paese si arrivava alle prime ore della mattinata (maitenata). A Capodanno mattina, verso le nove, il gruppetto di suonatori e cantanti si schierava nella piazza della Chiesa Madre (al termine della prima messa) e sempre con canti e musica riceveva libere offerte. Un ragazzo con un vassoio, al di sopra del quale spiccava un’arancia con monete conficcate nella buccia, raccoglieva le offerte. L’arancia, o grossa mela, simboleggiava il mondo, ”un mondo di soldi”... Queste sono le strofe che più si ricordano. La ”maite- nata” cominciava con la seguente frase pronunciata a squarciagola: "Facce na maitenata a... (nome della persona) che re bon dì, che re bonanne e che re buone capedanne”!

 

I so venute da lontane parte!

I so venute da lontane parte!

Per ritrovare a voi!

Per ritrovare a voi!

Per ritrovare a voi in questo loco!

Aveva da meni e so’ menute!

Aveva da meni e so’ menute!

Per salutare a voi!

Per salutare a voi!

Per salutare a voi pe l’anno nuove!

Scusate ca re cante è troppe poche!

 

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Scusate ca re cante è troppe poche!

Avema i cantà!

Avema i cantà!

Avema i cantà a un altro loco!

 

 

149. CANTI DI LAVORO

 

Una volta molti braccianti castropignanesi si recavano in Puglia a mietere il grano nei latifondi. Era certamente questa una consuetudine di tempi lontanissimi! I nostri avi si recavano nel Tavoliere per guadagnare qualche piccola somma di denaro in attesa che maturasse il grano delle nostre colline. Finita la mietitura in Puglia, iniziava quella delle nostre terre. Per alcuni la Puglia era rappresentata dalle piane di Larino. Spesso però si raggiungevano anche i dintorni di Foggia, S. Severo e Lucerà. Questi erano i canti di chi andava (mariti e fidanzati) e di chi restava (moglie e fidanzate).

 

Re patrone mia ne le sente

e nen porta la fiasca a l’anta!

Contr’a re patrone mia me lamente

ca nen porta la fiasca all’anta!

Zitte patrone mia nen te lagniaie

ca chelle che nen ze fa uoie ze fa demane!

E re patrone mia nen ze le fa dice

porta la fiasca a chiste amice!

Tenghe na favecetta che nen pesa n’onza

e la sera me fa i manze manze.

Patrone mia tuoglie la fiasca

Ch’é arreviata l’ore de la merenna.

Iecchela, iecchela mo ze ne vè

la patrencella meia stella lacerne.

La via ie deventata rosa spina

Miez’a la piazza la verria chiantaie!

Vurrìa che ce passasse l’amore mia

e pe la gunnella la vurria acchiappà!

Chella z’arrevota e dice mamma mia

chesta spina nen me vo lascià!

Tuortera che sei perza la chempagna

 

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tutte re iuorne via malenculosa.

Truove nuarbere sicché e t’arrepuose,

trove na fentanella e là t’abbuvere.

E là te vive l’acqua trevedosa!

Che m’ha fatte giugne tradetore

L’amore mia ‘n Puglia l’ha mandate!

Mena, mena boira de marina!

Renfresca l’amore mia donda camina!

Sapesse donda mete e donda suda

mó ce la pertass l’acqua fresca!

Tu renanella che sbracche mare,

ferma che t’aggia dice na parola,

verria sceppà na penna a se tue ali,

pe scrive na letterina a re mia amore!

Tutta de sanghe la vurrìa stampare

pe gioia e seggille del mie amore.

 

Queste cantilene ed altre di cui si è perso il ricordo, più che altro erano dei tristi, dolorosi e nostalgici lamenti che riecheggiavano da contrada a contrada nell’ora della massima calura estiva.

 

 

150. DISTANZE DI CASTROPIGNANO DALLE MAGGIORI CITTÀ ITALIANE

 

Campobasso Termoli Ancona Bologna Verona Trento Bolzano Brennero km 870

Campobasso Benevento km. 84

Benevento Foggia km 110

Campobasso Benevento Caserta Napoli km 181

Campobasso Termoli Foggia Bari Brindisi Taranto Metaponto Reggio Calabria km 955

Messina Siracusa km 184

Messina Palermo km 232

Palermo Catania km 343

Siracusa Caltanisetta km 300

Castelvetrano Agrigento km 137

Campobasso Termoli Pescara km 178

Campobasso Isernia Napoli km 184

Campobasso Isernia Cassino Roma km 247

Roma Firenze Bologna km 413

 

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Bologna Milano km 219

Milano Torino km 153

Milano Genova km 153

Genova Torino km 169

Venezia Trieste km 157

Ancona Rimini km 94

Termoli Ancona km 236

Rimini Ravenna Ferarra km 124

Ferrara Padova km 76

Padova Venezia km 37

 

 

151. NOTIZIE FRAMMENTARIE RELATIVE ALLA STORIA DI CASTROPIGNANO

 

1634 - Nevicò il 30 Settembre e piovve dal 3 al 19 ottobre.

