Campobasso da castrum a città murattiana. Un percorso nella geografia storica

Emilia Sarno

 

Capitolo II

Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

 

 

2.1. L’incastellamento nel Molise medievale (IX—XIII secolo), 53 —

2.2. Il rescritto di Adelchi dell’ 878, 67 —

2.3. Il castrum nel 1277: la Convenzione fra Roberto de Molisio, signore di Campobasso, e i suoi vassalli, 74 —

2.4. Cola Monforte e il polo militare, 85 —

2.5. Campobasso nel Contado di Molise del XVI secolo: la rete tratturale, 92 —

2.6. La rivincita su Isernia, 101.

 

 

- Figura 2.1. Le ripartizioni della Longobardia meridionale nei Principati di Benevento, Salerno e Capua nel IX secolo

- Figura 2.2. Ricostruzione dell’estensione della contea di Bojano nell’VIII secolo
- Figura 2.3. Ricostruzione di San Vincenzo al Volturno nell’ XI secolo
- Figura 2.4. La posizione strategica di San Vincenzo al Volturno nella valle del Volturno; in evidenza anche Isernia e Venafro
- Figura 2.5. Santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo, in provincia di Foggia, espressione dell’arte longobarda
- Figura 2.6. Il processo di incastellamento nel Sannio: esso si diffonde a raggiera a partire dall’area volturnense
- Figura 2.7. Le contee di Loritello e Molise nell’XI secolo
- Figura 2.8. Benevento: cinta muraria di età longobarda
- Figura 2.9. Campobasso nel IX secolo d.C. In evidenza i pochi elementi: le mura, la rocca, il nascente borgo
- Figura 2.10. Foto satellitare di Benevento con delimitazione dell’area longobarda
- Figura 2.11. Foto satellitare di Salerno con delimitazione dell’area longobarda
- Figura 2.12. Dimore del periodo medievale in località Agnone: simili dovevano esservi a Campobasso
- Figura 2.13. Campobasso nei secoli XI e XII: le mura sono indicate dal tratteggio
- Figura 2.14. La fortezza longobarda secondo le trasformazioni del XV secolo
- Figura 2.15. Facciata della chiesa Santa Maria Maggiore, ubicata sul l’altura a poca distanza dal castello
- Figura 2.16. La chiesa di San Giorgio disposta in posizione sottostante alla rocca
- Figura 2.17. Facciata della chiesa di San Bartolomeo: qui si teneva il mercato nel 1277, come attesta la Convenzione
- Figura 2.18. Resti della croce viaria posta dinanzi alla chiesa di San Bartolomeo: è la testimonianza ulteriore che qui fosse la località del mercato
- Figura 2.19. Spazio utilizzato per il mercato secondo i documenti del 1277; ancora evidente la fascia muraria che circondava il castrum

 

 

2.1. L’incastellamento nel Molise medievale (IX-XIII secolo)

 

I secoli dell’Alto Medioevo (VI-X) appaiono oggi sempre meno bui grazie agli studi archeologici che chiariscono le peculiarità territoriali, le discontinuità e le persistenze, le contrazioni degli insediamenti e i processi di riorganizzazione [1].

 

Se Rombai (2002) ricorda che in quel periodo «vari centri risultano più vivaci di Roma», infatti «nelle principali città padane (Ravenna, Milano, Pavia e Verona) la vita municipale continua», a sua volta, Rotili (2010) documenta la permanenza di città centro-meridionali.

 

Fra VI e VII secolo viene selezionata una nuova gerarchia di centri di potere: se emblematici, per l’area appenninica centro-meridionale, sono i casi di Spoleto e Benevento [...], nel Molise il centro che assunse maggior rilievo fu molto probabilmente Bojano per le funzioni che le furono attribuite quale sede di gastaldato in un primo momento, poi di contea (Rotili, 2010, p. 154).

 

Le Golf (2011), riprendendo il punto di vista di Lopez (1984), ritiene che si possa parlare di vera e propria continuità delle città piuttosto che di persistenza. Esse svolgono funzioni politiche, ma principalmente mantengono un continuo contatto con il territorio per la loro stessa sopravvivenza (Vera, 2005). La presenza dei Longobardi, rafforzando siffatta situazione, crea condizioni maggiormente favorevoli per le aree rurali.

 

 

1. Gli studi archeologici sono d’aiuto per approfondire la complessità dell’Alto Medioevo; per un quadro aggiornato cfr. il volume di Carver, 2003, sul tema Archaeological value and evaluation. Per le specificità delle diverse aree Francovich, 2004; Patitucci Uggeri, 2007; Patitucci Uggeri, 2010. Per il Molise cfr. Ebanista, Monciatti, 2010. Per il processo di rinnovamento negli studi favorito dalla collaborazione interdisciplinare cfr. Valenti, 2004.

 

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In tal modo, se rimane indubitabile che la disgregazione causata dalla caduta dell’Impero Romano e le invasioni barbariche impoveriscano la vita socio-economica della penisola italiana, la rarefazione non è né unanime né uniforme. Peraltro, Valenti (2009) ha messo in evidenza che proprio i gruppi germanici avrebbero concorso ad un ripopolamento fondato su nuclei strutturati sia per motivazioni difensive sia per la stessa sopravvivenza maggiormente garantita da unità insediative [2].

 

Come si accennava nel primo capitolo, il governo del territorio da parte dei Longobardi appare oggi più complesso che in passato, anche perchè è stata messa a fuoco la specificità della Longobardia meridionale [3]. Martin (2004), ricostruendone le diverse fasi, mostra come essa sia riuscita a durare più a lungo radicandosi in una vasta area che coincide con tre importanti centri — Benevento, Salerno e Capua — e abbia saputo mediare con i potenti Normanni. In una certa misura, la Longobardia meridionale si caratterizza per la capacità politica dei suoi duchi e per la gestione autonoma delle singole unità feudali (fig. 2.1).

 

Se la storiografia più recente ha superato il paradigma dei Longobardi nefandissimi [4], è doveroso richiamare Paolo Diacono, che nella sua Istoria Longobardorum illustra cosa avvenne nel Sannio nel VI secolo d.C:

 

In quel tempo, Alzecone duca di Bulgari dopo aver abbandonato non si sa perché il suo paese si portò pacificamente in Italia con tutti gli uomini del suo ducato e si presentò a Grimoaldo [...]. Il re allora lo indirizzò da suo figlio Romoaldo a Benevento con bordine di assegnargli un territorio. Il duca Romoaldo lo accolse con benevolenza e pose a loro disposizione vaste estensioni di terreno fino ad allora deserte, cioè Sepino, Boiano, Isernia e altre città con i loro territori e chiese allo stesso Alzecone di cambiare il suo titolo di duca in quello di gastaldo. [5]

 

 

2. Il punto di vista di Valenti, 2009, è corrispondente a quello di Rotili, 2010.

 

3. Per un’analisi complessiva della storia e della cultura del popolo longobardo si veda Azzara e Gasparri, 2005; per gli aspetti sociali e istituzionali Gasparri, 2004. Sono particolarmente importanti gli studi sulla Longobardia Meridionale di Martin, 2004, lo studio archivistico di Coscarella, 2008, la disamina della feudalità di Morelli, 2005. Meccariello, 2003, si è invece soffermato su tre centri importanti: Benevento, Salerno, Capua.

 

4. Il dibattito storiografico è sintetizzato da Meccariello, 2003; la citazione è di Gregorio Magno.

 

5. Il passo è riportato nella traduzione di Morra, 1982, p. 146; si veda anche l’edizione critica dell’Historia Longobardorum a cura di Zanella, 2000. Paolo Diacono (Cividale del Friuli, 720 – Montecassino, 799) fu monaco e storico longobardo.

 

 

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Figura 2.1. Le ripartizioni della Longobardia meridionale nei Principati di Benevento, Salerno e Capua nel IX secolo (fonte: mezzogiornoitalia.it).

 

 

La testimonianza è avvalorata dalle tracce che i Bulgari hanno lasciato soprattutto nell’area di Boiano [6].

 

 

6. Il rilievo che ebbe Bojano in questo periodo storico è testimoniato dalla fondazione di Civita, una roccaforte ancora esistente nella parte alta dell'odierno comune; cfr. G. De Benedittis, 1990.

