«Castropignano». Studio sugli aspetti storici, folkloristici, sociali ed economici di un comune del Mezzogiorno

Raffaele Sardella

 

Alla memoria di

mio padre caduto sul lavoro

(I.)

 

      Introduzione

  1. Un balcone sul Biferno  17

  2. Castropignano dalle origini ai nostri giorni (sintesi)  17

  3. Stemma  18

  4. L’agro  18

  5. Origine del nome  19

  6. Origine dell’abitato e suo sviluppo urbano  20

  7. I Bulgari di Castropignano  21

  8. Tracce di costumanze bulgare d’Abruzzo e Molise  22

  9. Famiglie di origine bulgaro-slava  24

10. Aspetto dell’abitato  24

11. La croce dell’Ascensione e colomba della Pentecoste  25

12. I confinati  26

13. La croce sul pagliaio  26

14. La leggenda di Fata  26

15. La scurdia  27

16. Il fuoco santo  27

17. Superstizioni e fatture  28

18. La ”tassa”  28

19. La leggenda del latte  29

20. La "capellera”  29

21. Storici che parlano del Sannio  30

22. Cenni storici della famiglia D’Evoli e del Castello di Castropignano  30

23. Agricoltura  31

24. Flora  35

25. Il Biferno  37

26. Fauna  38

27. Allevamento di animali domestici  39

28. Arcipreti di Castropignano  39

29. Sindaci di Castropignano  40

30. Storia dell’agro di Castropignano  41

31. Elogi di Castropignano  42

32. Iscrizioni su chiese ed edifici pubblici  42

33. "Palazzo Castropignano”  45

34. Danni di guerra  46

35. Il miracolo della Madonna delle Grazie  47

36. Miracolo sul Biferno  47

37. Castropignano e la politica  48

38. Il sapere  50

39. Il mio piccolo paese (Blaga Dimitrova)  50

40. Condizioni meteorologiche  51

41. Condizioni igienico sanitarie  51

42. Carattere geologico dell’agro di Castropignano  52

43. Materie prime per industrie  52

44. Livello massimo di piena del fiume Biferno  53

45. Altitudine sul mare di alcune contrade e località circostanti  53

46. Precipitazioni atmosferiche  54

47. Rotte aeree che attraversano l’agro di Castropignano  54

48. Sorgenti di acqua potabile  54

49. Il fratturo Lucerà Castel di Sangro  55

50. Notizie sul Castello o "Palazzo” di Castropignano  59

51. Etimologia di alcune contrade di Castropignano  60

52. Classi sociali  64

53. Conclusione sulle classi sociali del paese  65

54. Origine della denominazione di rioni e vie del paese  66

55. Proverbi e detti  68

56. Interpreti di lingue straniere  76

57. La trota del colle  76

58. Maschera sul portone di Meffe Liberato  76

59. Il costume di Castropignano  77

60. Storia della famiglia Luciani trasferita da Castropignano a Montenero di Bisaccia (CB)  78

61. Papa Giovanni Paolo 1° (Albino Luciani)  78

62. Due disegni storici di Castropignano  78

 

 

... fatti non foste a viver come bruti

ma per seguir virtute e conoscenza.

 

Dante - Inf. Cant. XXVI--119-120

 

 INTRODUZIONE

 

Un detto afferma che casa tua può sostituire il mondo ma il mondo giammai casa tua. Nessuna grande città europea o americana potrà mai sostituire quella tua povera casetta dove crescesti nell’affetto insostituibile dei tuoi genitori. Ti struggerai di nostalgia e farai di tutto per ritornare. E una volta ritornato trovi più luce, più aria, più felicità e tanta gente che veramente ti comprende. Ritrovi i cibi che più ti piacciono ed il vino tutto fuoco del cielo sereno e del sole d’Italia. Perciò, amiamo di più il nostro paesello, la terra che ci ha dato muscoli per lavorare, intelligenza per capire e lottare, e cuore per amare!

  

1. BALCONE SUL BIFERNO

 

Con questo appellativo può indicarsi Castropignano, piccolo paese del Molise, sito a 620 metri sul mare in Provincia di Campobasso. Proprio a guisa di balcone l’abitato si affaccia sulla valle del Biferno da un poderoso costone roccioso. Da questa caratteristica altura si gode una varietà di pittoresche vedute panoramiche.

 

 

2. CASTROPIGNANO DALLE ORIGINI AI NOSTRI GIORNI

 

Castropignano fu fondata (presumibilmente) agli albori della civiltà e più precisamente nell’età del ferro da pastori di origine italo- ellenica. L’abitato sorse su due colli per ragioni di difesa e di sicurezza. Le prime rudimentali abitazioni furono costruite sul "Colle” e sulla ‘Trivecchia”. Al posto del Castello sorgeva una fortezza, nella quale in caso di pericolo si raccoglieva la popolazione per una estrema difesa. Al tempo dei Sanniti e dei Romani il paese era circondato da mura, con porte principali e secondarie. Esse andarono distrutte col volgere dei secoli per farne abitazioni e quando l’uomo, col progresso, ebbe migliori armi di difesa. Nel 294 A.C. Castropignano (Palombinum del libro X cap. XLV della Storia di Roma di Tito Livio) fu occupata dal Console romano Lucio Spurio Carvilio e prese il nome latino di Castrum o Castra Pineani. È chiaro che il nostro paese durante circa ottant’anni di guerre tra Sannio e Roma si trovò per la sua posizione al centro di rovine e sanguinosissimi combattimenti. Sempre però risorse dalla sua ferrigna roccia. I Romani portarono schiavitù e tasse "ma mai riuscirono a fiaccare l’indomita stirpe dei nostri avi”. Sino a pochi anni dopo la venuta di Gesù Cristo i Romani ancora temevano rivolte dei Sanniti e probabilmente erano frequenti le imboscate. Ciò è dimostrato dalle poderose mura che recingono la Sepino romana (Altilia di Sepino). Da chi potevano essere assaliti i Romani in epoca imperiale (principio del primo secolo D.C.)? Soltanto dai Sanniti. Essi-Sanniti Pentri - diventarono in sèguito per la loro forza e coraggio, prima gladiatori e poi "cittadini Romani” e con i loro soldati contribuirono ad estendere l’impero di Roma. Con tutta probabilità la fede in Gesù arrivò tra i nostri avi direttamente da Roma per mezzo dei legionari Sanniti e Romani convertiti alla nuova religione. Questa fu saldamente accolta e gli stessi barbari, Longobardi, Normanni e Bulgari, ne furono attratti.

 

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Sino al 1000/1200 Castropignano dipese direttamente dalla Santa Sede. In seguito passò alle dipendenze della diocesi di Trivento.

 

Dopo la caduta dell’Impero Romano, Castropignano ospitò una colonia di Bulgari del condottiero slavo Alczeco. In tale occasione fissò la sua dimora nel nostro paese un archimandrita (capo dei sacerdoti) bulgaro. Da questo fatto derivò una specie di extraterritorialità di Castropignano. Chi entrava nel nostro paese dai paesi limitrofi non poteva essere più punito per un qualsiasi reato. Per questa ragione sorse la denominazione di Castropignano dei Bulgari e il detto

"Castropignan dei Bulgari, ricetto d’infami antico. Porta in trionfo il vizio e d’ogni virtù è nemico”.

”Di conseguenza dal secolo ottavo e sino al 1000 si parlarono in Castropignano due lingue: volgare e bulgaro."

Nel 1144 fu feudatario del paese un certo Guglielmo; il preciso cognome si ignora perché di quei tempi si lasciava il cognome di famiglia e si prendeva quello del luogo di dominazione. A Guglielmo succedeva Vito di Castropignano che, privo di discendenza maschile, dava la prima figlia Tomasia a Petrillo Minutolo e la seconda, a nome Claricia, a Giovanni D’Evoli, barone di Frosolone, il quale, venuto a lite col Minutolo, rimaneva barone di Castropignano dopo averne pagato il prezzo. ”La famiglia D’Evoli ottenuto in seguito il titolo ducale dominò Castropignano fino alla sua estinzione (1800).

 

 

3. STEMMA DI CASTROPIGNANO

 

Stemma deriva dal greco "stemma” e vuol dire corona, serto di cui erano cinti i ritratti degli antenati. Lo stemma di Castropignano è costituito da tre torri circondate da muro con una porta. Ai lati di questa fortezza triturrita spiccano due lettere latine C.P. Queste indicano certamente Castrum Pineam come detto innanzi. La riproduzione più antica dello stemma di Castropignano si trova nella chiesa di S.S. Salvatore e precisamente sul piedistallo della colonna dell’acquasantiera, posta a sinistra, dopo l’entrata. Le tre torri indicano le tre fortezze di Castropignano antica e cioè Trivecchia, Colle e Castello.

 

 

4. L’AGRO DI CASTROPIGNANO

 

L’agro del Comune di Castropignano comprende pianori: Vicenne e Cerreto; dorsali e colline: Orto nero, Campo Pagliariello,

 

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Colle Pignatello, Tivone e Colle Gioiese; e rocce maestose: Cantone La Guardia, Cantone La Fata, Cantone Giorgione, Cantone Petrillo e Pesco del Corvo. Tutto l’incanto di questo aspro lembo di terra molisana desta particolare suggestione nel paesaggio di fine maggio. Specialmente allora, dalle Coste, dal Castello, dalla Fratta, dalle torri Campanaria e dell’Orologio, dalla Trivecchia ed altri posti ancora si offre all’occhio del turista uno spettacolo superbo di bellezze naturali.

 

 

5. ORIGINE DEL NOME CASTROPIGNANO

 

Il nome Castropignano compare per la prima volta nei cedolari angioini del 1320. L’archeologo molisano Michelangelo Ziccardi sostiene che la Castropignano di oggi è l’antica Palombinum di cui parla Tito Livio nel libro X cap. XLV della Storia di Roma a proposito delle guerre sannitiche. Lo stesso Ziccardi avvalora la sua tesi spiegando che Palombinum in lingua osca o sannitica indica fortezza. Che Castropignano fosse un luogo fortificato è dimostrato da mura megaliriche esistenti a ridosso del Cantone La Fata, dalla posizione naturale del paese e da resti di mura di epoca sannirica nelle immediate vicinanze del Castello (lato nord-ovest). Tito Livio così descrive la conquista di Palombinum (anno 459 di Roma - 294 A.C.) ”Carvilius iam ceperat Veliam [1], Palombinum et Herculaneum [2] ex Samnitibus Veliam intra paucos dies, Palombinum eodem quo accessit ad muros” - Carvilio aveva già occupato Velia, Palombino ed Ercolaneo tra i’Sanniti, Velia, in pochi giorni, Palombino nello stesso giorno in cui si avvicinò alle mura ”Da quanto scrive Tito Livio, Palombino (Castropignano) aprì le porte ai Romani senza opporre resistenza. Castropignano, per essere circondata da mura e per la sua posizione naturale, non poteva nel modo più assoluto essere presa con una sola giornata di assedio. Si deve perciò arguire che gli abitanti si arresero senza combattimento a causa del gran numero dei morti delle guerre precedenti o perchè ritennero che, dopo la caduta di Ercolaneo e Velia, località fiancheggianti Palombino, inutile sarebbe stata una ulteriore resistenza.

 

 

1) Velia: Torcila del Sannio? Casalciprano? S. Angelo Limosano?

 

2) Herculaneum: Campobasso? Oratino?

 

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Secondo alcuni studiosi Castropignano attuale sarebbe derivazione di Castra Pinaria, secondo altri Castra Pugnarum. Castra Pinaria starebbe ad indicare fortezza o abitati fortificati difesi e governati da militari romani della famiglia Pinaria, Castra Pugnarum designerebbe luoghi fortificati (castra) che furono punti di sanguinosi scontri (pugnarum) tra Sanniti e Romani. La scritta [3] che accompagna un antico disegno di Castropignano, eseguito da Zagomo Iacovone frate celestino da Limosano, parla di "Castrum Pineani console sannita”. Si potrebbe allora concludere che Castropignano si chiamava Palombinum in epoca sannita, Castrum Pineani al tempo dei Romani e Castro Pignano nel medioevo. Ai fini documentativi si aggiunge che nell’archivio parrocchiale della Chiesa Madre di Castropignano esiste il "Liber baptizzatorum a me Carolo Borsella economo curato huius oppidi Castri Pineani inceptus anno 1840 "Registro dei battezzati da me Carlo Borsella economo curato di questo paese, iniziato nell’anno 1840”. Siccome la Chiesa ha adoperato sempre la lingua latina nei suoi atti, anche i sacerdoti precedenti il detto parroco Borsella, dovettero adoperare la lingua latina e per tradizione scrissero sempre Castrum Pineani. Ultima ipotesi perciò circa l’origine di Castropignano è quella tramandataci dal registro parrocchiale e la notizia di Pineano console sannita. Probabilmente i Romani abolirono il nome di Palombinum e diedero all’abitato il nome di Castrum o Castra Pineani (fortezza di Pineano). Col tempo Pineano si trasformò in Pagnano e Pignano e infine Castro Pignano. Per semplice curiosità si chiarisce che probabilmente discendenti del console sannita Pineano potrebbero essere i Pagnano, famiglia di Castelpagano (sannio beneventano), oggi residenti a San Jose 3510 Cuesta et California U.S.A.

 

 

6. ORIGINE DELL’ABITATO E SUO SVILUPPO URBANO

 

Con molta probabilità si può affermare che i paesi a confine con i fratturi dell’Abruzzo e del Molise furono fondati da pastori elleno san- nitici stanchi della loro vita nomade. Questi lasciarono la pastorizia e si dedicarono all’agricoltura, come oggi si lascia l’agricoltura per l’industria. Lasciando la prima attività si unirono alle tribù indigene.

 

 

3) La scritta esplicativa di un antico disegno di Castropignano conservato dalla defunta Sig.ra Ciamarra Carmela, di madre castropignanese, parla di "Castrum Pineani console sannita”.

 

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A tale proposito l’archeologo Valerio Cianfarani nella sua "Guida alle antichità di Sepino” dichiara quanto segue:

 

”...e i pastori infatti, nel traversare le tribù abitatrici delle terre poste lungo i tratturi, dovevano essere tramite alla loro vicendevole conoscenza."

 

Quindi dalla conoscenza si passò all’amicizia e dall’amicizia alle parentele e residenza. Per queste ragioni i pastori fondarono veri e propri centri abitati, anche per essere di guardia e di aiuto a familiari che continuavano a fare i pastori. Sorse allora Castropignano, situato come altri comuni a confine del tratturo Lucerà Castel di Sangro o della Zittola. Che quanto sopra affermato corrisponda con tutta probabilità al vero lo si deduce anche dal fatto che le caratteristiche dialettali di molti comuni confinanti con detto tratturo, come Castropignano, Torella del Sannio, Duronia, Civitanova del Sannio, Pescolanciano, Castel di Sangro, Alfedena ed altri, sono del tutto simili tra di loro. Anche il dialetto dei paesi dove le greggi sostavano nei mesi estivi hanno dialetti molto simili a quelli dei paesi già elencati e fra essi si citano i dialetti di Roccaraso, Rivisondoli e Pesco Costanzo. Il paese si sviluppò su tre costoni rocciosi ora denominati Trivecchia, Colle e Castello o Palazzo. Trivecchia e Colle compresero la maggior parte della popolazione, mentre il Castello fu come una piccola acropoli destinata forse alle autorità, al culto ed estrema difesa. L’abitato non subì grandi variazioni in epoca sannita e romana, mentre nel tardo medioevo si estese verso l’attuale via Umberto I, Scannillo e Vitecchie. Ancora oggi c’è chi dice ”a balle pe la terra” per indicare fuori della Porta, giù per la campagna, come i Romani dicevano una volta "fori de porta”.

 

 

7. I BULGARI DI CASTROPIGNANO

 

Secondo uno studio dell’illustre storico molisano Dr. Vincenzo D’Amico [1] di Ielsi, i Longobardi condussero nell’Italia del Nord torme di Bulgari. Questi furono guidati in Italia dal loro capo Altzek, quinto figlio del re Kubrat (nato nel 567 ed educato a Costantinopoli, dal 584 al 642 fu l’unificatore del suo popolo sparso tra Volga - Bolgar, Don e Danubio). Kubrat fu sempre alleato dall’Impero bizantino per difendersi contro i Persiani, Goti, Turchi ed Avari (Mongoli).

 

 

1) V. D’Amico ”I Bulgari trasmigrati in Italia nei secoli VI e VII dell’Era Volgare. Loro speciale diffusione nel Sannio” Tip. Petrucciani 1933.

 

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I Bulgari partirono dal Volga e, attraversando Ungheria, Serbia, Schiavonia e Croazia, giunsero nell’esarcato di Ravenna. In questa città e zone periferiche fecero una prima sosta e vi si fermarono ricchi e nobili. La restante massa di Bulgari venne diretta da Grimolado (longobardo) a Benevento, dove regnava il figlio Duca Romualdo. (Nel ducato di Benevento gl’immigrati portarono anche i loro attrezzi agricoli ed il bestiame). Il duca Romualdo assegnò ai Bulgari le Valli del Volturno, del Biferno e del Tammaro. Lungo queste valli erano in dissoluzione le antiche città sannitiche di Sepino, Boiano, Isernia e Venafro tra le più note. I Bulgari che si sistemarono nel Molise furono circa centomila. Altzek restò capo supremo e giudiziario dei suoi connazionali, pur osservando la legge longobarda. Bulgari e Longobardi allontanarono dal Sannio Pentro e Frentano i vescovi. Ciò avvenne perché i Longobardi erano ancora pagani e i Bulgari erano cristiani a loro modo. Essi ebbero propri ministri di culto, più "stregoni sciamani” [1] che sacerdoti, tutti soggetti all’archimandrita, sacerdote capo di Castropignano. Dal Sannio molti Bulgari passarono negli Abruzzi e propriamente nella conca di Sulmona e del basso Alterno (fiume Pescara). Dal Sannio altri Bulgari emigrarono nel Tavoliere Appulo e cioè nelle campagne di Foggia, Manfredonia, Barletta, Bari, Bitonto, Brindisi ed altri centri. Nella Campania si stabilirono a S. Pietro a Paterno, Pomigliano, Aversa, Gaeta, S. Germano, Melito, Sorrento, Massalubrense, Gragnano, Amalfi, Napoli, Pesto ecc. Con i Bulgari di Altzek vennero in Italia anche famiglie di origine magiara, slava e tedesca.

 

 

8. TRACCE DI COSTUMANZE BULGARE IN CASTROPIGNANO ED ALTRI CENTRI D’ABRUZZO E MOLISE

 

Una delle usanze più antiche della civiltà bulgara di Castropignano è forse quella di portare recipienti sulla testa. Quest’uso sopravvive tuttora a Napoli dove, come detto innanzi, emigrarono colonie di Bulgari (da Napoli si trasferirono quasi certamente anche a Roma i più famosi gioiellieri romani di cognome Bulgari). Riprendendo l’anzidetto discorso si osserva che mentre le donne romane e greche portavano l’anfora sulla spalla - e forse anche le donne sannite che furono a contatto con la civiltà greca di Napoli e dintorni - le donne di origine bulgara portavano conche di acqua ed altri pesi sulla testa.