 

1656 - Il terremoto fa crollare la volta della Chiesa di S. Maria delle Grazie.

 

1675 - Angelo Antonio De Molinariis - sacerdote o benefattore - fa riparare il portale della chiesa di S. Maria delle Grazie, e costruire gli speroni della stessa. I lavori terminano nello stesso anno. Filippo Criscuolo pittore napoletano dipinge alcuni quadri della chiesa.

 

1707 - Duca Domenico D’Evoli fa costruire a proprie spese il convento attiguo alla Chiesa. Costruttori sono Michele Colangelo e Vincenzo Gallo di Fossalto.

 

1816 - Sulla parete ovest esterna della Chiesa madre viene murata una lapide con la seguente scritta: Coepit die IX Maias A. 1816 D. a Berardino de Francisco Pese. "Ebbe inizio il 9 maggio dell’anno del Signore 1816 per opera di Berardino De Francesco di Pesche (o Pescopennataro?).

 

1861 - Con regio decreto viene istituita la Stazione Carabinieri di Castropignano (24 Gennaio). Già esistevano la Pretura e il carcere di epoca borbonica. Precedentemente esisteva la gendarmeria borbonica e quella ducale! In epoca romana esistevano i tribuni e in epoca sannitica i giudici, detti meddices tutici.

 

1864 - Viene istituito l’Ufficio Postale (gestione privata). Nel 1952 diventa Ufficio Statale.

 

1901 - Viene istituito l’ufficio telegrafico.

 

1920 - Viene istituito l’ufficio telefonico. L’ufficiale postale parla con telefono fissato al muro.

 

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Chi assiste per primo alla scena commenta: "Mamma Mia! Don Pasquale è impazzito! Parla con una trombetta vicino al muro!”.

 

1900 - All’illuminazione a petrolio si sostituisce quella elettrica. Qualcuno esclama "Compare, come caspita fa a camminare il fuoco dentro un filo di ferro!”. In chiesa viene celebrato un solenne ”Te Deum” di ringraziamento per la fine dell’ottocento e l’inizio del secolo decimonono.

 

1915-1918 - Nella prima guerra Mondiale Castropignano subisce perdite gravissime per morti, feriti, mutilati.

 

1940-1945 - Nella seconda guerra mondiale molti castropignanesi sono fatti prigionieri, pochi i morti sul campo di battaglia. Molte, rispetto alla popolazione, le vittime civili, oltre feriti e invalidi.

 

 

152. ELEZIONI PER IL PARLAMENTO EUROPEO - 1984

 

Democrazia Cristiana Voti 347

Partito Comunista ” 186

Partito Socialista ” 167

Movimento Sociale ” 21

Democrazia Proletaria ” 14

Partito Radicale ” 7

 

 

153. CARESTIE, TERREMOTI, PESTE, COLERA, SPAGNOLA

 

1349 - Terremoto

1456 - Terremoto e alluvione. Piove per nove giorni di seguito

1503 - Peste

1583 - Brigantaggio

1656 - Peste

1688 - Terremoto

1764 - Carestia e peste

1794 - Terremoto

1805 - 26 Luglio - Terremoto

1806 - Abolizione del feudalesimo. Istituzione della Provincia di Molise

 

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1808 - Brigantaggio

1837 - Colera

1861-1863 - Brigantaggio

1879 - Carestia

1883 - Terremoto

1904 - Terremoto e frane - Grande frana nell’agro. La contrada colpita prende il nome di Fragneto o meglio Franeto.

1911 - Colera

1913 - Terremoto

1917 - Spagnola

1930 - Terremoto

 

 

154. NOTIZIE STORICHE DAL VII SECOLO A.C. AL XIX SECOLO D.C.

 

VII secolo a.C.: Inizia il processo di ellenizzazione degli italici (popolazioni autoctone) abitanti del Sannio pentro, perchè vengono a contatto, attraverso i fratturi con i Greci della Magna Grecia (di Taranto) e per vie ordinarie con i Greci di Napoli, per ragioni commerciali. Questo processo subiscono tutti i comuni del Molise e in special modo quelli confinanti coi fratturi. IV Secolo a.C.: I Sanniti occupano la Campania (Cuma, Napoli, Pompei e prima di tutti questi centri, Capua).

 

IV-III Secolo a.C. Guerra tra Romani e Sanniti e capitolazione di questi ultimi. Palombinum (Castropignano) si arrende senza combattimento, perchè le località circostanti erano già state occupate dai Romani. Vana sarebbe stata la resistenza al nemico.

 

I Secolo a.C. I Romani costruiscono la Statio ad Canales, specie di accampamento e luogo di riposo delle legioni romane, la Fonte della Canala ed un tratto di strada al di sotto di contrada Carpineto. Per volontà dell’imperatore Adriano viene costruito un ponte - probabilmente di quattro o cinque arcate - sul Biferno, in corrispondenza del fratturo Lucerà Castel di Sangro per consentire.il passaggio delle, greggi. Il ponte in muratura fu costruito perché il ponte di legno del Tivone subiva annualmente gravi danni per le piene invernali.

