Le Kuriate e Pantelleria. Osservazioni onomastico-etimologiche

 

Giuseppe Scalia

 

 

Bulletin Du Cange 43 (1981-82, pub. 1984), 65-100

 

 

Scans in .pdf format (17.9 Mb) from www.core.ac.uk

 

Nel 1971, nel curare l’edizione del carme celebrativo della fortunata spedizione pisano-genovese del luglio/agosto 1087 contro le città costiere dell’Africa settentrionale al-Mahdīya e Zawīla [1], richiamavo l’attenzione sulla presenza nel componimento di due toponimi, Pantalarea a v. 58 e Curre a v. 273, il primo per l’antichità, il secondo per l’unicità dell’attestazione [2]. Il carme, come allora ebbi modo di precisare, si presenta con caratteristiche di opera scaturita direttamente dall’evento che commemora, è di estrazione pisana e si deve con buona probabilità a un membro del corpo ecclesiastico al séguito dell’impresa [3]. Insieme con la datazione (ca. 1087/1088), ad accrescerne l’importanza sotto il profilo storico contribuiscono non poco la ricchezza e la scrupolosità dell’informazione :

 

 

1. G. Scalia, Il carme pisano sull’impresa contro i saraceni del 1087, in Studi di filologia romanza offerti a Silvio Pellegrini, Padova, 1971, pp. 565-627. Nel 1977 è uscita una nuova edizione del carme (H.E. J. Cowdrey, The Mahdia campaign of 1087, in The English Historical Review, 92 [1977], pp. 129 : a pp. 23-29), la quale però non reca alcun miglioramento al testo, anzi sotto questo aspetto costituisce un arretramento : cf. H. H[offmann] in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, 58 (1978), p. 660.

 

2. Rispettivamente a pp. 603 e 624 della mia edizione.

 

3. Scalia, Il carme cit., pp. 570, 586 sg. C. B. Fisher, The Pisan Clergy and an Awakening of Historical Interest in a Medieval Commune, in Studies in Medieval and Renaissance History, III (1966), pp. 143-219, a p. 185 sgg. giudicava il componimento databile intorno al 1120, ma cf. nella mia edizione nota 20 a p. 570 sg. Anche il Cowdrey, The Mahdia cit., si pronuncia per una datazione molto vicina all’awenimento (p. 3 : «... dating from or immediately after thè late summer of 1087») e ricorda opportunamente altri due componimenti poetici dello stesso periodo (2a metà sec. XI) di analoga ispirazione, il Carmen de Hastingae proelio e il Carmen de bello Saxonico.

 

 

67 

 

i due toponimi vi s’incontrano riferiti a tappe rispettivamente del viaggio di andata e di quello di ritorno, Pantelleria e — come proponevo di identificare nella mia edizione — le Kuriate, due isolette poco distanti dalla costa tunisina all’altezza di Monastir [4]. Le considerazioni di commento fatte allora, necessariamente brevi, avrebbero forse richiesto, specie per Pantelleria, un approfondimento e ampliamento delle ricerche. Il debito rimasto insoluto in tutti questi anni mi offre oggi il pretesto — quod differtur non aufertur — per riprendere l’argomento nell’ottica di una indagine onomastico-etimologica.

 

* * *

 

Per quanto concerne le Curre, non resta molto da dire. Il poeta le menziona a proposito di un episodio insignificante nell’economia generale dell’impresa, che assume tuttavia rilevanza, nel contesto narrativo, per la motivazione interiore che ne ispira il ricordo : il passaggio dei cristiani a missione compiuta, e quindi già sulla via del ritorno, per « quasdam maris insulas » denominate a quel modo, « ubi nullus vidit aquas ad potandum limpidas », e l’inaspettato rinvenimento in esse (« fit hoc visu et auditu nimis admirabile ») di abbondante acqua sorgiva (« terra parum circumfossa, potant aquas largiter ») [5],

 

 

4. P. Loi. Carmen in victoriam Pisanorum, Pisa, 1969, a p. 37, nota 2, avanzava l’ipotesi di una identificazione con le isole Kerkennah, ma cf. la mia edizione, a p. 264, nota ai vv. 273-276. Cowdrey, The Mahdīa cit., che ignora tanto l’edizione Loi che la mia, propone (p. 29, nota a 69a) : « Quirra, a rock mass off south-eastern Sardinia... ». L’ipotesi è alquanto discutibile, sia per la natura dell’isolotto — poco più che uno scoglio, di un centinaio di metri di diametro, alto 12 metri, pressoché inaccessibile, distante dalla costa sarda un paio di km., così denominato per la sua prossimità all’omonima regione (Quirra o Chirra) della Sardegna orientale compresa fra l’Ogiiastra e il Sarrabus — che fa apparire estremanente improbabile, per non dire impossibile, un approdo della flotta cristiana, sia perché riesce difficile pensare che il poeta in tal caso non Jacesse riferimento alla vicinissima terraferma sarda, piuttosto che usare l’indefinita espressione «quasdam maris insulas» (perché poi «insulas » trattandosi di un unico isolotto roccioso ?). E questo sempre nel presupposto, tutt’altro che certo, che la rotta del viaggio di ritorno comportasse il costeggiamento della Sardegna.

 

5. Sull’episodio, condensato nei quattro versi della strofa 69 e nei versi immediatamente precedenti, si soffermano M. Allegretto e G. Lachin, Epica latina medioevale ed escatologia cristiana : il « Carmen in victoriam Pisanorum », in Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Classe di Scienze morali. Lettere ed Arti, CXXXI (1972-1973), pp. 209-229, a p. 227 sg., sottolineandone l’importanza nella prospettiva di una interpretazione allegorizzante dell’intero componimento, cui essi, spiccatamente, propendono.

 

 

67

 

Poiché uno dei temi frequentemente ricorrenti nel carme è l’accostamento a eventi e personaggi biblici [6], e anche in questo caso viene evocato, a v. 272, il parallelismo con l’episodio mosaico dell’acqua fatta scaturire in maniera miracolosa dalla roccia (Esodo XVII 1-7), si sarebbe tentati di giudicare immaginarie e di comodo le circostanze narrate dall’autore. Il pubblico, peraltro, a cui questi si rivolgeva [7], coevo e prevalentemente locale, e il taglio puntigliosamente analitico e descrittivo impresso al racconto non lasciavano tanto spazio alla sua fantasia da consentire aggiunte di particolari che non avessero alcun riscontro nella realtà, ancora viva e presente nella memoria di molti testimoni.

 

La proposta di identificazione del toponimo che avanzai nel 1971 pare aver colto nel segno. Le isole in questione, distanti poco più di una quindicina di km. da Monastir in direzione est/nord-est, sono di dimensioni alquanto modeste: la maggiore, recante da sola, nella carta al 50.000 del Service Géographique de l’Armée ([8]), il nome di Kuriate, di forma tondeggiante, con un diametro massimo di appena 3 km., è dotata di un faro nel suo punto più elevato, quasi centrale ; la minore, ca. 2 km a sud-ovest dell’altra, ha nella stessa carta una propria denominazione, peraltro antica, come vedremo : « Al Shrir (Conigliera) ». Sono entrambe circondate da bassi fondali che le raccordano con la terraferma, per tutta l’ampiezza del golfo di Monastir e oltre, verso est,

 

 

6. È quanto notavo nella mia edizione a p. 587 sgg. e tendono a porre in risalto soprattutto Allegretto e Lachin, Epica cit.

 

7. Intendo non il ‘ pubblico ideale ‘, ma l’uditorio cui era espressamente indirizzato il carme, che per la sua cadenza trionfale, la linearità del dettato e l’impostazione stilistica generale è da ritenere con ogni probabilità destinato alla declamazione durante i festeggiamenti che seguirono all’impresa nella città toscana. È noto che da allora il giorno di S. Sisto (6 agosto), nel quale si era svolto lo sbarco in terra africana e iniziata l’offensiva alle due città, divenne per i Pisani il ‘ giorno della vittoria ‘ : cf. Liber Maiolichinus de gestis Pisanorum illustribus... a cura di C. Calisse, Roma, 1904 (Fonti per la storia d’Italia, 29), vv. 160-162.

 

8. Service Géographique de l’Armée, Tunisie, 1:50,000, F.lle N.° LXVI (Moknine).

 

 

68

 

mostrando la loro appartenenza alla medesima formazione geologica di natura calcarea [9] ; costituiscono oggi, per il cospicuo incremento turistico assunto dalla fascia costiera compresa tra Sousse e Mahdia, mèta non infrequente di visitatori forestieri ; l’isola maggiore possiede attrezzature per la pesca del tonno e ospita stabilmente gruppi di pescatori nel periodo di più intenso svolgimento della loro attività stagionale [10]. Le condizioni presenti parrebbero, a prima vista, non incoraggiare molto l’ipotesi di identificazione da me formulata. Ma cerchiamo di saperne qualcosa di più con riferimento al passato.

 

Il Tissot nel 1882, considerando i bassi fondali di cui sopra si diceva « vestiges d’un ancien archipel qui représentait luimême les restes d’une terre basse, submergée par suite d’une de ces oscillations dont le littoral africain offre tant de traces », proponeva di identificare le due isole e l’arcipelago un tempo esistente con le « Ταριχεῖαι λεγόμεναι, νησία πολλὰ καὶ πυκνά » tra Hadrumetum (= Sousse) e Thapsus (= Ras Dimas) presenti in Strabone XVII 3, 16 [11]. Nello stesso tempo notava la corrispondenza con le Kuriate del toponimo « Λαρουνησίαι νῆσοι δύο » riportato da Tolomeo (IV 3, 12) [12], e infine, sulla base di una notizia offerta dallo Stadiasmus maris magni (112), ipotizzava la originaria congiunzione delle due isole, passate poi,

 

 

9. Cf. J. Despois, La Tunisie Orientale. Sahel et Basse steppe. Étude géographique2. Paris, 1955, p. 51.

 

10. Per lo sviluppo turistico nel Sahel tunisino cf. H. Sethom-A. Kassab, Les régions géographiques de la Tunisìe. Tunis, 1981, p. 316 sgg. Sulle Kuriate brevi cenni sono rinvenibili nelle varie guide turistiche, tra le quali mi limito a citare : H. Strelocke, Tunesien. Studienreiseführer mil Landeskunde, Stuttgart, 1970, p. 200; Les Guides Bleus : Tunisie, Paris, 1971, p. 331 ; Tunisia. Storia-Vita-Folclore e tutte le informazioni utili al turista, Firenze, Valmartina, 1976, p. 205. Per la pesca del tonno alle Kuriate cf. in particolare, oltre le guide, Despois, La Tunisie cit., p. 460,

 

11. Ch. Tissot, Géographie comparée de la provìnce romaine d’Afrique, I, Paris. 1884, p. 179. Il passo straboniano nell’edizione C. Müller-F. Dübner (Strabonis Geographica..., Parisiis, 1853-1877) è a p. 708, 1. 15 sg. (cf. anche per le «Tarichiae 1. » Tab. XV). La voce Ταριχεῖαι 3) in Pauly-Wissowa, Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, Zweite Reihe, IV, 2, Stuttgart, 1932, col 2319, è di H. Treidler.

 

12. Tissot, Géographie cit., ibιd. La menzione di Tolomeo, nell’edizione di C. Müller (Claudii Ptolemaei Geographia,.., Parisiis, 1883-1901), è a p, 660, 1. 12 (cf. nota in apparato, a p, 660 sg.). Sulla identità con le Kuriate non ha dubbi [H.] Dessau, voce Larunesiae in Pauly-Wissowa, Real-Encyclopädie cit., XII, 1, Stuttgart, 1924, col. 880.

 

 

69

 

per l’abbassamento del suolo, attraverso la fase dell’arcipelago (riflessa in Strabone), alla configurazione odierna (già in Tolomeo, ossia dal II sec. d.C.) [13].

 

Comunque stiano le cose per il mondo antico, è certo che le nostre isole nel 1087, quando ebbe luogo la spedizione cristiana, avevano acquisito la denominazione attuale. La testimonianza più autorevole in proposito ci viene da Abū ‘Ubayd al-Bakrī, il maggiore geografo occidentale arabo dopo al-Idrīsī, vissuto proprio nel sec. XI († 1094) [14], cui si deve nell’opera principale, il Kitāb al-Mamālik wa-l-masālik, anteriore al 1068, una descrizione dell’Africa settentrionale edita et tradotta in francese nel 1857/58 dal De Siane, nella quale si legge (cito dalia traduzione nella ristampa riveduta e corretta del 1913) :

 

Ensuite se présente le port d’EL-MONESTÎR, le mahrès le plus considérable de l’Ifrîqiya ; nous en avons déjà fait mention. Dans le voisinage de ce port est la saline de Lamta (Mellaha Lamta), grand dépôt d’excellent sel, qui s’exporte aux pays voisins. Ensuite on arrive au port de Casr el-Couriatein « le château des deux Couriat », qui sont deux grandes îles situées au large, et séparées l’une de l’autre par un canal navigable. De là on arrive à la ville d’EL-MEHDIYA. port de Cairouan, où viennent se décharger les navires de tous les pays [15].