 

 

1) Dai riti pagani che i Longobardi di Benevento celebravano di notte sotto gli alberi di noce, ebbe origine la leggenda delle streghe di Benevento.

 

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CHIESA DI S. LUCIA

Sul lato sinistro del prospetto è murata una lapide con fascio littorio di epoca romana.

 

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Testimone di questo fatto fu Ovidio, il grande poeta latino di Sulmona. Ovidio, da quella lontana terra di esilio che era Tomi (odierna città della Crimea, sul mar Nero, ricadente nell’area di provenienza dei Bulgari) scrisse che le donne di quelle parti usavano portare l’acqua sulla testa ..... suppositoque gravem vertice portat aquam..... (qui la donna) porta la pesante acqua sulla testa. Le donne di Castropignano sino a pochi anni or sono portavano sulla testa non solo le caratteristiche ”tine” o conche piene di acqua, ma anche i bambini nella pesante culla di legno, roba da mangiare ed altro. A questa usanza è forse da collegarsi anche l’originale "trasporto della dote”, una sorta di sfilata veramente pittoresca, forse unica, nel Molise.

 

 

9. FAMIGLIE DI PROBABILE ORIGINE BULGARA DI CASTROPIGNANO

 

    Colozza - Il nome russo Kolocka significa Nicolina, italianizzato col tempo in Colozza

 

    Cirone - Nome derivato dallo slavo Cern, che significa nero o bruno, italianizzato in Cirone

 

    Carmosino - Cognome di chiara origine slavo-bulgara come i cognomi Rasputin, Bulganin, Lenin ecc.

 

    Greco - Cognome derivato e italianizzato da Grecko. Grecko era capo di stato maggiore dell’esercito russo al tempo di Breznev. Può essere anche cognome di origine latina derivante da graecus

 

    Sciarra - Sciara era il cognome del segretario del capo del servizio segreto russo al tempo di Andropov.

 

    Bottini - Bottini è cognome russo derivato da Botkin, medico personale dello Zar Nicola trucidato dai bolscevichi. [1]

 

 

10. ABITATO DI CASTROPIGNANO

 

Castropignano visto da sud ha un aspetto del tutto particolare e diverso dagli altri paesi del Molise e questo perché molte case della parte mediovale e più moderna dell’abitato sono intramezzate da orti, olivi, edera e qualche cipresso.

 

 

1) Il cognome di origine slava Bottini va collegato alla storia dei Bulgari di Castropignano. Tatiana Botkin, figlia del medico dell’ultimo zar di Russia, ha pubblicato "Al tempo degli zar” Ed. S.E.I. Torino. Botkin italianizzato in Bottini.

 

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Fra tante modeste casette, sparse su un forte pendio, spiccano la gigantesca roccia a punta del "Cantone La Guardia”, la torre dell’Orologio, la torre campanaria ed il "Convento”. Ogni costruzione è fatta con pietra locale, sabbia delle cave a monte del campo sportivo e calce delle fornaci del posto. A tale proposito ricordiamo che tutta Castropignano è stata costruita con "arena” estratta da un ex colle a monte di detto campo. I tetti delle case sono tutti coperti con coppi fatti a mano e provenienti dalle scomarse fornaci di laterizi. Ogni casa ha il suo focolare dalla grande cappa e annesso forno da pane. La cucina fa da salotto, sala da pranzo e soggiorno. Tutto l’interno delle abitazioni è tinto con la bianca igienica calce. Quasi per intero le case sono lasciate senza intonaco esterno e con i fori delle impalcature.

 

"Strade e straducce, irregolarmente selciate, sfilano tra abitazioni modeste e ingrigite dal tempo. La loro silenziosità piace ed attrae. Le finestre che si aprono verso la valle del Biferno sono molto piccole. Hanno quasi l’aspetto di feritoie”.

 

L’abitato ha questo aspetto pittoresco: assorto e solenne, illuminato ed ombroso, ampio negli spiazzi e stretto nei vicoli. È in buona parte riparato dai venti freddi. A sud è pieno di luci e colori. E malinconicamente grigio a nord. A prima vista colpisce la strettezza di strade e vicoli, ma essa si spiega come esigenza di difesa in caso di guerra, di riparo dal freddo invernale e di fresco nei mesi estivi. Dappertutto, come detto innanzi, sono capricciosamente sparse casette diversamente colorate tra chiazze di verde e punte di roccia. Queste costruzioni vanno man mano restaurandosi e vengono fornite di ogni comodità. Ciò si realizza con risparmi dei nostri laboriosi emigrati pieni di nostalgia per il paese natio, residenti all’estero o in grandi città italiane. Nei mesi autunnali invernali e primaverili il paese è quasi deserto, ma nei mesi estivi riacquista tutta la sua vivace festosità.

 

 

11. LA CROCE DELL’ASCENSIONE

COLOMBA O RONDINE DELLA PENTECOSTE

 

Durante la festa dell’Ascensione una piccola processione si recava presso il Portale della chiesa del "SS. Salvatore” ed alla "Portella”. In questa occasione il sacerdote appendeva alla destra di dette porte una piccola croce di carta cerata (Gesù, dopo la resurrezione, "siede alla destra di Dio Padre Onnipotente”, così recitiamo nel Credo; perciò la detta piccola croce si metteva sulla destra della porta).

 

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Al ritorno nella Chiesa Madre si poneva un’altra croce cerata sul portone centrale. In occasione della Pentecoste, all’elevazione, si liberava nella chiesa una colomba o una rondine per simboleggiare lo Spirito Santo disceso sugli Apostoli.

 

 

12. I CONFINATI

 

Durante l’epoca fascista furono confinati a Castropignano un discreto numero di uomini e donne, tutti settentrionali, (noi meridionali fummo sempre cristianamente pazienti nei confronti di governi e prepotenti...); godevano di una certa libertà, di un discreto sussidio giornaliero ed erano ospitati in case private. Libero era il contatto con la popolazione. Potevano lavorare per proprio conto o alle dipendenze di privati. I confinati furono quasi tutti bene accolti ed ospitati, salvo qualche piccola prepotenza da parte delle autorità del tempo. Un confinato ebreo è ritornato a Castropignano dopo la guerra - come turista - per rivedere e salutare amici. Non furono veri nemici del fascismo o rivoluzionari sovversivi, ma gente del popolo confinata per qualche commento non gradito al regime o denunziata da gente avversa per questioni private. Fra i confinati ricordiamo Rigoni Angelo ed Amolino Nino di Bologna, Finozzi Gaetano di Roma - disegnatore rittrattista - Colizzi Ernesto di Taranto, pasticciere, Faramia Antonio di Cuneo, Carnevale Romeo di Piombino, Parmigiani di Milano, Esposito di Genova, Minghelli di Mestre, Venturelli Oscar di Modena.

 

 

13. LA CROCE SUL PAGLIAIO

 

L’usanza di mettere in cima ai pagliai una croce fatta di stoppia o di canna è andata in disuso perché di pagliai (una volta numerosissimi nell’agro) non se ne sono più costruiti da circa mezzo secolo. La croce posta su questa rudimentale antichissima costruzione era segno di preghiera rivolta al Signore per proteggere paglia ed altri foraggi in essa custoditi.

 

 

14. LA FATA

 

La leggenda di fata è mirabilmente descritta da Eugenio Cirese in una lirica dal titolo ”Re Cantone de la Fata”.

 

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Si racconta che viveva in Castropignano - in epoca mediovale - una ragazza tanto bella da essere soprannominata ”La Fata”. Ma in quel tempo viveva in Castropignano un duca tipo Don Rodrigo di manzoniania memoria, e inoltre vigeva come in tante altre parti d’Italia il famoso ”ius primae noctis”. Nella prima notte di matrimonio la sposa doveva essere condotta dal capo del paese e poi dallo sposo. Fata fu condotta al Palazzo, ma con un sotterfugio scappò dalla fortezza ed appena i bravi si accorsero della fuga si misero ad inseguirla giù per le rocce a nord del castello. La giovane, come si avvide che stava per essere raggiunta, al disonore preferì la morte. Si buttò nel precipizio della roccia, che, dalla tragedia, prese il nome di Cantone di Fata o della Fata. Si precisa che nel dialetto locale "cantone” indica punta di roccia molto alta. Chi viene da Campobasso dalla valle del Biferno, a nord, est del castello scorge una ferrigna estesa roccia che spunta dal sottostante bosco. Quella roccia è il "Cantone la Fata”.

 

 

15. LA SCURDIA

 

Scurdia in dialetto vuol dire oscurità, tenebre. "La scurdia" consisteva nel fare un gran fracasso in chiesa (e fuori la chiesa) prima, per le strade del paese poi, con caratteristici strumenti di legno denominati "raganelle”, "raganelloni” e "tavelle”, manovrati da un folto gruppo di ragazzi. La scurdia si svolgeva durante la settimana santa, ogni sera appena dopo lo spegnimento di un’ultima candela posta su un candeliere che aveva in cima un portacandele a forma di triangolo. La scurdia ebbe certamente inizio nel medioevo (XII-XV secolo) al tempo delle prime sacre rappresentazioni. Dopo ogni preghiera o salmo dell’ufficio delle tenebre il sacerdote spegneva una candela. Spenta l’ultima cominciava il pandemonio. La scurdia si rendeva ancora più rumorosa battendo coi piedi sul fondo dei diversi confessionali e con bastonate sulla porta della chiesa. Spesso, per imporre la fine della cerimonia, interveniva il sagrestano a dire "basta”. La scurdia rappresentava l’oscuramento del sole (scurdia), terremoto, tuoni e lampi che accompagnarono la morte del Signore.

 

 

16. IL FUOCO SANTO

 

Il fuoco è un’usanza o meglio rito religioso, che si ripete tuttora. Si svolge nella notte del sabato santo.

 

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Verso il crepuscolo di questo giorno gruppi di ragazzi girano per il paese raccogliendo legna e ramaglie fino a formare un grande mucchio. Di tutta questa roba si faceva un grande falò davanti alla Chiesa Madre. Da qualche anno questa legna si ammucchia a destra della chiesa perché piazza S. Marco è stata pavimentata con mattonelle di asfalto. A questa grande quantità di legna, sulla quale si mettono arredi sacri in disuso e vecchie immagini religiose, si dà fuoco a notte inoltrata. Questo immenso fuoco sprigiona altissime fiamme, fumo e scintille verso il cielo, mentre grandi e piccoli assistono incantati allo spettacolo. Quando la legna è diventata brace, si assiste con devozione alla benedizione del fuoco santo e si porta un po’ di cenere al focolare di ogni famiglia.

 

 

17. SUPERSTIZIONI E FATTURE

 

Pur vivendo l’epoca della televisione e dei diversi voli sulla luna, esiste ancora nella popolazione una esigua minoranza che crede alle fatture, alla iettatura, al malocchio, al legamento del sangue ecc. Ancora c’è chi ricorre al "magano” o alla "magana" per casi amorosi, malattie e consulti vari. Alla superstizione si dà ancora una soverchia importanza.

 

 

18. LA TASSA (LA TAZZA)

 

”La tassa” coi pittoreschi diminutivi di "tassetella” "tassetielle” e ‘tassetellitte” è un cibo prevalentemente invernale, composto di acqua bollente (acqua nella quale è stata cotta precedentemente la pasta) ed un po’ di pasta (naturalmente cotta); il tutto mescolato con vino ed una buona "presa” di pepe o peperoncino. Quando la tramontana sibila violentemente mista a nevischio, quando per le strade c’è questa tremenda bufera e la famiglia sta raccolta attorno al desco per la cena e sotto la cappa del camino crepitano grossi pezzi di legna che sprigionano violente fiamme e scintille, proprio in quei frangenti si prende la "tassa”. Questa specie di bevanda-antipasto posta in una tazza (dialetto tassa) si consuma prevalentemente d’inverno allo scopo di riscaldare l’organismo. Detta usanza è diffusa a Torella del Sannio, Bagnoli del Trigno (qui prende il nome di "scattone”) Pietracupa ed altri comuni del medio ed alto Molise (comuni dove l’inverno è molto rigido - ex Sannio Pentro-). Forse anticamente, fin dal tempo dei Sanniti, quando non esistevano maccheroni o pasta fatta in casa, quei nostri avi prendevano questa specie di antipasto allora certamente fatto con pezzetti di pane secco e vino caldo.

 

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Nel medioevo, dopo il ritorno di Marco Polo dalla Cina, in Italia furono inventati i maccheroni e pasta fatta in casa. I maccheroni Marco Polo li vide fatti in Cina con farina di riso e per imitazione gli Italiani li fecero con farina di grano. Da allora nella "tassa” invece del pane secco si mise pasta, vino ed acqua (acqua caldissima di cottura della pasta). È bene ricordare che a Parigi ed Ottawa in negozi di alimentari gestiti da cinesi si vendono maccheroni fatti con farina di riso. A tale riguardo si racconta che un nobile o re napoletano, assaggiando questa specie di "vermi di pasta” (vermicelli o spaghetti), al cuoco che gli chiedeva un giudizio rispose "Non mi son cari, ma caroni”. Da quella risposta ebbe origine il nome di maccheroni... Nel medioevo la tassa si arricchì del piccante, perché il peperoncino arrivò in Italia dall’America Meridionale ed il pepe per la prima volta lu importato dai mercanti delle repubbliche marinare.

 

 

19. LA LEGGENDA DEL LATTE

 

Si racconta che prima dell’occupazione del Sannio da parte dei Romani i nostri avi Sanniti, nella maggioranza pastori ed agricoltori, possedevano numerose greggi. Tutte quelle della parte alta dell’agro si radunavano a sera per la mungitura a contrada Palata. Il latte veniva raccolto in centinaia di secchi e poi versato in una grande vasca di pietra che fungeva da imbuto. Si facevano come al solito due mungiture, una a sera ed una al mattino. Sul fondo della vasca di pietra c’era un foro saldato a tubi di terracotta che portavano il latte a contrada Cerreto. Si trattava insomma di un vero e proprio latte....dotto! A Cerreto il latte proveniente dalla Palata dopo un bianco alto zampillo ricadeva in un’altra grande vasca di pietra. Da questa seconda vasca il latte veniva attinto e versato in grandi caldaie di rame nelle quali il latte veniva cagliato e trasformato in formaggio e ricotte. Peccato che sia una leggenda.

 

 

20. LA CAPELLERA

 

La capellera (odierna parrucchiera) era per lo più una donna anziana che si recava a domicilio per pettinare i lunghi capelli delle donne più agiate, ricevendone un compenso.

 

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21. STORICI CHE PARLANO DEL SANNIO

 

Per chi vuol apprendere la storia dei nostri avi Sanniti Pentri, si elencano qui di seguito i nomi degli storici che parlano del Sannio. Essi sono: Strabone, storico, geografo greco (63 A.C. - 20 D.C.); Tito Livio, storico romano (59 A.C. 17 D.C.); Tolomeo egiziano (50/60 A.C.); Silio Italico (25/101 D.C.); Appiano Alessandrino (II sec. D.C.); Teodoro Mommsen (1817/1903), oltre a Ciarlanti, Galanti, Masciotta, Tagliaferri, Longano, Perrella ed altri.

 

Le opere di questi ultimi sono presso la biblioteca provinciale di Campobasso.

 

 

22. CENNI STORICI SULLA FAMIGLIA D’EVOLI DEL CASTELLO DI CASTROPIGNANO

 

Nel 1144 fu feudatario del paese Guglielmo di Castropignano (cognome preso dal luogo di dominio). Secondo un disegno di proprietà della Signorina Carmela Ciamarra, Guglielmo aveva il cognome Wurzell. A Guglielmo successe il figlio Vito privo di discendenza maschile. Vito, secondo la detta Ciamarra, abitava l’attuale Torre dell’Orologio e così anche i suoi antenati. Vito non ebbe figli maschi, ma solo due femmine Tomasia e Clarice. Tomasia sposò Petrillo Minutolo, Clarice sposò Giovanni D’Evoli barone di Frosolone. Giovanni venne a lite col cognato ed acquistò l’altra parte del feudo. Divenne così padrone di Castropignano. Nel 1362 Giovanni D’Evoli restaurò e rinnovò il castello. Secondo la Ciamarra, Guglielmo ed antenati abitavano la Torre dell’Orologio e ciò é più che probabile, perchè, come sappiamo, le potenti famiglie medioevali abitavano nelle torri. Queste alle volte non avevano addirittura porte e l’entrata avveniva con scala di legno e dalla finestra del primo piano. La scala veniva tirata su e tra i diversi piani della torre si comunicava lo stesso con scale e botole. In caso di pericolo, per difesa le scale venivano tirate su. Giovanni D’Evoli, più che restaurare e rinnovare il castello, lo costruì su ruderi preesistenti. A Giovanni D’Evoli successe Andrea D’Evoli nel 1396. Questi, ribelle alle autorità del tempo, fu privato del feudo. Antonio D’Evoli riacquistò la grazia del Re Alfonso D’Aragona e fu reintegrato nel possedimento. Ad Antonio successe altro Andrea. A questi successe Carlo, morto nel 1483. Suo erede fu Andreone, morto nel 1507.

 

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Ad Andreone successe Vincenzo D’Evoli che sposò Isabella Crispano di Capua. Dimorò sessantanni in Castropignano e morì l’8 novembre 1567. Fece erigere la Chiesa di S. Maria SS. delle Grazie e fu (forse) sepolto sotto l’altare della stessa. Secondo il disegno della Ciamarra la chiesa sarebbe sorta sui resti (mura perimetrali) della fortezza - dimora del Console Sannita Pineano (castrum o castra Pineani). Tesi tutt’altro da scartare. Sulla tomba del Duca Vincenzo fu apposta una lapide di cui rimangono frammenti. A Vincenzo D’Evoli successe Domenico (lo stesso dell’iscrizione sul portale del Castello). A Domenico successe Francesco, morto a Napoli nel 1756. A Francesco successe Mariano D’Evoli che sposò Luisa Gargano dei Marchesi di Frignano e Montefalcone. Mariano lasciò due figli Carlo e Luisa. Carlo premorì al padre, Luisa sposò Pantaleone D’Affitto di Ariano che assunse il titolo di Duca di Castropignano. Mariano studiò a Montecas- sino e fu chiamato a reggere in Spagna i due stati di Valenza e Murcia nella qualità di viceré e capitano generale. Dopo Pantaleone D’Affitto non si hanno più notizie di altri discendenti ed il castello per legge è diventato proprietà dello stato. Per la storia feudale di Castropignano si reputa opportuno spiegare che feudo dal latino volgare feudum vuol dire affitto. Feudo indica dominio ed uso di territorio con piena giurisdizione anche sulle persone, ma con l’obbligo di servizio militare e di tributo verso il capo dominante. Vassallo era colui che amministrava terreni e fabbricati del feudo con obbligo di tributi e servizi vari e fra questi, primo, il servizio militare. Vassallo deriva dal latino volgare vassus (basso) e significa uomo al seguito di un signore padrone. Valvassore era colui che dipendeva dal vassallo perchè questi non aveva la possibilità di lavorare e amministrava tanfi terreni a lui affidati. Valvassore deriva dal latino volgare vassus vassorum (vassallo dei vassalli). In ultimo veniva il valvassino dipendente del valvassore. Morto il duca senza discendenti, il vassallo diventava proprietario; se il vassallo moriva senza discendenti seguiva il valvassore; morto il valvassore senza prole seguiva il valvassino (piccolo proprietario). Bassus significava basso, uomo del popolo, lavoratore o amministratore dipendente dal signore.