 

 

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«Un primo nucleo aggregante di potere civile si forma nel Molise nel 667 con il gastaldato che i duchi di Benevento concedono ai Bulgari di Altzeco venuti dalla Pomerania» (Lalli, 2003, p. 19).

 

Accade, dunque, che i Longobardi non mostrino inizialmente interesse per il Sannio, ma vi indirizzino gli alleati Bulgari, mentre dall’840 in poi, quando duchi e gastaldi diventano sempre più autonomi (Martin, 2004), essi decidano di essere maggiormente presenti, condividendo il loro radicamento con i benedettini. Si vengono così affermando diverse contee; la prima unità feudale ha come centro Bojano, poi, nel IX secolo, si costituiscono circa 34 contee delle quali almeno otto scelgono come capoluogo, oltre la già citata Bojano, Isernia, Venafro, Sesto, Pietrabbondante, Larino, Termoli e Molise [7] (Masciotta, 1998, I. vol.).

 

Se Rotili (2010) pone in evidenza il ruolo di Bojano (fig. 2.2), non deve essere tralasciato l’esempio di Isernia dove è funzionale la sinergia tra volontà politica e sensibilità religiosa (Sarno, 2009b), dal momento che i Longobardi vanno ad inserirsi in una comunità consolidata [8].

 

Il controllo territoriale è reso possibile anche dal proselitismo dei benedettini. Nel 529 è probabilmente fondata Montecassino e si diffondono celle e centri monastici benedettini nell'Italia centromeridionale (Visocchi, 2000). Infatti, vengono fondati altri due importanti monasteri: la badìa di Santa Sofia a Benevento e l’abbazia di San Vincenzo al Volturno [9].

 

Benevento, che ha conservato nel periodo delle invasioni le funzioni urbane, diventa uno dei centri principali tanto per i Longobardi quanto per i benedettini che qui fondano la chiesa e l’abbazia di Santa Sofia [10].

 

 

7. Molise è stato un piccolo feudo e oggi è uno dei più piccoli comuni molisani.

 

8. «La presenza di un vescovo alla metà del V secolo ci garantisce la esistenza di una comunità in grado di organizzarsi autonomamente. A questo periodo dobbiamo far corrispondere una vera e propria rifondazione della città dove la presenza della Chiesa non è solo motivo di coesione religiosa, ma è anche l’espressione di una volontà di ricostruzione della società civile» (Valente, 1982, p. 185).

 

9. Riprendendo indicazioni della Cronaca Volturnense, è bene ricordare documenti che attestano che i principi Pandolfo e suo figlio Landolfo concedono all’abate della Badia di S. Giuliano di Puglia nel 976 di edificare nei loro feudi, piantare vigne e far abitare uomini (Morra, 1982).

 

10. Per l’analisi complessiva dell’evoluzione di Benevento e per l’importanza della Chiesa di Santa Sofia cfr. Bencardino, 1991 e Musi, 2004; per lo studio dei documenti di Santa Sofia Martin, 2004; per Benevento nel periodo longobardo Santillo, 2004.

 

 

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Figura 2.2. Ricostruzione dell’estensione della contea di Bojano nell’VIII secolo (fonte: mezzogiornoitalia.it).

 

 

«Il raccordo non solo simbolico tra la corte ducale e la città era costituito dalla chiesa di S. Sofia, dove furono raccolte e custodite reliquie di santi eccellenti, a somma tutela della gens longobarda» (Peduto, 2004, p. 382). Unitamente al monastero essa diviene il cardine della crescita urbana di Benevento ma anche di un’ampia diffusione benedettina nei territori limitrofi, coerentemente al ruolo nevralgico che hanno le abbazie in tutta Europa [11].

 

 

11. Il tema è noto e ben codificato in letteratura; per i grandi complessi dinastici e il loro ruolo in Europa si vedano De Rubeis, Marazzi, 2008, e Harrison, 2000. Cfr. anche Smith, 1974; Del Treppo, 1977; Arena et al, 2000; Rombai, 2002. Vi sono poi studi sulle singole realtà monastiche nell’Italia centro-meridionale, si rimanda per Montecassino a Visocchi, 2000; per l’abbazia di Cava a Aversano, 1988; per la Certosa di Padula a Aversano et al, 2009; per Santa Sofia in Benevento si veda la nota 8 e per San Vincenzo al Volturno la nota 10.

 

 

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Infatti, i servi di Santa Sofia, come si è accennato nel capitolo precedente, si spingono fino all’odierno Molise centrale e fondano Campobasso.

 

Per l’area molisana, però, deve essere considerata fondamentale pure l’abbazia di San Vincenzo al Volturno. Il ruolo strategico di quest’ultima è ormai ampiamente riconosciuto, grazie anche alle indagini archeologiche [12] (fig. 2.3). Essa fu fondata [13] in un’area naturalmente protetta dalle Mainarde [14], poco distante dalle sorgenti del Volturno, nell’VIII secolo, per volontà longobarda e in concomitanza con l’espansione benedettina [15]. Lo sviluppo dovette procedere a tratti, ora facilitato dalla crescita demografica dei monaci, ora danneggiato dalle invasioni saracene e dai terremoti, ma

 

alla fine dell’VIII secolo il cenobio, con un piccolo chiostro situato a sud di esso, occupava un’area di mezzo ettaro ed ospitava poco più di 100 monaci. La situazione cambiò totalmente all’ inizio del IX secolo quando, su iniziativa dell’abate Giosuè, si decise di avviare un progetto di carattere urbanistico (Marazzi, 2002, p. 22).

 

 

12. Dagli anni Ottanta del secolo scorso gli scavi archeologici hanno portato alla luce l’abbazia di San Vincenzo al Volturno; il primo studioso fu Hodges, medievalista inglese, poi dalla fine degli anni Novanta gli scavi sono stati effettuati da un team dell’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa e dell’Università degli Studi del Molise, coordinati dal prof F. Marazzi. Cfr., Hodges, Mitchell 1985; Hodges, 1993-1995; Marazzi, 2002; Ebanista, Monciatti, 2010. Altrettanto importante è l’edizione critica del Chronicon Volturnense curata da Federici, 1925-1930.

 

13. La leggenda vuole che alle origini della fondazione, nei primi anni del Settecento d.C., vi siano tre nobili beneventani, Paldo, Tato e Taso, alla ricerca di un luogo per pregare e, consigliati dall’abate Tommaso di Farfa, si recano presso le sorgenti del fiume Volturno dove esisteva un oratorio diroccato. La dimensione leggendaria delinea i rapporti territoriali e la trama da cui prende origine l’abbazia di San Vincenzo, che è il risultato di convergenze tra il ducato longobardo di Benevento e l’ampia diffusione di celle benedettine nell’area molisana; cfr. Sarno, 2008a.

 

14. Le Mainarde giocano un ruolo fondamentale: naturale confine e difesa, ma anche esempio di particolare bellezza. Sono un raggruppamento calcareo che segna il confine del Molise con il Lazio e l’Abruzzo. È una successione di cime digradanti con più dorsali verso la valle del Volturno, formando una sorta di ampio triangolo con quote superiori ai 1000 metri e con vette rispettabili come Monte a Mare (2147m) e la Metuccia (2050m).

 

15. La dedica a S. Vincenzo è oscura, ma può darsi che le reliquie del Santo appartenessero ad un martire dell’Italia centrale al quale era dedicato un oratorio preesistente.

 

 

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Gli abati scelsero un ruolo sovranazionale e mediarono tra il potere longobardo e quello carolingio ponendo l’abbazia come spartiacque tra due sfere d’influenza. Secondo Marazzi (2002), solo nel X secolo, l'influenza carolingia si consolidò e l’abbazia ne diventò una sorta di avamposto nell’Italia centro-meridionale.

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Figura 2.3. Ricostruzione di San Vincenzo al Volturno nell’ XI secolo (fonte: Marazzi, 2002).