 

La preziosa testimonianza, notevole, oltre che per l’età, per l’attendibilità delle fonti da cui deriva [16],

 

 

13. Tissot, Géographie cil.. I, p. 179 sg. Nell’Atlas uscito col tomo II dell’opera del Tissot, Paris, 1888, a cura di S. Reinach, PL X, le Kuriate sono designate con entrambi i nomi («Tarichiae ou Larunesiae insulae »). Il passo dello Stadiasmus sive Periplus maris magni, nell’edizione di C. Müller (Geographi Graeci minores.... I, Parisiis, 1855) è a p. 469, 11. 3-5 : « ἔχει δὲ νῆσον καλὴν, πελαγίαν, κειμένην κατὰ Θάψον πρὸς βορρᾶν, ἀπέχουσαν σταδίους π’». Cf. ibid., nota a piè di pagina e infra, nota 22.

 

14. Su al-Bakrī si veda l’ampia voce di É. Lévi-Provençal in Encyclopédie de l’Islam2 (I, Leyde-Paris. 1960, pp. 159-161). Cf. altresì, alla voce, il Repertorium fontium historiae medii aevi (II. Romae, 1967. p. 436).

 

15. Description de l’Afrique septentrionale par El-Bekri traduite par M. G. De Slane, Alger. 1913, p. 171.

 

16. La maggiore è certamente, per l’Ifrīya, al-Warrā, vissuto lungamente a Kairouan. Cf. voce cit. di Lévi-Provençal in Enc. de l’Islam2, p. 161 (e bibliografia cui ivi si rimanda).

 

 

70

 

ci rende edotti della insospettabile esistenza di un porto [17] e di un qar al-Kuriatayni [18], nonché di un canale navigabile tra le due isole. All’autorevole attestazione di al-Bakrī si aggiunge verso la metà del sec. XII, ma per la sola segnalazione del toponimo e di alcune distanze da località costiere, al-Idrīsī [19].

 

Le Kuriate dunque, oggi quasi deserte, ospitavano a quel tempo un qar e possedevano attrezzature portuali, circostanze che conferiscono un alto margine di probabilità all’ipotesi dell’approdo cristiano : un approdo amichevole, peraltro, a guerra finita e prima di riaffrontare il mare aperto, per tentare forse di risolvere (su consiglio di guide o informatori locali ?) il problema, certamente non facile nelle terre espugnate al culmine della stagione estiva, dell’approvvigionamento idrico della flotta per il viaggio di ritorno. La circostanza dell’acqua emersa dal terreno dopo brevi sondaggi, raffigurata dal poeta, con palese intento allegorizzante, come fatto prodigioso per la sua imprevedibilità, trova piuttosto conferma sia nella situazione odierna, che denunzia la presenza nell’isola maggiore di due pozzi e di alcuni bacini idrici a bassa concentrazione salina [20], sia nella notizia fornita da un portolano del sec. XV, il « Parma-Magliabecchi » [21] :

 

 

17. Ma cf. infra, nota 22.

 

18. Nella traduzione del De Siane sopra riportata la trascrizione « Couriatein » è secondo gli usi grafici francesi, ma trattasi chiaramente, come si deduce dalla esplicitazione che segue al toponimo, di forma duale araba.

 

19. Description de l’Afrique et de l’Espagne par Edrīsī, testo arabo e traduzione francese a cura di R. Dozy-M. J. De Goeje, Leyde, 1866, p. 149 : « Vis-à-vis d’ai Monastîr et à la distance de 9 milles, est située file de Couria, qui est distante de Lamia de 10 milles, d’ad-Dîmâs de 12, d’ai-Mahdīya de 20 milles ». La testimonianza idrisiana parrebbe indipendente da al-Bakrī. Il toponimo kuria è in K. Miller, Mappae Arabicae, Arabische Well· und Länderkarten. II : Die Länder Europas und Afrikas im Bilde der Araber, Stuttgart, 1927, pianta di p. 180 (N. 52 : « Tunisien nach Idrisi übertragen »). Su al-ldrīsī si veda la voce di G. Oman in Encyclopédie de l’Islam2 (III, Leyde-Paris, 1971, pp. 1058-1061).

 

20. È quanto si ricava dalla cit. carta al 50.000 del Serv. Géogr. de l’Armée. Non sono riuscito purtroppo a saperne di più in proposito, ma è probabile che a facilitare l’odierno insediamento della colonia di pescatori nell’isola maggiore abbia contribuito l’esistenza in essa di acqua potabile.

 

21. È così denominato da K. Kretschmer che ne ha curato l’edizione in Die italienischen Porlolane des Mittelalters. Ein Beitrag zur Geschichte der Kartographie und Nautik, Berlin. 1909 ( Veröffentlichungen des Instituts für Meereskunde und des Geographischen Instituts an der Universität Berlin, Heft 13), pp. 268-358 (notizie sui testimoni e altro a pp. 206-213).

 

 

71

 

D’Africha ale Chonigliere 40 miglia quarta di tramontana inuer maestro. Le Chonigliere è buono porto in mezzo delle due isole, e puoi stare ànchora e ànchora, e se uuoi aqua ciercha insull’isola grande [22].

 

Qui le isole son dette Chonigliere, come oggi la minore, e cosi pure in altri portolani e carte nautiche, con lievi varianti (Cunilliera [23], Coniere [24], Conieras [25]). Nel Compasso de navegare (ca. 1250) il toponimo è Conie/Conia [26], nelle carte di Pietro Vesconte (inizi sec. XIV) Cunie [27]. Vien da chiedersi se all’origine di almeno quest’ultima forma non stia il nostro Curre, il quale, d’altronde, continua a non risultarmi attestato al di fuori del carme.

 

Il toponimo arabo Kuriate figurava forse nelle carte nautiche di cui disponevano i protagonisti della spedizione, oppure fu appreso da essi localmente.

 

 

22. Ibid., p. 339 (§ 187). Ho aggiunto alla trascrizione Kretschmer, per renderla più perspicua, qualche segno grafico e maiuscola all’uso moderno (« chonigliero », a 1. 2, è refuso). Questa preziosa testimonianza sulla presenza dell’acqua, oltre che del porto, e quella di al-Bakrī in merito al porto mi inducono a meditare su un particolare dello Stadiasmus che viene immediatamente dopo il passo riferito dal Müller e dal Tissot alle Kuriate (cf. supra, nota 13): «ἔχει δὲ λιμένα καὶ ὕδωρ ». Dal contesto non si deduce in modo chiaro e inequivocabile se s’intenda parlare di Thapsus o ancora dell’isola (definita anche per questo ‘ bella ‘ ?). Se la precisazione dello Stadiasmus dovesse riguardarla, avremmo anche per il mondo antico un’attestazione dell’esistenza colà di un porto (λιμένα) e di acqua (ὕδωρ). Resta da dire, peraltro, che nell’àmbito di una vasta indagine ricognitiva sulle opere idrauliche romane in Tunisia diretta da P. Gaukler (Enquête sur les installations hydrauliques romaines en Tunisie, voll. 2, Tunis, 1897-1912) nulla sarebbe stato rinvenuto alle Kuriate (1, p. 55), mentre i rilevamenti eseguiti nelle aree di Mokenine e Mahdia, presentanti caratteristiche geologiche omogenee tra loro (e — va aggiunto — con le nostre isole), avevano accertato l’esistenza di centinaia di pozzi, qualcuno di acqua potabile (ibid.).

 

23. Parecchie varianti sono raccolte in Kretschmer, Die italienischen Portolane cit., p. 678, voce Coniere, Cunilliera figura nelle carte di Grazioso e Andrea Benincasa (2a metà sec. XV), per le quali cf. ibid., pp. 141-146.

 

24. Negli atlanti di Tammar Luxoro (sec. XIII : cf. ibid., p. 108 sg.), Pinelli (sec. XIV : ibid., p. 125 sg.), di Andrea Bianco (1436: ibid., p. 130 sg.) e nelle carte di Jacopo Giroldi (1a metà sec. XV : ibid., p. 127 sgg.) e del Berliner Museum für Meereskunde (sec. XV : ibid., p. 133 sgg. e tavola f. t. alla fine del volume).

 

25. Nella carta catalana del 1375 (ibid., p. 122 sgg.).

 

26. Il Compasso da navigare. Opera italiana della metà del secolo XIII... a cura di B. R. Motzo. Cagliari, 1947, p. 71 (ma anche Conilliere a p. 82).

 

27. Cf. Kretschmer, Die italienischen Portolane cit., p. 678 ; per le carte del Vesconte ibid., p. 110 sgg.

 

 

72

 

L’autore del carme, che pare fosse tra i membri del clero partecipanti all’impresa, coniò il toponimo latino su quello arabo, con un procedimento che troviamo ripetutamente applicato nello stesso carme (Machumas < Muammad, Madia < al-Mahdīya, Sibilla < Zawīla, Timinus < Tamīm ; cassarum < qar, darsana < dār al-inā’a, mesciuta < masğid) [28] e copiosamente rappresentato in altra produzione letteraria pisana dei primi decenni del sec. XII [29].

 

Un cenno, per finire, all’etimo di Kuriate, del quale sinora risulta essersi occupato soltanto A. Pellegrin nel suo saggio sui toponimi algerino-tunisini del 1949, proponendo da un lato l’accostamento a Κουρῆτες popolazione etolica, dall’altro, con più convinzione, la provenienza da κουρίς -ίδος (variante attestata, insieme con κωρίς, di καρίς -ίδος = ‘ granchio ‘), sicché Kuriate equivarrebbe a ‘isole dei granchi’ [30]. La più antica testimonianza sul toponimo, come sappiamo, è quella di al-Bakrī, piuttosto tarda per poterne dedurre alcunché di sicuro a sostegno dell’ipotesi di un’origine greca. Volendo restare in àmbito linguistico arabo, non sarà da prendere in considerazione una possibile derivazione da kūrīyun (femm. sing. kūrīyatun, duale kūrīyatani -ayni) ‘sferico, rotondo’ [31], con riferimento alla forma dell’isoletta maggiore di aspetto tondeggiante ?

 

* * *

 

 

28. I luoghi del carme in cui ricorrono i singoli termini si vedano nell’indice della mia edizione (Il carme cit.), alle voci. Tali attestazioni sono, se non erro, le più antiche note (1087/88), ma non figurano tra quelle menzionate per Machumas, cassarum, darsana e mesciuta in G. B. Pellegrini, Gli arabismi nelle lingue neolatine con speciale riguardo all’Italia, Brescia, 1972 (in particolare. per darsena, cf. pp. 91 sg. e 424, dove si cita come più antico l’esempio offerto dal Liber Maiorichinus, post 1115 ; per meschita, p. 98),

 

29. Abbondante materiale a questo proposito è ibid., pp. 413-417, nell àmbito di un saggio intitolato Il fosso Calìgi e gli arabismi pisani già uscito nel 1956 (Atti della Accademia Nazionale dei Lincei - S. VIII : Rendiconti della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, XI, 1956, pp, 142-176) e ora ripubblicato con modifiche e aggiunte (Gli arabismi cit., pp. 407-452).

 

30. A. Pellegrin, Essai sur les noms de lieux d’Algérie et de Tunisie, Tunis. 1949. p. 135. Debbo la segnalazione alla cortesia di Giovati Battista Pellegrini’, che sentitamente ringrazio.

 

31. Cf. M. Ullmann-A. Spitaler, Wörterbuch der klassischen arabischen Sprache, I, Wiesbaden, 1970, p. 432. A p. 431 sg., anche: kūratun, nell’accezione di ‘distretto territoriale, circondario’.

 

 

73

 

L’episodio di Pantelleria non fu occasionale e ininfluente sulle sorti militari dell’attacco cristiano come quello delle Kuriate. L’isola, dotata di un potente «castrum», venne rapidamente espugnata ; la sua collocazione geografica non comportava neppure diversioni dalla rotta navale per al-Mahdīya, e quindi appare assai verosimile che l’azione rientrasse nei piani strategici di partenza. Senza scendere di proposito in dettagli, per i quali rinvio all’edizione, mi limiterò ad affrontare soltanto la questione onomastica posta del carme.

 

Il racconto inizia (v. 57 sg.) : « Pervenerunt navigando quandam maris insulam / quam Pantalaream dicunt ... » [32]. Il toponimo è quello odierno, ben diverso dal toponimo greco-latino attestato per la prima volta dal cosiddetto Periplo di Scilace (VI-IV sec. a. C.) nella forma Κόσυρος [33], rimasto sostanzialmente immutato pur nella varietà delle grafie (Κόσσουρος, Κόσσυοα, Κόσσουρα, Cosyra, Cossyra, Cossura, Consura, Cossora, Corsola, Corsula) [34] fino all’età tardo-antica/alto-medievale, sopravvissuto — alle prime apparizioni del nuovo toponimo —

 

 

32. A p. 603 della mia edizione, ove si avverte in apparato che la terza a di Pantalaream in B (Bruxell. 3897-3919) è corretta su altra lettera, forse o. Ho rivisto il codice e posso confermare che l’emendamento, dello stesso copista, è su o. Casi analoghi sono offerti dai vv. 15 (sita da sito), 109 (Pharaonis da Pharoonis). 164 (nam da nom), 234 (insidias da insidios). L’apografo P (Wrocław. Biblioteca Universitaria, IV.F.33) presenta a v. 58 Pantalaream.

 

33. Nell’edizione di C. MÜLLER, in Geographi Graeci minores cit., I, pp. 1596. a p. 89 (§ 111). A. Peretti, nel suo ponderoso lavoro Il Periplo di Scilace. Studio sul primo portolano del Mediterraneo, Pisa, 1979, ha ripreso in esame le complesse questioni inerenti al testo così tramandato, modificando radicalmente talune opinioni che erano state espresse in precedenza. L’opera, pur risalendo nella forma testimoniata al IV secolo a.C., ha di certo un suo nucleo originario databile fine VI/inizio V secolo, almeno in parte ricostruibile sulla base di indizi probanti. Del § 111, in cui ricorre tre volte Κόσυρος -ου, si parla ivi a pp. 345-372 ; nell’edizione del Periplo che conclude il volume (pp. 505538) i brani in questione sono a p. 535.