 

 

23. AGRICOLTURA

 

Allo stato attuale - 1987 - balza evidente l’osservazione che forse solamente un quinto dell’agro di Castropignano è ancora regolarmente coltivato e che fra una diecina di anni i veri agricoltori si potranno contare sulla punta delle dita.

 

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Questo avviene perchè le nuove generazioni troveranno, come stanno trovando, ogni giorno, posti di lavoro in settori diversi dall’agricoltura. Le poche famiglie che ancora si dedicano al lavoro dei campi sono discretamente attrezzate, sono cioè provviste delle diverse macchine agricole come trattori, aratri a più vomeri e mietitrebbie. Il terreno dell’agro è estremamente frazionato e per questo stato di fatto esistono solo piccole aziende agricole. Sino al 1940 l’agricoltura di Castropignano era quasi del tutto simile a quella del tempo dei Sanniti. Era diversa solo per la coltivazione del mais, patate e fagioli, piante diffuse tra la fine del 1500 e il 1600, dopo la scoperta dell’America e da qui importate. Il terreno dell’agro ha diverso aspetto e composizione. È perciò adatto alle più diverse colture. Non mancano terreni sciolti, tenaci, sabbiosi, argillosi, calcarei, umosi e semisterili. Lungo la Valle del Biferno alcuni terreni potrebbero essere irrigati e ciò fu fatto negli anni dal 1920 e al 1930 dal defunto Michele Passero a contrada Covatta, con produzione di ottimi ortaggi. Sui diversi torrenti abbondanti di acqua sino a tarda primavera non esistono laghi collinari, ad eccezione di quello della Cooperativa ”La Selva”, ma con piccolo bacino di raccolta e poco sfruttabile. Il contadino non ha idea di campi sperimentali e sistemazione dei terreni. Nel VII secolo molti terreni sterposi, incolti o boscosi, rimasti in abbandono per la caduta dell’impero romano, furono dissodati e spietrati dai coloni Bulgari immigrati in Castropignano da Benevento. Muri a secco a lato delle mulattiere delle contrade Gallo, Porcine, Macchie, Canala, S. Stazio e Tivone testimoniano questo immenso lavoro di bonifica fatto da quella popolazione di origine slava. Imponenti sono ancora oggi le centinaia di mucchi di pietre sparse nei campi della contrada Tivone. Tutti detti lavori agricoli sono stati eseguiti con piccone, bidente e zappa comparsi nelle terre del Sannio nell’età del ferro, quando ebbe origine l’agricoltura e l’uomo lasciò, non completamente, caccia e pesca. Il lavoro a zappa e bidente attualmente è ausiliario e serve solo per lavori di rifinitura. Quelli più pesanti di una volta sono fatti con trattori, motozappe e mietitrebbie.

 

lavori agricoli sono discretamente meccanizzati ma mancano e diminuiscono di giorno in giorno gli addetti del settore, le generazioni di giovani agricoltori. L’agro si presta, come si è detto avanti, alle più svariate colture, perchè ricco di terreni posti d’ai trecento agli ottocento metri sul mare e dalle più diverse qualità chimiche. L’agricoltura di Castropignano (come di tutto il Molise) potrà mutare per imprevedibili cause che non possiamo minimamente immaginare; certo è che potrebbe triplicarsi la produzione dei tempi migliori.

 

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PORTALE DELLA CHIESA DI S. MARIA DELLE GRAZIE - SEC. XVI

Il portale della Chiesa di S. Maria delle Grazie è molto simile ad uno schizzo che Michelangelo eseguì per la tomba di Giulio IL Michelangelo Buonarrotti visse - come si sa - tra il 1475 e il 1564. Il Duca Vincenzo D’Evoli fece costruire la Chiesa e mori nel 1567. Può darsi che il Duca D’Evoli - nobile napoletano - conobbe e fece eseguire il disegno dal grande Buonarroti.

 

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Sino al 1948 si arava solo con muli ed asini e qualche paio di buoi. Dal 1950 per iniziativa degli agricoltori (veri pionieri) Sardella Pietro, Greco Giovanni e Venditti Carmine fu introdotto il primo trattore per l’aratura meccanica. Nel 1945 ebbe inizio la trebbiatura meccanica per opera di Chioccino Giovanni e Maddalena Antonio. Dal 1960 sono entrate in uso falciatrici, mietitrici e seghe meccaniche seguite da mietitrebbie e motozappe. Una sgranatrice per mais fu adoperata da Stefanelli Remo e Mascitelli Liberato. Sgranatrici di mais e semi di foraggere sono scomparse, perchè diminuita la produzione di detti cereali. Nel 1700 nelle campagne c’erano solo molti pagliai per la rimessa di foraggio e per ricovero di animali e persone in caso di cattivo tempo. Come fabbricati esistevano il "casino” dei Maddalena a S. Lucia, dei Borsella alla Covatta, dei Luciani al Cerreto, Evangelista alla Selva e Piccinocchi al Lacone. Nel 1800 si costruirono una trentina di masserie, che negli anni seguenti salirono ad un centinaio. Attualmente le poche famiglie di agricoltori rimasti e che abitano stabilmente in campagna, hanno case fornite di ogni comodità. Nel passato, quando la ricchezza era rappresentata da un piccolo podere, frequenti erano le liti per delimitazione di confine e per diffidenza verso giudici e periti agrimensori. Spesso si arrivava a sanguinose violenze. Da notare che i termini validi per antica tradizione erano i termini lapidei formati da tre grosse scaglie di pietra. La pietra mediana era detta giudice e le due laterali testimoni. Quando il confine finiva ad angolo retto oppure obliquamente si aggiungeva un quarto testimone. Tutti gli agricoltori, se causavano danno per il cosiddetto "verde secco” per il passaggio di animali, erano pronti, senza lite, al risarcimento. Va spiegato che il "verde secco” consisteva (e consiste) nel rimescolamento della parte superficiale di un terreno dello spessore di due cm., bagnata da una lieve pioggia estiva. Col passaggio di un gregge la parte bagnata del terreno lavorato si mescola col sottostante terreno asciutto provocando un danno che dà origine a due anni di successivo cattivo raccolto. L’agricoltura che si pratica ancora nelle piccole aziende è completamente passiva per la concorrenza esistente su vasta scala, per la piccola estensione della proprietà terriera, per l’elevato costo dei concimi e delle macchine agricole e per i prodotti agricoli ottenuti su scala industriale. Questa miniagricoltura tira avanti solo per motivi sentimentali e per l’ammirevole spirito di sacrificio dei nostri anziani agricoltori. L’allevamento del bestiame è anch’esso passivo per l’importazione di carne dall’estero.

 

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Va ricordato che sino al 1900 un terzo dell’agro (coltivabile) era coltivato a vite. Le contrade Tivone, Valle Frane, Macchie, Vicenne e S. Eustachio erano coperte a metà da vigne e il vino prodotto veniva conservato esclusivamente in botti di rovere da uno a trenta quintali. Diffuso era l’uso di cuocere un po’ di uva per dare al vino un colore rosso rubino. La vite era coltivata bassa ed allacciata a paletti (di canna) con steli di lino o di vimini. L’uva veniva pigiata in palmenti di quercia. L’ultimo grande raccolto di uva si ebbe nel 1922, prima della diffusione della fillossera. Dopo la prima guerra mondiale finì, dopo millenni, la coltivazione del lino e della canapa e con essa sparì la caratteristica "mancina”, attrezzo di legno col quale si lavoravano dette piante. Discreta e autosufficiente era la produzione dell’olio. Estesi oliveti esistevano a Valle Frane e S. Stazio. Esistevano due frantoi ("frappiti", dal greco trapiton), uno nelle vicinanze del Castello (proprietà Pignotta) e l’altro a S. Antuono (proprietà Borsella). Le rotazioni più comuni erano: grano-lupinella, grano-ceci, grano-fave, avena-fave, orzo-ceci, segala-ceci. Per fave e ceci si praticava il maggese. Da fine 1500 cominciò a praticarsi il maggese per il mais e nel 1600 il maggese per le patate. Sconosciuto sino al 1700 era il prato di sulla ("grandalupina"). Tutte le piante da frutta venivano potate si o no due o tre volte durante la loro esistenza. Non esisteva un vero e proprio frutteto. Olivo e vite erano coltivati a filari. Spesso la vita era "maritata” ad olivi, meli e peri. Il fieno veniva conservato, pressato intorno ad alte pertiche di cerro, in grossi mucchi di forma conica. Questi mucchi, detti in dialetto "stigli”, sono una caratteristica del paesaggio molisano.

 

 

24. FLORA

 

Le piante legnose coltivate nell’agro di Castropignano sono le seguenti: quercia, cerro, carpine, ornello, acacia, platano (qualche esemplare), pioppo, betulla, salice, acero, tiglio (qualche esemplare), pino abeti e cipressi (poche piante), salice piangente, ippocastano ed ailanto (importato dalla Cina per farne carta).

 

Piante da frutta: Gelso bianco e nero (venuto dalla Cina dopo i viaggi di Marco Polo), noce, nocciolo, sorbo, castagno, nespolo (venuto dal Giappone), pesco, albicocco e crisommolo (venuti dall’Asia Minore e dalla Magna Grecia), susino con frutto ovale e rotondo di colore giallo e violetto,

 

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ciliegio, viscida ed amarena (portato in Italia da Lucullo dall’Asia minore nel 95 a.C.), fico con frutto verde giallo e nero, melo gentile, limoncello, annurco, renetta, maiatico e melo d’Abruzzo o gelato, pero a campanello, spino, mastantuono, a cipolla, spadone, d’inverno, a testa d’asino, moscatello, melo cotogno, mandorlo dolce e amaro con guscio duro, vite ed olivo, uva spino, melograno e loto (qualche pianta).

 

Arbusti: ginestra, rovi, trigno, bianco spino, spino pulce (spine-poce) rosmarino, sambuco, pugnitopo (veschiara), asparago, fiore d’angelo, ginepro e "berretto di prete”.

 

Piante lacustri: giunco, canna, salice giallo, mazzasorda.

 

Ortaggi più comuni: Carciofo (portato in Italia nel 1500 dall’Arabia), carota, bietola, rapa (conosciuta da greci, romani, galli e germani) pomodoro (venuto dal Perù nel 1600), prezzemolo, finocchio (venuto dalla Siria), peperone e peperoncino (venuti dall’America tropicale nel 1600), ruta, aglio e cipolla (venuti dalla Cina), patata (originaria del Cile e Perù - arrivata in Italia nel secolo XVI), zucca, lattuga riccia e romana, cicoria (crescita spontanea), anacio, finocchio selvatico (originario dell’Egitto), cetriolo (in dialetto "tettarella"), mellone e cocomero (originari dell’Africa e dell’Asia), fave e piselli (originari di Persia, Egitto, Palestina, Arabia e Russia), cece, girasole (originario del Canada, giunto in Italia nel 1700).

 

Funghi: prataiolo, ovolo, guscio d’uovo, porcino, cardarella, gallinaccio, ditola, qualche spugnolo. Nel 1970 ad opera di Romagnoli è stato trovato il tartufo nell’agro di Castropignano e paesi vicini.

 

Piante parassite: edera, vischio, succiamele (nei campi di fave), gramigna.

 

Piante sottobosco: muschio, lichele, ciclamini, primule, viole, asparago, pugnitopo, ginestra, rovi, biancospino.

 

Piante tessili: lino, originario della Mesopotamia. Da questa regione passò successivamente in Assiria, Egitto, Grecia e Italia. Il lino è stato coltivato e tessuto in casa sino al 1920. Per pochi anni ancora fu coltivato per allacciare la vite, adesso non si coltiva più. Canapa (originaria della Cina). Dalla Cina passò in India, Asia Minore, Grecia e Italia.

 

Fiori allo stato selvatico: primula, viola, ciclamino, margherite, farfo, spadacciola (gladiolo selvatico).

 

Piante medicinali: malva, camomilla, papavero.

 

Piante coloranti: robbia (in dialetto ruoia), originaria dell’Asia Minore. Da quella regione passò successivamente in Grecia e Italia.

 

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Servì nel nostro paese per tingere di rosso lana e lino sino al 1900. Adesso non si coltiva più.

 

Piante velenose: ortica, cicuta, papavero, loglio.

 

Cereali: Avena (nel dialetto biaa, originaria della Tartaria) conosciuta, ma non coltivata da Greci e Romani. Coltivata e introdotta in Italia dai barbari. Segala (in dialetto griola), coltivata tra Austria e Mar Caspio, conosciuta dai Romani. Grano (importato in altre nazioni dalla Mesopotamia nel 3000 A.C. In quella regione cresceva spontaneamente). Orzo, ne parla la Bibbia. Il pane d’orzo fu il primo conosciuto dall’uomo, così afferma Plutarco. Mais o granturco (originario della America del Nord) chiamato mais dagli Indiani d’America, chiamato WHEAT OF TURKEY - grano di Turchia - dagli Inglesi. Colombo ed altri navigatori lo portarono in Europa come curiosità botanica. La Repubblica Veneta ne sperimentò la coltivazione a Creta, di qui si diffuse per tutto il Mediterraneo. Divenne il grano preferito dai Turchi e perciò prese il nome di gran turco. In Castropignano prese il nome dialettale di "grandinie”, storpiativo di grano d’india, perchè Cristoforo Colombo credette in un primo tempo di essere sbarcato in India, perciò grano India e grandinie.

 

Piante foraggere: Erba medica, conosciuta da Greci e Romani. Dario nel 490 A.C. dalla Media la portò in Grecia. Dalla Media derivò medica ed erba medica. Dopo la conquista della Grecia da parte dei Romani l’erba medica fu portata in Italia. Veccia, originaria del Caucaso, conosciuta dai Romani. Trifoglio, (originario del Turkestan, arrivò nelle Fiandre nel 1600 e poi passò in Italia). Cicerchia (usata come foraggio e come cibo; conosciuta dai Greci col nome di latiros e dai Romani col nome di cecer-cula). Lupinella (originaria delle terre bagnate dal Mar Caspio; conosciuta e coltivata dai Romani). Miglio, in dialetto migliedinia. Fava e favetto (originari della Persia; usati come foraggio e come cibo dai Romani). Sulla - in dialetto grandalupina - (coltivata per la prima volta nel 1766 dal marchese Grimaldi a Seminara di Reggio Calabria).

 

Leguminose: Lupino (cibo degli schiavi romani). Cece (originario del Caucaso; da quella regione passò in Egitto, Grecia e Italia). Quasi la stessa strada percorse il pisello. Il fagiolo arrivò dall’America nel XVI Secolo. II.

 

 

25. IL BIFERNO

 

Come il fratturo Lucerà - Castel di Sangro, anche il Biferno divide l’agro di Castropignano. Le sue sorgenti sono a Boiano, Guardiaregia, Roccamandolfi e S. Maria del Molise.

 

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Una volta le sue acque erano ricche di trote, cavedani, anguille e capitoni che si pescavano con le antichissime "cannizze” nasse e "mandrelle”. In seguito si pescarono con giacchio (schiazz), bertavello (martafìelle) e lenze (cordelle). Attualmente la fauna ittica è quasi distrutta per il dirottamento di parte delle acque verso Napoli e per l’inquinamento dovuto allo scarico delle fogne del capoluogo. Forse la costruzione dei diversi depuratori specie di quelli di Campobasso e Boiano porteranno qualche beneficio. Nel Biferno una volta si portavano a bagnare le pecore nel mese di giugno per lavare la lana prima della tosa. Ogni famiglia aveva un gregge da uno a cinquanta capi. Nel fiume si portava a macerare il lino per poi lavorarlo con la caratteristica millenaria "mancina”. I piccoli fasci di questa pianta si immergevano nell’acqua e si fermavano con grossi sassi per non farli trascinare dalla corrente e da eventuali piene. Rimanevano al macero per alcuni giorni e poi si mettevano ad asciugare al sole. Sul fiume da tempo immemorabile esisteva un solo ponte di legno che serviva per unire le contrade Porcine e Tivone. Era posto dove, dopo la prima guerra mondiale, fu costruito il ponte di cemento o del Tivone. Ponti di minore importanza certamente dovevano esistere in vicinanza del Cantone Giorgione e della Rocca. Il primo - come è evidente - univa la mulattiera della Canala con quella di contrada Valli, il secondo metteva in comunicazione la mulattiera Macchie con quella della Rocca che portava a Campobasso. Intanto nel 1860/70 fu costruito il "Ponte la Rocca” per attivare la rotabile Garibaldi. La costruzione della Bifernina col ponte del Cerreto ha enormemente valorizzato i terreni dell’agro di Castropignano una volta tra i più sperduti e lontani dal centro abitato. La parte più pittoresca ampia ed arieggiata del Biferno è la sua valle nell’agro di Castropignano. Per questo motivo sulle due rive sono sorte diverse seconde case di Campobassani, fabbriche di manufatti di cemento, officine meccaniche, deposito di materiali edili ed altro.

 

 

26. FAUNA

 

Nell’agro di Castropignano sono numerose le volpi, nonostante le diverse stragi che ne fanno i cacciatori. Verso il 1940 scomparvero faina e gatto selvatico e molto tempo prima il lupo. Sul Biferno non esiste più la lontra. Tra i volatili numerose e in aumento sono gazze e taccole. Nei boschi prolificano cuculo, rigogolo (gruavule), picchio e tortore.

 

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Nei campi sono scomparse allodole, starne e quaglie. Rari sono gufi e civette,’astore (stora), falchi, corvi e cornacchie. Lungo il fiume esistono ancora cutrettola (coda zinzera) e beccaccia. Nelle siepi ancora si vedono merli e pettirossi. Nell’abitato sono numerose le rondini (grondaia del Convento) rondinoni, passeri e colombi torraioli (colombaia della Chiesa Madre). Nelle campagne sono scomparsi ricci e tartarughe. Da qualche anno è ricomparso il tasso (fasciola) ed il cinghiale. Tra i rettili numerose sono lucertole e ramarri, bisce cervoni, vipere e qualche aspide. Non si vedono più molte rane. Le lepri una volta numerose sono completamente scomparse. Sono quasi estinti scoiattili, donnole e ghiri. Da circa una ventina di anni non si sono più viste le anitre. Volavano a stormi a forma di V ad alta quota e con i loro melanconici e lontani richiami annunziavano l’inverno. La direzione del volo era Nord-Sud (S. Angelo Limosano-Matese). Prima dell’invenzione delle armi da fuoco nell’agro esisteva ancora il cervo detto capra selvatica.