 

 

Altri studi però hanno messo in evidenza anche l’importante ruolo che i monaci ebbero nel rivitalizzare prima l’area circostante al monastero, poi nel ricostituire il tessuto insediativo del Sannio, rendendoli sicuri entrambi con borghi fortificati [16] (fig. 2.4). Come documentano il Chronicon volturnense e le indagini archeologiche, diverse forme di insediamento si affermano sulle terre dell’abbazia, ma finisce per prevalere la struttura del castrum come unità produttiva. Peraltro, Wickham, riprendendo gli studi di Toubert [17], ritiene che questa tipologia non sia una caratteristica solo della valle volturnense ma dell’Italia centrale,

 

 

16. Il primo studio sull’opera di rivitalizzazione territoriale compiuta dall’abbazia è di Del Treppo, 1977, che ha messo in evidenza le esigenze economiche che spingono i monaci ad ampliare i loro possedimenti; poi Wickham, 1985, Wickham, Dean, 1990, Wickham, Feller, 2005, hanno studiato quest’area e i documenti del Chronicon per ricostruire come sia avvenuto il processo di incastellamento. Per una disamina complessiva delle funzioni svolte dall’abbazia cff. Marazzi, 2002; Marazzi, 2010; per i processi di territorializzazione circostanti l’abbazia cff. Sarno, 2008a.

 

17. Toubert ha il merito di aver analizzato l’incastellamento nel Lazio negli anni Settanta del secolo scorso e ha dato un ampio contributo per lo studio di questo processo; l’opera fondamentale che riassume i suoi studi in merito è Dalla terra ai castelli, Einaudi, 1997. Per gli studi di Wickham si fa riferimento ai citati nella nota 16.

 

 

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dove prevale un processo di incastellamento / accentramento voluto tanto dai potentiores, quanto dagli humiliores che avvertono l’esigenza di avere un centro di riferimento. L’incastellamento diventa insomma un modello di organizzazione territoriale (Vitolo, 2005), favorendo la formazione di nuclei accentrati che danno vita all’urbanesimo di villaggio.

 

I villaggi, oltre a rappresentare una forma insediativa quanto mai razionale per un ceto contadino che lavora su campi sparsi perché si sviluppano sopra il limite delle terre coltivate, con facile accesso a queste e insieme al pascolo e al bosco, furono la sede in cui accumulare le scorte alimentari, uno spazio privilegiato per la produzione, la riparazione e lo scambio degli utensili, per la commercializzazione (Rotili, 2010, pp. 194-195).

 

Il processo di riorganizzazione territoriale si giova sia della vocazione religiosa dei monaci sia dell’impegno di abati, duchi e aristocratici longobardi, intenti a costruire la propria potenza tramite il possesso fondario (Martin, 2004).

 

Tale organizzazione insediativa, che è coeva al graduale aumento della popolazione a cavallo del Mille, si traduce in un ampio processo di fortificazione dei villaggi e dei diversi nuclei insediativi. Se l’incastellamento [18] si realizza in gran parte dell’Europa, nell’Italia centro-meridionale però esso non mette in crisi i piccoli villaggi e il sistema curtense, perché va a rafforzare primitive unità insediative già accentrate (Wickham, Feller, 2005; Rotili, 2010).

 

I Longobardi favoriscono la formazione di borghi fortificati e la costruzione di torri; inoltre, nel IX secolo d.C., nel momento in cui il loro regno si smembra, il processo iniziale si rafforza, gestito non più da un potere centrale ma periferico. Se all’arrivo essi utilizzano i centri esistenti, dal IX secolo si assiste alla fondazione di numerosi borghi in Puglia (fig. 2.5), come Risceglie, Terlizzi, Lavello, Conversano, in Calabria come Bisognano, Malvisto, Larino, Cassano, in Campania come Calvi, Caserta, Ariano (Martin, 2004).

 

 

18. Il tema è noto e ben codificato in letteratura; si rimanda per il quadro europea a Brogiolo, Chavarria Arnau, 2005, e a Kaufmann, Kaufmann, 2004, ma rimane comunque fondamentale Smith, 1974. Per il contesto italiano cfr. Rombai, 2002. Per gli studi sul Lazio Toubert, 1997 e per la Toscana, particolarmente studiata, cfr. Francovich, Valenti, 2005. Per il ruolo dei Normanni nei processi fortificatori cfr. Martin, 1994, e per una ricognizione relativa all'Italia centro-meridionale Porsia, 2004; Wickham, 2006; Rotili, 2010. Per la situazione nell’area volturnense cfr. Del Treppo, 1977, che ha dato l’avvio all'analisi dell’incastellamento in tale zona, e Wickham, 2006.

 

 

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Figura 2.4. La posizione strategica di San Vincenzo al Volturno nella valle del Volturno; in evidenza anche Isernia e Venafro (fonte: G. De Benedittis et al, 1999).

 

 

Si concretizza così «una rivitalizzazione della trama degli insediamenti secondo una geografia parzialmente diversa da quella antica» (Lazzarini, 2007, p. 21).

 

Tra il IX e il XII secolo un ampio processo fortificatorio è documentato [19] in Molise. Nel IX secolo sorgono castella nell’area volturnense ma anche in altre, come dimostra la fondazione di Campobasso. Nel X secolo è ancora attestata la fortificazione intorno all’abbazia, mentre nell’XI piccoli borghi sono fondati nella zona montana settentrionale, riutilizzando i siti sanniti, o alle pendici del Matese.

 

 

19. Cff. Rotili, 2010; Di Rocco, 2009.

 

 

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Nei secolo successivi la riorganizzazione del regno voluta dai Normanni favorisce un’ulteriore e diffusa implementazione di borghi murati e fortificati [20] (fìg. 2.6).

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Figura 2.5. Santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo, in provincia di Foggia, espressione dell’arte longobarda (fonte: mezzogiornoitalia.it).

 

 

Come chiarisce Duby:

 

In assenza di ogni dato statistico, è ben diffìcile, all’interno dell’ampio momento di crescita, distinguere fasi particolari [...]. Tuttavia, si è tentati di riconoscere negli anni Ottanta del XII secolo i segni di un’importante modificazione qualitativa e [...] di una delle svolte principali della storia economica europea (Duby, 2004, p. 333).

 

La svolta, che non è solo economica ma complessivamente sociodemografica, favorisce nuove fondazioni nell'hinterland di Campobasso: Limosano, Castellino del Biferno, Campodipietra, Cercemaggiore, Campochiaro (Di Rocco, 2009). La toponomastica è una spia utilissima nel riconoscimento di queste trasformazioni territoriali per la frequenza dei lemmi castrum e castellum, ma non si deve tralasciare la consuetudine, longobarda prima e normanna poi,

 

 

20. Per la ricostruzione cronologica si è tenuto presente lo studio di Di Rocco, 2009.

 

 

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Figura 2.6. Il processo di incastellamento nel Sannio: esso si diffonde a raggiera a partire dall’area volturnense.

 

 

di scegliere denominazioni inerenti al territorio ed ecco la diffusione di lemmi come campus o pietra, tipici per quest’area [21].

 

 

La difficile orografia del territorio fa adottare soluzioni adeguate allo spazio naturale, alle caratteristiche geomorfologiche, sfruttando anche eventuali insediamenti precedenti, senza in alcun modo trascurare una politica difensiva. Si concretizza così la suggestione di Lucio Gambi:

 

Ma al di là dell’uomo dell’ecologia, vi è l’uomo della storia: che non può negare il valore del primo — come realtà naturale — e anzi lo lascia svilupparsi secondo i suoi canoni, i suoi ritmi, i suoi bisogni; ma insieme lo ingloba in sé e (pure in diversa misura da caso a caso) lo domina e lo fa agire (Gambi, 1973a, p. 151).

 

Come ha chiarito Gabriella Di Rocco (2009), si possono distinguere in Molise quattro tipologie di fortificazioni: il recinto fortificato, il borgo murato, il borgo con castello-residenza, la torre isolata senza cinta muraria.

 

 

21. Per il riconoscimento delle strutture territoriali tramite la toponomastica cfr. Brancaccio, 2005, e Aversano, 2006.

 

 

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L’origine di molti insediamenti molisani si ricollega quindi al fattore della difesa e al tipo di agglomerato urbano alto-medioevale, da alcuni denominato borgo-forte, da altri castrum. L’impianto, costituito essenzialmente da una torre posta al centro del recinto, viene adottato anche per Campobasso (Pece, 1980; Petrocelli, 2008).