 

34. Mi limito a menzionare le principali. Per le singole testimonianze cf. tra l’altro : C. B. Hase, voce Κόσσυρος in

·       H. Stephani Thesaurus Grecae Linguae, 3a ediz. a cura di Hase-W. Dìndorf-L. Dintdorf. IV, Parisiis, 1841, col. 1874 ;

·       Thesaurus Linguae Latinae, Onomasticon, II : C, Lipsiae, 1907-1913, col. 668 sg.. s. v. ;

·       J. Perin, Onomasticon totius Latinitatis. 1, Patavii, 1913, p. 429. r. v. ;

·       [W.] Ziegler, voce Kossura in Pauly-Wissowa, Real Encyclopädie cit., XI. 2. Stuttgart, 1922, col. 1503 sg. ;

·       E. Manni, Geografia fisica e politica della Sicilia antica, Roma, 1981 (Testimonia Siciliae antiquae, L, 1), p. 68.

 

Sulle denominazioni antiche di Pantelleria si veda

·       Verger, Pantelleria nell’antichità, in Oriens antiquus. V (1966), pp. 249-275, a p. 251 sgg.

 

 

74

 

ancora per molti secoli nella lingua araba, fino all’età moderna, in una trasposizione fonetica che sembra non lasciare dubbi sulla sua matrice, awara o ūsira [35]. La più tarda testimonianza latina a me nota di Cossura è nella Cosmographia dell’Anonimo Ravennate [36], un’opera giudicata in passato immeritamente inattendibile, di cui si va scoprendo sempre più, specie dopo le opportune precisazioni sulle fonti di J. Schnetz [37], B. H. Stolte [38], S. Mazzarino [39], F. Staab [40], l’assoluta imprescindibilità per una ponderata valutazione della cultura geografica occidentale alla fine del sec. VII/inizio dell’VIII [41]. La menzione ricorre, senza varianti nei testimoni,

 

 

35. Cf. la voce di M. Talbi in Encyclopédie de l’Islam2, IV, Leiden-Paris, 1978. p. 837 sg. e infra note 109, 110 e relativo testo. Il toponimo « qûirah » (con enfatica) è tra gli esempi di corrispondenze fonetiche con l’arabo (nel sistema delle sibilanti) di toponimi latino-romanzi, addotti in Pellegrini, Gli arabismi cit.. p. 461.

 

36. Le edizioni di cui oggi si dispone sono dovute a M. PinderG. Parthey (Ravennatis Anonymi Cosmographia..., Berolini, 1860) e J. Schnetz (Itineraria romana. II : Ravennatis Anonymi Cosmographia..., Lipsiac, 1940).

 

37. J. Schnetz, Untersuchungen über die Quellen der Kosmographie des anonymen Geographen von Ravenna, in Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der Wissenschaften. Philosophisch-historische Abteilung, Jhg. 1942, Heft 6. A pp. 65-84 lo studioso raccoglie una serie di indizi a sostegno della « Verschiedenartigkeit » delle fonti (il paragrafo tratta delle fonti greche, africane, gotiche, di Massimino e di Aristarco).

 

38. B. H. Stolte, De Cosmographie van den Anonymus Ravennas. Een Studie over de bronnen van Boek II-V, Amsterdam, 1949.

 

39. S. Mazzarino. Da « Lollianus et Arbelio » al mosaico storico di S. Apollinare in Classe (Note sulla tradizione culturale di Ravenna e sull’Anonimo Ravennate), in Rivista di studi bizantini e neoellenici, XII-XIII (1965-1966) (= Atti del 1 Congresso Nazionale-Ravenna, 23-25 maggio 1965), pp. 99-117.

 

40. F. Staab, Ostrogothic Geographers al the Court of Theoderic the Great. A Study of Some Sources of the Anonymous Cosmographer of Ravenna, in Viator. Medieval and Renaissance Studies, VII (1976), pp. 27-64.

 

41. In aggiunta alle edizioni e studi sopra citati, mi limito a rinviare, per il Ravennate, alla voce di [G.J Funaioli in Pauly-Wissowa, Real-Encydopädie cit., Zweite Reihe, 1, Stuttgart, 1920, coll, 305-310 e al Repertorium fontium cit. (supra, a noia 14), li, p. 361 sg. La bibliografia più recente, per lo più orientata verso l’indagine su singoli toponimi o gruppi di toponimi presenti nella Cosmographia. è facilmente rilevabile attraverso lo spoglio di repertori come L’Année philologique e, dal 1978 in avanti. Medioevo Ialino. Bollettino bibliografico della cultura europea dal secolo VI al XIII. I-V, Spoleto, 1980-1984. Per la datazione dell’opera le opinioni espresse negli studi più recenti oscillano tra l’ultimo decennio del sec. VII (Mazzarino, Da « Lollianus et Arbetio » cit.) e i primi decenni del sec. VIII (Schnetz, Untersuchungen über die Quellen cit. ; Stolte, De Cosmographie cit.). Si veda anche in proposito il breve scambio di vedute dello Stolte e di H. Halbertsma, De datering van de Anonymus Ravennas, in Tijdschrift van het Koninklijk Nederlands Aardrijkskundig Genootschap, 73 (1956), p. 260 sg.

 

 

75

 

in una elencazione di isole «non longe ab ipsa Sicilia » (al 16° posto su 19) [42], seguita a mo ‘ d’aggiunta dal capoverso : « Iterum ad aliam partem < C add. Sicilie > est insula quae dicitur Lampadusa Gaulos Pantalasea < B patalasea C patalasca > Gaulometin » [43]. Dei quattro toponimi l’ultimo, come dirò in altra sede, è quasi certamente da espungere, mentre il terzo ha tutte le sembianze del toponimo di cui ci stiamo occupando.

 

Lo Schnetz, nel suo saggio del 1919 sull’Anonimo Ravennate [44], tra le peculiarità grafiche dei testimoni nella parte della Cosmographia costituita da semplici enumerazioni di città, isole e fiumi, in cui era congetturabile la maggiore frequenza di banali guasti meccanici dovuti a errori di lettura dell’esemplare di copia, rilevava la presenza di non pochi scambi s/r [45], particolare che insieme con numerosi altri lo portò a ipotizzare un capostipite *X in minuscola del sec. XI/XII, dal quale, attraverso *V (posteriore al 1150), discenderebbero i tre codici autorevoli noti (A, B, C) [46]. Nessun dubbio quindi nutrì sul postulabile emendamento « Pantalarea », apparendogli secondaria e insignificante la omissione della nasale in B e C (rispettivamente patalasea e patalasca). Ma, data l’età tarda dei testimoni (B sec. XIII, A e C XIV), a me pare che il dettaglio meriti una certa considerazione, in quanto,

 

 

42. Nell’edizione Schnetz l’elencazione è a p. 101, ll. 10-21 ; il toponimo a 1. 19, tramandato concordemente dai tre testimoni (A - Val. Urb. lat. 961, sec. XIV ; B = Paris, lat. 4794, sec. XIII ; C = Basiliensis F.V.6, sec. XIV).

 

43. Ediz. Schnetz, p. 101,11. 22-25 (con l’avvertenza in nota : « corr. Pantalarea... » ; Pinder-Parthey adottano nel testo, p. 407, l. 10, la grafia « Pantalasca » non testimoniata). Le spaziature, qui e più avanti, nel testo e in nota, sono generalmente mie. In C il capoverso è preceduto dalla rubrica : « de insulis ad aliam partem Sicilie ».

 

44. J. Schnetz, Untersuchungen zum Geographen von Ravenna, München, 1919.

 

45. Ibid., p. 53. 11 nostro esempio è citato insieme con altri sette di s invece di r e due di r invece di j. Un ipotizzabile caso di s per r è ancora in due luoghi della Cosmographia segnalati in Schnetz, Untersuchungen über die Quellen cit., p. 45 sg.

 

46. Lo stemma codicum apprestato dallo Schnetz a conclusione del saggio del 1919 fu adottato, con qualche emendamento, nell’edizione (cf. ivi p. V, nota 2).

 

 

76

 

essendo in tutte le attestazioni latine del toponimo posteriori al carme pisano [47] — a fronte di una estrema varietà di forme — costantemente presente la nasale nella prima sillaba, la lectio di A si configura come facilior rispetto a quella di B-C. Sta di fatto, in ogni caso, che il Ravennate ignora il riferimento di « Pa(n)talarea » alla medesima entità geografica registrata immediatamente prima col toponimo « Cossura ». Né questo può meravigliare, per la ormai acclarata molteplicità e varietà delle fonti a sua disposizione : come in tanti luoghi della Cosmographia si verificano duplicazioni dello stesso toponimo per la stessa area [48], imputabili con ogni verosimiglianza all’uso contemporaneo di più fonti, così a maggior ragione nel nostro caso di totale difformità delle due designazioni, che rendeva quanto mai arduo — o addirittura impossibile — riconoscere l’identità dei riferimenti. L’Anonimo, attingendo a fonte diversa da quella o quelle utilizzate in precedenza per mettere insieme il suo elenco di isole intorno alla Sicilia, ne ricava nuovi nomi e li aggiunge, senza accorgersi del doppione « Cossura »/« Pa(n)talarea ». Il suo involontario errore viene cosi ad arretrare di circa quattro secoli il toponimo testimoniato dal carme pisano.

 

L’isola allora era sotto la dominazione bizantina. La sua eccellente posizione geografica nel cuore del canale di Sicilia, più di qualsiasi altra ragione ambientale, l’aveva resa ben presto dimora di stabili insediamenti umani, sin dalla preistoria, che ha lasciato in essa segni inconfondibili di una splendida civiltà neolitica, la civiltà dei ‘ sesi ‘ [49].

 

 

47. Cf. infra, note 88-89 e testo corrispondente.

 

48. Stolte, De Cosmographie cit., si occupa a lungo di queste duplicazioni riferibili allo stesso paese o a paesi viciniori. Cf. per i sìngoli luoghi, nella sezione «E» del «Register» (p. 125), le voci « Doubletten I» e « Doubletten II ».

 

49. Sull’archeologia di Pantelleria preistorica resta ancor oggi fondamentale il circostanziato rapporto, pubblicato nel 1899, della missione ufficiale compiuta da Paolo Orsi tra il dicembre del 1894 e il febbraio del 1895 : Pantelleria. in Monumenti amichi pubblicati per cura delta Reale Accademia dei Lincei, IX (1899), coll, 449-540 (il II paragrafo, «Pantelleria preistorica», in cui si tratta ampiamente dei caratteristici ‘sesi’, monumenti funebri di pianta ellittica e con copertura generalmente a cupola, occupa le coll. 451-504). In tempi abbastanza recenti sono state condotte due nuove missioni archeologiche nell’isola, una nel 1965 per iniziativa dell’Istituto di Studi del Vicino Oriente dell’Università di Roma, una seconda negli anni 1966/1968 promossa dall’Istituto di Antropologia e Paleontologia umana dell’Università di Pisa. I risultati della prima sono stati illustrati da A. Verger, Ricognizione archeologica a Pantelleria, in Mozia-II. Rapporto preliminare della Missione archeologica della Soprintendenza alle Antichità della Sicilia occidentale e dell’Università di Roma, Roma. 1966 (Studi semitici, 19), pp. 121-141 (a pp. 122-124 rassegna bibliografica delle precedenti ricognizioni a partire dal secolo scorso) ; il rapporto scientifico sulla missione pisana, interamente dedicata alla preistoria, si deve a C. Tozzi, Relazione preliminare sulla I e II campagna di scavi effettuati a Pantelleria, in Rivista di scienze preistoriche, XXIII (1968), pp. 315-388.

 

 

77

 

La sua mutevole vicenda storica conosce di certo, prima del periodo bizantino, uno stadio fenicio-punico, uno romano e forse uno vandalo [50] ; dopo, la fase decisiva dell’egemonia musulmana, dagli effetti cospicui e duraturi, come è possibile dedurre fra l’altro dai numerosi esiti toponimici odierni [51]. Il periodo bizantino, ch’io sappia, a parte l’Amari che, attraverso le fonti arabe, e nell’ampia prospettiva panoramica complessiva di storia della Sicilia, non tralasciò di lumeggiare le esigue notizie tramandate sui rapporti tra l’Africa musulmana e Pantelleria nei secoli VIII-X [52], non ha mai destato particolare attenzione fra gli studiosi, anche se numerosi reperti, monumentali e non, emersi nel secolo scorso e durante la missione archeologica condotta nel 1965 dall’Istituto di Studi del Vicino Oriente dell’Università di Roma, e soprattutto la indubbia esistenza di una fondazione monastica italo-greca nell’isola,

 

 

50. Per la storia dell’isola ne! periodo punico e romano cf. Verger, Pantelleria nell’antichità cit., p. 255 sgg. Mi sembra ragionevolmente ipotizzabile un’occupazione vandala nel sec. V, come per Malta e altre isole tra l’Africa e la Sicilia, anche se non si conoscono testimonianze esplicite in proposito, nè reperti archeologici, ch’io sappia, sono ad essa in qualche modo riferibili. Per Malta cf. T. S. Brown, Byzantine Malta: A Discussion of the Sources, in Medieval Malta. Studies on Malta before the Knights ed. by A. T. Luttrell, London. 1975, pp. 71-87, a p. 71 sg.