 

 

27. ALLEVAMENTO DI ANIMAI DOMESTICI

 

Numerosi sono gatti di diverse razze, come pure cani da caccia e da guardia. Cavalli muli ed asini diminuiscono man mano di numero per la diffusione di automezzi e la costruzione di strade poderali. Discreto è l’allevamento dei bovini, mentre diminuisce l’allevamento di capre, pecore e maiali. Minimo è l’allevamento di colombi, polli, conigli e tacchini (il tacchino fu importato nel 1600 dall’America del Nord). Il nome è derivazione di tacca che vuol dire macchia. I nostri antenati lo chiamarono ”veccio” forse dal colore delle penne simile a quello del seme della veccia. Nota particolare merita la pecora ”iezza” o carfagna, tipo di ovino con manto tra nero e marrone. Questa razza di pecora fu allevata sino a qualche anno dopo la prima guerra mondiale. Il manto di questo animale evitava l’onere di tingere la lana nei colori rosso o indaco. Probabilmente questa razza fu importata da Ielsi (Ieveze) paese del Molise con parte di popolazione di origine bulgara come Castropignano.

 

 

28. ARCIPRETI DI CASTROPIGNANO DAL 1602 A 1968

 

De Donatis Gianleonardo 1602-1609

De Angelis Medoro di Vastogirardi 1609-1631

 

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Di Pardo Francesco 1631-1640

Reale Vincenzo di Ferrazzano 1640-1678

Stravato Carlo 1678-1682

D’Andrea Ascenzo 1695-1718

Zurlo Ottavio di Baranello 1720-1748

Palmerino Domenico 1748-1754

Pece Michelangelo di Ripamolisano 1754-1756

De Collis Ottavio di Mormanno (Cosenza) 1756-1773

Palma Giovanni 1773-1787

Borsella Giuseppe 1787-1812

Maddalena Giovanbattista 1812-1825

Luciani Innocenzo 1825-1831

Borsella Abramo 1831-1839

Borsella Carlo 1843-1883

Maddalena Giocondino 1887-1892

Natangelo Luigi di Salcito 1898-1902

Luciani Pasquale 1905-1926

De Falco Nicola di Carovilli 1926-1930

Di Rienzo Pompilio di Salcito 1930-1944

Galasso Mario di Agnone 1945-1946

Fiocca Oliviero 1946-1959

Valentini Ruggiero di Sassa Collemare (Aquila) 1960-1968

Lombardi Franco 1968

 

 

29. SINDACI DI CASTROPIGNANO DAL 1834 AL 1985

 

Carmosino Nicolino 1834-1847

Venditti Giacomo 1838-1840

Venditti Filoteo 1841-1843

Borsella Angelo 1844-1848

Evangelista Amilcare 1850-1856

Venditti Emidio 1857-1860

Maddalena Mariano 1857-1860

Borsella Salvatore 1860-1861

Piccinocchi Gaetano 1861-1863

Cameli Nicola 1863-1864

Venditti Giacomo 1864-1867

Borsella Salvatore 1867-1877

 

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Maddalena Mariano 1877-1880

Borselia Flaviano 1880-1882

Borsella Giuseppe 1882-1883

Borsella Flaviano 1883-1885

Piccinocchi Giacomo 1885-1888

Borsella Federico 1889-1893

Venditti Giuseppe 1893-1896

Colozza Pietrantonio 1896-1898

Luciani Michelangelo 1898-1901

Borsella Giuseppe 1901-1904

Evangelista Gennaro 1904-1919

Sardella Antonio 1920-1926

Sardella Antonio (podestà) 1927-1936

Venditti Vittorio 1936-1940

Maddalena Crescenzo 1940-1944

Piccinocchi Corrado 1944-1946

Sardella Raffaele 1946-1947

Belvedere Raffaele 1947-1952

Maddalena Luigi 1953-1960

Carmosino Nazario 1960-1964

Maddalena Luigi 1964-1970

Sardella Pietro 1970-1975

Iocca Lorenzo 1975-1985

Landolfi Osvaldo 1985

 

 

30. STORIA DELL’AGRO DI CASTROPIGNANO

 

In epoca sannita l’agro di Castropignano era diviso in grossi fondi sui quali vivevano famiglie patriarcali di più generazioni. Questi fondi erano delimitati in ogni parte da strade mulattiere. In epoca sannita molte famiglie si estinsero per le ricorrenti guerre con Roma e molti poderi passarono nelle mani dei legionari romani posti in congedo. Dopo la caduta dell’Impero Romano e susseguenti invasioni barbariche, tutto l’agro divenne proprietà del duca e di pochi altri proprietari. Dopo il medioevo, a causa dell’emigrazione molti terreni rimasero incolti o venduti a contadini ex affittuari e mezzadri. Con il succedersi delle diverse generazioni i piccoli fondi furono divisi e suddivisi tra eredi sino a diventare gli attuali fazzoletti di terra. Sino a pochi anni or sono dire "proprietà” significava avere più o meno terra da coltivare.

 

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I confini tra fondo e fondo erano, e sono ancora, cosa quasi sacra. È scomparso il dio termine [1] dei romani, ma è rimasto l’attaccamento al confine sino al centimetro.

 

 

31. ELOGI DI CASTROPIGNANO

 

“Posti incantevoli e molta cordialità da parte di tutti gli abitanti di questo meraviglioso paese.”

 

”Qui si scontrano le salsedini dell’Adriatico e del Tirreno, si mescolano gli ossigeni della Maiella e del Matese ed il tutto vi ridà una più forte carica di giovinezza”.

 

"Sono nella S. Marino del Molise”.

 

”Il vino è più ardente, il formaggio porta ancora l’aroma dei pascoli, le mulattiere sono pietrose come quelle di Itaca, il paesaggio è quello del tempo sannita”.

 

”Qui è la gente più paziente d’Italia, la più buona, la più genuina”.

 

”Non ho trovato in nessun altro paese del Molise colli più ariosi, i frutti più squisiti, i panorami più vasti, le località più pittoresche”. ”Il pane fresco uscito dal forno accanto al camino, le salsicce appese alla ”iatta” nella vasta cucina, il prosciutto odoroso di due anni, i fagioli della "pigmata” fragranti di sedano, aglio ed olio, il vino moscato e quello della "stizza” sono i ricordi che più mi tormentano in questa terra lontanissima....”

 

"Borgo turrito addossato come fortezza a rupi ferrigne, dal tenace folklore ed ove greggi e pastori continuano a passare (non più) dal monte al piano per la via millenaria. Terra che ha conservato il ritmo e i riti della vita pastorale e sa largamente compensare alcune deficienze dell’attrezzatura turistica - del resto in via di eliminazione - con la cortese cordiale ospitalità degli abitanti”.

 

 

32. ISCRIZIONI SU CHIESE E PUBBLICI EDIFICI

 

”D.P. 1740 Z.S.P. - M.L.O.A.P. "Questa iscrizione è incisa sull’arco di pietra sovrastante la cisterna del Convento (Chiostro posteriore alla Chiesa di S. Maria delle Grazie).

 

 

1) I Romani adoravano il dio termine. Chi rimuoveva i termini tra le proprietà (terriere) commetteva sacrilegio.

 

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CHIESA DEL CONVENTO Antica statua della Madonna delle Grazie XVI secolo.

 

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Sulla parte sud di un ex convento di suore di Roccaspromonte si vede incisa una lapide con l’ammonitrice frase ”Dio ci vede” (Dio ti è sempre vicino e vede come agisci). Sotto la soglia della porta destra della Chiesa Madre c’è la scritta "Factum A.D. 1828” (Soglia posta in opera nell’anno del Signore 1828) ed alla base della cupola dedicata allo Spirito Santo è scritto "Terminata nel 1827 - Restaurata nel 1967”. Da "Storia di Castropignano e del suo governo feudale” di Michelantonio Borsella, si apprende che sulla tomba del Duca Vincenzo D’Evoli fu apposta una lapide con la seguente iscrizione latina: "Illustris Vincentius Evolus neapolitanus aeques hoc a fundamentis herigendo templum Deo plures domos fìliis fide regi elegantia morum patriae iustitia subditis liberalitate famulis calamitate satisfecit quod fine adepti sub tegmine huius monumenti quievit obiit die Vili novembris A.MDLXVII (Vincenzo D’Evoli illuste nobile napoletano coll’erigere a Dio questo tempio dalle fonda- menta rese pienamente contenti con giustizia i sudditi, con benevolenza i dipendenti, con fedeltà i figli lui stesso il capo col buon gusto delle usanze del luogo nativo. Perciò alla morte riposò sotto questo meritato altare. Morì il giorno 8 Novembre 1567. Non si sa con precisione se il Duca Vincenzo D’Evoli riposa sotto l’altare della chiesa della Madonna delle Grazie. Un frammento della lapide sopradetta è conservato nella sacrestia. Le lettere d’iscrizione sono alte tre centimetri.

 

Frammenti della sopradetta lapide furono trovati abbattendo un muro (con relativa porta) di separazione tra il chiostro ed il corridoio dell’ex convento. Sulla parete interna di fondo della Chiesa di S. Lucia spicca questa iscrizione: ”D. Ioannis Antonius De Posta fundavit et dotavit A.D. 1705” (Il signor Giovanni Antonio De Posta fondò e arredò nell’anno del Signore 1705”). Non vi sono in Castropignano discendenti del De Posta, né si sa se la chiesetta fu costruita su resti di altro piccolo tempio. Sulla porta centrale della Chiesa Madre di Castropignano è incisa la seguente iscrizione:

 

”D.O.M. Templi huius in honorem SS orum Petri Martiris patroni et Marci Evangelistae undique vetustatis labentis totius a fundamentis renovati superaque dimidium aucti sumptibus laborisque populi civ Ioan Baptista Magdalena are. et iudex or. us. primum in angulo lapidem rite benedict. generali prefecti Blasi Zurli vicario Iob. Berardini ortonen adiuvante collocavit III nonas maias MDCCCXVI”

(A Dio Ottimo Massimo. Il cittadino Giovanni Battista Maddalena arciprete e giudice ordinario con l’assistenza del Vicario Giobbe Berardino da Ortona e del Prefetto Zurlo Biase il 27 Maggio 1816 posò la prima pietra benedetta secondo il rito, di questa chiesa, in onore dei Santi Pietro Martire patrono e di Marco Evangelista, cadente dappertutto per vetustà, restaurata dalle fondamenta ed ampliata più della metà a spese del popolo).

 

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Sulla porta del castello su una lapide rettangolare sormontata da un angelo con ali racchiuse e stemma nobiliare si legge la seguente iscrizione:

 

"Dominicus De Ebulo Castripignani Dux et XIII maiorum serie dominus Anno MDCLXXXIII

(Domenico D’Evoli Duca di Castropignano e tredicesimo della serie degli antenati Anno 1683”).

 

Sull’arco della cappella della Madonna del Rosario c’è la seguente iscrizione:

 

"Sumptibus ante datis fratres statuere sacel. protegat ut mater Virgo Maria suos A.D. 1810.

(Cittadini devoti fecero costruire questa cappella a proprie spese perché la Vergine Maria protegga i suoi fedeli).

 

Sulla campana maggiore detta "campana nuova”, perchè già rifusa una prima volta, c’era la seguente iscrizione:

 

"Laudo Deum, populum voco, congrego clerum, mortuos ploro, mala pello, festa decoro.”

 

Rifusa in luglio 1867 a cura del Sindaco D. Salvatore Borsella fu Emidio. Raffaele ed Alessandro Marinelli da Agnone fecero” (Lodo il Signore, chiamo il popolo (in chiesa), raduno i sacerdoti, piango i morti, allontano le calamità, rallegro le festività). Questa campana si lesionò nel 1953. Aveva su quattro lati bassorilievi della Madonna del Rosario, S. Barbara, S. Pietro Martire e S. Leonardo. Fu rifusa nella Fonderia Marinelli di Agnone nell’ottobre 1954. Nel bronzo fuso furono lanciati per devozione molti oggetti d’oro e la colata ebbe inizio con l’ "Ave Maria” invocata dal compianto arciprete Don Oliviero Fiocca di Carovilli. Precedentemente, si racconta, la campana era stata rifusa nell’abside della chiesa di S. Nicola. Sul punto più alto della facciata della Chiesa Madre è posta una piccola lapide con la scritta ”T.P. A. 1822 D.” cioè: Terminus Positus Anno Domini 1822 "Posto termine-chiesa finita - nell’anno del Signore 1822”.

 

Sulla parete esterna della sagrestia della Chiesa Madre - lato Nord-est - è murata una lapide quadrata con la scritta - poco leggibile - ”Coepit die...ma... A 1816 a Berardino De Francisco pese. (Chiesa iniziata nel giorno...nell’anno del Signore 1816 da Berardino De Francesco di Pescopennataro (o di Pesche d’Isernia?).

 

 

33. "PALAZZO CASTROPIGNANO”

 

La sede dell’Amministrazione Provinciale di Caserta si chiama "Palazzo Castropignano”. Più volte ho scritto al Presidente dell’Amministrazione Provinciale di quella città per sapere la ragione della denominazione di quella sede, ma non ho ottenuto risposta.

 

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34. DANNI DI GUERRA 1943

 

Durante la seconda guerra mondiale Castropignano e la vicina Roccaspromonte subirono rilevanti danni e saccheggi. Inoltre si ebbero morti e feriti tra la popolazione a seguito di bombardamenti aerei e scoppio di ordigni inesplosi. L’esercito tedesco in ritirata fece saltare il ponte ”La Rocca” e due arcate del ponte di cemento del Tivone. Col primo bombardamento aereo (aviazione americana) del 1° ottobre 1943 fu rasa al suolo la casa di Pasquale Maddalena ("Marinelli”). Sotto le macerie morirono moglie e figlia. Le vicine case di Maddalena Antonio, Raffaele Venditti, Mascitelli Michele ed Angelo Borsella subirono danni rilevanti. Con mine furono distrutte le case di Sardella Pasquale Borsella Valentino, Battista Ruggiero, Fraraccio Gennaro, Gennaro Evangelista e Iocca Angelo. Di conseguenza caddero le case adiacenti di Settimio La Porta (oggi caserma carabinieri) Felice Marino, Coppola Domenico e Sardella Pasquale. L’attuale Via Umberto I fu praticamente coperta di macerie sgombrate con le ruspe dagli Americani. Pure mine tedesche fecero saltare un tratto della Garibaldi (circa dieci metri) tra le case di Sardella Luigi e Donato Di Bartolomeo. Dopo il bombardamento del 1° ottobre 1943 la popolazione, terrorizzata, si rifugiò in campagna e nei paesi vicini (Fossalto e Ripalimosano). Alcuni tratti di mulattiere furono minati. Un po’ dovunque furono lasciati mucchi di proiettili inesplosi. Per questo motivo si ebbero morti e feriti tra bambini. Una bomba inesplosa del peso di circa un quintale fu recuperata nei pressi del "Cantone La Guardia” (fu scaricata da Sardella Gennaro di Giovanni...). Un’altra simile fu raccolta in Piazza S. Antuono da Antonio Novelli. Le case distrutte e quelle più o meno danneggiate furono ricostruite e riparate con il contributo dello stato. In seguito a bombardamento aereo morirono nelle vicinanze della chiesa Madre Iocca Angelo e Sardella Domenico.

 

 

35. IL MIRACOLO DELLA MADONNA DELLE GRAZIE

 

Non si sa bene in quale data precisa, ma certamente quando la Chiesa della Madonna delle Grazie stava per essere terminata, avvenne in Castropignano un evento portentoso.

 

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La statua della Vergine da Lucerà doveva essere portata a Carovilli. Passò per Castropignano adagiata in una cassa tirata da quadrupedi. I mulattieri dal fratturo imboccarono Via Biferno e del Pozzacchio, passarono davanti alla cappella di S. Antuono e cominciarono a salire per Via Umberto 1° (via del convento). I muli (due, quattro, sei?) arrivati all’altezza della Chiesa di colpo morirono e per il dispiacere morirono anche i proprietari delle bestie. I conducenti erano entrati in paese forse per rifocillare i muli e se stessi. Diversamente avrebbero continuato il viaggio per il fratturo; oppure entrarono nell’abitato per un giorno di riposo nella taverna sita proprio davanti alla chiesa. La ” taverna” era costituita da un piano rialzato di tre stanze - (grande cucina e due stanzette per dormire) - e stalla nel piano sottostrada (oggi casa di Sardella Armida). Per il detto luttuoso avvenimento la statua della Madonna fu depositata nella vicina chiesa - in costruzione o di recente aperta al culto -. Dopo alcuni giorni alcuni carovillesi vennero a Castropignano per riprendere la statua, ma ogni volta che il viaggio stava per iniziare, il cielo si oscurava paurosamente, come se stesse per sopraggiungere la notte, minacciando tempesta. Siccome il fenomeno si ripetè più volte, alla fine i carovillesi rinunciarono alla statua e forse il Duca Vincenzo D’Evoli ne trattò l’acquisto. Il fatto portentoso ebbe vasta eco nel Molise e numerosi furono i pellegrinaggi. Il cielo che si oscurava fu interpretato quale segno che la Madonna voleva essere venerata in Castropignano. Da quel momento più profonda fu la devozione dei castropignanesi per la Vergine. Una iscrizione che forse parlava del miracolo è andata quasi completamente distrutta; esisteva al di sopra della porta della chiesa (internamente). Un’altra iscrizione era scolpita sulle alzate dei gradini di accesso al portale. Questi gradini, danneggiati per eventi bellici, furono sostituiti coi nuovi (dopo la guerra del 1940- 45) e buttati in corridoio sotterraneo, al di sotto della parte sinistra della chiesa. A tale corridoio si accedeva rimuovendo una lapide con lo stemma della famiglia D’Evoli. Anche questa lapide fece la stessa fine dei gradini. Va notato infine che copia identica della Statua della Madonna delle Grazie è in una cappella di Carovilli.

 

 

36. MIRACOLO SUL BIFERNO

 

La defunta ”Zia Teresangela” Camposarcone, madre di Giacomo Camposarcone fu Nicola, maestro muratore, di Castropignano, mi raccontò più volte il miracolo di S. Casimiro:

 

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”S. Casimiro doveva recarsi a Campobasso (1883?). Mio padre e Titta Scapolati stavano di guardia al ponte (non si sa se si tratta del ponte del Tivone o di quello della Rocca) per riscuotere il pedaggio. Un giorno un giovane scalzo, senza copricapo, con la barba lunga e lacero si avvicinò al ponte, salutò i guardiani e prese ad attraversare il ponte senza pagare il pedaggio. I due guardiani lo presero per un braccio e lo riportarono indietro. ”Non ho soldi” disse Casimiro. I due guardiani risposero: "Allora non passi” Casimiro rispose: ”Va bene, allora passo nel fiume”. E così dicendo Casimiro si avvicinò alla riva del fiume, si fece il segno della croce e appena pronto per mettere piede nel Biferno, nell’acqua si aprì un passaggio asciutto! Attraverso questo varco Casimiro raggiunse l’altra riva. Ai guardiani oltremodo stupefatti, senza poter pronunziare parola per l’emozione, si rizzarono i capelli per quello che avevano visto. Riavutisi dallo stupore andarono a chiedere scusa e perdono a S. Casimiro. Questi, come se nulla fosse accaduto, salutò fraternamente i guardiani e proseguì per Campobasso”. Altri particolari sorprendenti, che qui per brevità non possono essere raccontati, sono forniti dalla cognata di Iocca Carmine, signora Molinaro Lombardi abitante a Roccaspromonte. Alla stessa furono più volte raccontati fatti miracolosi di S. Casimiro dalla nonna. Un libro della vita e pellegrinaggi di S. Casimiro nel Molise ed altre parti d’Italia è gelosamente custodito da Ciolfi Orindo. L’edizione è del 1894. Un boccale col quale fu dato da bere a S. Casimiro era custodito da Petti Liberato, emigrato nel Canada.