 

Il castrum si impone come l’unità insediativa prevalente dal X secolo in poi (Visocchi, 2000), anche perché esso è tanto l’esito di un processo fortificatorio quanto l’elemento primitivo da cui poi si sono sviluppate le città medievali (Le Goff 2011).

 

Nell’area molisana i processi fortificatori sono avvenuti gradatamente e si sono evoluti nella forma e nell’organizzazione. Come chiariranno i documenti discussi nei prossimi paragrafi, Campobasso, da tenimento agricolo, difeso da un castellum posto su un’altura, si struttura successivamente in castrum, quando l’occupazione normanna, tra il XI e XII secolo, garantisce una certa stabilità all’Italia meridionale.

 

I Normanni [22] si impongono reprimendo le spinte autonomistiche dei signori locali [23]. L’occupazione si accompagna ad un’opera di fortificazione così puntuale che essi introducono i castelli nelle città come caratteristica originale del loro processo di territorializzazione (Porsia, 2004). In tal modo controllano il territorio e contrastano la frammentazione delle contee e dei gastaldati.

 

Essi sono guidati dal geografo Edrisi che compila la “descrizione geografica del mondo”, intitolata Il Libro del Re Ruggero. Edrisi individua le città in base a caratteristiche insediative, alla grandezza e alla popolosità, ma non ne riconosce ad esempio nel Sannio [24]. Se l’opera dimostra come i Normanni considerassero importante appropriarsi della geografia del Mezzogiorno per farne un unico regno (Matthew, 2008), indirettamente fa comprendere come le zone interne fossero le più difficili da controllare.

 

 

22. Per la formazione complessa del regno normanno sono fondamentali gli studi di Ménager, 1980, Martin, 1994, e gli Atti delle Giornate normanno-sveve a cura di Licinio e Violante, 2006. Per l’organizzazione istituzionale dei Normanni si rimanda a Matthew, 2008, e a Caspar, 1999; da alcuni anni è operativo un Centro Europeo di Studi sui Normanni ad Ariano Irpino: www.cesn.it.

 

23. Brancaccio, 2008, pone in rilievo la forza dei Borrello, potente famiglia radicata nel territorio di Agnone (Alto Molise), che riuscirono a contrastare i Normanni e il loro insediamento.

 

24. Il Libro del Re Ruggero è portato a termine da Edrisi nel 1154. Per l’opera di Eldrisi cfr. Porsia, 2004; Metthew, 2008; per la scarsa attenzione per il Sannio si rimanda a Brancaccio, 2005.

 

 

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Difatti, i Normanni istituiscono qui solo due contee — la Contea di Loritello e la Contea di Molise — e fortificano il territorio (fig. 2.7).

 

Campobasso in questo frangente è un piccolo castellum dipendente dalla contea di Bojano, ma «proprio tra i Normanni che combattono contro le truppe papali nel 1053 troviamo Rodolfo di Molise, bovianensis comes» (G. De Benedittis, 2008b, p. 35). È il primo riferimento ai feudatari che formeranno una primitiva unità feudale nell’XI secolo nell’odierno Molise centrale e faranno di Campobasso il loro centro politico. Intorno al 1150 il Conte Ugo de Molisio, definito «dominus noster Ugo comes molisianus [25]», risulta il signore di un esteso territorio, che va da Isernia e Venafro fino a Trivento e Guardialfiera [26].

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Figura 2.7. Le contee di Loritello e Molise nell’XI secolo (fonte: mezzogiornoitalia.it).

 

 

L’area sannitica acquisisce il nome dei conti de Molisio e la contea da espressione geografica diventa un’unità feudale [27].

 

 

25. Cfr. Jamison, 1932, p. 81.

 

26. Il riferimento è tratto da Nobile, 1979. La ricostruzione degli eventi e della formazione della contea è confermata da diversi studi che si rifanno alla disamina della discendenza dei de Molisio: cff. Jamison, 1932, Colapietra, 1961, Masciotta, 1988, vol. II. Interessante è anche lo studio di Cuozzo, 1984.

 

27. Come chiarisce Petrocelli (2008, p. 13), «Verso la metà del X sec. le altre contee, compresa la forte Terra Burrelleensis dei filii Borrelli, dovettero subire l’espansionismo dei conti Normanni e soprattutto della dinastia dei francesi della famiglia dei de Molisio [...]; i de Molisio insediatisi a Campobasso erano i discendenti del reggente Roberto, nominato signore di Sepino».

 

 

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Non vi è certezza da quando Campobasso ne sia diventato il centro più importante, ma sicuramente dopo il 1144.

 

Gli scarni documenti hanno aperto la strada a diverse congetture e supposizioni, ma è necessario porre dei punti fermi: tra la fine dell' XI secolo e gli inizi del XII i de Molisio emergono tra i potentati locali e determinano il cambiamento toponimico per cui la loro unità feudale non è più denominata Sannio, ma Mulisium/Molisio [28]. Campobasso corrisponde alle scelte politiche dei Normanni, pronti ad operare un puntuale controllo del territorio, che l'altura del Monte Bello facilita. Essi peraltro mirano a indebolire Bojano, favorita dai Longobardi [29]. Il merito della famiglia de Molisio, che lascia un imprimatur perenne, è, quindi, significativo e il loro potere [30] è ridimensionato successivamente da Federico II.

 

I Normanni portano a compimento tanto il processo di fortificazione quanto la diffusione del feudalesimo come pratica socio-politica, entrambi fattori particolarmente significativi per il futuro di questo territorio, che, al pari di altre aree geografiche, nei secoli a cavallo del Mille, ricostituisce il suo tessuto umano e insediativo; tuttavia, sempre qui, a differenza di altri contesti, non viene rispettato il criterio della persistenza o della continuità degli insediamenti, pur sostenuto da autorevoli studiosi, da Lopez (1984) a Le Golf (2011), poiché ragioni politico-militari fanno valorizzare Campobasso e il Molise centrale.

 

 

28. Cuozzo, 1984, sulla scorta di Ménager, chiarisce che nel Catalogus Baronum si fa riferimento alla famiglia Mulisium o de Mulisio; altri documenti tramandano de Moulens, ma si deve al Ménager (1980), sulla scorta della Jamison (1932), il definitivo chiarimento sul cognome della famiglia e la risoluzione di una lunga querelle sul toponimo Molise che si attribuiva all’esistenza di un piccolo comune ancora esistente, denominato appunto Molise.

 

29. La complessa ricostruzione della genealogia di questa famiglia fa pensare che i contrasti sorti per la successione abbiano spinto poi ad una ridefinizione di questa unità feudale nella quale Campobasso acquisisce maggior rilievo (Cuozzo, 1984).

 

30. Il potere di questa famiglia fu ridimensionato da Federico II che unisce la Contea alla Terra di Lavoro, trasformandolo in Giustizierato Molisii e Terre Laboris (Masciotta, 1982, vol. I).

 

 

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2.2. Il rescritto di Adelchi dell’ 878

 

La fondazione di Campobasso nel IX secolo è attestata da un documento definito l’atto di nascita della città.

 

Adelchis de pensione servorum infinibus Campibassi. In nomine Domini Dei Salvatoris nostri Iesu Christi. Concedimus nos vir gloriosissimus Dei providentia princeps gentis Longobardorum per rogum Malonis fili nostri, in Monasterio Sanctae Sophiae ex finibus Campibassi et ex finibus Biffernensibus ad gastaldos vel judices ex ipsis castellis seu locis persolvere debuerunt per malam consuetudinem, ita ut nullus Gastaldus vel judex aliquam dationem ad eis tollant vel angariam faciant aut quamcumque laborationem prò utilitate suafaciant aut in hostem pergant: [...] [31]. Quod vero praeceptum concessionis ex iussione nominatae potestatide scripsi ego ego Erchemridus Notarius. Actum in Benevento vigesimo quinto anno mense indictione II.

 

La storia di questo documento è descritta minutamente da Gasdia (1960, pp. 210-212), per il quale è autentico, ma conservato come fonte secondaria, perché l’originale è perduto [32].

 

Il rescritto attesta l’esistenza di un piccolo insediamento agricolo — un castellum — fondato dai vassalli del monastero beneventano di Santa Sofia [33], ma anche la volontà del longobardo Adelchi di riscattarli dal gastaldato precedentemente affidato ai Bulgari. Qui, come in altri contesti [34], l’altura è stata fortificata e il termine castellum è un esplicito riferimento all’esistenza di una rocca (Meccariello, 2003).