 

51. Di toponimia araba pantesca si sono occupati principalmente:

·       G. De Gregorio - C. F. Seybold, Sugli elementi arabi nel dialetto e nella toponomastica dell’isola di Pantelleria, in Studi glottologici italiani, II (1901), pp. 225-238 ;

·       O. De Fiore, Toponomastica di Pantelleria, in Archivio storico per la Sicilia orientale, S. 11, VI (1930), pp, 242-262;

·       H. H. Abdul-Wahab, Pantellaria. île arabe, in Proceedings della Royal Society of Historical Studies del Cairo, I (1951), pp. 57-78 (trad. francese di un lavoro apparso in arabo nel 1949), a p. 73 sg. ;

·       Pellegrini, Gli arabismi cit., passim e in particolare p. 246 sgg. ;

·       D’Aietti, Il libro dell’isola di Pantelleria, Roma, 1978, pp. 401-429 (il repertorio più completo di toponimi panteschi finora pubblicato).

 

52. M. Amari, Storia dei Musulmani dì Sicilia. Seconda edizione... a cura di C. A, Nallino, Catania, 1933-1939 : I, pp. 235 sg., 290 sg., 437.

 

 

78 

 

meritino attenta considerazione e richiedano appropriati approfondimenti [53]. Ignoriamo persino quando con esattezza sia avvenuto il trapasso di potere da Bisanzio all’Islam. L’aggressione di ‘Abd al-Malik b. aan verso la fine del sec. VII ricordata da al-Bakrī [54] ebbe solo carattere episodico, alla stregua, pare, di altri attacchi successivi. Mentre H. H. Abdul-Wahab ritiene che la presa di possesso definitiva si debba collocare intorno al 748 [55], M. Talbi, più motivatamente, la giudica avvenuta in pieno sec. IX, dopo l’836, data dell’ultima incursione saracena di cui si abbia notizia, e prima dell’864 [56].

 

 

53. L’interesse dell’Orsi nella sua missione archeologica del 1894/1895 era rivolto a preistoria e mondo antico. Il suo dettagliato rapporto, tuttavia, contiene qualche spunto utile anche fuori da quell’àmbito cronologico. Mi riferisco soprattutto ai precisi rilievi fatti sugli avanzi di un edificio a pianta trapezoidale poco distante dall’acropoli, in contrada Zubèbi, antico ma rimaneggiato (Pantelleria cit., col. 518 sg. e figg. 51-52), e alle oreficerie di un corredo funerario rinvenute in contrada Ghirlanda (ibid., col. 535 sg. e fig. 74; cf. altresì, dello stesso Orsi, Sicilia bizantina, I, Tivoli, 1942, p. 146 sg. e fig. 64). Sull’edificio trapezoidale, messo in relazione sin dalla sua scoperta con l’antico monastero di età bizantina, tanto da ricevere la denominazione di San Basilio (cf. S. Cavallari, Corografia di Cossura e della sua necropoli, in Bullettino della Commissione di Antichità e Belle Arti in Sicilia, VII [1874], pp. 23-28 ; a nota 2 di p. 25 e nello « Schizzo corografico » annesso all’articolo), rilievi e accertamenti sono stati compiuti tra l’altro da A. Mayr (Pantelleria, in Mittheilungen des Kaiserlich Deutschen Archäologischen Instituts. Roemische Abtheilung, XIII [1898], pp. 367-398: a p. 388 sg.) e durante la recente ricognizione dell’Università di Roma (Verger, Ricognizione cit., p. 131 sg. ; Idem, Pantelleria nell’antichità cit., p. 272 e tav. LXII, 2). Di esso si parla ampiamente, senza nutrire dubbi sulla identità col monastero basiliano e prospettando nuove possibilità di interpretazione degli avanzi, in D’Aietti, Il libro cit., p. 349 sgg. Numerosi frammenti di ceramica bizantina a vernice rossa sono stati rinvenuti nel 1965 in corrispondenza dell’acropoli, di Bagno dell’Acqua, Scauri e altrove (cf. Verger, Ricognizione cit., pp. 130, 133-135, 140). Nessun accenno alla fondazione monastica pantesca, sulla quale si veda più avanti nel testo e alle note relative, trovo nel bilancio tracciato da A. Guillou, La Sicilia bizantina. Un bilancio delle ricerche attuali, in Archivio Storico Siracusano, N.S., IV (19751976). pp. 45-89 (di Lipari a pp. 59 e 63); né in opere specifiche come quelle di S. Borsari, Il monachesimo bizantino nella Sicilia e nella Italia meridionale prenormanne. Napoli, 1963, e di M. Scaduto, Il monachesimo basiliano nella Sicilia medievale. Rinascita e decadenza. Sec. XI-XIV, Roma, 19822 (Storia e Letteratura, 18). capitolo introduttivo («Il monachesimo prenormanno», a pp. XV-XLIII, rielaborato rispetto alla 1a ediz., 1947).

 

54. Cf. M. Amari, Biblioteca arabo-sicula - Versione italiana. I, Torino-Roma. 1880. p. 30.

 

55. Pantellaria cit., p. 61.

 

56. Voce cit. dell’Encyclopédie de l’Islam2, p, 837. Per l’attacco dell’836, narralo da Ibn al-Aīr. cf., dello stesso Talbi, L’émìrat aghlabide - 184-296/800-904. Histoire politique. Paris, 1966, p. 439 sg. (sull’836, anziché 835 : nota 1 di p. 440). Il termine ante quem, anche se dal Talbi nulla viene precisato al riguardo nella voce dell’Encyclopédie, è l’anno di inizio dell’emirato di Abu-l-Garānīq (250-261/864-875), il giovanissimo prodigo sovrano cui al-Nuwayrī attribuisce un episodio di vita dissoluta coinvolgente anche Pantelleria, la quale pertanto non poteva non essere allora già musulmana (cf. Talbi, L’émìrat cit., p. 267).

 

 

79

 

Possediamo oggi, in una traduzione slava antica parziale, il tipico di fondazione del monastero bizantino di Pantelleria, che — per quanto è possibile sapere — non risulta pervenuto nella redazione greca originaria. Di tale testo, noto agli specialisti da quando (1885) I. Mansvetov, al quale si deve il rinvenimento, lo pubblicò da un manoscritto dell’Accademia Teologica di Mosca [57], si è occupato ultimanente per limportanza che ha come riflesso della religiosità italo-greca nel mondo slavo ortodosso I. Dujčev, dando la riproduzione fototipica di uno dei testimoni (cod. Oxon. Bodl. 995-92, sec. XVI/XVII, ff. 124r-127v) e traducendolo in italiano col titolo tramandato, in cui figura il toponimo «Patelarea» e, quale autore, il «santo padre nostro presbitero ed egumeno Giovanni » [58]. Il nome e le attribuzioni di questo santo erano già conosciuti prima del rinvenimento del tipico, e il liturgista I. Martinov nel suo Annus ecclesiasticus graeco-slavicus (1863) lo registrava alla data 3 agosto come « conf(essor), heg(umenus) monasterii Patelarae » [59].

 

 

57. I. Mansvetov’, Cerkovnyj ustav’ (tìpik’) ego obrazovanie i sud’ba ν’ grečeskoj i russkoj cerkvi, Moskva, 1885, Appendice XII (pp. 441-445 ; il tipico a pp. 442-445). Nell’approccio a testi in russo resosi necessario per questa ricerca mi è venuto in soccorso l’amico Alfredo Serrai, che ringrazio vivamente. Mi sono valso per la traslitterazione dal russo dei criteri adottati per la catalogazione libraria (in Regeln für die alphabetische Katalogisierung-RAK. Wiesbaden, 1980, p. 378 sg.).

 

58.

·       Dujčev, Il tipico del monastero di S. Giovanni nell’isola di Pantelleria, in Bollettino della badia greca di Grotiaferrata, N.S., XXV (1971), pp. 3-17 ;

·       Idem, Riflessi della religiosità italo-greca nel mondo slavo ortodosso, in La Chiesa greca in Italia dall’VIII al XVI secolo. Atti del Convegno storico interecclesiale (Bari. 30 apr.-4 magg. 1969), Padova 1972-1973 (Italia Sacra, 20-22), pp. 181-212: a pp. 204-212.

 

La riproduzione fototipica è a pp. 5-12 del primo articolo; la traduzione italiana, che ivi occupa le pp. 13-17, è ripetuta con qualche miglioramento in appendice al secondo lavoro (pp. 208-212). Su questo e altri tipici di tradizione italo-greca si veda un contributo di P. Rougeris. Ricerca bibliografica sui « Τυπικά » italo-greci, in Bollettino della badia greca di Grottaferrata, N.S., XXVII (1973), pp. 11-42 (il nostro testo, definibile per il suo genere un τυπικόν κτητοριχὸν, figura nell’elenco di p. 41 come « Tipico di S. Giovanni nell’Isola di Pantelleria », con vari rinvìi a voci della rassegna bibliografica).

 

 

80

 

Menzione dello stesso Giovanni troviamo per il 3 e 4 agosto nel Sinassario Costantinopolitano (« Μνήμη τοῦ ὁσίου πατρὸς ἡμῶν Ἰωάννου τοῦ ὁμολογητοῦ, ἡγουμένου τῆς Πατελαράιας ») [60], per il 3 agosto in altri sinassari bizantini, e precisamente nei codici 18 (f. 19r : « ... ὁμολογητοῦ [Ἰωάννου] ἡγουμένου τῆς Παταλαρέας »), 37 (f. 205r : «... μνήμη τοῦ ὁσίου πατρὸς ἡμῶν καὶ ὁμολογητοῦ Ἰωάννου ἡγουμένου μονῆς τῆς Πατελαραίας... »), 148 (f. 140ν : come nel cod. 37, con la sola variante «Παταλαρέας») del monastero della Metamorfosi alle Meteore [61]. Un canone in suo onore, al 7 agosto, è nel meneo della parte più antica (sec. XI) del cod. Paris. Coisl. gr. 218, attribuito a Giuseppe [62], ma forse da identificare con quello teofaniano menzionato per il 4 agosto nel Paris, gr. 1569 (f. 66: « Ἰωάννου ἡγουμένου Πατελλαρέας ») [63]. Il suo nome ricorre più volte in un anonimo canone (22 giugno) di antica tradizione criptense edito nel 1972 da A. Acconcia Longo,

 

 

59. J. Martinov, Annus ecclesiasticus graeco-slavicus editus anno millenario sanctorum Cyrilli et Methodii Slavicae gentis apostolorum..., Bruxelles, 1863, p. 193. Prima del Martinov, la μνήμη del santo era riportata alla stessa data nel sinassario di Nicodemo l’Agiorita (1819). Cito dalla terza edizione (Nicodemos Hagiorites, Συναξαριστὴς τῶν δώδεχα μηνῶν τοῦ ἐνιαυτοῦ..., Ἀθήνησι, 18683), 11. p. 296 : « Μνήμη τοῦ ὁσίου πατρὸς ἡμῶν καὶ ὁμολογητοῦ Ἰωάννου, ἡγουμένου μονῆς τῆς Παταλαραίας ».

 

60. Η. Delehaye, Synaxarium Ecclesiae Constantinopolitanae..., Bruxellis, 1902 (Propylaeum ad Acta Sanctorum Novembris), col. 865, 1. 36 sg., ove il riferimento è al 4 agosto, mentre in apparato, per il 3 agosto, è ripetuto il nome del santo con l’aggiunta « ἡγουμένου μονῆς τῆς Πατελαραίας ».

 

61. N. A. Bees, Les manuscrits des Météores. Catalogue descriptif des manuscrits conservés dans les monastères des Météores, I, Athènes, 1967 : dei tre codici, rispettivamente, a pp. 21 sg., 54-58, 166-172 (le singole menzioni a pp. 21. 57. 171).

 

62. Trovo la notizia in: Augusta Acconcia Longo, Analecta Hymnica Graeca e codicibus eruta Italiae inferioris, X : Canones Iunii, Roma, 1972, p. 378 (sul manoscritto cf. il catalogo di R. Devreesse, Bibliothèque Nationale - Département des manuscrits grecs - II : Le Fonds Coislin, Paris, 1945, p. 199 sg.). Colgo l’occasione per ringraziare la Acconcia Longo per i preziosi suggerimenti che ha saputo darmi in vari momenti della mia indagine.

 

63. Cf. Acconcia Longo, Analecta cit., p. 377 sg. La notizia è data da S. Eustratiades, Θεοφάνης ὁ Γραπτός, in Νέα Σιὼν. Ἐκκλησιαστικὸν περιοδικὸν Σύγγραμμα. 32 (1937), p. 88, n. 192.

 

 

81

 

in onore di Basilio suo successore nella carica di egumeno del medesimo monastero [64], ove è interessante rilevare, come fa l’editrice, il probabile riferimento al tipico (vv. 63-64: «Νομοθεσία τοῦ σοφοῦ ποιμένος σου Ἰωάννου ») [65].