 

 

37. CASTROPIGNANO E LA POLITICA

 

I castropignanesi sono stati sempre vivamente interessati alla politica locale e nazionale. Quasi per tradizione la popolazione spesso si è divisa in due opposte ed agguerrite fazioni denominate "partite de ngoppa” (partito di sopra) e "partite de sotte” (partito di sotto). Con queste due espressioni s’indicavano gli elettori e capilista della parte alta del paese e quelli della parte bassa. Nei mesi precedenti le elezioni i caporioni delle liste contrapposte andavano in giro per l’abitato seguiti da un codazzo di amici armati di bastoni e "sagliocche” (bastoni con manico a sfera). Erano solo precauzioni... Non si hanno notizie di scontri. Le parti opposte avevano quasi la stessa forza elettorale. Si vinceva per pochi voti. Questo avvenne sino all’avvento del fascismo.

 

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Dopo la prima guerra mondiale - dal 1919 al 1921 - dopo le festività religiose, a sera inoltrata, dopo il concerto in piazza, la banda doveva recarsi dalla Chiesa Madre al Piano e poi ridiscendere sino a S. Antuono suonando di continuo. Questo percorso si faceva suonando inni patriottici e canzonette in voga. La banda era seguita e precedeuta da torme di ragazzi e giovani. Tra ”La Porta” e i Vichi Primo e Secondo Guardia la banda era bloccata e minacciata davanti da giovani ex combattenti e fascisti che reclamavano l’esecuzione di ”Piave” e "Giovinezza”, dietro da altri giovani - socialisti - che reclamavano "Bandiera Rossa”. I poveri "bandisti”, sotto le minacce, non sapevano come regolarsi, ma batti e ribatti si trovò una soluzione... veramente salomonica... e cioè questa: mezza banda eseguiva "Giovinezza” e l’altra metà "Bandiera Rossa”. L’accordo doveva essere veramente originale! Dopo queste esecuzioni la banda era sbloccata e libera di andare a dormire. I carabinieri facevano il loro meglio per evitare violenze tra la folla minacciosa e più che brilla! Allora il vino era abbondante e la birra era sorbita solo da persone facoltose. Con l’avvento del fascismo le elezioni furono abolite e la banda, dopo i concerti in piazza (della sera), scendeva dalla Chiesa al Convento suonando "Giovinezza”, "Marcia reale”, "Piave” e "Faccetta nera". Col fascismo Castropignano ne diventò roccaforte e la sua "squadra” partecipò a parecchie spedizioni punitive nella vicina Campobasso. Il Fascismo raccolse molte adesioni perchè i reduci di guerra erano tenuti molto in disparte nonostante le sofferenze ed il sangue versato sui monti del Trentino. Capo avverso al Fascismo fu l’ormai vecchio Don Gennaro Evangelista, laureato in legge e farmacia e, per la sua intelligenza e cultura, soprannominato "Marconi”. Dalle autorità locali in alcune occasioni furono tenuti sotto sorveglianza Ferdinando Borsella, Raffaele Maddalena, Francesco e Giuseppe De Felice perchè antifascisti. Dopo il 1900 cominciò a diffondersi in Castropignano il socialismo. Era idea più che altro rivolta contro lo stato che nulla faceva per migliorare le condizioni dei lavoratori. Ci fu un abbonamento a "L’asino” settimanale d’indirizzo socialista e anticlericale. Aveva come sottotitolo questa frase: "L’asino è il popolo, umile, paziente e bastonato”. Il socialismo di quegli anni era anche una rivolta contro le condizioni di miseria nelle quali versavano le nostre popolazioni meridionali. Nel 1921 i socialisti si divisero in socialisti moderati e rivoluzionari comunisti. Il Comunismo in Castropignano ebbe abbastanza seguito dopo la seconda guerra mondiale. Singolare è il fatto che per una diecina di anni al comunismo non aderì nessun intellettuale o impiegato.

 

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Per i contadini il comunismo era considerato una calamità: ‘‘Il comunismo ti toglie la terra!” Questa era la frase ricorrente. Dal 1945 avemmo socialisti e comunisti e gli ex fascisti si sparpagliarono nei diversi partiti. La sezione comunista per alcuni anni è stata organizzata ed agguerrita pur rappresentando un quinto dell’elettorato. I comunisti uniti ai coltivatori diretti sono anche entrati a far parte dell’Amministrazione comunale (1975/81). Le ultime elezioni amministrative hanno dato 360 voti alla lista dei coltivatori diretti, 310 voti alla lista della Democrazia Cristiana e 160 voti alla lista civica.

 

 

38. IL SAPERE

 

Se fai progetti per un anno;

semina il grano.

Se i tuoi progetti si estendono a dieci anni

pianta un albero.

Se essi abbracciano cento anni,

istruisci il popolo.

Seminando grano una volta,

ti assicuri il raccolto.

Se pianti un albero,

tu farai dieci raccolti.

Istruendo il popolo,

tu raccoglierai cento volte.

 

(Kuang-Tsen)

(poeta cinese del IV-III sec. av. Cr.)

 

 

39. IL MIO PICCOLO PAESE

 

Nacqui in un piccolo-paese e in una piccola casa...

Per questo ho tanta voglia di scoprire

tutto quanto è nel mondo.

Son cresciuta tra i selci delle strade...

tanto anguste che lì faceva freddo

quand’era caldo, e viceversa.

L’un l’altro ci si conosceva

nel paese, si camminava adagio,

 

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ci si fermava per la strada e a lungo

l’un l’altro ci s’interrogava:

- Come stai? Come va? - ...

Ricordo nel piccolo paese

i vicini donarsi dalla soglia

il pane, i fiori da trapianto...

o scambiarsi fuoco, notizie e una parola buona.

Ringrazio il mio piccolo paese

d’avermi fatto spalancare gli occhi

di meraviglia verso il mondo intero,

occhi insaziabili che sempre crederanno

e cercheranno, lungo il cammino,

d’incontrare quanti porgono una parola

di conforto, o un po’ di fuoco, o un consiglio,

o un po’ d’amore.

 

Blaga Dimitrova

(poetessa russa) (poetessa bulgara, V.K.)

 

 

40. CONDIZIONI METEOROLOGICHE

 

La temperatura massima si ha nei mesi di luglio ed agosto e quella minima nei mesi di gennaio e febbraio. Frequenti brinate si hanno nei mesi di novembre e febbraio e facilmente nei mesi di gennaio, ottobre, aprile e maggio. E poco frequente la rugiada e le nevicate sono possibili da novembre ad aprile. Piogge torrenziali si hanno nei mesi di maggio, giugno, settembre ed ottobre. Scirocco e tramontana spirano saltuariamente nei mesi da giugno a settembre e da novembre ad aprile. La tramontana spira quasi sempre a sera da maggio a settembre. Annualmente la grandine colpisce qualche contrada. Nel 1926 (in agosto) e nel 1959 (giugno) questa calamità colpì per intero l’agro di Castropignano. Nel 1959 i chicchi raggiunsero più di 2 centimetri di diametro. Nel 1956 nevicò per tutto il mese di febbraio. Nel 1984, a distanza di circa mezzo secolo, si sono rivisti alle grondaie ghiaccioli lunghi più di un metro.

 

 

41. CONDIZIONI IGIENICO-SANITARIE

 

Vige da tempi remoti l’abitudine di avere la stalla a fianco, al di sotto o poco distante dalla casa di abitazione.

 

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Nella stalla vengono tenuti alla rinfusa pecore, capre, maiali ed animali da soma, poche volte più o meno ripartiti. Sino a pochi anni or sono numerosi erano nell’abitato i pollai tenuti nei modi e posti più diversi. Attualmente le sopradette abitudini sono del tutto scomparse. Le stalle si sono trasformate in garage e legnaie. Quasi tutte le abitazioni sono fornite di servizi igienici e molte sono fornite d’impianto di riscaldamento a termosifone. Provviste di vino ed olio sono conservate in cantine asciutte e ben arieggiate mentre altri viveri sono depositati in appositi ambienti. Una volta biancheria e vestiario venivano lavati nelle limpide acque del Biferno ed il bucato veniva fatto con acqua bollente e cenere in capaci tini di legno. Attualmente quasi in ogni casa ci sono lavatrici e lavastoviglie. Poche famiglie lavano ancora a mano. Prima della seconda guerra mondiale le immondizie, come accadeva da epoca remota, si buttavano alla periferia dell’abitato in determinati posti. Solo pochi signori avevano in casa gabinetto di decenza con relativo pozzo nero. I primitivi depositi di immondizie erano causa di ricorrenti epidemie di colera e tifo. Questo stato di cose era causato anche dall’acqua che si attingeva poco igienicamente nei diversi pozzi alla periferia dell’abitato (Fonte a monte, Fonte a valle, Pozzacchio, Fonte a S. Lucia, Pozzo Cirella, Pozzo don Federico ecc.)

 

 

42. CARATTERE GEOLOGICO DELL’AGRO DI CASTROPIGNANO

 

L’agro di Castropignano appartiene al periodo eocenico. Ciò è dimostrato dal fatto che in tutto l’agro vi sono argille con calcari intercalati. A contrada Cerreto esistono terreni sabbiosi alluvionali. Nelle contrade fiancheggianti il Biferno il terreno è di natura eminentemente calcarea. Tutto l’abitato è sito su roccia compatta mentre grandi masse di arenarie affiorano sul tratturo, contrada Palata e contrada Forconi. Giganteschi spuntoni di roccia affiorano un po’ dovunque (Cantone La Guardia, Cantone Giorgione, Cantone Petrillo, Cantone Belvedere, Cantone di Roccaspromonte "Cantone la fata” e Pesco del Corvo).

 

 

43. MATERIE PRIME PER INDUSTRIE

 

L’agro di Castropignano per il suo carattere geologico potrebbe dare materie prime per la produzione di calce, data la presenza nell’agro di grandi masse calcaree.

 

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Se il terreno non fosse, come é, estremamente frazionato, potrebbe dare origine a diverse piccole industrie agricole. Il suolo, posto da trecento a ottocento metri sul mare, ha contrade che si prestano molto bene all’impianto di oliveti, vigneti, prati e frutteti. Molte contrade hanno sempre prodotto cereali di ottima qualità. Anche l’allevamento del bestiame, specialmente ovino, potrebbe dare ottimi risultati.

 

 

44. LIVELLO MASSIMO DI PIENA DEL FIUME BIFERNO

 

Un’alluvione del 9 settembre 1634 fece crollare il ponte fatto costruire dal Duca D’Evoli. Si tratta certamente del ponte di legno sito, come da sempre, al posto del Ponte del Tivone (attualmente in cemento armato). L’alluvione della notte tra il 20 e il 21 settembre 1811 "distrusse il Mulino La Rocca travolgendo due mugnai che si erano rifugiati nella parte alta del mulino, rimase distrutta la cartiera del Duca con la morte di nove cartai. Il Mulino "la terra” rimase distrutto ma senza vittime. L’alluvione distrusse la taverna al ponte, la gualchiera del Cerreto (vallecaturo) e la chiesetta di S. Giacomo”. Questa fu poi ricostruita in posizione sicura, dove è attualmente. Le due diverse piene, raggiunsero più o meno il livello dell’attuale strada bifernina.

 

 

45. ALTITUDINE

 

sul livello del mare di alcune contrade di Castropignano e località circostanti

 

Abitato di Castropignano m. 612

Contrada Serre-Colle Serre 761

Ponte ”La Rocca” 360

Contrada S. Giacomo 348

Contrada Tivone o Cima Battaglia 704

Contrada Covatta 477

Contrada Cerreto 366

Contrada Acque Vive 468

Roccaspromonte 648

Contrada Campo Paglariello 768

Contrada Fonte Fornelli 740

 

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Oratino 780

S. Stefano 600

Torella del Sannio 894

Casalciprano 658

Chiesa dell’Annunziata 597

 

 

46. PRECIPITAZIONI ATMOSFERICHE

 

Quantità complessiva delle precipitazioni atmosferiche (pioggia e neve) in mm.

 

Gennaio mm. 745

Febbraio mm. 116

Marzo mm. 50

Aprile mm. 103

Maggio mm. 15

Giugno mm. 12

Luglio mm. 9

Agosto mm. 38

Settembre mm. 112

ottobre mm. 35

Novembre mm. 40

Dicembre mm. 97

 

 

47. ROTTE AEREE CHE ATTRAVERSANO IL CIELO DI CASTROPIGNANO

 

Le rotte aeree che attraversano il cielo di Castropignano sono:

Napoli-Vienna

Napoli-Varsavia

Napoli-Helsinki

Napoli-Budapest

Napoli-Mosca

Roma-Foggia

 

 

48. SORGENTI DI ACQUA POTABILE

 

Sorgente ”LA CANALA”: sgorga ai piedi del "Cantone la fata”, al limite delle contrade Carpineto e Disciano - Versa litri 0,54 al secondo. E sita a m. 414 s.m. Temperatura dell’acqua: gradi 14. Sorgente ”La Cananella”: sgorga nella contrada omonima, a m. 450 s.m. e versa 1. 26 al secondo.

 

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A valle di detta sorgente si trovano gli appezzamenti di terreno più piccoli dell’agro. Sono di proprietà delle diverse famiglie Macoretta. La temperatura dell’acqua è identica a quella della Canala.

 

Sorgente "ACQUE VIVE”: sgorga a nord est della frazione di Roccaspromonte a poca distanza dal Biferno e più in alto della Bifer- nina. Versa 1. 0,50 al secondo. È sita a m. 500 s.m. Temperatura dell’acqua: gradi 14.

 

Sorgente "FONTE FORNELLI”: sgorga sul ciglio dal Tratturo Lucera-Castel di Sangro. Prende nome dalla contrada omonima. Portata: 1. 0,30 al secondo. Si trova a metri 720 s.m. Temperatura dell’acqua: gradi 14.

 

Sorgente "FONTE MARCUNI”: sgorga sulla sinsitra della rotabile Garibaldi che conduce a Torella del Sannio. Si trova a 700 s.m. versa l 0,15 al secondo. Temperatura dell’acqua: gradi 14.

 

 

49. IL TRATTURO

LUCERA - CASTEL DI SANGRO (DELLA ZITTOLA O DELLE PECORE)

 

Una grande via erbosa che serve al transito di greggi ed armenti si chiama tratturo. Questa via serviva da transito e da pascolo. I Romani la chiamavano tractorum (plurale: tractoria) dal verbo trahere, che vuol dire condurre (in questo caso indica portare, o meglio, condurre greggi). Il tratturo è una grande via caratteristica dell’Italia centro meridionale ma anche della Sicilia, del Lazio e della Maremma. L’origine dei fratturi rimonta ai primordi della civiltà. Il tratturo Lucerà Castel di Sangro (lungo 127 km) divide a metà l’agro di Castropignano. E uno dei tratturi più interessanti dell’Italia Meridionale in quanto per mezzo di questa via i Sanniti vennero a contatto con i Greci della Magna Grecia. Attraverso questo "erbai fiume silente” centinaia di greggi scortate da cani, pastori e cavalli scendevano dai monti dell’Abruzzo e si recavano nei pascoli della Puglia. Questa transumanza si verificava dal 1° al 15 ottobre di ogni anno per andare in Puglia. La transumanza inversa avveniva dal 1° al 15 Giugno per recarsi in Abruzzo. I pastori erano vestiti con giacche smanicate confezionate con pelle di pecora o di capra e calzoni fino alle ginocchia, fatti lo stesso di pelle (pelo esterno). Portavano lunghi bastoni a testa d’oca e in testa avevano grossi cappelli neri.

 

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Un seguito di numerosi cani dal pelo lanoso e bianco, con collari irti di punte di ferro acuminate, flan’cheggiavano le greggi. Le pecore portavano un marchio rosso o nero sulla schiena costituito da una o due lettere latine. Queste indicavano nome e cognome del proprietario. Ogni gregge era preceduto da una ventina di quadrupedi procedenti in fila indiana. Portavano reti con relativi paletti, sgabelli, secchi, caldai per la preparazione di formaggio e ricotte e tanti altri attrezzi. Capo fila era il massaro (con vice massaro) discretamente vestito e trionfalmente a cavallo come un gran condottiero. Per il nostro fratturo che si trova al centro dell’antico Sannio e parallelo ad altri fratturi, un tempo passò la maggior parte della ricchezza dei Sanniti. Prima che dall’America venisse introdotto in Europa il cotone, la pecora era un animale preziosissimo per la sua lana, oltre che per formaggio e carne. Al fratturo, è opportuno ricordarlo, erano legati momenti di religiosità e strutture ricettive elementari come testimoniano cappelle e taverne poste a fianco, in mezzo o poco lontane da esso. A Castropignano esistono la cappella di S. Giacomo, posta in mezzo al tratturo e la cappella di S. Lucia a confine con esso. Una taverna del Duca esisteva di fronte alla Chiesa di S. Maria delle Grazie (ora proprietà della famiglia Sardella), un’altra era sulla riva sinistra del Biferno in prossimità dell’antichissima cappella di S. Giacomo (cappella e taverna distrutte nell’alluvione della notte tra il 20 e 21 settembre 1811). Una taverna esisteva a confine col tratturo in vicinanza di Torella del Sannio. Di questa rimangono i ruderi, come rimangono le fondazioni della taverna di Molise. Nelle taverne si ricoveravano massari e quadrupedi. Nelle cappelle o chiesette i pastori pregavano per i loro cari lontani e facevano modeste elemosine. Nel periodo della transumanza il sagrestano della Chiesa di S. Lucia esponeva sull’entrata una cassettina con l’immagine della santa. In essa ogni pastore deponeva il suo obolo. Le taverne erano le Tabernae del tempo di Roma. Rappresentavano gli alberghi-ristoranti dei nostri tempi. Come è ben noto, dai tempi più remoti sino alla fine del secolo XIX, la pastorizia costituiva grande ricchezza. Da pecus, parola latina che vuol dire pecora, derivò pecunia che significa denaro. Dopo la prima guerra mondiale l’importanza e l’uso dei fratturi è man mano decaduta. In passato ebbe alterne vicende per guerra e invasioni barbariche. Il tratturo ora è in completo abbandono perché soppiantato da strade rotabili ferrovie e costruzioni varie. Dopo il 1945 ci fu una grande fame di terra, per questo buona parte del tratturo fu data in concessione ai proprietari dei terreni finitimi e a famiglie bisognose.