 

 

31. Il testo così continua:

 

«In ea videlicet ratione, ut amodo et deinceps per hoc nostrum roboreum praeceptum omnia quae superius legunturpraedictum monasterium alique rectores habere et possedere valeant et a nullo ex nostris judicibus idest comitibus, gastaldis quibuscumque gentibus habeant aliquam requisitionem sed perpetuis temporibus possideant».

 

32. Per quanto riguarda la storia del documento così riferisce Gasdia (1960, p. 213): «La copia è nel Chronicon Sancte Sophie, insigne codice pergamenaceo, stilato da un monaco della badia di Santa Sofìa di Benevento e presente alla Biblioteca Apostolica Vaticana dove è reperibile come Codice Vaticano Latino 4939. Il codice fu pubblicato la prima volta dal Pellegrino I: 264; poi dal Muratori, nelle Antiquitates Italicae Medii Aevi II: 320; quindi dal Pratili V: 21 e contemporaneamente dall'Ughelli nell’Italia Sacra; fecero seguito il Grevio IX: 1; il Borgia nelle Memorie storiche di Benevento 1:127; il Pertz nei Monumenta Germaniae Historica III: 202».

 

33. Per l’importanza della badìa si veda il primo paragrafo di questo capitolo.

 

34. Come magistralmente fa notare Pirenne (2001, p. 51) «a partire dal IX secolo tutti i territori si coprirono di fortezze; i testi contemporanei danno loro i nomi più diversi: castellum, castrum, oppidum, urbs, municipium; la più comune e in ogni caso la più tecnica di queste denominazioni è quella di burgus».

 

 

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La data — vigesimo quinto anno mense indictione II — indica l'878 d.C., coeva quindi alle scorrerie dei Saraceni che dall’ 845 cominciano, con frequenza, ad invadere il Sannio (Gasdia, 1960).

 

Il documento risulta trascritto a Benevento, ma riguarda la tregua, definita nell’878, tra Longobardi e Saraceni presso Trivento [35] (G. De Benedittis, 2008b).

 

Il riferimento ai fines, cioè ai territori nei quali vi siano castella, chiarisce la ricostruzione operata precedentemente: i gastaldati esistenti nella zona campobassana e in quella bifernina avevano subito angherie da parte dei Saraceni per cui Adelchi [36], principe longobardo, interviene a favore dei vassalli benedettini.

 

Vi è un altro documento del 774, nel quale il principe longobardo Arechi fa riferimento a Camposarcone, un tenimento agricolo non lontano da Campobasso:

 

Concessimus et predicto monasterio Sancte Sophie corvam que videtur esse in Campo Senercunis, quam Arotarii filia comparava secundum textum chartue, integram Sancte Sophie monasterio concessimus possidendam: et in super in eodem monasterio largiti sumus in predicto loco, de Gaio nostro, in longitudinem milliaria tria, il latitudinem unum, quefuit de subactione Faroaldi Mare. [37]

 

In base allo studio del Chronicon Sanctae Sophiae, Martin (2000; 2002) dimostra che questo tenimento fosse donato da Arechi II al monastero beneventano, creando le condizioni del legame con il territorio molisano [38]. È nel contempo confermata la presenza longobarda anche in una località poco distante dalfodierna città di Campobasso (appena qualche chilometro).

 

La costruzione del borgo è conforme all’assetto insediativo di età longobarda (Meccariello, 2003), con lo sviluppo attorno ad un colle o ad uno dei versanti [39] (Grohmann, 2003).

 

 

35. Trivento è un centro ubicato nell’odierno Molise centrale al confine con l’Abruzzo.

 

36. L’Adelchi citato è uno dei duchi che ha governato Benevento dall’853 all’878.

 

37. Il documento è citato da Gasdia, 1960, pp. 214-215.

 

38. Martin, 2000, ha curato l’edizione critica e il commento del Chronicon Sanctae Sophiae; il dato della donazione si ricava da Regesti dei documenti dell’Italia meridionale, 570-899, sempre a cura di Martin, 2002.

 

39. Come già si è chiarito nel paragrafo precedente la scelta del sito è collegata alle caratteristiche del terreno il quale, compatto e resistente per la presenza di scisti, arenarie e argille, si poteva sfruttare per costruzioni da incastrare nella roccia.

 

 

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La stessa consuetudine longobarda [40] di riutilizzare materiali esistenti giustifica i limitati resti archeologici presenti a Campobasso, mentre maggiore lungimiranza dovette essere utilizzata per la costruzione della cinta muraria di Benevento (fig. 2.8).

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Figura 2.8. Benevento: cinta muraria di età longobarda (fonte: mezzogiornoitalia.it).

 

 

Comunque è possibile ricostruire rimpianto del piccolo borgo e della rocca sull’altura del Monte Bello (fig. 2.9) e lo si può confrontare con quelli di Salerno e Benevento dello stesso periodo (fìgg. 2.10-2.11). Il primo elemento certo è la cinta muraria, costruita utilizzando materiali preesistenti e definita probabilmente in epoca longobarda due volte (Manfredi Selvaggi, 2008). Intorno alla rocca dovevano trovare posto le casupole dei servi della badia, non dissimili da quelle ancora presenti nell’area di Agnone, in Alto Molise (fìg.2.12).

 

 

40. Le difficoltà di ricostruzione sono collegate anche alla scarsa attenzione per l’archeologia medievale, ma anche laddove come in Lombardia sta dando qualche risultato, Leonardo Rombai fa notare che le sedi longobarde «appaiono più che un agglomerato omogeneo, disseminate di insediamenti talvolta concentrati intorno ad una chiesa con annessa area cimiteriale, e circondate da aree ortive, riproducendo un modello rurale» (Rombai, 2002, p. 156).

 

 

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Se non persistono elementi particolarmente significativi, sin dall’inizio rimane stabile e definitivo il toponimo Campobasso che consente di comprendere, attraverso l’analisi del suo significato, le caratteristiche identitarie dell’insediamento (Aversano, 2006).

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Figura 2.9. Campobasso nel IX secolo d.C. In evidenza i pochi elementi: le mura, la rocca, il nascente borgo (ns. elaborazione da Boffa, 1989).

 

 

Il toponimo Campobasso deve la sua origine tanto alla posizione geografica, quanto alla fondazione longobarda.

 

 

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Figura 2.10. Foto satellitare di Benevento con delimitazione dell’area longobarda (fonte: Coscarella, 2008).

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Figura 2.11. Foto satellitare di Salerno con delimitazione dell’area longobarda (fonte: Coscarella, 2008).

 

 

Per quanto riguarda il suo significato, il primo ad affrontare il problema nel XVIII secolo è Galanti, ritenendo che «nelle remote origini dell’abitato, la popolazione fosse divisa in due distinte contrade: l’una detta "Campus de prata” e l’altra “Campus bassus[41]».

 

Un altro studioso locale Michelangelo Ziccardi (1836), rifacendosi al documento, richiamato in precedenza, relativo a Camposarcone afferma che da questo toponimo derivi quello della città, senza però apportarvi alcuna documentazione [42].

 

 

41. Si fa riferimento a Galanti, 1781, vol. I. p. 50.

 

 

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Figura 2.12. Dimore del periodo medievale in località Agnone: simili dovevano esservi a Campobasso (fonte: Cataudella, 1969).

 

 

Lo storico molisano del secolo scorso, Giambattista Masciotta, interviene così nel dibattito: «Il nome di Campobasso — Campus bassus — inteso come indicazione di un campus detto bassus in rapporto ad una località elevata più elevata, è una etimologia che corrisponde del tutto alla postura delf abitato rispetto al castello che lo domina» [43].

 

 

42. A sua volta il Corda (1843, I. vol.), studiando la Tabula Peutingeriana, indica due stazioni Ad pyrum e ad canales, nel tratto di collegamento stradale fra l’odierna Casacalenda e Boiano, e propende che la seconda indichi Campobasso, ma non comprova la sua tesi.