 

Circa la corrispondenza del toponimo a Pantelleria, sostenuta dal Mansvetov [66] e ribadita da E. Golubinskij [67], il consenso degli studiosi è unanime. Lo stesso toponimo s’incontra, sempre in relazione al monastero, per il Basilio del suddetto canone : nel Sinassario Costantinopolitano (21 giugno : « Βασιλείου τοῦ ἡγουμένου μονῆς τῆς Πατελαρίας » ; 22 giugno : « Βασιλείου ἡγουμένου Πετελαρίας ») [68], nel tipico della badia di Grottaferrata dell’abate Biagio II (1300), copia con aggiornamenti del perduto « tipico archetipo » della prima metà del sec. XI dovuto a s. Bartolomeo juniore da Rossano (22 giugno : « τοῦ ὁσίου πατρὸς ἡμῶν Βασιλείου ἡγουμένου Πατελλαρίας... ») [69], nel cod. Δ 10 della Grande Laura al Monte Athos (sec. XIII) [70].

 

 

64. Acconcia Longo, Analecta cit., Canon XV : pp. 163-176 (commento a pp. 375-381 : della tradizione manoscritta, derivata tutta da un meneo criptense del 1092 andato perduto, a p. 375 sg. e relativi rinvii). Nel canone il nome di Giovanni, presentato come personaggio di altissima statura morale (ibid., p. 377), s’incontra a vv. 64, 170, 212 e nel terzo degli στιχερά vespertini (riprodotti ibid., nota 3 di p. 375). Basilio è menzionato per il 22 giugno in Martinov, Annus cit., p. 157, come egumeno « monast(erii) Patelariae », e, sia pur con la erronea qualifica di « ἐπίσποπος Πατελαρίας», in S. Eustratiades, Ἀγιολόγιον τῆς ὀρθοδόξοιι ἐκκλησίας. [Atene, 1960], p. 76. Per altre menzioni cf. più avanti, note 68-70 e testo corrispondente.

 

65. Acconcia Longo, Analecta cit., p. 377. La spaziatura è dell’editrice.

 

66. Cerkovnyj ustav’ (tipik’) cit., p. 442.

 

67. E. Golubinskij, Istorija russkoj cerkvì, 1 : Period’ pervyj, kievskij ili domongol’skij, Moskva, 1901, p. 652 sg.

 

68. Delehaye, Synaxarium cit., rispettivamente a coll. 761-762 e 763-764, in apparato.

 

69. Cf. Acconcia Longo, Analecta cit., p. 376, nota 1. Sul tipico di Biagio Il si veda Rougeris, Ricerca cit., alle relative voci bibliografiche, e tra queste in particolare : G. Giovanelli, Il tipico archetipo di Grottaferrata, in Bollettino della badia greca di Grottaferrata, N.S., IV (1950), pp. 17-30, 98-113. Per una classificazione dei tipici liturgici italo-greci, tra cui si colloca il criptense. cf. M. Arranz, Le Typicon du monastère du Saint-Sauveur à Messine..., Roma. 1969. pp. IX-XIII.

 

70. Lo apprendiamo da S. Eustratiades, Ταμεῖον ἐκκλησιαστικῆς ποιήσεως, in Ἐκκλησιαστικὸς Φάρος, 50 (1951), p. 349. Per il cod. Δ 10 cf. Spyridon of the Laura - S. Eustratiades, Catalogue of the Greek Manuscripts in the Library of the Laura on Mount Athos with Notices from other Libraries, Cambridge. 1925. p. 54. n. 386.

 

 

82

 

Il Golubinskij riteneva che il titolo di ‘ confessore ‘ tributato a Giovanni riportasse al tempo dell’iconoclasmo. Il canone in onore di Basilio offre spunti per una datazione anteriore alla dominazione saracena nell’isola [71]. Mi pare che si possa ragionevolmente ipotizzare la nascita della comunità monastica pantesca ad opera di Giovanni nel sec. VIII, dopo il 726. L’isola era considerata all’inizio del sec. IX, nell’ottica imperiale bizantina, luogo di esilio ed espiazione [72]. Negli anni 803/806 vi furono relegati, per ordine di Niceforo I, Eutimio di Sardi, Teofilatto di Nicomedia, Eudossio d’Amorio, secondo l’attendibile testimonianza congiunta di una Vita di Eutimio, scritta poco dopo la sua morte (26 die. 831) da Metodio patriarca di Costantinopoli e tramandata in un menologio del sec. IX/X (cod. Constantinop. Chalc. Mon. SS. Trinitatis 88) [73] e dell’Acoluthia dello stesso Eutimio [74]. Le grafie del toponimo attestate in queste due fonti sono rispettivamente Παταλλαρέα [75] e Παταλαραία [76].

 

 

71. Cf. Acconcia Longo, Analecta cit., p. 379 : fra l’altro, nei vv. 335-354, l’innografo insiste sul pericolo incombente di incursioni da parte di nemici atei (con tutta verosimiglianza saraceni).

 

72. La stessa Sicilia, com’è noto, svolgeva allora — e da epoca romana — tale ingrato ruolo. Mi limito a rinviare a L. Cracco Ruggini, La Sicilia fra Roma e Bisanzio, in Storia della Sicilia, III, Napoli, 1980, pp. 1-96 : passim, e in particolare, per gli ultimi Isaurici, p. 47 (a p. 58, nota 19, si ricorda la definizione di «Siberia dell’impero» data all’isola da N. Tamassia nel 1910 e si raccolgono varie testimonianze per il mondo antico, con ulteriori rinvii, tra cui nota 130. a p. 82, interessante per i secoli VI-VIII).

 

73. Cf. J. Gouillard, Une œuvre inédite du patriarche Méthode : la Vie d’Euthyme de Sardes, in Byzantinische Zeitschrift, 53 (1960), pp. 36-46 (dell’esilio a Pantelleria a pp. 38 e 41). L’articolo è riapparso di recente in una raccolta di scritti del Gouillard, La vie religieuse à Byzance, London, 1981, IX (e p. 1 degli « Addenda uel corrigenda »).

 

74. Essa contiene un panegirico anonimo del santo, in greco moderno ma fondato su un manoscritto orientale, non ancora identificato, di cui Nicodemos Hagiorites segnalava l’esistenza (Συναξαριστὴς cit., I, p. 341, nota 2). Del panegirico si è servito per tracciare la biografia di Eutimio J. Pargoire, Saint Euthyme et Jean de Sardes, in Échos d’Orient, V (1901-1902), pp. 157-161. L. Petit, Bibliographie des acolouthies grecques, Bruxelles, 1926 (Subsidia hugiographica, 16), a p. 82 sg. menziona tre edizioni della Acoluthia di Eutimio (1829, 1952, 1897), tutte contenenti il panegirico. Conosco la seconda: Ἀκολουθία τοῦ ἐν ἁγίοις πατρὸς ἡμῶν Εὐθυμίου ἐπισκόπου Σάρδεων τοῦ ὁμολογητοῦ... ἐν Ἀθήναις, 1852 (il panegirico a pp. 19-32).

 

75. Poiché l’edizione della Vita di Eutimio, cui il Gouillard attende da tempo, non mi risulta ancora uscita, attingo al suo articolo Une œuvre inédite cit.. p. 38.

 

76. Ἀκολουθία cit., ediz. 1852, p. 26.

 

 

83

 

L’esilio di Eutimio sotto Niceforo, infine, « είς Παττάλαραν τῆς ἑσπέρας » è ricordato alla data 26 dicembre nel Sinassario Costantinopolitano [77]. Non è da escludere che l’isola ospitasse allora qualcuno di quei capi della rivolta armena del 790 che, come apprendiamo da Teofane, furono relegati, con una scritta infamante sul viso, « ἔν τε Σικελίᾳ καὶ ταῖς λοιπαῖς νήσονς » [78]. Essa di certo non doveva attraversare un periodo di grande floridezza, soprattutto per il pericolo cui era continuamente esposta di devastanti incursioni da parte delle flotte musulmane sempre più intraprendenti e agguerrite.

 

A questo punto, non si può non rilevare che le molte attestazioni toponimiche di ascendenza bizantina testé enumerate, e quelle, riferite sempre a Giovanni Basilio Eutimio, ancora rinvenibili in repertori classici di liturgisti orientali come — oltre i citati Nicodemo l’Agiorita, Martinov ed Eustratiades — M. Gedeon [79] e l’arcivescovo Sergij [80], pur esibendo una notevole molteplicità di forme, concordano tutte nella mancanza della consonante nasale odierna nella prima sillaba, peculiarità che si può ormai ritenere quasi certamente presente anche nella Cosmographia del Ravennate,

 

 

77. Delehaye, Synaxarium cit., col. 345, 11. 9-13 (in apparato, 1. 44, sono riportate due varianti dei toponimo: Πατταλαραίαν e Πατλαρέαν). La precisazione « τῆς ἑσπέρας » risponde probabilmente all’esigenza di distinguere dall’isola alla foce dell’Indo denominata Πάταλα / Παταληνή. Cf. voce Pat(t)ala di H. Treidler in Pauly-Wissowa, Realencyclopädie cit., Supplementband X, Stuttgart, 1965, coll. 489-493 (il toponimo era riferito anche a una città della stessa zona e all’intero delta dell’Indo). Menzione di Eutimio, sempre al 26 dicembre, è anche in : Nicodemos Hagiorites, Συναξαριστὴς cit., I. p. 340 sg. (dell’esilio «εἰς Παταλαρέαν» a p. 341); Eustratiades, Ἀγιολόγιον cit., p. 144.

 

78. Theophanis Chronographia, ediz. C. De Boor, I, Lipsiae, 1883, p. 469, l. 14 sg. Analoga congettura si può avanzare nei confronti di Malta ed altre isole gravitanti nella sfera d’influenza siciliana. Per Malta cf. : Brown, Byzantine Malta cit., p. 76 sg. ; A. Pertusi, Le isole maltesi dall’epoca bizantina al periodo normanno e svevo (secc. VI-XIII) e descrizioni di esse dal sec. XII al sec. XVI, in Byzantinische Forschungen, V (1977), pp. 253-306, a p. 266 sg.

 

79. Μ. I. Gedeon, Βυζαντινὸν Ἑορτολύγιον, [Costantinopoli, 1899], p. 44 (22 giugno : « Βασιλείου ἐπισκόπου [sic] Πατελαρίας »).

 

80. Archiep. Sergij, Polnyj mèsjaceslov’ vostoka, II : Svjatoj vostok, Vladimir’, 1901. pp. 189 (22 giugno: « Pr. Vasilija, igumena monastyrja Patelarïi »). 234-236 (2 agosto : « Pr.o.n. Ioanna ispovědnika igumena, iže v’ kameni [patalarei] » ; 3 agosto: « Pr. Ιoanna ispovědnika igumena Patalarei»; 4 agosto: «Ιoanna igumena Patalarei»), 239 (7 agosto: «Ιoanna, igumena Patelarïi ») ; Zamětki, pp. 523 (26 dicembre: « Sv. Evfimïj ispovědnik’, ep. sardïjskïj » ; luogo dell’esilio : « Patalareja »), 673 (« Patalareja »).

 

 

84 

 

documentata qual è fra le lezioni tràdite [81]. In maniera analoga, per i due portolani del cod. Vat. Ottobon. gr. 150 — giudicati dall’editore A. Delatte, con altri, « image de la navigation grecque à une époque où Byzance a dû céder aux “ Francs ” les voies du commerce maritime » [82] —, in cui figura a f. 108r « πατελάρια » [83] e a 105v, a breve distanza, « παντελαρία » e per due volte « μπατελαρία » [84], mi sembra fondatamente postulabile un’unica originaria grafia senza nasale, sia perché lectio difficilior, data l’età del testimone (sec. XVI), sia per la costante concordanza nel fenomeno di tutte le fonti liturgiche bizantine e slave antiche.

 

Coloro che fino ad oggi si sono occupati dell’etimo di Pantelleria hanno sempre ignorato le numerose attestazioni orientali [85], il che ha contribuito notevolmente a fuorviare i loro tentativi di indagine. Persino l’antica testimonianza del Ravennate, che — come abbiamo visto — va correttamente interpretata («Patalarea » e non « Pantalarea »), è rimasta sconosciuta a studiosi della levatura di G. Alessio [86]. La più ampia serie di incontri del toponimo in fonti storico-documentarie, messa insieme da G. Bonfante e A. Foulet in un articolo pubblicato nel 1945 [87] prende le mosse dal « Panteleon » di una epistola del vescovo di Strasburgo Burcardo riferibile al 1175, senza escludere la possibilità di confusione con lisoletta di San Pantaleo presso Marsala e tralasciando l’inequivocabile « Pantalaream » del nostro carme, ossia del cod. Bruxell, 3897-3919 (sec. XII).

 

 

81. Cf. supra, p. 75.

 

82. A. Delatte, Les portulans grecs, Liège-Paris, 1947, p. XIX, Ivi i due portolani, rispettivamente a ff. 106v-109r e 103r-106v dei cod. Ottoboniano, sono riprodotti a pp. 315-318 e 329-334.

 

83. Cf. ibid., p. 317, dove la grafia adottata nel testo (« Παντελάρια ») è un compromesso tra quella del cod. Ottobon. e « μπαντελαροία » di un portolano greco stampato a Venezia nel 1573 (ivi in apparato).

 

84. Ibid., p. 333. 1.19 sg. A nota 1 di p. XX, tra le peculiarità grafiche dei testi editi, si fa risaltare che nelle parole di importazione italiana la lettera b è resa generalmente con μπ.

 

85. Eccezion fatta per il D’Aietti (Il libro cit., p. 11 sg.), il quale tuttavia non trae alcuna plausibile deduzione dalle sue cognizioni, peraltro approssimative.

86. Cf. infra, p. 88.

 

87. G. Bonfante - A. Foulet, Il nome di «Pantelleria», in Italica. The Quarterly Bulletin of the American Association of Teachers of Italian, XXII (1945). pp. 118-123.