 

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”LA PORTA” e ”LA CROCE”

 

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Da questi nuovi appezzamenti di terreni lo stato riscuote un modesto canone annuale. Si ricorda anche che i fratturi dell’Abruzzo e Molise furono per molto tempo anche la via del sale. In epoca romana e medioevale si ebbero i salaioli (commercianti di sale) e da salaiolus derivarono i cognomi Saliolo e Saliola. Il sale si prendeva nella marina Pugliese (oggi Margherita di Savoia). Il fratturo Lucerà-Castel di Sangro attraversa i territori di Lucerà, Gambatesa, Campobasso, Ripalimosano, S. Stefano, Castropignano, Torella del Sannio, Molise, Duronia, Civitanova del Sannio, Pescolanciano, S. Pietro Avellana e Castel di Sangro. Gli ultimi pastori-proprietari che sono passati a piedi sul nostro fratturo (sino al 1975) sono stati: Mendozzi e Di Nucci di Capracotta, D’Alessandro Pietro di Pescocostanzo (L’Aquila), Di Gianvito Pietro di Cortina (Teramo) e Paesani Antonio, Via Polonia, Termoli. Tutti i Tratturi sono larghi 111 metri e da essi si dipartono i tratturelli o bracci.

 

Oltre al tratturo Lucerà - Castel di Sangro, gli altri tratturi che attraversano il Molise sono l’Aquila Foggia - 244 km - il Celano Foggia (208 km), il Pescasseroli Candela (212 km). Quest’ultimo attraversa la Sepino romana, Boiano e l’agro d’Isernia. I pastori si rifornivano di vino, pane ed altri alimenti presso famiglie contadine nelle vicinanze degli stazzi e presso le taverne. In cambio davano le squisite ricotte ed il piccante stracchino (formaggio fatto col latte delle pecore "stracche” per la transumanza). In dialetto castropignanese i pastori venivano indicati col nome di "passerecci”, nome derivato dal verbo passare. La razza delle pecore della transumanza era diversa da quella allevata nei paesi che il tratturo toccava. Da Foggia partiva inoltre un tratturo che, dopo aver raggiunto Altamura, si divideva in tre. rami che raggiungevano Massafra, Montescaglioso, Gioia del Colle ed altre località. Per questo motivo si ritiene che i Sanniti vennero a contatto con i Greci della Magna Grecia e con essi si fusero. Al tempo dei Romani i pastori erano schiavi certamente capeggiati da liberti e quasi schiavi rimasero sino ad epoca recente. Padroni delle greggi erano Abruzzesi, Molisani e Pugliesi. Massari e pastori erano amministratori dipendenti. Prima del ritorno sui monti dell’Abruzzo e Molise le pecore venivano tosate e la lana venduta a Foggia. Gli agnelli servivano per svecchiare il gregge o per macello. Il formaggio veniva messo in ceste cilindriche di giunco (fiscelle) con pezzature da uno a sei chili. La ricotta si conservava in fiscelle di forma tronco-conica. Il siero veniva consumato da pastori, cani e contadini. Quasi inestistenti furono danni e furti nelle fermate notturne negli stazzi (in dialetto iacee).

 

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Dopo la scoperta della polvere pirica fu più facile difendere le greggi. Attentissima agli stazzi era la guardia dei cani. Per curiosità si aggiunge che formaggio deriva da forma, cioè latte cagliato posto e compresso in una forma di giunco. Sembra inoltre che il termine dialettale napoletano, abruzzese e molisano "uaglione” (e uagliò) derivi da quaglione, cioè pastore addetto a mettere la giusta quantità di caglio o quaglio nel latte per fare il formaggio. Siccome cagliare o quagliare era un lavoro da niente, si affidava questa mansione a giovani pastori. Per questa ragione ebbe origine il termine quaglione o uaglione e qualiuni o uagliuni, oltre l’accorciativo - vocativo ”uagliò”.

 

 

50. NOTIZIE SUL CASTELLO O "PALAZZO” DI CASTROPIGNANO

 

Il castello sorse sicuramente su ruderi di fortezza sannitica e ciò è dimostrato dal fatto che nelle immediate vicinanze esistono resti sia pure modesti, di mura osche o sannitiche, mura megalitiche della lunghezza di circa duecento metri e ruderi della "meravigliosa fonte della Canala lavoro delle legioni romane”. Inoltre sulla parte aggiunta del castello (spigolo posteriore sinistro dopo il portale di entrata) è murato un grosso concio di pietra locale con precise scanalature e che probabilmente fu posto in quel punto come ricordo dell’antica fortezza sannitica. Sul portale d’ingresso c’è una lapide, sormontata da un angelo con stemma (molto consunto dal tempo) con la seguente scritta:

 

”Dominicus De Ebulo Castripignani Dux et XIIImaiorum serie Dominus anno MDCLXXXIII”

(Domenico D’Evoli Duca di Castropignano e tredicesimo signore della serie degli antenati - anno 1683”).

 

La costruzione fondata completamente su roccia, a picco sulla valle del Biferno, è difesa ed imprendibile da tre lati: nord, est ed Ovest. Da notare che il Castello di Castropignano non fu mai danneggiato da terremoti (come lo stesso abitato) forse perchè posto su imponente massa calcarea. L’eminente storico molisano Giovan Battista Ciarlanti, parlando di un terremoto dei suoi tempi, parla di molti comuni del Molise a confine di Castropignano rasi al suolo, mentre del nostro non parla affatto. Il castello, comunemente chiamato palazzo, dal latino palatium, è databile certamente intorno all’anno mille o qualche secolo prima. A quell’epoca i morti cominciarono ad essere sepolti nelle vicinanze di chiese, anzi spesso sotto di esse.

 

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Questa data si desume dal fatto che sulla parte nord del castello esiste uno spiazzo sotto il quale sono abbondanti ossa umane. Si tratta di fossa comune con adiacente chiesa dedicata a S. Martino. Questa, ormai distrutta, è tuttora ricordata da nostri anziani.

 

Il castello si presume sorto su ruderi di fortezza sannitica perché sorge a fianco della strada che da Boiano (Sannio pentro) menava a Calena Gerione e Larinum (Sannio fremano). Infatti a contrada Canala (agro di Castropignano) - ad Canales o Statio ad Canales - confluiscono due vie. In origine il castello era di pianta quadrata perché la fossa comune si ottenne chiudendo con un muro alto una diecina di metri un profondo anfratto. Il vuoto così creato fu coperto con diverse volte a botte e crociera. Il portale del "palazzo” con porta rientrante sormontato da due finestre (due vani del corpo di guardia) fu costruito nel 1683. Lo sperone di rinforzo sul lato est, lo sperone a pianta triangolare sul lato sud ed una parte aggiunta, sempre sul lato est del castello, furono fatti costruire dal duca Domenico. Dalle finestre e porte esistenti si può con certezza stabilire che la parte del castello verso il Biferno era costituita da uno scantinato, piano terra e primo piano e la parte ovest (verso Torella del Sannio) da piano terra e primo piano. Tra queste parti dell’edificio esisteva un cortile di quattrocento metri quadri (m 20x20) ed una cisterna di ottanta metri cubi (m5x4x4). Una comoda scala a tenaglia con balaustre portava dal piano terra al primo piano. Attualmente tutto è sepolto sotto le macerie. Dalla chiesa di S. Martino si passava alla fossa comune per mezzo di una scala interna. La fossa-ossario con la sua copertura faceva da terrazzo sul Biferno. Un muro di cinta proteggeva la costruzione. In epoca fascista molto materiale fu utilizzato per selciare alcune strade del paese. ”Quod non fece- runt barbari, castropignanesi fecerunt”.

 

 

51. ETIMOLOGIA DI ALCUNE CONTRADE DI CASTROPIGNANO

 

Contrada deriva dal latino "contrata”. E una parte del latino ager (agro, campagna) - indica con una certa precisione una qualunque località di campagna. Da tempo immemorabile alla stessa si diede il nome di una caratteristica che potesse distinguerla. Quanto più l’agro era esteso e vario, tanto più numerosi furono i nomi delle contrade. L’agro di Castropignano comprende contrade (sottocontrade) delle quali qui si analizza solo il nome di alcune.

 

ARA PRIORI o ARA PRIOLI - forse dal latino ”ara priorum” (altare degli antenati).

 

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Ara può derivare anche dal dialettale ara, cioè aia sulla quale si trebbiava il grano offerto per la chiesa ai priori, presidenti delle congreghe di carità del paese.

 

ARA VECCHIA - forse dal latino volgare "ara vetula” (vecchio altare o monumento).

 

FONTE DEI PALI - contrada della vicina frazione di Roccaspro- monte, dove esiste una piccola fontana o sorgente. Deriva da fons Palis. Pale era la dea dei pastori.

 

ARA VALERIO o ARA VALIERI. Sicuramente dal latino ”ara Valeri”. In questa contrada probabilmete si svolse una sanguinosa battaglia tra sanniti e romani ed il tribuno Marco Valerio la diresse da una collinetta (ara Valieri), presso la Strada Bifernina. Nel cap. XIV della storia di Roma di Tito Livio - libro X - si legge: ”Ad Tifernum in valle occulta parabant adoriri Romanos. Maluerunt concurrere acie in aequum”. Presso il Biferno in una valle nascosta (i Sanniti) si preparavano ad assalire i Romani. (I Romani) preferirono combattere in campo aperto. Campo aperto era forse la vasta e pianeggiante contrada Cerreto, allora coltivata e nel medioevo diventata bosco di cerri (cerreto).

 

PALATA forse da "terra o villa Pilati”. Pilato, come si sa, era di stirpe sannitica. Altra spiegazionie è quella di palathia che in lingua slava vuol dire fortezza o campo trincerato.

 

VICENNA dal latino vices facienda, cioè lavori da farsi alternativamente, rotazione di colture, terreno da lavorare perchè fertile e pianeggiante. Vicenda può riferirsi anche a località dove si svolse un evento straordinario: combattimento o altro.

 

SERRE o SERRA indica luogo trincerato. E una collina poco distante dall’abitato, e uno dei punti più alti dell’agro.

 

LENZA forse dal latino lens (lenticchia) per indicare terreno coltivato a lenticchie. In dialetto lenza significa piccola striscia di terreno.

 

FRAGNITO, insieme di frane, - terreno sconvolto da frane - La contrada in esame ha proprio questa caratteristica.

 

FORNICELLO o FORNICIELLO. Dal latino Fornacis cella. Tempio di Fornace. Forse anticamente in detta contrada esisteva un tempietto in onore della dea Fornace! Questa era invocata per la maturazione e l’essiccamento del grano.

 

FONTE MARCUNI o FONTE MERCURIO? Dal latino Fons Mercurii (fonte del Dio Mercurio). Mercurio era il dio protettore dei viandanti.

 

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Siccome questi sono facilmente afflitti dalla sete, la piccola sorgente fu dedicata a Mercurio?

 

SELVA - dal latino silva (bosco). La contrada selva è un vastissimo cerreto.

 

SERLANDA - forse dal tedesco sehr land (vasta campagna). Forse serlanda prese nome dai bulgari-tedeschi che la dissodarono?

 

FONTE FORNELLI dal latino Fons Fornacalium, fonte delle feste in onore della dea Fornace. In questa contrada esiste una piccola sorgente (fonte) proprio a confine del fratturo Lucerà Castel di Sangro.

 

CARPINE e CARPINETO sono le due contrade che prendono nome dal carpine, ivi prevalente su altre piante. La prima confina con contrada Selva, la seconda confina con l’abitato di Castropignano. Carpinete è lo stesso che castagneto, cerreto, frassineto, faggeto, ed altro.

 

CERRETO prende nome dal cerro ivi predominante. Attualmente però la contrada è tutta coltivata.

 

VETECALE, parola dialettale che corrisponde all’italiano betul- laia. Contrada dove realmente predominavano le betulle.

 

ACQUEBONE o ACVONE deriva dal latino Aquae Bonae (acqua o sorgente della dea Bona) Contrada a confine con contrada Selva e Colle Pignatello. In questa contrada esistono realmente una piccola sorgente e ruderi di un antico tempio isolato (proprietà eredi Mascitelli Pietro). Bona era la dea dell’abbondanza della fecondità e del buon raccolto.

 

POZZILLO dal latino puteus o puteulus (pozzo, piccolo pozzo). Detta contrada è chiusa dappertutto tanto da sembrare un fosso o pozzo.

 

VALLE FRANE Valle del torrente "valle frane”. Terreno franoso. Il terreno della contrada ha diverse frane lungo il torrente.

 

CODACCHIE dal latino cauda aquae (coda di acqua o di torrenti). Indica torrenti che confluiscono in uno più grande a mo’ di coda. La contrada ha questo aspetto.

 

ACQUE VIVE o ACVIVE. Dal latino aquae vivae (acque vive, sorgente zampillante). La contrada prende nome da una abbondante sorgente a nord est di Roccaspromonte.

 

SANTO STAZIO molte contrade prendono nome da cappelle dedicate a santi. In Castropignano abbiamo la contrada S. Giacomo che comprende il territorio circostante la cappella dedicata all’omonimo apostolo.

 

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Oltre Santo Stazio, abbiamo anche la contrada S. Vito. Ma in queste due contrade non vi sono cappelle.

 

LACONE contrada abitata da Laconi (spartani)? Secondo alcuni storici i sanniti erano di origine greca. Può darsi che pastori di origine greca stanchi della loro vita nomade presero stabile dimora in questa contrada.

 

CANALA prende nome dalla Statio ad Canales riportata nella tavola peutingeriana. Alla Canala esiste ancora un rudere delle opere di presa delle acque della sorgente che ivi scaturisce. ”La meravigliosa fonte della Canale lavoro delle legioni romane” rovinò sotto una frana nel 1456. I terreni adiacenti a detta sorgente sono detti della Canala.

 

CANANELLA derivata dal latino canalis (condotto di acqua, acquedotto) ; vale anche per la Canala. Siccome la sorgente Cananella ha una portata più piccola della Canala, col latino volgare e col diminutivo di canalis si ebbe cananula e cananella.

 

PORCINE forse deriva dal latino terrae porcinae (terreni porcini) . La contrada ab antiquo è stata sempre ricca di querce ghiandifere e quindi adatta all’allevvamento dei suini. Perciò terra porcina o porcine.

 

UALLE, GALLO o VALLO con tutta probabilità la contrada prese nome dal latino valium (difesa). Difatti Castropignano nei tempi passati era imprendibile da est (dove è sita la zona dell’agro in questione).

 

DISCIANO - indecifrabile - Nome di proprietario bulgaro?

 

VALLE o VALLI dal latino valles (valli). Indica confluenza di due valli: quella del torrente Trespadina e quella del Biferno.

 

TIVONE indecifrabile. Forse deriva da Tifernus (fiume Biferno) per indicare contrada a confine col Biferno.

 

CARTERA o CARTIERA. Contrada a confine col canale della Centrale o Mulino La Terra. Alla Cartera il Duca D’Evoli impiantò una cartiera distrutta in seguito all’alluvione del 21-9-1811.1 resti possono trovarsi nell’isola formata dal Biferno e dal Canale della Centrale Ischia. E da notare che al posto dei Mulini ad acqua, servendosi dei millenari canali, sorsero le centrali idro-elettriche. Al Mulino La Rocca subentrò la Centrale Guacci, al Mulino La Terra subentrò la Centrale Ischia.

 

MACCHIE dal latino maculae (macchie). Indica terreno dal colore scuro. In italiano macchia indica piccolo bosco.

 

COSTE dal latino costa costae. Costa in senso figurato indica punta di roccia.

 

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Coste di Castropignano è contrada boscosa dalla quale emergono spuntoni di roccia.

 

PISCHE RE CUORVE o PESCO DEL CORVO deriva dal latino volgare piscus per indicare punta di roccia. Difatti a Pesco del Corvo c’è una punta di roccia.

 

S. GIACOMO prende nome dalla modesta cappella in onore di S. Giacomo Apostolo. Questa fu eretta con tutta probabilità dai pescatori castropignanesi del Biferno a devozione di S. Giacomo, che, prima di diventare apostolo, come ben si sa era pescatore. La primitiva cappella sorgeva sulla riva sinistra del Biferno. La cappella era antichissima e fu distrutta nell’alluvione del 21 settembre 1811.

 

COLLE I AIE SE dal latino collis aereus? Colle arieggiato?

 

COLLE TRONE indecifrabile.

 

STEFUNI dal greco Stefani (cresta, ciglio di roccia). A contrada Stefuni esiste un precipizio a picco sul Torrente Santo Janni (confine con l’agro di Torella del Sannio).

 

CAMPO PAGLIARIELLO in dialetto significa campo con un piccolo pagliaio.

 

CAMPO PIGNATELLO forse dal latino pugnae tellus, cioè terra o campo di battaglia.

 

 

52. CLASSI SOCIALI

 

Fino agli anni precedenti la prima guerra mondiale la popolazione di Castropignano si divideva in contadini-pastori, artigiani, professionisti ("galantuomini”, proprietari dei migliori terreni dell’agro) e nullatenenti (braccianti). Gli artigiani erano oltremodo orgogliosi del loro lavoro ed ostentavano alterigia nei confronti dei contadini. Da notare che annualmente alcuni contadini sin dal medioevo e forse anche prima si recavano in Puglia per la mietitura. Sino ai primi anni del 1900 rarissimamente un artigiano sposava una contadina e viceversa. I "galantuomini” tenevano in soggezione i contadini. Spesso li tiranneggiavano. Questo era forse un antico retaggio della dominazione romana prima e medioevale poi. Era l’antico rapporto tra "domini” (padroni, uomini liberi) e "servi" (schiavi). ”I ricchi” trattavano malissimo le persone di servizio. Era in vigore una specie di servitù senza catene. Speciale trattamento ricevevano solo servitori che erano pronti a commettere ogni sorta di cattive azioni. Spesso si era di fronte ai famosi "bravi” di manzoniana memoria.

 

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Le classi sociali, suddivise secondo la detta eredità storica, sussistono in qualche forma ancora oggi. L’emigrazione di fine ottocento produsse una vera pacifica rivoluzione. Contadini, affittuari, mezzadri e braccianti abbandonarono in massa la terra, e le piccole tenute dei "signori” rimasero incolte. Queste schiere dei migliori lavoratori emigrarono nelle terre del "nuovo mondo”, perché attratti da un lavoro bene e sollecitamente retribuito, e perchè stanche di essere bistrattate ed angariate.

 

Questi nostri paesani partirono con entusiasmo e gran voglia di fare fortuna. Specie in Canada e Stati Uniti furono stimati tra i primi lavoratori del mondo, risparmiarono fino aH’ultima "pezza” (dollaro stampato su carta forte come una tela e piccolo come toppa o "pezza”) e ritornarono "fortunati" nella terra d’origine. Questo fenomeno si ebbe perché in terre lontane un’acuta nostalgia per il paese natio e gli affetti familiari perseguitava di continuo questa massa di veri pionieri. Col sudore del contadino meridionale italiano furono costruite ferrovie e canali del Canada e degli Stati Uniti, senza parlare di quelli che tenevano su fonderie di nichel, fabbriche di cemento e cartiere. Al ritorno in patria gli "americani” acquistarono le terre dei "signori" a causa di un nuovo corso dell’economia nazionale. Nacque così una nuova classe di piccoli proprietari e i terreni, acquistati dai padri, con successive divisioni diventarono tanti "fazzoletti di terra". Questo nuovo stato di latto diede luogo alla cosiddetta "polverizzazione della proprietà terriera” (piccoli poderi che configurano in modo originale il paesaggio meridionale).