 

43. Il Masciotta così prosegue nel suo ragionamento:

 

«Si tratta, peraltro, d’una mera casualità; poiché Campobasso si chiamerebbe egualmente Campobasso, pur se il castello le stesse a paro o sottoposto. Il castello preesisteva all’abitato forse fin dai tempi longobardi, sebbene la sua postura e la sua forma lo dichiarino normanno; e dal castello torreggiante a picco sulla roccia, i primissimi signori dissero Campus vassorum, il campo esterno nel quale andavano sorgendo man mano le prime case delle maestranze artigiane e coloniche attratte dalla sicurtà del luogo. Vasso, vassus, vassi erano voci che nei secoli X e XI denotavano i domestici, i servi, i soggetti; ed in prosieguo indicarono i vassalli o i feudi del principe» (Masciotta, 1982, II vol., pp. 49-50).

 

 

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Mancini, al quale si deve la salvaguardia dei più antichi documenti della città, è di parere opposto:

 

«È quindi da escludersi nel modo più assoluto, che Campobasso derivasse da Campus vassorum, campo dei vassalli; quando sorse, e prese nome della contrada, non vi erano frati e coloni. È pure da escludersi che Campobasso si chiamasse così, in opposizione a un soprastante Campus de prata». Pertanto, egli ritiene che «prese nome dalla contrada ove prima sorse, bassa relativamente al roccioso colle che le sta alle spalle» (Mancini, 1942a, p. 13).

 

Per quanto riguarda gli esperti di toponomastica, il toponimo Campobasso «è composto con l’aggettivo basso, cioè campo basso contrapposto ad un campo de prata» (Gasca Queirazza et al., 1990, p. 164).

 

È utile richiamare il senso, illustrato da De Vecchis, del toponimo campo che indica «suolo pianeggiante» e «subisce una diminuzione nella frequenza quando ci si innalza dal fondovalle» per cui «numerosi sono i centri abitati — tutti in provincia di Campobasso — con la radice campo: Campobasso, Campochiaro, Campodipietra, Campomarino, Campolieto» (De Vecchis, 1978, pp. 39-40).

 

Ha un valore complementare il parere di Gasdia:

 

Non è possibile giungere a Campobasso anche oggi senza discendere, cioè bassare. Chiostre di alta montagna, quindi di colline, recingono e difendono la breve conca poetica della città, piccola pianura, cioè campo, dal cui centro si estolle unico ed improvviso il colle calcareo. Chi primo si affacciò alla conquista di questa regione, dopo l’affaticato salire e discendere e risalire proprio del cammino montuoso, respirò discendendo verso questo minuscolo altipiano prativo, o fossero Bulgari, o Longobardi, o Saraceni, o pacifici monaci di San Benedetto, i primi arrivati nel fermarsi dissero: ecco il Campo basso, ecco la località bassa dove pianteremo il bivacco, la dimora, la badia (Gasdia, 1960, p. 224).

 

In tal caso non si dà importanza alla dinamica presente nella morfologia delfinsediamento, ma al percorso per arrivarvi. Indubbiamente il toponimo è testimonianza del quadro ambientale senza tralasciare né il bisogno umano di dimorarvi, né la consuetudine longobarda di «denominare i loro castella con i nomi dei luoghi sui quali edificavano» (Brancaccio, 2008, p. 39).

 

 

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2.3. Il castrum nel 1277: la Convenzione fra Roberto de Molisio, signore di Campobasso, e i suoi vassalli

 

 

In nomine Dominj Dei eterni et Salvatoris nostri Iesu Cristi. Anno ab incarnatione eiusdem millesimo ducentesimo septuagesimo septimo, regnante domino nostro Karulo [...] Die sabati tertiodecimo mensis novembris sexte inditionis apud Neapolim. Nos Iohannes Tamarellus, index civitatis Neapolis, Benzutus Brussanus, puplicus eiusdem terre notarius et infrascripti testes [...] declaramus: Quod dum inter nobilem virum dominum Robbertum de Molisio, dominum Campibassi ex parte una, et Universitatem dicti castri Campibassi ex altera, lites questiones seu controversie verterentur super eo. [44]

 

Così inizia la Convenzione stipulata tra Roberto de Molisio e trentadue rappresentanti di Campobasso, dinanzi al giudice Iohannes Tamarellus della città di Napoli, il 13 novembre 1277. Il documento permette di assumere elementi di conoscenza sulla Campobasso nel Basso Medioevo e di analizzare la situazione complessiva del castrum, rappresentando la miglior prova dei progressi compiuti dalla fondazione longobarda [45]. Inoltre, è il primo documento significativo rispetto ai pochi altri che si conservano, come frammenti di pergamene che rassicurano più che altro sulla presenza dei de Molisio e dell'esistenza di Campobasso [46].

 

La quaestio rientra nelle consuetudini del tempo e spetta ai giudici della capitale dirimerla. La data è particolarmente importante perché a ridosso del passaggio dinastico dagli Svevi agli Angioini, avvenuto nel 1266.

 

Gli Angioini avviano un puntuale controllo del comportamento dei baroni e riorganizzano la geografia amministrativa del Regno [47],

 

 

44. Il documento, depositato in BASC, è stato trascritto a mano da A. Mancini, 1942a. Per la storia del documento si veda Scaramella, 1901.

 

45. Brancaccio (2008), concordando con gli storici locali, lo considera la migliore prova dei progressi compiuti.

 

46. Le citazioni e i frammenti delle pergamene sono riportati e commentati da Gasdia, 1960.

 

47. Gli Angioini incontrano difficoltà nell’organizzare il Regno; nel momento in cui si rendono conto che il potere feudale diventa eccessivo, cercano di dare maggiore spazio alle università creando una sorta di contrappeso. Inoltre, per un effettivo controllo del territorio si impegnano a definirne gli spazi amministrativi. Cfr. Tramontana, 2000. La complessiva organizzazione del Regno sia dei Normanni sia degli Angioini è considerata dalla storiografia la principale motivazione della mancata formazione dei Comuni nel Mezzogiorno; per quest'ultimo tema si rimanda a Vitolo 2005, e per un’analisi complessiva del Mezzogiorno angioino e aragonese a Galasso 2005a. La relazione tra la mancata formazione dei Comuni e l’urbanesimo meridionale è discussa nell’ultimo paragrafo del terzo capitolo.

 

 

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ma l'elemento di maggiore discontinuità è la designazione di Napoli e non più di Palermo come capitale. Inoltre, essi per la debolezza del loro stesso potere monarchico adottano una precisa politica di contenimento dei poteri feudali e favoriscono lo sviluppo delle Università. Queste ultime acquisiscono una vera e propria configurazione amministrativa tramite la quale «concretamente si articolò il governo del paese e da cui il potere trasse le risorse che lo sostenevano» (Galasso, 2005a, p. 410).

 

La Convenzione, che si presenta ampia e circostanziata secondo lo stile tipicamente medievale, risponde dunque ad un cambiamento di rotta per il quale le Università hanno il diritto di esprimere le loro richieste.

 

La lite si concluse con una inquisitio, che fu eseguita dai magistrati regi, dopo che l’Università di Campobasso inviò una sua deputazione a Napoli presso re Carlo D’Angiò per perorare la propria causa. Con il regio rescritto del 1277 il potere centrale riconobbe [...] i legittimi diritti della città (Brancaccio, 2008, p. 40).

 

Nelf ampiezza della trattazione emergono le caratteristiche di Campobasso che ha acquisito un qualche rilievo. Sotto accusa è Roberto de Molisio, signore di Campobasso e proprietario di mulini [48], terre, bestiame: l’espressione ad castrum dicti domini indica che vi dimori. Il dominio feudale della nobile famiglia de Molisio [49] si riflette nell'ambiente fisico nel quale appare rafforzato il castello (Petrocelli, 2008), mentre la presenza stabile nel castrum attesta il primitivo ruolo amministrativo-politico di Campobasso nella Contea del Molise.

 

Il motivo della contesa è l'azione vessatoria di Roberto per nulla rispettoso di consuetudini, le quali, benché non scritte, sono puntualmente richiamate dai rappresentanti dell'Università [50].

 

 

48. Il documento attesta il possesso dei mulini e di case e botteghe; «dominus Robbertus, habens propria molendina, [...] nisi prius domus et apothece predicti domini Robberti dictis mercatoribus sint locate».