 

 

85

 

Tutte le varie attestazioni dei secoli XIII e seguenti passate in rassegna dai due studiosi [88], e le non poche altre deducibili dalle carte nautiche e dai portolani occidentali raccolte da K. Kretschmer [89], evidenziano una tradizione ormai stabilizzata, senza tentennamenti, nella presenza del suono nasale nella prima sillaba. Ed è proprio questo elemento, certamente secondario, come è dimostrato dal confronto con le grafie bizantine, ad aver portato fuori strada nelle ricerche etimologiche fin qui compiute.

 

Sarà appena il caso dì ricordare quanto affermava nel 1759 V. M. Amico-Statella :

 

... omnino latet, et unde Pantellariae nomen illi obvenerit, haud satis dispicitur. Pantaleos Antiochiae populos in illam nihilominus appulsos, deducta ab antiquis traditione, vocabulum indidisse credunt saeculo VII. qui ordinis S. Basilii Monachos dudum ibi constitutos invenerunt [90].

 

L’approdo di questi Pantalei antiocheni (?) è mero parto di fantasia.

 

Nel 1883 l’erudito locale G. D’Ajetti pubblicava una nota sui toponimi dell’isola,

 

 

88. Ibid. : Pantennelee (e varianti testimoniate Panthenellee, Pantanelée), Pantellaria, Pantallaria, Pantaleonea, Pantalarea, Pantalariza (o Pantalanza), Pantagia. Per le singole fonti si veda ivi.

 

89. Kretschmer, Die italienischen Portolane cit., p. 616: Pantalaria (atlanti di Tamrnar Luxoro e di Andrea Bianco : cf. supra, nota 24), Pantalanea (carta del Berliner Museum für Meereskunde : supra, nota 24), Panielarea (carte Giroldi e dei Benincasa : supra, rispettivamente note 24 e 23), Pantalarea (portolano Rizo, 1490: in Kretschmer, pp. 220 sgg., 440-552, a p. 472 sg.), Pantallaarea (carie di Pietro Vesconte : supra, nota 27), Pantelaria (atlante Pinelli : supra, nota 24). Si aggiungano le attestazioni del portolano « Parma-Magliabecchi » (supra, nota 21 e relativo testo): puntanaria (Kretschmer, p. 338, § 186), pantanaria (p. 339, § 188). Nel Compasso de navegare (ediz. Motzo cit. supra, nota 26) s’incontra: Pantalanea (pp, 109, 113; ma anche Patalanea a p. 109), Pantalarea (p. 112); nella carta pisana del 1275 (?), riprodotta ivi in tav. f. t. alla fine del volume, Pantalarea.

 

90. V.M. Amico-Statella, Lexicon topographicum Siculum..., Tomus II, Pars altera, Catanae, 1759, p, 59 sg. Nella traduzione italiana di G. Dimarzo (Dizionario topografico della Sicilia di V. Amico..., voll. 2, Palermo, 1855-1856) il brano è a p. 315 del voi. II.

 

 

86

 

proponendo fra l’altro l’etimologia greca παν + θαλερός = « tutto verdeggiante o fiorito » da mettere in relazione con l’« impressione, che in remotissima età dovea fare ai naviganti l’alta e folta selva, allora diffusa per tutta l’isola » [91] : proposta che per un verso contrasta con la realtà, essendo Pantelleria, oggi e presumibilmente in ogni epoca, per la sua origine vulcanica, priva di una vegetazione boschiva talmente estesa e lussureggiante da giustificare l’assunzione del dato ambientale a toponimo [92], per altro verso appare insostenibile, come precisavano G. De Gregorio e C. F. Seybold, poiché « θαλερός è soltanto voce poetica » [93].

 

Nel 1884 il Tissot avanzava l’ipotesi di una relazione con « Pantalena, nom que porte, dans le dialecte sicilien, le coquillage appelé patella » [94]. Ignoro a quale fonte attingesse lo studioso, ma è certo che pantalena nell’accezione di patella è voce introvabile nei dizionari di siciliano allora, e oggi, disponibili [95], neppure in quelli specifici come il Dizionario zoologico di V. Assenza [96], mentre risulta rappresentata, con chiara delimitazione, in area giuliano-dalmata e veneziana [97].

 

 

91. G. D’Ajetti, Pantelleria. Studi storici, I. Nomi dell’isola, in Archivio Storico Siciliano, N.S., VIII (1883), pp. 179-183 : a p. 179.

 

92. Cf. D’Aietti, Il libro cit. (supra, nota 51), p. 8 sg.

 

93. De Gregorio-Seybold, Sugli elementi arabi cit. (supra, nota 51), p. 233.

 

94. Tissot, Géographie comparée cit. (supra, nota 11), 1, p. 234, nota 2.

 

95. Ho consultato tra l’altro, ma senza successo, i dizionari di G. Biundi (Dizionario siciliano-italiano, Palermo, 1857; rist. anast. Bologna, 1969), A. Traina (Nuovo Vocabolario siciliano-italiano, Palermo, 1868), R. Roccella (Vocabolario della lingua parlala in Piazza Armerina (Sicilia), Caltagirone, 1875 ; rist. anast. Bologna, 1970), V. Mortillaro (Nuovo Dizionario siciliano-italiano, Palermo, 18763 ; rist. anast. Bologna, 1970), V. Nicotra (Dizionario siciliano-italiano, Catania, 1883 ; rist. anast. Bologna, 1974), E. Nicotra D’Urso (Nuovissimo Dizionario siciliano-italiano contenente le voci e le frasi siciliane dissimili dalle italiane, Catania, 1914). In tutti, per patella ital. = conchiglia univalve, figura soltanto patedda.

 

96. V. Assenza, Dizionario Zoologico siciliano-italiano-scientifico della maggior parte degli animali della Sicilia... con i relativi nomi dei principali vernacoli dell’isola. Modica. 1928 : a p. 162 sg. le voci Patella scutellaris, Patella vulgata.

 

97. Cf. C. Battisti-G. Alessio, Dizionario etimologico italiano, IV, Firenze, 1954. p. 2751. voce pantalena. Si veda in particolare : G. Boerio, Dizionario del dialetto veneziano. Seconda edizione aumentata e corretta..., Venezia, 1856 (rist. anast. Milano. 1971), pp. 468 (pantalena), 599 (santalena) ; E. Kosovitz, Dizionario-vocabolario del dialetto triestino e della lingua italiana. Edizione emendata ed accresciuta, Trieste, 1889, p. 302 ; G. Pinguentini, Dizionario storico etimologico fraseologico del dialetto triestino, Trieste, 1954, p. 154 ; E. Rosamani, Vocabolario giuliano dei dialetti parlati nella regione giuliano-dàlmata..., Bologna, 1958, p. 730 sg. ; S. Samani, Dizionario del dialetto fiumano, Venezia-Roma, 1978, p. 118.

 

 

87

 

Il Tissot richiamava altresì l’analogia col toponimo di un’altra isola non molto distante dalla nostra, Lampedusa, attestato anch’esso in varia forma — da Λαμπάς di Scilace a Λοπάδουσα di Strabone e grafie simili di altri autori antichi, a Lampadusa di Marziano Capella (e aggiungerei anche del Ravennate) [98] —, riconducibile a suo giudizio a λοπὰς / λεπὰς = « coquillage » [99].

 

Nel 1898 C. Avolio, nel dar notizia di un toponimo di Mineo (prov. di Catania), ’a Pantiddaria, stabiliva una connessione con pantaleria mediolatino significante ‘ tettoia ‘ ed evocava l’omonimia con l’isola [100]. De Gregorio e Seybold poco dopo (1901), obiettando che in tal modo «resterebbe inesplicata la relazione di significato », si mostravano piuttosto inclini a congetturare « una confusione con l’antica isola di esilio (di Livia figlia di Augusto) Pandataria (oggi Ventotene) » [101].

 

Nel Glossarium del Du Cange il termine pantaleria chiamato in causa dall’Avolio è una delle voci aggiunte nell’edizione 1733/36 a cura dei Benedettini di San Mauro ; viene definito equivalente di panthera nell’accezione di « tentorium, sub quo merces in publicis locis venum exponuntur » e documentato con un passo di un testo statutario di Mondovi del 1415 edito con aggiornamenti nel 1570 [102]. Anche oggi in area piemontese si registra pantalera (pantaliara, panteliara) con vari significati tra cui ‘ tenda, baldacchino, grondaia, sporgenza del tetto,

 

 

98. Cf. supra, p. 75.

 

99. Tissot, Géographie comparée cit., I, p. 237 sgg.

 

100. C. Avorio, Saggio di toponomastica siciliana, in Archivio glottologico italiano, Supplemento VI (1898), pp. 71-118, a p. 98 (46 nella ristampa Noto, 1937).

 

101. De Gregorio-Seybold, Sugli elementi arabi cit., p. 233.

 

102. Du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitatis, ediz. L. Favre, VI, Niort. 1886, pp. 141 (Pantaleria), 142 (2. Panthera). L’epoca del testo statutario non si deduce dai Glossarium (cf. ibid., X, Niort, 1887, p. LXXXIII). Un esemplare di questa cinquecentina (Statuta civitatis Montisregalis. In Monteregali, s.t., 1570) è posseduto dalla Biblioteca del Senato in Roma : cf. Biblioteca dei Senato della Repubblica. Catalogo della raccolta di statuti, consuetudini, leggi... dal medioevo alla fine del secolo XVIII a cura di C. Chelazzi, IV : L-M, Roma. 1958, p. 389 sg.

 

 

88

 

riparo ‘ [103]. Il nesso ipotizzato dall’Avolio era recuperato nel 1944 da J. P. Harrington, senza tuttavia discostarsi dal significato di « tentorium » proposto nel Glossarium e da quello di ‘ rete da uccellagione palustre ivi ritenuta, per la foggia somigliante, alforigine dell’uso semantico (« quod in modum retis panthera dicti efformatum esset, forte sic dictum »), ma confermando le perplessità di fondo [104]. Nel 1945 Bonfante e Foulet, a conclusione della rassegna di attestazioni toponimiche, dichiarandosi anch’essi insoddisfatti per i tentativi di spiegazione etimologica fin allora compiuti, affacciavano dubitativamente, sulla base della grafia Pantennelee (o simili) in un testo francese del 1305, l’ipotesi di un etimo pantano, pantanella in relazione con la presenza di « pantani di acqua salmastra » nell’isola [105]. Su Lingua nostra dell’anno seguente si riaccennava, nell’incertezza, alla possibile connessione con Πανδαταρία [106].

 

Il Lessico toponomastico siciliano pubblicato da G. Alessio nel 1953/56 annoverava il nostro fra i «Toponimi di origine bizantina o di tramite bizantino », pur ignorando qualsiasi attestazione al di fuori di quelle raccolte da Bonfante e Foulet [107].

 

 

103. Cf. alla voce pantalera : Battisti-Alessio, Dizionario cit., IV, p. 2751 ; K. Jaberg - J. Jud, Index zum Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz. Ein propädeutisches etymologisches Wörterbuch der italienischen Mundarten, Bern. I960, p. 368 (i rinvii, il primo da correggere in III, anziché II. 424a, si riferiscono tutti a località piemontesi) ; C. Brero, Vocabolario piemontese-italiano, Torino. [1982], p. 451,

 

104. J.P. Harrington si occupa di Pantelleria, utilizzando anche materiale fornitogli dal Bonfante, nell’àmbito di un articolo di contenuto più ampio scritto in collaborazione con G.M. Barakat e intitolato Western Mediterranean island names and survivai of Arabic’s most divergent dialect, in Journal of the Washington Academy of Sciences, 34 (1944), pp, 33-45 : a pp. 41-43.

 

105. Bonfante-Foulet, Il nome cit., p. 122 sg. Per il testo francese cf. ivi, p. 118 sg.

 

106. [B. Migliorini] in Lingua nostra, VII (1946), p. 24, fra le segnalazioni bibliografiche.

 

107. G. Alessio, L’elemento greco nella toponomastica della Sicilia, [I]-II, Firenze. 1954-1956. La prima parte era già uscita in due puntate nel Bollettino del Centro di studi filologici e linguistici siciliani, I (1953), pp. 65-106 e 111 (1955), pp. 223-261 ; la seconda ibid., IV (1956), pp. 5-51. L’introduzione, col medesimo titolo, aveva visto la luce in Bollettino Storico Catanese, Xl-XII (1946-47), pp, 16-63. Il Lessico toponomastico (nelle puntate sul Bollettino) è suddiviso in due sezioni : « I. Toponimi di origine bizantina o di tramite bizantino » ; « II. Toponimi di origine greca (o pregreca) di tramite latino ». Di Pantelleria è detto (a parte l’accenno nella parte introduttiva, tra i nomi delle isole, a p. 42) in Lessico I, a p. 243, e soprattutto alla fine di Lessico II, fra le « Aggiunte e correzioni ai Lessico I », a p, 50 (ivi le considerazioni di cui si riferisce nel testo).