 

IV Secolo d.C. Comincia a diffondersi il cristianesimo.

 

V secolo finisce la dominazione romana.

 

VII Secolo. In Castropignano si stabilisce una colonia di Bulgari provenienti dal Volga (Russia)

 

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1000 - In Castropignano si parlano due lingue: volgare e bulgaro.

 

1000-1200. Viene eretto il castello su ruderi di fortezza sannita e le chiese di S. Nicola e S. Salvatore. La torre di epoca romana, già mezzo diroccata, viene adattata a torre campanaria. Nello stesso tempo va in completa rovina (e non verrà più ricostruita) la torre di epoca osca, sita nelle immediate vicinanze del Calvario. Si costruisce, su ruderi di una primitiva chiesa, la chiesa Madre. Questa, abbattuta perchè gravemente danneggiata per terremoti, verrà ricostruita ed ampliata nel 1827.

 

Nel 1200 Castropignano è ancora arcipretura nullius e protonotariato apostolico (titolo riconosciuto dai primi pontefici).

 

Nel 1500 si costruisce la chiesa di S. Maria delle Grazie a spese del Duca Vincenzo D’Evoli che in essa viene sepolto. Viene costruita la torre dell’orologio su altra precedente.

 

1600. Viene ampliato fortificato e restaurato il castello.

 

1700. Si costruisce il convento in adiacenza alla chiesa di S. Maria delle Grazie.

 

1800. Si costruisce la strada rotabile Garibaldi (1870) Michelantonio Borsella, colto avvocato e facoltoso proprietario terriero di Castropignano, scrive la storia di "Castropignano ed il suo governo feudale”.

 

 

155. ORIENTAMENTO DELL’ABITATO DI CASTROPIGNANO RISPETTO AD ALCUNE CITTÀ ITALIANE E STRANIERE

 

NORD - S. Angelo Limosano - Fiume - Lubiana - Praga - Berlino

SUD - Roccaspromonte - Nocera Inferiore - Sicilia - Malta -Tripoli

EST - S. Stefano - Foggia

OVEST - contrada Serre - Isernia - Roma - Barcellona - Madrid

SUD Ovest - Cagliari

NORD Ovest - Milano - Parigi

NORD Est - Vienna - Belgrado - Budapest - Mosca

SUD Est - Campobasso - Atene - Rodi - Gerusalemme

 

 

 CONGEDO

 

Credo di aver fatto cosa gradita pubblicando questa storia di Castropignano. Certamente sarò incorso in alcune inesattezze.

 

163

 

 

In più parti ho espresso congetture mie personali, ma studiando a fondo la storia potrebbero risultare più che probabili. Ma come si sa, chi non fa non sbaglia ed anche in questo è lodabile, presumo, la buona volontà di fare qualcosa per la propria terra. Fonti principali della storia del Sannio (Molise) e del nostro paese sono "Castropignano ed il suo governo medioevale” di Michelantonio Borsella; "Storia di Castropignano” dell’arciprete Tirabasso di Oratino, "L’antico Sannio e l’attuale provincia di Molise” di Alfonso Perrella di Cantalupo del Sannio e "Memorie Historiche del Sannio” di Giovanni Vincenzo Ciarlanti di Isernia. Sulla scorta di una riflessione di Orazio si tenga presente che:

 

”omne tulit punctum qui miscuit utile dulci lectorem delectando, pariterque monento”

(ottiene la generale approvazione chi unisce l’utile al dilettevole, divertendo e istruendo al tempo stesso il lettore).

 

Plinio invece dice che:

 

"nullus est liber tam malus ut non in aliqua parte prosit

("Non esiste libro tanto cattivo che non possa in qualche parte giovare”).

 

Per tutto ciò che in questa storia ho studiato e scritto, sono sicuro che le future generazioni saranno orgogliose del passato della nostra terra e si faranno sempre più onore, come per il passato, nel campo dello studio e del lavoro.

 

Raffaele Sardella

 

 

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    BIBLIOGRAFIA

 

 

MICHELANTONIO BORSELLA, "Storia di Castropignano e del suo governo feudale". Tip. Colitti - CB.

 

G. V. CIARLANTI, "Memorie historiche del Sannio", Ed. Forni - Bologna.

 

TITO LIVIO, ”Storia di Roma", Ed. Nerbini - Firenze.

 

A. PERRELLA, ”L’Antico Sannio", Ed. Forni - Bologna.

 

A. TIRABASSO, "Breve storia di Castropignano", Tip. Tirabasso - Oratisso.

 

A. TROMBETTA, ”Arte medioevale nel Molise", Ed. Cassa di Risparmio Molisana - CB.

 

V. D’AMICO, ”I Bulgari trasmigrati in Italia nei secoli VI e VII dell’Era Volgare", Tip. Petrucciani - CB.

 

 

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