 

49. La famiglia de Molisio è riuscita a conservare la contea dalfinizio del suo inserimento nell’ XI secolo.

 

50. I riferimenti all’organizzazione giuridica sono tratti da Masciotta,1982, voll. Per quanto riguarda la complessa macchina delle giustizia nel Medioevo si veda il parere di Tabacco, (1974, p. 198), esplicativo del contesto dell’epoca: «D'altra parte, una rete di bauli, preposti a modesti ristretti, e di camererari e giustizieri provinciali si andò via via via inserendo in tutte le regioni del regno per esercitare nel nome del re — oltre all’amministrazione dei beni fiscali — diritti generali di controllo e di appello, di alta giustizia e di esazione fiscale».

 

 

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L'atteggiamento di Roberto è perfettamente coerente alla logica feudale del tempo, poiché i signori esercitavano sui contadini un'insistente opera di sfruttamento e riservavano per sé ogni vantaggio (Musi, 2007). La complessa macchina della giustizia medievale, che mette in contrapposizione il potere locale di Roberto de Molisio e quello del re, rappresentato dal Giustiziere, spinge i campobassani a portare la loro richiesta a Napoli.

 

Elencati nel corpo centrale del documento, vi sono i 32 rappresentanti di Campobasso: qui erant maior et senior pars diete Universitatis. I 32 homines fanno conteggiare i fuochi o nuclei familiari presenti; se essi rappresentano all'incirca la metà delle famiglie, il nucleo complessivo nel castrum doveva essere costituito da circa 400/500 campobassani considerando una media di circa 5-6 componenti a fuoco [51]. Dal momento che non vengono citate cariche onorifiche, sono nella gran parte contadini, ma non solo (Sarno, 2008d).

 

La definizione di castrum garantisce lo sviluppo topografico e anche economico di Campobasso rispetto alla primitiva fondazione longobarda, infatti l'ampliamento è avvalorato da un’altra pergamena dell'aprile 1100, nella quale le si attribuisce il titolo di città: Actus in civitate Campobassi feliciter [52]. Il termine civitas rimanda all’unità d’intenti e all’identità dei suoi abitanti (Grohmann, 2003), quindi non è in contraddizione con la struttura fortificatoria [53]. Grazie anche agli elementi che si possono assumere direttamente sul terreno, ha una struttura simile ad altri centri coevi: le mura, la rocca, semplici luoghi di culto e il borgo degli abitanti (Francovich-Noyè, 1994, Rotili, 2010). Inoltre, come si vedrà, è vitale per la presenza del mercato.

 

 

51. Ogni fuoco, ovvero ogni nucleo familiare, era formato da 5/6 componenti. Il calcolo dei componenti dei fuochi è effettuato in base alle indicazioni di Gambi, 1951, e Brancaccio, 2005. Solo nel XVIII secolo si è tenuto conto, come si vedrà nel quarto capitolo, delle indicazioni di Galanti su una maggiore numerosità dei fuochi: 7/8 componenti.

 

52. La pergamena è stata studiata da Nobile, 1979, che riporta i riferimenti a pergamene presenti presso le chiese di San Giorgio e San Leonardo a Campobasso.

 

53. Campobasso corrisponde al «tipo di popolamento più diffuso: il villaggio, sia il villaggio circondato da mura, il castrum, sia il villaggio aperto, la villa» (Grohmann, 2003, p. 9).

 

 

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Pur nella sua piccolezza, quindi Campobasso ricalca i canoni distintivi della città medievale: la cinta muraria, il mercato e gli statuti [54] (fig. 2.13). Le mura rappresentano un elemento difensivo e identitario (Pirenne, 2001) e in continuità con l’impostazione longobarda sono rafforzate. Infatti, Pece (1980), uno dei primi studiosi dei resti murari, ritiene che in questa fase siano state costruite delle vere e proprie fasce murarie con materiali tanto antichi, quanto longobardi.

 

All’interno delle mura la rocca longobarda assume connotati più stabili e la sua presenza è comprovata da un documento che attesta come Corrado IV ordinasse: «Raparari debet castrum Campibassi [55]». Il castrum e la sua fortezza erano stati sicuramente coinvolti, tra il 1250 e il 1255, negli scontri di successione tra Svevi e Angioini, nei quali anche i de Molisio avevano avuto la loro parte.

 

La fortezza doveva essere la tipica costruzione di difesa, con ridotte possibilità di abitabilità e con l’accesso collegato alla porta principale [56] (fig. 2.14). Intorno trovavano spazio i militari, mentre la chiesa di Santa Maria Maggiore, con un impianto coerente al periodo, è edificata sull’altura negli anni 1320-1330 (fig. 2.15).

 

Altri luoghi di culto complementari, come la chiesa di San Giorgio e quella di San Bartolomeo, sono edificati nel declivio debolmente energico dell’altura, in posizione sottostante alla rocca [57] (figg. 2.16- 2.17).

 

Il castrum manifesta un’evoluzione coerente al periodo, quando alcuni dei «nuovi agglomerati si sviluppano ampiamente», mentre altri «rimangono dei villaggi o addirittura scompaiono [...]. Molti mantengono una dimensione intermedia tra villaggio e città» (Le Goff; 2011, p. 27).

 

 

54. Per le caratteristiche e le peculiarità della città medievale cfr. Pirenne, 2001, Grohmann, 2003, Le Goff, 2011. I caratteri geoeconomici della città antica e medievale sono sintetizzati da Talia, 2007b. Per un quadro complessivo della città medievale in Europa Keene, 1998 e per l’Italia, Rombai, 2002. Per l’architettura medioevale cff. Benevolo, 2006, e per la dimensione ambientale Delort, Walter, 2002. Per le diverse posizioni critiche sullo sviluppo della città medievale e sul tema continuità/discontinuità con l’urbanizzazione romana rimane fondamentale Smith, 1974.

 

55. Cff. Nobile (1979, p. 388) che riporta il documento.

 

56. Il portale doveva avere, come in quello presente nel piccolo comune di Molise, lo stemma dei de Molisio.

 

57. La chiesa di San Giorgio e quella di San Bartolomeo sono edificate probabilmente nel XII secolo. Per la date di fondazione delle chiese di Campobasso il saggio di riferimento è U. D’Andrea, 1975.

 

 

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Figura 2.13. Campobasso nei secoli XI e XII: le mura sono indicate dal tratteggio (fonte: Boffa, 1989).

 

 

La limitata densità di popolazione nel Mezzogiorno [58], l’impostazione feudale voluta prima dai Normanni e poi dagli Angioini non facilitano certo un articolato sviluppo urbano, ma piuttosto un’organizzazione territoriale costituita da castra, tra i quali qualcuno, come Campobasso [59], si differenzia per la presenza della fiera e per lo sfruttamento dell’agro circostante. Infatti, i campobassani, lavorando nei campi duramente, posseggono animali e mulini, tutti elementi che motivano le vessazioni di Roberto:

 

Etiam compellere nìtitur homines diete Universitatis habentes iumenta tritare messes, fruges et segetes dicti domini Robberti nullo salario prestito vel prestando predictis hominibus a domino supradicto. [60]

 

 

58. Cfr. Del Pania, 1996; Rombai, 2002.

 

59. In Molise oltre ad Isernia anche Agnone o Larino erano centri di un certo rilievo nell’età medievale.

 

60. Il documento analiticamente descrive tutte le vessazioni.

 

 

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Figura 2.14. La fortezza longobarda secondo le trasformazioni del XV secolo.

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Figura 2.15. Facciata della chiesa Santa Maria Maggiore, ubicata sul l’altura a poca distanza dal castello.

 

 

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Figura 2.16. La chiesa di San Giorgio disposta in posizione sottostante alla rocca.

 

 

I proprietari di animali da soma devono dare gratuitamente la loro opera nei campi e il termine tritare indica tutte le funzioni inerenti al raccolto; a loro volta i proprietari dei giumenti devono dare al signore la metà dei nati [61].