 

 

89

 

La conclusione pertanto (« ... è presumibile che la denominazione moderna risalga a quei monaci basiliani che troviamo insediati a Pantelleria giá nel VII sec. ») scaturiva dalla sensazione che il toponimo odierno presentasse una facies fonetica riconducibile, sia pure indistintamente, a una matrice bizantina. Delle proposte etimologiche avanzate, lo studioso giudicava inaccettabili l’analogia con Πανδαταρία e la connessione con pantan(ell)o e si limitava a riferire la relazione col mediolatino pantaleria postulata da Avolio e Harrington. La quale ultima è stata ripresa nel 1978, con ampliamenti e precisazioni, da A. D’Aietti, propendendo per ‘ tenda anziché ‘ tettoia ‘, e congetturando fra l’altro l’esistenza in epoca non definita di uno stabile attendamento impiantato — a séguito di una delle tante distruzioni inflitte al centro abitato pantesco nel corso della sua travagliata storia — da « nuovi occupanti dell’isola » e protrattosi per lungo tempo [108].

 

Questo il panorama dei risultati attinti finora dalla critica nell’intento di apprestare una plausibile motivazione al toponimo Pantelleria. L’esserci dedicati in precedenza alle testimonianze di estrazione bizantina, non poche, come s’è visto, né poco significative sotto il profilo grafico-fonetico, ci consente di affrontare adesso il problema in maniera nuova.

 

Sarà bene precisare innanzitutto che la traslitterazione di Cossura operata dai musulmani (awara, usira) denota chiaramente che nei secoli VII/VIII, e con ogni probabilità ancora nel IX, quando cominciò la loro dominazione nell’isola, il toponimo antico era d’uso comune, accanto a quello di formazione più recente, testimoniato per la prima volta, che si sappia, dal Ravennate (inizio sec. VIII). Il Bantalariiyah arabo attuale è di adozione moderna [109].

 

 

108. D’Aietti, Il libro cit., p. 14 sg. Propensione alla derivazione da pantaleria aveva già manifestato lo stesso autore, in un breve accenno ai nomi dell’isola, in L’isola di Pantelleria. Micropanorama con carta topografica, Pantelleria, 1966, p. 21.

 

109. Cf. Harrington-Barakat, Western Mediterranean island cit., p. 43. Ivi si avverte anche delle varianti ( invece di t e a’ finale invece di ah).

 

 

90

 

Dovendo scegliere tra i due toponimi allora esistenti, i musulmani preferirono quello di più lunga tradizione, che presentava maggiore adattabilità alle loro abitudini grafiche (è notorio, per esempio, che nel loro alfabeto manca la lettera p) ed esprimeva forse valori fonetico-semantici più evocativi. Così si spiega, fra l’altro, il tentativo di attribuzione di un etimo arabo al toponimo adottato (= ‘ canestro, sporta da datteri ‘) compiuto da un erudito islamico del sec. VIII, al-Layṯẖ ibn Sa’d, di cui si apprende da Yāūt (sec. XII/XIII), tentativo arbitrario, come avverte il Talbi [110]. La duplice attestazione latina dell’Anonimo Ravennate (Cossura / Patalarea) rappresenta eloquentemente lo stadio della coesistenza dei due toponimi. Non vi è dubbio che ogni eventuale ricerca etimologica sul toponimo odierno, non potendo ignorare le testimonianze dei secoli Vili e seguenti che sappiamo, deve riferirsi alla realtà linguistica latina/greca di quel tempo.

 

Tra le tante grafie bizantine, Πατελλαρία e Πατελλαρέα parrebbero riportare a πάτελλα (πάτελλον, πατέλλιον), usato già in età antica nell’accezione di ‘ piatto, scodella, larga coppa’ [111] e anche come equivalente di πατάνη (= ‘recipiente di forma rotonda e schiacciata, tegame’) [112]. La voce è giudicata da P. Chantraine di sicura derivazione dal latino antico patella [113], cui risalgono certamente, in àmbito romanzo,

 

 

110. Per il brano di Yāūt cf. Amari, Biblioteca cit., vers, ital., I, p. 214 e nota 3. In questo etimo arabo mostra di credere Abdul-Wahab, Pantellaria cit.. nota 1 di p. 57 e di p. 58, ma con discutibili affermazioni circa il toponimo greco antico e quello odierno (di origine spagnola 1). Talbi, voce cit. dell ‘Encyclopédie de l’Islam2 (supra, nota 35), p. 837, prende chiaramente posizione a sostegno della derivazione dal greco.

 

111. Attestate anche le grafie βάτελλα, βάτελλον. Limito il rinvio a : Stephani Thesaurus Graecae linguae, 3a ediz., VI, Parisiis, s.a., col. 596 sg., voce π~ατελλιον ; D. Demetrakos, Μέγα Λεξικὸν τῆς Ἑλληνικῆς Γλῶσσης, VII, Ἀθῆναι-Θεσσαλονίκη, 1949, p. 5586, voci πάτελλα, πατέλλιον, πάτελλον (nonché II. Ἀθῆναι, 1936, pρ. 1368, voci βάτελλα, βατέλλιον) ; H.G. Liddell - R. Scott-H.S. Jones, A Greek-English Lexicon. With a Supplement 1968, Oxford. 1978. p. 1347. voce πάτελλα (e p. 311, voce βάτελλα).

 

112. Cf. in particolare Stephani Thesaurus cit., voce cit. Per πατάνη cf. ibid., VI. col. 594 sg. (πατάνιον) e i lessici cit. di Demetrakos e Liddell Scott-Jones. rispettivamente a VII, p. 5585 e p. 1347.

 

113. P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque. Histoire des mots, III, Paris, 1975, p. 863, voce πάτελλα. Per patella lat. cf. più avanti.

 

 

91

 

l’italiano padella, il francese antico paelle, lo spagnolo padilla ecc. [114] Πατελἰς -ίδος, per indicare la conchiglia univalve detta in italiano patella, s’incontra in scholia a Oppiano (Halieutica I 138) generalmente ritenuti piuttosto tardi e comunque non anteriori al sec. XII [115]. I vari significati di πάτελλα, per quanto si voglia lavorare di fantasia, non sembrano presentare appigli di alcun genere alla nostra indagine. La situazione non cambia passando dal greco al latino antico : patella, diminutivo di patera, definito nel Lexicon del Forcellini « vas fictile, aut aereum, cibis tum coquendis, tum mensae inferendis idoneum » [116], e come tale perfettamente equivalente a patina [117], era usato specie con riferimento a riti sacri, donde trae origine la denominazione patellarii dii attribuita ai Lari [118]. I significati traslati del termine ivi enumerati sono : ‘rotula‘, ‘particolare malattia dell’ulivo‘, ‘sorta di focaccia o pasticcio‘ (detta anche patina). Come si vede, le cose restano pressappoco al punto di prima. Una relazione con l’ulivo, oggi scarsamente rappresentato nella flora pantesca ma forse non nei tempi andati, almeno a giudicare dai toponimi di origine araba Zìton e Zìton di Nicà [119], pare difficilmente proponibile,

 

 

114. Cf. W. Meyer-Lübke, Romanisches Etymologisches Wörterbuch3, Heidelberg, 1935, p. 518, voce patella 1.

 

115. Per πατηλὶς cf. Stephani Thesaurus cit., VI, col. 596, e i lessici cit. di Demetrakos e Liddell-Scott-Jones, rispettivamente a VII, p. 5586 (πατελίδα, πατελὶς) e p. 1347. Sulla tardità degli scholia a Oppiano editi da U.C. Bussemaker (Scholia et paraphrases in Nicandrum et Oppiamm..., di séguito all’ediz. degli Scholia in Theocritum di F. Dübner, Parisiis, 1878) unanime è il giudizio degli studiosi (cf. tra l’altro F. Fajen, Überlieferungsgeschichtliche Untersuchungen zu den Halieutica des Oppian, Meisenhein am Glan, 1969, p. 32).

 

116. Cito il Lexicon totius Latinitatis di E. Forcellini dalla quarta edizione emendata e accresciuta da G. Furlanetto - F. Corradini - G. Perin nella ristampa anastatica Bologna-Padova, 1965: III, p. 591. Apprendo che la voce patella del Thesaurus linguae Latinae non è stata ancora stesa. Paolo Gatti della redazione del Thesaurus, cui debbo la notizia, mi ha fatto pervenire un elenco di loci e alcuni riferimenti bibliografici tratti dall’archivio dei Thesaurus, che purtroppo, per l’impegno assunto nei termini di consegna di queste pagine per la stampa, non mi è stato possibile utilizzare. Desidero ringraziarlo per il suo cortese interessamento.

 

117. Di cui, nel Lexicon del Forcellini, è ritenuto diminutivo; ma cf. G.K. Strodach, Latin Diminutives in -ello/a- and -illo/a-. A Study in Diminutive Formation, University of Pennsylvania, 1933, p. 29 e nota 12.

 

118. Cf. Forcellini, Lexicon cit., p. 591 sg., voce patellarius.

 

119. Cf. D’Aietti, Il libro cit., pp. 379, 425.

 

 

92

 

anche considerata la natura troppo specifica e tecnica dell’accezione riferita alla pianta, che Plinio tramanda, premettendo a patella nella denominazione del morbo clavus e fungus [120].

 

Spingendo avanti nel tempo la ricerca, s’incontra patella, già in epoca pre-carolingia, generalmente da solo, talora in alternanza a sartago, col particolare significato — che non ha riscontro nel mondo antico — di ‘ recipiente, conca d’evaporazione di grande formato per la produzione del sale ‘ : un uso semantico che sottintende, accanto al termine, salis o salinae e si deve presumibilmente alla foggia larga e poco profonda di siffatti attrezzi impiegati comunemente nel processo di salinazione, laddove era prevista una fase di rapida condensazione dell’acqua salsa mediante ebollizione. La più antica testimonianza a me nota di quest’uso di patella è in un documento menzionato dal vescovo Arnone nella Notitia o Indiculus (790), una donazione di beni del duca agilolfingo Theodo (ca. 700) al vescovo di Salzburg Roberto, fra i quali

 

« ... in pago Salzburchgaoe ... in loco, qui vocatur Salinas, fornaces XX et totidem patellis ... » [121].

 

Ulteriori attestazioni, per i soli secoli VIII-X [122], sono in documenti degli anni 738/742 [123], 762 [124] , 775 [125],

 

 

120. Nat. hist. XVII 24 <4> (§ 223 nell’ediz. Jan-Mayhoff, III, Lipsiae, 1892. p. 128): « Olea praeter vermiculationem, quam aeque ac ficus sentit, clavum etiam patitur, sive fungum placet dici vel patellam ».

 

121. W. Hauthaler, Salzburger Urkundenbuch, I : Traditionscodices, Salzburg, 1910. p. 5. Dello stesso documento si fa menzione nelle Breves Notitiae, anch’esse databili ca. 790 (ibid., pp. 17-52, a p. 19: «... in loco, qui dicitur ad Salinas, fornacium loca XX cum patellis et servitoribus suis... »).

 

122. Per testimonianze posteriori cf. tra l’altro : Du Cange, Glossarium cit., VI. pp. 208 (patella salis), 313 (sartago ; anche padena, a p. 87 sg.) ; R.E. Latham, Revised Medieval Latin Word-List from British and Irish Sources, London-Oxford, 1965, p. 335 (palella) ; A. Blaise, Lexicon Latinitatis medii aevi praesertim ad res ecclesiasticas pertinens, Turnholti, 1975, p. 661 (patella); J.F. Niermeyer, Mediae Latinitatis Lexicon minus, Leiden, 1976, pp. 772 (patella, patellaris), 939 (sartago).

 

123. Hauthaler, Salzburger Urkundenbuch cit.. I, p. 31 sg. : donazione di beni del duca bavarese Otilone (735-748) al monastero di S. Massimiliano (a p. 31 : « Ad Salinas vero dedit ibidem... loca fornacium IIII cum patellis... »).

 

124. A. Bruckner, Regesta Alsatiae aevi Merovingici et Karolini. 496-918, I: Quellenband, Strasbourg-Zürich, 1949, p. 116 sgg., η. 193 (13.3.762). Tra i beni lasciati in eredità dal vescovo Eddo al monastero di Euenheim : « ... et in Marsalla villa mediam patellam salis...» (p. 117). Il documento ha subito interpolazioni forse all’inizio del sec. XII, ma il nucleo centrale del testamento è autentico.

 

125. Monumenta Germaniae Historica, Diplom. Karol., I, Hannoverae, 1906, p. 130, n, 90 (5.1.775); diploma di Carlo Magno in favore del monastero di Hersfeld (tra i beni : «... gressis et ingressis communiis perviis sessis salinariis, ubi patellas ad sale facere ponuntur... »).

 

 

93

 

777 [126], 786 [127], 792 [128], 841 [129], 843 [130], 858 [131], 877 [132], 896 [133], 903 [134], 915 [135], 930/1 [136], 931 [137], 959 [138], 980 [139],

 

 

126. J. Tardif, Monuments historiques. Cartons des rois, Paris, 1866, p. 61 sg., n. 78 ; testamento dell’abate di St.-Denis Fulrado. Tra i beni lasciati all’abbazia : «... patellas ad salo faciendum, in vico Bodatio seu Marsallo, una cum sessis eorum... » (p. 62).

 

127. C. Zeuss, Traditiones possessionesque Wizenburgenses. Codices duo cum supplementis, Spirae-Lipsiae-Vindobonae, 1842, p. 197 sg., n. CCVI (8.4.786) ; donazione al monastero di Weißenburg. Tra i beni : «... de aeramento omnem portionem meam quod est in illa patella... » (p. 198).

 

128. Ibid, p. 199 sg., n. CCVII (1.4.792): testamento di Helidmundo in favore del monastero di Weißenburg. Tra i lasciti : «... in una patella que ad monesterium uuizenburgo pertinet, libras .C. et in alia patella de sancto leudegario et de sancto maximine .de treuerim. similiter libras .C.... » (p. 199).