 

 

53. CONCLUSIONE SUI COMPONENTI LE CLASSI SOCIALI DEL PAESE

 

Come abbiamo visto la popolazione del comune poteva dirsi distinta in tre classi sociali: "galantuomini”, "artieri" e cafuni”, denominazioni che vanno ormai scomparendo. Galantuomo equivaleva a professionista-proprietario terriero, "artiere” indicava artigiano e catone voleva dire contadino o bracciante agricolo. L’artigiano è quasi scomparso con la diffusione delle piccole e medie industrie; il contadino rimasto sui campi ha meccanizzato la propria piccola azienda e galantuomo ha assunto il vero e giusto significato di cittadino buono, civile ed onesto.

 

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La parola cafone deriva secondo alcuni dal latino caput fundi, cafundi e cafuni (singolare cafone); secondo altri deriverebbe dal dialetto napoletano ”c’à fune” cioè con la fune. Caput fundi - capo diri - gente del fondo - in epoca romana indicava un capo schiavo o liberto dirigente e amministratore dei terreni del grande proprietario o colono romano. Un’altra spiegazione viene da ”c’à fune” o ”cum fune”. Indicava il signore (dominus) che recandosi a Roma e Napoli portava dietro di sè un codazzo di servitori (servi) legati con la fune. Questi erano legati uno dietro l’altro affinché non si disperdessero tra la folla o i vicoli dei grandi centri. Col tempo cafone assunse il significato di contadino, servo della gleba, lontano dalla civiltà, perchè addetto solo al lavoro della terra. Poi abbiamo avuto il moderno "terrone” per indicare il povero umile e tartassato contadino meridionale.

 

 

54. ORIGINE DELLA DENOMINAZIONE DI RIONI E VIE DEL PAESE

 

            S. MARTINO - Via così denominata in onore di S. Martino, è il tratto di strada che va dalla Chiesa del S.S. Salvatore alla torre dell’orologio. S. Martino è santo di origine slava (Pannonia). Fece parte dell’esercito romano. Visse il tra 315 e 397 D.C. ed è considerato fondatore del monachesimo in occidente. È rimasto famoso per aver diviso il suo mantello per darlo ad un povero infreddolito. Su di un lato di questa strada esisteva, come si racconta, il convento di S. Martino. Tracce di questo convento antichissimo sono sotto la casa della famiglia Piccinocchi ed accanto alla Chiesa del S.S. Salvatore.

 

            VIA CHIAIA - Via o rione quasi a picco sulla valle del Biferno. Fu così denominata probabilmente dal Duca Vincenzo D’Evoli, nato e vissuto per un certo tempo a Napoli. Forse il nome fu posto a ricordo di Via Chiaia di Napoli o della spiaggia di Chiaia della incantevole isola d’Ischia. Mentre da Via Chiaia di Napoli e dalla spiaggia di Chiaia dell’isola d’Ischia si gode la bellissima veduta del mar Tirreno, da Via Chiaia di Castropignano si gode una incantevole veduta sulla valle del Biferno.

 

            CHIANE o VIA PIANO - In dialetto significa piano. Via Piano è una piazzetta di pianta rettangolare dove anticamente si teneva mercato. Ai lati di questa piazzetta esisteva il "cannale” per misurare stoffa e il "tomolo” per misurare grano ed altri cereali. Il "tomolo” era una conca di pietra di forma circolare con un foro in basso. Il "cannale” era un paletto di ferro infisso nel muro. (Vedi Storia di Castropignano di M. Borsella).

 

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            LA FRATTA - Con voce dialettale indica siepe o riparo. Fratta indica anche luogo scosceso, impervio. La fratta è il burrone a confine di contrada Carpineto.

 

            TRIBUNA - Il rione forse prende nome dal latino tribunal, luogo dove i romani amministravano la giustizia. Non si sa dove questo edificio, tribunal, era costruito. Forse dopo la caduta dell’Impero Romano sui ruderi del tribunal (sulle fondazioni) fu costruita la Chiesa del S.S. Salvatore o la casa dei Borsella oggi proprietà Cirese. In dialetto il rione è detto Trevuna, storpiativo di Torre bruna? Il nome vuol forse indicare case intorno alla torre campanaria (torre bruna e antica)?

 

            SCANNILLO - Dal latino scandix. Indica terreno in declivio, facile a salirsi.

 

            LA PORTA O LA CROCE - Rione nelle immediate vicinanze della Croce (eretta nel 1636) e della Porta medioevale. Anticamente Castropignano era cinta di mura e relative torri di pianta semicircolare. Parte di dette torri nel tardo medioevo furono utilizzate come abitazioni e le mura come materiale da costruzione. ”La porta” ha in cima lo stemma della famiglia Ducale D’E voli e con tutta probabilità essa sorse su altra di epoca sannitica o romana. Da notare che su Via Scannillo e su Via Salita S. Marco esistono parti di abitazione a pianta semicircolare (residuo delle antiche torri?). Nelle vicinanze della Porta fu rinvenuta anni or sono una moneta dell’imperatore Claudio.

 

            TREVECCHIA o TORRE VECCHIA - Indica rione e via. Uno studioso, l’arciprete Tirabasso di Oratino, afferma che nelle immediate vicinanze del Calvario esistevano ruderi di una torre osca. Da questa torre prese nome il rione circostante. Parte della casa di Luciani sorse sulle fondazioni a pianta quadrata della torre. Detta casa fu comprata dall’ex proprietario Caperchione Epifanio. Questi acquistò l’area della torre dal Comune. Non è errato supporre che in epoca di dominazione romana, le torri, quasi a confine del tratturo, già esistenti in epoca sannitica, furono riutilizzate come posti di guardia a difesa delle greggi di proprietà imperiale. Testimoni di questo fatto sono la Torre Vecchia o Trivecchia di Castropignano, la Torre della Rocca di Oratino, il Castello o Rocca di S. Stefano, la Torre e le Torri di Torella, le Torri e Castelli di Molise e di Duronia.

 

            VITECCHIE - Rione a sud dell’abitato di Castropignano; Vitecchie nel dialetto locale indica strada tortuosa.

 

            COLLE - Via e rione di Castropignano meno alto della Trivecchia.

 

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55. PROVERBI E DETTI

 

Consigli de viecchie so forza de giuvene - Consigli di vecchi sono forza di giovani.

 

Marite e figlie come Ddia te re dà acchescì te re piglie - Marito e figli come Dio te li dà così te li prendi. Devi accettare marito e figli così come sono, con difetti e virtù.

 

Pane e cappa nen ze lassa mià - Pane e indumenti non si lasciano mai. Se ti metti in viaggio non devi dimenticare viveri e vestiario.

 

Vocca onta n’arracconta - Bocca unta non racconta. Persona ben pagata non rivela segreti.

 

Santantonie fa tridece griazie e Sante Magnone ne fa quattordece - S. Antonio fa tredici grazie a S. Mangione ne fa quattordici. Si ottengono più favori offrendo cene e pranzi che con le preghiere.

 

La vocca peccerella ze magnatte la casa che tutte re tettarielle - La bocca piccola mangiò la casa con tutto il tetto. Con le gozzoviglie vanno in fumo risparmi e proprietà.

 

Se la rota nen ze ogne nen cammina - Se non metti olio nell’asse della ruota, essa gira male. Se non fai regali non ottieni favori. Abitudine medioevale e meridionale di fare regali per ottenere favori.

 

Pescature e spara delle fanne re figlie peverielle - Pescatori e cacciatori portano miseria ai figii. I padri di famiglia non debbono perdere molto tempo per caccia e pesca, altrimenti 1 figli dovranno vivere nella miseria.

 

Chi ze chententa gode - Chi si cotnenta gode. E felice chi si contenta del proprio stato, chi non ha grandi aspirazioni.

 

Dent’astate arretire pure le prete ca dent’a viene so chepeta - Nell’estate raccogli pure le pietre perchè nell’inverno sono copeta. Nella buona stagione accumula qualunque cosa, perchè durante l’inverno acquistano particolare sapore.

 

Pane che l’uocchie, casce senz’nocchie, vine che te fa zempa l’uocchie - Pane con occhi, formaggio senza occhi, vino che ti fa saltare gli occhi. Il pane per essere buono deve essere ben lievitato (avere i caratteristici fori come occhi), il formaggio deve essere compatto non deve avere fori, il vino deve far strabuzzare gli occhi.

 

Da chi nen tè figlie nen ce i nè p’aiute nè pe cunsigli - Da chi non ha figli non andare nè per aiuto nè per consiglio. Non aspettare aiuto o consigli da chi non ha famiglia.

 

Ogne lena tè le fumé sia - Ogni specie di legna ha un fumo diverso. Ogni persona ha una virtù o difetto particolare.

 

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Mitte che chi è meglie de te efìarre le spese - accompagnati con chi è tuo superiore e invitalo a cena. Frequenta le persone a te superiori per virtù e sapere e invitale a cena.

 

Pe tenere e nepute quante sci fatte ie perdute - Per generi e nipoti quanto hai fatto è perduto. Non aspettarti gratitudine per il bene che hai fatto a generi e nipoti.

 

Ognune all’arte e re lupe a le pechera - Ognuno all’arte ed il lupo alle pecore. Si deve fare il lavoro per cui si è competenti.

 

Re cannarne ie stritte ma ze magna la casa che tutte re titte - La gola è stretta, ma inghiotte la casa con tutto il tetto. Gozzovigliando va in rovina qualunque patrimonio.

 

Quanne re peccerille parla re gruosse ha parlate - Quando il piccolo parla, il grande ha già parlato. Quando un bambino svela un segreto, significa che il piccolo ha precedentemente bene ascoltato ciò che i genitori avevano detto inavvedutamente in casa.

 

Fià bene e scordate fià male e penza - Fai bene e dimentica (il bene fatto) fai male e pensa rifletti (sul male fatto).

 

Iè meglie ne muorte n’casa che ne marchesciane a la porta - È meglio un morto in casa che un marchigiano alla porta. È da preferire un familiare morto che un marchigiano alla porta! Che stima, poveri marchigiani! Chissà perchè!

 

Vieste ne ceppone e deventa ne segnore - Vesti uno sterpone e diventa un signore. Una persona ben vestita, sotto quell’apparente eleganza può celare facilmente gravi difetti; anche l’abito fa il monaco.

 

Piatte chiare amecizia longa - Patti chiari amicizia lunga. Nei contratti patti chiari, molto precisi, sono garanzia di lunga amicizia, con patti chiari si evitano litigi.

 

L’arte de tata iè mez’amparata - L’arte di papà è mezza imparata. E bene continuare o fare mestiere o professione del padre, perché si ha il vantaggio della pratica già fatta.

 

Chi fa bene mereta iesse accise - Chi fa bene merita d’essere ucciso. Vuol dire che se fai del bene, non devi aspettarti gratitudine nel modo più assoluto.

 

Chi le dà e che l’avè, ze manti l’amecizia - Col dare e con l’avere si mantiene l’amicizia. L’amicizia dura con uno scambio reciproco di favori.

 

Semena e semena sule e sia pure meza mesura - Semina e semina da solo e sia pure mezza misura (piccola quantità). Fai le cose da solo, mai in società! In commercio industria o agricoltura agisci sempre da solo, anche con pochi mezzi.

 

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Questo proverbio (o detto) indica quale spirito cooperativistico ha animato ed anima il castropignanese e i Molisani in genere!...

 

Chi tenette fuoche campatte e chi tenettepane merette - Chi tenne fuoco sopravvisse, chi tenne pane morì. Si può facilmente morire col freddo, anziché con la fame. Alla fame si può resistere, al freddo no.

 

Re siazie nen crede a r’addeiune - Chi è sazio non crede a chi è digiuno. Per credere bisogna aver provato.

 

Chi magna side ze strafoca - Chi mangia solo soffoca. Non bisogna pensare esclusivamente a se stessi.

 

Vizie e natura, sin’a la morte dura - Vizio e natura sino alla morte durano. E impossibile correggere vizi o cattive inclinazioni. Queste qualità finiscono solo con la morte.

 

Chi a tiempe ze prevvede, a ora magna - Chi a tempo si provvede ad ora mangia. Chi fa le provviste per tempo mangia all’ora stabilita. Non aspettare mai l’ultima ora per fare qualche cosa.

 

Uagliune e percielle, a la vocca piarene bielle - Ragazzi e maialetti alla bocca paiono belli. Bambini e maialetti stanno bene se hanno appetito.

 

Chi ze scusa z’accusa - Chi si scusa si accusa.

 

Scusatio non petita accusatio manifesta - Scusa non richiesta è accusa manifesta.

 

La reggina ha besuogne de re vecine - Bisogna stare sempre d’accordo col vicino di casa o di terreno, perchè ci può essere il momento in cui avrai bisogno del suo aiuto.

 

Lassa a meri e cune a parterì - Lascia morire e corri a partorire. Lascia chi sta per morire e corri verso chi sta per partorire. Nel primo caso finisce una vita, se non soccorri una partoriente ammazzi due persone.

 

Serine de vieme, nuvele d’estate e cure de criature nen so mià secure - Sereno d’inverno, nuvole d’estate e sederini di bambini non sono mai sicuri. Sereno d’inverno e nuvole d’estate non sono mai segno di buon tempo, come da un momento all’altro un bambino se la può fare addosso.

 

La carne fa la carne, le vine fa le sanghe e la fatia fa iettà le sanghe - La carne fa la carne, il vino fa il sangue e il lavoro fa buttare il sangue. Col buon mangiare e bere si sta bene, col lavoro eccessivo si muore.

 

Chi zappa vere l’acqua, chi fila veve vine - Chi zappa beve acqua, chi fila beve vino. Il lavoro rende poco, col commercio ci si arricchisce.

 

Chi cagna paiese, cagna fertuna - Chi cambia paese, cambia fortuna. Chi emigra cambia genere di vita, fa fortuna.

 

Tanta figlie tanta prevedenza - La Provvidenza aiuta le famiglie numerose.

 

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Se ci guardiamo attorno vediamo che i genitori con molti figli hanno tutti la numerosa prole ben sistemata.

 

Chi fabbreca e chi marita, reguaie sia nen so fenite - Chi fabbrica e chi marita, i guai suoi non sono finiti. Chi ha figlie da maritare o casa da costruire deve superare molti ostacoli.

 

Re matremuoniefiatine scatenà sette demuonie - I matrimoni fanno scatenare sette demoni. I matrimoni suscitano gelosie, invidie, critiche, maldicenze ed altro. I fidanzati debbono guardarsi dal prossimo che li circonda.

 

La lira entra com’a na cioppa, e ze ne va de galoppe. La lira entra come una zoppa e se ne va di galoppo. È molto difficile guadagnare, mentre spese e bisogni sono infiniti.

 

Re suoldefìanne cantà re cecate - I soldi fanno cantare i ciechi. Il soldi fanno dimenticare al cieco la sua grande sventura.

 

Se chiante nen può pertà la croce - Se piangi non puoi portare la croce. Se fai un lavoro, non ne puoi fare contemporaneamente un altro. Nella vita puoi svolgere una sola attività.

 

Ntiempe de guerra, pane de veccia - In tempo di guerra, pane di veccia. In tempo di guerra o di necessità bisogna arrangiarsi, bisogna stringere la cinghia.

 

Rane senza mazza fìanne re figlie pazze. Il pane senza botte fa i figli pazzi. Non bisogna pensare solamente alla salute dei figli, bisogna educarli con severità ed anche con qualche scapaccione.

 

Mazzate e Ranella fìanne re figlie belle - Botte e pane fanno figli educati.

 

Qui parcit virgam odit filium suum - Chi risparmia il bastone non ama suo figlio.

 

Chi presta male arresta - Chi presta, resta male. Non prestare, perchè non riavrai. Abbastanza vero in alcuni casi.

 

Quanne la famiglia cresce la casa trema, quanne la famiglia ie sellevata la casa ie zeffennata - Quando la famiglia cresce la casa trema, quando la famiglia è sollevata la casa è sprofondata. Quando i figli sono piccoli, sono grandi le preoccupazioni per i genitori, quando sono diventati grandi i genitori sono rovinati per sacrifici e salute.

 

Figlie peccerille guaie peccerille, figlie gruosse gauaie gruosse - Figli piccoli preoccupazioni piccole, figli grandi guai (o preoccupazioni) grandi. Le cose c’allonganepigliane vizie - Le cose che vanno per le lunghe pigliano vizi (finiscono male).

 

Vale chiù ne buone consiglie che dente ducati - Vale più un buon consiglio che cento ducati.

 

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Se sei in lite ascolta il prossimo o amico che ti dà consiglio.

 

Anema netta n’ha paura de saietta - Anima netta non ha paura di saetta. Chi è innocente non ha niente da temere.

 

Figlia rifascia, dodda ncascia - Figlia in fasce, dote in cassa. Per una figlia in fasce bisogna subito pensare alla dote.

 

Nè donna nè tela ze guarda a lume de cannela - Nè donna nè tela si guarda a lume di candela. Solo alla luce del giorno si può dare un giudizio sul valore della stoffa o sulla bellezza di una donna.

 

Nen te mbeccià, nen te ndrechià, n’avèpita se nen vuò guài - Non t’impicciare, non t’intrigare, non avere pietà se non vuoi guai. Se non vuoi grattacapi pensa solamente ai fatti tuoi.

 

Re male guvemate, re guverna Dia - Il male governato è governato da Dio. La persona male assistita è aiutata dal Signore.

 

Se vuò trademiente, va da re pariente - Se vuoi tradimenti, va’ dai parenti. I parenti sono traditori.

 

Pariente serpiente - Parenti serpenti.

 

Uomene de vine, dente, ne canine - Uomini di vino, cento, un carlino -Non fidarti e stai lontano da gente dedita al vino, all’alcool in genere. Gli ubriachi non valgono niente per lavoro e parola data.

 

La priateca iè mamma e la teuria ié figlia - La pratica è madre, la teoria è figlia.

 

Chi iè nemiche de re chiane, iè nemiche de re crestiane - Chi è nemiso dei cani, è nemico dei cristiani.

 

A chi te’ freve, pure le mele iè amare - A chi ha febbre, pure il miele è amaro.

 

Chi te’ suolde e mecizia, te’poca stima de la gestizia - Chi ha soldi ed amicizie, ha poca stima della giustizia.

 

Magna a guste tia e viestete a guste dell’iatre - Nel mangiare puoi arrangiarti, ma devi vestire bene. Mangia a gusto tuo ma vestiti secondo il gusto degli altri.

 

Re muastre iè muastre e re padrone iè cape muastre - Il mastro è mastro e il padrone è capo mastro.

 

Chiane de quatte, cavalle de otte,femmena de deciotte e giurane de ventotte - Cani di quattro, cavalli di otto, donna di diciotto, uomo di ventotto (anni s’intende).

 

Se bella vuò parè, quacche cosa ha da patè - Se bella vuoi apparire, qualche cosa devi patire. Se sei bella, devi pure saper sopportare qualche difetto. Ogni donna ha un difetto e non deve farsene una croce.