 

Possiamo così conoscere il paesaggio agrario circostante a Campobasso, dove predominano campi di grano, ma il riferimento a raccolti in diversi periodi delfanno rimanda ad un’agricoltura promiscua. Inoltre, le informazioni sul bestiame, soprattutto sugli animali da trasporto, ne dimostrano una cospicua presenza. È la testimonianza sia pure indiretta del fervore del sistema silvo-agro-pastorale, tipico del Duecento e del Trecento, secondo le indicazioni magistrali di Sereni (1961), ma confermate dai recenti studi sul contado nel Mezzogiorno medievale e moderno (Vitolo, 2005). «La proiezione verso l’area esterna alle mura è un elemento che si ritrova in tutti i comuni del Mezzogiorno, sia quelli grandi sia quelli piccoli» (Ibidem, p. 14).

 

 

61. Era quest’ultima una regola precisa data da Carlo d'Angiò, ma Roberto de Molisio eccede.

 

 

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L’atteggiamento di Roberto fa comprendere che Campobasso è appetibile; non a caso il dominus, pur possedendo mulini, sfrutta quelli altrui unitamente alla fatica degli operai [62].

 

La maior pars dei campobassani, dopo aver lamentato le vessazioni che riguardano la realtà agricola, difende un altro fattore che caratterizza il loro castrum: il mercato che richiama mercanti e acquirenti.

 

Idem dominus Robbertus non permittit homines diete terre habentes domos et apothecas proprias in platea dicti castri locare mercatoribus venientibus ad dictum castrum infesto S. Marie de mense Septembris, in quofestofit ibi forum puplicum iuxta antiquam consuetudinem loci predicti, nisiprius domus et apothece predicti domini Robberti dictis mercatoribus sint locate: et idem dominus Robbertus edam non permittit homines dicti castri facete logias in loco Crucis eiusdem castri, ubi fitpredictum forum (nec) in predicto festo, nec exercere cambium in predictoforo. [63]

 

Il passo sinteticamente illustra la presenza stabile del mercato che, durante la fiera dedicata a Santa Maria, nel mese di settembre, è occasione di scambio e richiama i mercanti da lontano, per cui i campobassani possono affittare case e botteghe, benché Roberto lo impedisca per arrogarsi il privilegio di affittare prima le sue [64].

 

La fiera campobassana [65] è il chiaro riscontro di come tale fenomeno economico si fosse diffuso anche in contesti meno noti e significativi. Peraltro, se il mercato è il luogo delle contrattazioni al minuto, la fiera assume una valenza di primaria importanza per la formazione dei circuiti commerciali [66] (Ait, 2005).

 

 

62. Ecco il passo tratto dal testo:

 

«Et quod idem dominus Robbertus, habens propria molendina, et in quibusdam aliis molendinis ius molendi, suis propiis non contentus nec his in quibus ius molendi seu macinandi habet, ad molendina propria hominum diete terre victualia sua propria transmittit et molifacit sine aliqua molitura, inviti set renitentibus dominis molendinorum ipsorum».

 

63. Il documento illustra nel dettaglio la vita quotidiana.

 

64. Il danno si amplia perché arroga per i suoi uomini la costruzione delle tettoie per gli ambulanti.

 

65. Si delinea, così, una tradizione che permarrà fino agli inizi del XX secolo: il mercato di Campobasso come luogo fieristico. Sicuramente nel 1277 si è solo agli inizi, ma come si dirà nei prossimi capitoli i documenti dell’età moderna attestano il grande richiamo operato dalle fiere con la permanenza di quella di settembre. Comunque, la manifestazione mariana doveva avere già rilievo nel periodo medievale, se il feudatario Roberto si arroga le prerogative in materia di cambio.

 

 

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D’altronde, Federico II di Svevia aveva autorizzato, già nel secondo decennio del XIII secolo, lo svolgimento di ben sette fiere a Sulmona, Capua, Lucerà, Bari, Taranto, Cosenza e Reggio Calabria [67]. Se i centri fieristici più notevoli si erano sviluppati nei circuiti di Champagne e di Fiandra, questa formula commerciale finisce per collocarsi anche in ambiti minori [68].

 

La Convenzione indica in modo preciso l’ubicazione del centro commerciale: in loco Crucis eiusdem castri. Il mercato e la fiera, come chiariscono anche altri documenti presenti presso la parrocchia di San Leonardo di Campobasso [69], si svolgevano nelle adiacenze della cinta muraria, nei pressi della cosiddetta porta Fida o Fredda. Quest’ultima «si chiamò porta Fida, perché era certamente la più robusta e meglio fortificata [...]. Poi con il passare del tempo la si cominciò a denominare Porta Fredda» (Di Fabio [70], 2000, p. 255).

 

Appena a ridosso delle mura vi era la chiesa di San Bartolomeo dove, secondo le consuetudini medievali, era collocata una croce viaria che è ancora visibile (figg. 2.17-2.18). Possiamo quindi identificare con esattezza il luogo del mercato fùori dalle mura, come mostra la figura 2.19.

 

È ragionevole pensare che, nei decenni successivi, casupole e baracche al di fuori delle mura dessero vita ad un vero e proprio sobborgo esterno (Gasdia, 1960).

 

Campobasso si differenzia da Isernia, dove la piazza del mercato è costruita nel 1349 in prossimità della cattedrale, nel cuore della città [71], o anche dal castrum di Benevento, la cui vita quotidiana si svolge «intorno ai complessi religiosi che, a testimonianza del rilievo prioritario e indiscutibile nella città, sono anche i denominatori della sua vita artigianale e professionale» (Musi, 2004, p. 42).

 

 

66. Si conferma che la città medievale è figlia del commercio, come ribadisce Talia (20076), sulla scia di Pirenne.

 

67. I riferimenti sono tratti da Grohmann, 2003.

 

68. Sul mercato come peculiarità della città medioevale si rimanda ai già citati Pirenne, 2001, Grohmann, 2003, Le Goff 2011, nonché a Smith, 1974 e a Rombai, 2002. Per gli aspetti economici delle fiere cff. Ait, 2005, e Masi, 2005.

 

69. La conferma dei luoghi citati dal documento del 1277 si riscontra nelle annotazioni lasciate dal parroco Silvestri presso la Parrocchia di San Leonardo di Campobasso nel secolo XIII e trascritte da U. D’Andrea, 1969.

 

70. Secondo quanto riferisce Di Fabio la porta Fida era anche chiamata la porta del Monte, per le indicazioni del notaio Carlo Salottolo, in una scrittura del 6 dicembre 1682 (Di Fabio, 2000, p. 256).

 

71. Si veda l’ultimo paragrafo di questo capitolo.

 

 

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Figura 2.17. Facciata della chiesa di San Bartolomeo: qui si teneva il mercato nel 1277, come attesta la Convenzione.

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Figura 2.18. Resti della croce viaria posta dinanzi alla chiesa di San Bartolomeo: è la testimonianza ulteriore che qui fosse la località del mercato.

 

 

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Figura 2.19. Spazio utilizzato per il mercato secondo i documenti del 1277; ancora evidente la fascia muraria che circondava il castrum.

 

 

Tuttavia, il castrum molisano non rappresenta affatto un’ eccezione: «I borghi erano fortezze le cui mura racchiudevano un perimetro strettamente limitato, per cui fin dal principio i mercanti furono costretti a stabilirsi, per mancanza di spazio, al di fuori di questo perimetro» (Pirenne, 2001, p. 20).

 

Le vessazioni  [72] di Roberto, ben poco interessato alle motivazioni politico-militari dei suoi predecessori, sono l’indiretta testimonianza di quanto fosse vitale il locum Crucis eiusdem castri. Ma, cosa molto più interessante, la Convenzione, poi definita la Pancarta di Campobasso [73],

 

 

72. Nel documento sono elencati altri limiti imposti da Roberto e mal sopportati, poiché egli non consente neppure la vendita delle carni se non da un ristretto numero, monopolizzando tale opportunità. Peraltro, non è tralasciata un’altra ricchezza che è la proprietà, ma anche sul vendere case e terreni Roberto pone veti. Ulteriore punto dolente è rappresentato dall'esenzione dalle collette: gli uomini di Roberto non pagano, mentre la maggioranza del popolo deve pagare anche per loro. Roberto, invece di rispettare la consuetudine di inserire i campobassani nella riscossione dei tributi, delega sue persone fidate.

 

73. La definizione adottata da Gasdia (1960) è accettata da Brancaccio, 2005.

 

 

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mentre sana le diverse quaestiones, è illuminante della vocazione commerciale dei suoi abitanti, vocazione che diverrà fondamentale nei secoli successivi.

 

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