 

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A re fessa nze dà resposta - Agli stupidi non si risponde.

 

Nè ze fila, nè ze tesse neh! Sta tela a donda iesce? - Nè si fila nè si tesse, neh! Questa tela da dove esce? Questo detto serve per indicare fortuna o acquisti un po’ misteriosi...

 

La ciera se cunsuma e la precessione nen cammina - La cera di consuma e la processione non va avanti. Serve ad indicare cosa o cose che vanno per le lunghe, oppure: si fanno molte chiacchiere e niente fatti.

 

Mitte la lanterna miane a re cecate - Metti la lanterna in mano al cieco. Affidare un compito a persona incompetente.

 

Peccerille e male cavate - Piccolo e male cavato. Persona piccola di statura, ma molto intelligente.

 

Re viecchie muorene che tre ce...: catane, cacarella e caduta - I vecchi muoiono con tre c: maláttie polmonari, malattie viscerali o cadute.

 

Ne puatre po’ campà’ dente figlie e dente figlie nen puonne campà ne puatre. Un padre può dar da vivere a cento figli e cento figli non possono dar da vivere ad un padre. I figli che mettono su famiglia sovraccarichi di di spese, non hanno la possibilità di sostenere i genitori.

 

Meglie ne buone accorde, che na longa lite - Meglio un buon accordo che una lunga lite. Stai lontano dalla giustizia....Italiana!

 

Muorte re cuane, morta la raia - Morto il cane, morta la rabbia. Tolta l’origine del male finisce il male.

 

A pagliare viecchie nen ce mancane surge - In un vecchio pagliaio non mancano mai i topi. In tasca ci sono sempre un po’ di soldini.

 

Chi vo’ va e chi nen vo’ chemmanna - Chi vuole va e chi non vuole comanda. Chi vuole ottenere uno scopo non deve affidarsi ad altri, ma deve agire personalmente.

 

La chembedenza iè la mamma de la mala crianza - L’eccessiva familiarità porta verso un cattivo comportamento.

 

L’àmecizia fota fa la lota - L’amicizia eccessiva fa il fango. L’amicizia esagerata porta a cattivi risultati.

 

Pane sott’a re titte, pane beneditte - Pane sotto il tetto, pane benedetto. Il lavoro vicino casa, è lavoro benedetto.

 

Da chemmune, vallane segnare e acqua mpertune, scappa quann’ha’fertuna - Da comune, torrenti, signori e temporale scappa se ti è possibile. Non iniziare liti col comune (enti pubblici), guardati dai torrenti in piena, non iniziare liti con chi è più ricco di te, se il temporale si annunzia vicino, corri per tempo al riparo.

 

Chi pe mare nen va, Dia nen sa preà - Chi non si è trovato in un mare in tempesta, non sa che cosa sia preghiera.

 

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Cunte spiesse, amecizia longa - Conti solleciti, amicizia lunga. Per rimanere amici in caso di debiti e interessi, bisogna tutto regolare con sollecitudine.

 

La lenga nen te’uosse e uosse rompe - La lingua non ha osso e osso rompe. Le ingiurie ed offese non si dimenticano mai.

 

Chiacchiare e lepine, né ignene panza - Chiacchiere e lupini non riempiono lo stomaco. Non perdere tempo in chiacchiere.

 

Marina chiara, e montagna scura, mettiti in viaggio senza paura - Quando dalla parte del mare il cielo è sereno e sulle montagne ci sono nuvole, puoi metterti in viaggio senza timore di cattivo tempo.

 

Uaglione fermate, uaglione ammalate - Bambino fermo, bambino malato. Se un bambino salta e corre significa che sta bene, se sta fermo non sta bene in salute.

 

Di’ la veretà, ca Ddia t’aiuta - Di’ la verità, che Dio ti aiuta. Non dire mai bugie se vuoi trovarti bene ed essere aiutato dal Signore.

 

Tra amice e chempiare ze parla chiare - Tra amici e compari si parla chiaramente. Tra amici e compari ci deve essere chiarezza e sincerità di rapporti.

 

Chia lassa la via vecchia pe la nova, sa chella che lassa e nen sa chella che trova - Chi abbandona la strada conosciuta per un’altra non sa a che cosa va incontro. Non deviare dalla strada che conosci. Non intraprendere attività che non conosci, di cui non sei competente.

 

Re uaie de la pigniata re canosce re schiemarielle - I guai della pignatta li conosce la schiumaruola. I guai della famiglia sono conosciuti solo dai componenti della stessa.

 

Quande sci tenaglia manti’e, quanne sci martielle viatte - Quando sei tenaglia mantieni, quando sei martello batti. Quando dipendi devi avere pazienza, quando sei libero, superiore o padrone, puoi fare quello che vuoi ed anche fare giustizia di quelli che una volta ti tiranneggiavano.

 

Chi negozia campa, chi fatia crepa - Chi commercia vive bene, chi lavora muore. Chi commercia, vive bene, chi lavora troppo, perde la salute.

 

A la giovane ha da cumparì la carne, a la vecchia hanna da cumparì re pianne - Nella giovane deve comparire la carne, nella vecchia devono comparire i panni. La giovane deve stare bene in salute, la vecchia deve essere ben vestita.

 

Vale chiù ne sfizie che dente duchiate - Vale più uno sfizio che cento ducati. Le soddisfazioni spirituali valgono più del denaro (sino a quando si tratta di piccole somme!)

 

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CHIESA MADRE

 

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Addo c’è guste, nen c’èperdenza - Dove c’è gusto, non c’è perdita. Una cosa fatta con piacere non costa fatica.

 

La robba n’éde chi ze la fà, iè de chi ze la gode - La proprietà non è di chi se la fa, è di chi se la gode. Chi suda e lavora per farsi un patrimonio non fa in tempo a godere il frutto del suo lavoro. Gli eredi godranno del patrimonio avuto in eredità e lo scialacqueranno addirittura.

 

Chi campa tertarielle campa benarielle - Chi vive gabbando discretamente il prossimo vive discretamente!

 

Chi te’puatre va chiagnenne, chi te mamma va redenne - Chi ha padre va piangendo, chi tiene madre va ridendo. E meglio essere orfano di padre, anziché di madre.

 

 

56. INTERPRETI DI LINGUE STRANIERE

 

Le persone che in qualche modo possono "fare da interpreti” con turisti europei e nordamericani che si fermano o possono passare per Castropignano sono: Evangelista Osvaldo (francese), Venditti Raffaele, Di Bartolomeo Pasquale, Di Mario Clemente, Petti Guido (tedesco), Sardella Raffaele (greco, tedesco, francese), Caperchione Raffaele (latino), Antonecchia Antonio (inglese).

 

 

57. LA TROTA DEL COLLE

 

Sull’architrave di una casetta di via colle è scolpita una trota. Premesso che il rione Colle è il centro storico di Castropignano non si sa se questa trota in bassorilievo è insegna di casa di pescatore o simbolo di una prima famiglia cristiana di Castropignano. E noto che i cristiani in epoca di persecuzioni adoperavano dei simboli per riconoscersi tra loro. Il pesce, nel greco antico era indicato con il nome ictus. Questa parola indicava: I (Iesus-Gesù) c (Cristos-Cristo) t (Teu - di Dio) u (uios - figlio) s (soter - Salvatore). Può darsi che sia anche capriccio di scalpellino.

 

 

58. MASCHERA SUL PORTONE DI MEFFE LIBERATO

 

Sull’arco del portone della casa di Meffe Liberato a Via Piano è scolpita una grossa maschera con lingua fuori della bocca. Sotto la scultura c’è la data del 1742. Questa testa fu scolpita certamente contro superstizione o "malocchio”.

 

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59. IL COSTUME DI CASTROPIGNANO

 

Il costume di Castropignano è del tutto simile a quello di Ielsi. In ambedue questi comuni, come si sa, si fermarono piccolo colonie di Bulgari tra il VI e VII secolo d.C. Probabilmente per questo motivo il costume di Castropignano è copia esatta di quello di Ielsi ed anche di quello di S. Giovanni in Galdo. Come vedremo S. Giovanni in Galdo fu fondata da Castropignanesi nel 1456. Le donne di Castropignano sino alla fine del 1800 vestivano una lunga ed ampia gonna di lana verde, violetto o carfagno. Questa, arricciata alla vita, scendeva sino a mezza gamba con numerose pieghe. Poco al di sopra dell’orlo aveva una fascia di velluto larga circa dieci centimetri di colore rosso o verde. Il busto era della stessa stoffa, allacciato sul petto e con maniche spezzate. Le mezze maniche che andavano dal gomito al polso erano unite al busto con nastri bianchi o rossi. La camicia di lino sbuffava ampia e vaporosa dalla spalla al gomito, era accollata e con normali merletti ai bordi. Le maniche della camicia sporgevano dalle mezze maniche (del corpetto) solo per qualche centimetro. Un ampio fazzoletto di seta di vari disegni e colori piegato a triangolo scendeva dalle spalle ed era fermato per due capi sul petto con una spilla.

 

Come tutte le altre donne del Molise le castropignanesi portavano al collo lunghe e preziose collane d’oro, grossi anelli ed orecchini a cerchio con bordo ottagonale. Sul capo portavano fazzoletti, grandi e variamente colorati, legati sotto il mento quando faceva freddo e diversamente piegati sul capo quando faceva caldo, oppure poggiati sulla spalla. E ovvio che in caso di lutto tutto il costume era nero ad eccezione della camicia. Le vedove, se non si rimaritavano, portavano il lutto per tutta la vita. Il costume era completato da un grembiule più o meno ornato. In questo modo erano vestite naturalmente artigiane e in massima parte contadine.

 

Le donne di rango superiore seguivano la moda storica che si succedeva di secolo in secolo. Gli uomini portavano cappello di feltro con larchc falde e sottogola per per il vento, gilè rosso con bottoni dorati e camicia bianca di lino come le donne. I calzoni - di lana - erano di colore carfagno o indaco, avevano la caratteristica «portella» abbottonata da uno o due lati (caratteristica unica tra i costumi del Molise e del Meridione), erano lunghi fino al ginocchio e spaccati in fondo per circa 10 cm. Per cinta si portava una fascia di lana rossa avvolta e annodata, lunga un paio di metri. Le scarpe erano basse per uomini e donne e le calze, di lino o lana bianca, erano legate al di sotto del ginocchio con nastri colorati.

 

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Le donne per difendersi dal vento freddo od altre intemperie erano fornite del cosiddetto "puanne” (panno), consistente in un pezzo di stoffa di lana, lungo due metri e largo circa ottanta centimetri. Gli uomini nei mesi invernali indossavano cappotti a ruota agganciati al collo e con bavero di pelliccia (Pelle di pecora).

 

Sul costume influiva il caso di lutto. Per la morte del padre, madre o fratello, le giovani non sposate portavano immancabilmente il lutto (vestiti neri) per tre anni, le maritate per due. Il costume è ormai un lontano ricordo. S’indossa solamente nelle feste folkloristiche. Va quasi scomparendo il vestire a lutto.

 

 

60. STORIA DELLA FAMIGLIA LUCIANI TRASFERITA DA CASTROPIGNANO A MONTENERO DI BISACCIA (CAMPOBASSO)

 

Un antenato della famiglia Luciani assassinò due bravi del Duca D’Evoli non meglio individuabile. Come usanza e diritto medioevale, al Duca si doveva portare la sposa nel giorno delle nozze (ius primae noc- tis - diritto alla prima notte). Un Luciani si oppose a tale prepotenza e dopo aver invitato con le buone reiteratamente i due bravi a ritornare al castello senza la sposa, li freddò con due colpi di archibugio. Il fatto, indubbiamente storico, è raccontato nei suoi particolari dall’illustre storico molisano Alfonso Perrella nel fascicolo "L’Uccisione di due bravi a Castropignano”.

 

 

61. PAPA GIOVANNI PAOLO I

(Albino Luciani) fu discendente dei Luciani di Castropignano?

 

In Castropignano sono molte famiglie di cognome Luciani come già detto nel capitolo "Storia della famiglia Luciani”. Può darsi che qualcuno si trasferì nel nord Italia. L’insegnante Edoardo Luciani, fratello di Papa Luciani, mi fece sapere che un Luciani era giunto nel suo paese nel 1500.

 

 

62. DUE DISEGNI STORICI DI CASTROPIGNANO

 

Un disegno, tratto dalle memorie di fra Zagomo Iacovone da Limosano, maestro di novizi a Castropignano, porta la seguente scritta:

 

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"Castropignano prima del gran terremoto della notte del 1456 che con nove giorni di susseguente diluvio causò il franamento delle rocce e dell’abitato e di 2000 anime rimasero 500. La meravigliosa fonte della Canala, lavoro delle legioni romane, quasi scomparve. L’abitato di fonte nuova subì la stessa sorte e gli scampati guidati da giovani si accamparono presso le mura del convento di S. Giovanni in Galdo e vi fondarono la città”.

 

Questo disegno fu fatto stampare in cartolina da Antonio Scapillati dalla Industria Cartoline A. Ragazzi di Piacenza negli anni tra il 1920 e il 1930. È storicamente accertato che alle ore 23 del 5 novembre 1456 un gran terremoto sconvolse il Molise e parte del Beneventano facendo quarantamila vittime ("Memorie historiche del Sannio” di Giovan Vincenzo Ciarlanti - pag. 440 - Forni Editore - Bologna).

 

Della "meravigliosa fonte della Canala, lavoro delle legioni romane" è rimasto un semplice rudere dell’opera di presa della sorgente.

 

"Gli scampati guidati da giovani si accamparono presso le mura del convento di S. Giovanni In Galdo e vi fondarono la città”.

 

A S. Giovanni in Galdo, periferia del paese, esiste un antichissimo convento e vi sono molte famiglie di cognome castropignanese.

 

Un secondo disegno di Castropignano, simile al primo, è così sottoscritto: "Castropignano prima del terremoto del 1456 illustrato da Zagomo Iacovone frate celestino da Limosano”. Allegato a questo disegno c’era la seguente nota "Castropignano prima del 1456 - guardare con la lente d’ingrandimento; da sinistra: Rocchetta; Pesco del Corvo; Vallone dei gattilli; Grotta S. Michele; oratorio; tomba di Wurzell seppellito a tre uomini di profondità nel 569, forse oggi S. Lucia, quercia degli spellecchioni; Castrum Pineani, console sannita (oggi convento); Trivecchia; Chiesa di S. Antuono; Cantone della guardia; Castello di Buliano WURZELL (1182) il longobardo (oggi torre dell’Orologio); Palazzo costruito da Giovanni D’Ebulo, il normanno che nel 1343 sposò Claritia di Vito Wurzell ed ebbe in dote il feudo di Castropignano; strada sotterranea del Palazzo e delle Tornelle; vallefrani; torre dei donzelli o mazzamarielli; Fonte della Canala.

 

A sinistra

 

Don Alessio bel bello a passeggio; vicino lo storico nobile Forco- nio, col suo cavallo per cravarcare quia nobile vivit; la Contessa Claritia che va a messa seguita dalle serventi; il conte col fedele claudicante Pedelegio e due bravi;

 

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Zampalunga con la vatica e tre muli; la torre delle Criate, il lago del Gallo; Mariarosa che attinge acqua;

 

A sinistra. Marterella con le sue pecore; Malpasso e strada per Boiano Molinetto del Signore di Oratino; Quercia dei pidocchi e fonte dei pezzenti; Torre della Rocca; Scappaticelo il Cursore che va a Campobasso Mulino della Torre con Gualchiera; Cartiera e torre delle gabelle; Ponte curvo; Taverna; Chiesa di S. Giacomo; Casino vicenda e Lago; Don Ciccio e sagrestano alla pesca, Cantone pertuso; Don Filino a caccia; Cantone della vedova; Ponte della fraglia; Mulino Cerreto; Scoppalegge col suo cavallo”.

 

Questo secondo disegno era di proprietà della Signorina Carmela Ciamarra (di Torella del Sannio) di madre Castropignanese - di cognome Borsella. La famiglia Borsella, nobile e di alto rango sino al 1800, possedeva quasi mezzo agro di Castropignano. La scritta allegata al detto disegno è calligrafia di donna Carmela. Le parole "guardare con la lente d’ingrandimento” certamente si riferiscono ad una antica iscrizione poco decifrabile. Sicuramente deve essere così, perchè ciò si può dedurre da tante frasi, notizie storiche, località e nomi di personaggi che donna Carmela, per essere nata e vissuta nella vicina Torella, non poteva conoscere così a puntino e illustrare personalmente. Tutta la descrizione è una vera ministoria di Castropignano. Nel 569 D.C., primi anni del Medioevo, Wurzell si fa seppellire a circa 5 metri di profondità; poi compare un Gugliemo di Castropignano (1144). A questo Guglielmo succede il figlio Vito Wurzell, che non ha figli maschi, ma solo Clarizia e Tomasia. Clarizia sposa Giovanni D’Evoli nel 1343 e lo stesso D’Evoli, Barone di Frosolone, costruisce su ruderi il "palazzo” (castello attuale). Ma dove collocare Buliano Wurzell (1182)? Era fratello minore di Vito? Deceduto prima di Vito? Solo questa può essere la spiegazione confrontando le date 1144 e 1182. Altra notizia è quella eli Castrum Pineani, console Sannita (oggi convento). Sappiamo che il convento è stato costruito nel 1700. Fu costruito su ruderi di altro convento? Fu costruito su ruderi di Fortezza o casa del Console sannita Pineano? Di ciò non abbiamo testimonianze. Può darsi però che il castrum (fortezza di Pineano) era costituito dall’area comprendente la Chiesa della Madonna delle Grazie e chiostro adiacente. Qualche notizia in proposito potrebbe esistere nei documenti della diocesi di Trivento. Dello "storico nobile Forconio” è rimasto lo stemma sul portale di accesso alla casa di Ciolfi Silvio e la contrada Fercuni, storpiativo dialettale di Forconio. Il Mulino della terra con gualchiera era al posto dell’attuale centrale Ischia.

 

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La gualchiera era il locale sito vicino al mulino ad acqua nel quale era sistemato "re valecature” il vellicatolo (speciale attrezzo o macchina di legno che serviva per rendere morbido il grezzo panno di lana allora lavorato in casa). La cartiera fu distrutta da un’alluvione ed è rimasto come ricordo il nome della contrada. La torre delle gabelle non si sa dove era posta, ma con probabilità doveva sorgere nelle vicinanze della chiesa di S. Giacomo distrutta nell’alluvione del 21 Settembre 1811. Nelle vicinanze doveva esistere anche la "taverna”. Nella torre delle gabelle erano le guardie imperiali romane, successivamente bravi medioevali, che riscuotevano tasse sulle greggi che passavano sul ponte in corrispondenza del Trattura Lucerà - Castel di Sangro. Non si sa se il "ponte curvo” era quello in corrispondenza del Trattura o quello esistente al posto dell’attuale Tre Archi. Casino Vicenda era l’antico fabbricato di proprietà Santone Angelo ed ora di proprietà Sardella Liberato. Lago era la piccola sorgente sita ad ovest di detto fabbricato. Queste sono le ricostruzioni più attendibili connesse ai due disegni.

 

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