 

129. Monumenta cit., Diplom. Karol., III a cura di Th. Schieffer, Berolini et Turici. 1966, p. 153 sg., n. 52 (20.1.841) : diploma di Lotario I in favore dei monastero di St.-Mihiel (de Marsoupe) (a p. 154, l. 6 sg. : « ... de patellis, que sunt in Marsallo et in subteriori Vico... » ; anche a l. 12).

 

130. Ibid., p. 186 sg., n. 72 (18.4.843); diploma di Lotario I in favore dei monastero di Münster im Gregoriental (menzione di una patella « in Mediano vico sive Marsallo » a p. 187, ll. 28 sg., 31, 34).

 

131. Ibid., p. 397 sgg., n. 10 (23.8.858) : diploma di Lotario II che rinnova le concessioni di Lotario I dell’84l a St.-Mihiel (supra, nota 129).

 

132. A. Giry-M. Prou-F, Lot-C. Brunel-G. Tessier, Recueil des actes de Charles II le Chauve roi de France, II ; 861-877, Paris, 1952, p. 463 sgg., n. 431 (24.6.877) : conferma di beni ai monaci di St.-Mihiel-en-Verdunois concessi da Lotario I (diploma perduto), tra cui « ... patella una in Vico... » (p. 465).

 

133. Monumenta cit., Diplom. regum Germaniae ex stirpe Karol., IV a cura di Th. Schieffer, Berolini, 1960, p. 27 sgg., n. 6 (4.1,896) : diploma di Zwentibold che conferma beni a Münster im Gregoriental, tra cui «... in Marsella patellam unam... » (p. 29).

 

134. F. Lot - Ph. Lauer, Recueil des actes de Charles III le Simple roi de France (893-923), Paris, 1949, p. 103 sgg., n. XLVII (5.6.903) ; conferma di beni all’abbazia di St.-Denis, tra cui (p. ì04, il. 12-16) «... abbatiola... quam quondam venerabilis Fulradus... contulerat... cum patella una et stadivo uno in vico Bodesio... » (per Fulrado cf. supra, nota 126). In Bruckner, Regesta Alsatiae cit., p. 397, n. 660, lo stesso documento è datato 5.6.901.

 

135. Lot-Lauer, Recueil cit., p. 185 sgg., n, LXXXIII (27.11,915): conferma di un diploma di Lotario I in favore di St.-Mihiel-en-Verdunois andato perduto e di ulteriori concessioni fatte da Carlo II il Calvo (supra, nota 132), Tra i beni : « ... patella una in Vico... » (p. 186).

 

136. Hauthaler, Salzburger Urkundenbuch cit., I, p. 136 sgg., n. 76 (930/2.8.931): permuta dell’arcivescovo di Salisburgo Odalberto, che annovera tra i beni ceduti « ... in Salina patellam I... » (p. 137).

 

137. Ibid., p. 79 sg., n. 13 (27.6.931) : altra permuta di Odalberto. Tra i beni ceduti, p. 80: « ... ad Adamunton locum patellarem unum... » (= Hall in Stiria).

 

138. W. Hauthaler - F. Martin, Salzburger Urkundenbuch, II : Urkunden von 790-1199, Salzburg, 1916, p. 83 sgg., n. 48 a) (8.6.959): donazione di Ottone I ai canonici di Salzburg (tra i beni, a p. 84 : « ... in Salina curtilia cum patellis patellarumque locis... »).

 

139. J. Widemann, Die Traditionen des Hochstifts Regensburg und des Klosters S. Emmeram, München, 1943, p. 191, η. 211 a) : donazione fatta da Gotschalk (ca. 980) di una patella (« ... locum unius pateilę... infra salinam bauuariensem, quam uulgo comprouinciales Hal solent nuncupare... »).

 

 

94

 

nella Vita Iohannis abbatis Gorzensis di Giovanni di Metz, scritta poco dopo il 974 [140], e nell’ Inventarius Maurimonasterii (fine sec. X) [141]. Una indagine sistematica su fonti documentarie e letterarie potrebbe, a mio avviso, accrescere notevolmente il numero di tali testimonianze, che rivelano comunque una tradizione semantica ben consolidata, nata prima del sec. Vili e mantenutasi in area romanza e germanica fino all’età moderna [142]. Per quanto è possibile arguire da alcune delle fonti latine sopra enumerate, da altre posteriori e da taluni esiti germanici odierni, patella veniva adoperato anche come equivalente generico di salina, o designava un qualsiasi bacino naturale di acqua salsa atto a generare per evaporazione concrezioni saline, e patellaris era detto il sito corrispondente.

 

Questo complesso di dati, di non poca rilevanza anche per l’età, sembra schiudere una nuova pista alla nostra ricostruzione etimologica, in una prospettiva tematica — il sale — e in un àmbito tipologico — i fenomeni naturali connessi e le modalità d’impiego dell’uomo — che hanno da sempre costituito un cospicuo filone genetico di toponimi [143]. È una pista che mette conto di esplorare.

 

 

140. Monumenta cit., Scriptores, IV a cura di G.H. Pertz, Hannoverae, 1841, pp. 337-377 : a p. 362, 1. 23 sg. (« ... plures quas dicunt patellas... »).

 

141. Ch.-E. Perrin, Essai sur la fortune immobilière de... Marmoutier, Strasbourg, 1935, pp. 133-147, a p. 146: « Cum... cortilocis sive patellarum locis quae vulgariter pfansteti vocantur ».

 

142. Ho circoscritto l’indagine linguistica solo a francese e tedesco. Per il primo mi limito a rinviare a : F. Godefroy, Dictionnaire de l’ancienne langue française et de tous ses dialectes du IXe au XVe siècle, V, Paris, 1888, p. 684 sg. (paelle) ; W. v. Wartburg, Französisches Etymologisches Wörterbuch, Bd. VIII, Lief. 51. Basel, 1955, pp. 1-6 (patella) : a p. 2 e nota 3. Per il tedesco si veda tra l’altro: J. Grimm-W. Grimm, Deutsches Wörterbuch, VII, Leipzig, 1889, coll. 1614 sg. (Pfanne 2), 1616 sg. (molti composti attinenti al sale, tra cui : Pfannenbaum, -bock, -breit, -haken, -haus, -herr dominus et possessor salinarum »], -läiufer, -meister, -statt, -werk).

 

143. Sarebbe facile mettere insieme una ricca documentazione al riguardo : la consultazione di qualsiasi repertorio toponomastico consente di raccogliere numerosi esempi. Per i toponimi latini cf. : [J. G. Th.] Graesse-[F,] Benedict - H. Plechl. Orbis latinus..., III, Braunschweig, 1972, voce Salina e simili (a p. 112: Patellaris locus ad Adamunton con rinvio a Salina in valle Ademunlensi). Tra i paesi di lingua romanza, cf., a mo’ d’esempio, per la Francia: A. Vincent, Toponymie de la France, Bruxelles, 1937, pp. 157 (n. 367 : sulza), 315 (n. 823 : Saussure), 319 (n. 840: sei) e altri rinvìi nell’Index alia voce sel (p. 406).

 

 

95

 

Pantelleria, notoriamente povera di acqua potabile, tanto da dover ricorrere ancor oggi a rifornimenti periodici apprestati da navi cisterna della marina militare italiana, abbonda invece, per ragioni dovute alla natura vulcanica del suo terreno, di sorgenti d’acqua termale, nonché, specie in zone costiere, di polle d’acqua salmastra a varia concentrazione salina, le cosiddette bbuvire, parzialmente impiegate in passato per il beveraggio e altri usi, adesso non più [144]. La frequente siccità, che coinvolge una delle fonti di approvvigionamento idrico capillare, le cisterne d’acqua piovana, ha sempre procurato agli abitanti gravi difficoltà, accentuando l’interesse per il prezioso elemento, in ogni sua manifestazione locale. Esiste nell’isola, fra l’altro, un deposito lacustre — detto comunemente Bagno dell’Acqua [145] — che, pur nella modestia delle sue dimensioni, ne rappresenta la più cospicua concentrazione idrica superficiale, e insieme il punto maggiore di attrattiva paesistica, mèta obbligata di chiunque vi metta piede ; trovasi a sud-est del centro urbano, in prossimità della costa settentrionale (tra Cala dei Cinque Denti e Cala della Pozzolana), distante dal mare ca. 500 metri, è di forma tondeggiante con un perimetro di appena 1800 metri, l’asse maggiore di 610 e il minore di 424, ha una profondità massima di 11/12 metri : un piccolo bacino, insomma, che segue l’andamento del limite nord della vasta caldera occupante la parte centrale dell’isola e contiene acqua — proveniente dal sottosuolo — non dolce, bensì satura di sodio e formante una larga fascia di concrezioni bianche tutt’intorno, di livello superiore a quello del mare di ca. 2 metri, con talune polle gorgoglianti nella riva sud-est, alla temperatura di ca. 57°, e altrove esalazioni gassose (Fossa della Pernice).

 

 

144. Cf. D’Aietti, Il libro cit., p. 78 sgg.

 

145. Sul Bagno dell’Acqua cf. ibid., passim e in particolare a pp. 60, 70-72, 345 sg. Dal volume del D’Aietti, ricco di informazioni, traggo tutte le notizie qui raccolte (il Bagno dell’Acqua è riprodotto fotograficamente nella prima delle tavole f. t. che corredano, alla fine, il volume).

 

 

96

 

L’alta percentuale di soda conferisce all’acqua di tali polle notevoli capacità detergenti, sfruttate un tempo dagli abitanti. Ma, a prescindere da ogni peculiarità tecnica e utilità concreta, passata, odierna o futura, accertata o ipotizzabile, ciò che rende particolarmente ‘ presente ‘ nell’isola, anche nel ricordo, questa piccola conca idrica è la suggestività dello spettacolo offerto dal suo azzurro intenso esaltato dal ‘ cercine ‘ bianco che l’attornia e con la Montagna Grande sullo sfondo [146].

 

La zona del ‘ lago ‘ fu anche nell’età antica uno dei centri isolani di maggiore interesse e di più assidua frequentazione. La ricognizione archeologica compiuta da Paolo Orsi nel 1894/95 indirizzò ad essa, fra l’altro, le indagini, con esiti molto soddisfacenti di cui è data ampia notizia nella relazione scientifica che vide la luce nel 1899 [147], notizia oggi tanto più interessante e preziosa in quanto parecchi degli accertamenti allora fatti non sono più riscontrabili in situ, per incuria o inclemenza dell’uomo. Varrà forse la pena, proprio per questa ragione, di rileggerla insieme, almeno in parte :

 

Mi era stato riferito che sulle rive del laghetto fossero avvenute delle scoperte, ed essendomi recato più volte in quella località potei constatare, come sul lato settentrionale di esso nelle terre di certo Vito Boccanera, riducendole a vigneto nell’autunno del 1894, s’erano fatte delle importanti scoperte, che io inclino a riferire ad un piccolo santuario, forse di divinità salutari delle acque, che doveva colà esistere. Per disgrazia, come è consuetudine, ogni cosa era stata distrutta ed io non posso qui riferire che sulle scarse e sparse reliquie segnalate sul sito. Nella parete rocciosa, che forma lo sbarramento settentrionale del lago è incavato un nicchione quadro, largo m. 1,77, prof. m. 0,85, alto 1,15, rivestito ancora di malta e di ottimo stucco ;

 

 

146. Il D’Aietti, ibid., p. 345, usa, per definire questo spettacolo, coloritissime espressioni (« la scena madre, l’apoteosi del paesaggio dell’isola, il suo più incantevole incanto »).

 

147. Orsi. Pantelleria cit., : cf. supra, nota 49.

 

 

97

 

certo un’edicola per deporvi anathemata e sacri ricordi. E tutto il breve terreno interposto fra questa ed il lago è pure cosperso di reliquie archeologiche ; numerosi massi squadrati ed in parte rivestiti di intonaco, facevano parte di un edificio distrutto, del quale nemmeno si seppe darmi la forma approssimativa. Alla decorazione superiore di esso dovevano spettare comici di ottimo stucco, anche colorate (nero, rosso, giallo) raccolte da me in quel sito ; mi si parlò dell’esistenza di colonne, ed in fatto io notai un tamburo in trachite di modeste dimensioni, una base della stessa pietra (diam. cm. 57) con incavo superiore appunto per innestarvi l’imoscapo della colonna, il nucleo di un piccolo capitello corinzio in pietra-lava, la cui ornamentazione doveva essere in stucco, a giudicarlo anche dalle traccie superstiti ; di più le volute (a. cm. 29) di un grande capitello ionico, pure in trachite, con avanzo del rivestimento in stucco. Tutto ciò allude troppo chiaramente alla esistenza di un edificio di qualche considerazione ; ma non avrei pronunciata la parola santuario, se altri dati non mi inducessero a pensare ad un luogo di culto. Nel terreno del sig. Boccanera e nella contigua spiaggia del laghetto erano sparsi frammenti di vasi grezzi in quantità, di etrusco-campani, di aretini ; ivi raccolsi pure il labbro di un cratere a campana decorato di foglie, probabilmente attico del IV sec. Ma ciò che parla espressamente di un edificio sacro sono le poche terrecotte che qui produco, facenti parte di un assai più ricco deposito che andò disperso... [148]

 

 

L’insigne archeologo, dopo aver illustrato i singoli reperti fittili, concludeva :

 

A giudicare dal poco materiale raccolto, il santuario a Bagno dell’Acqua è di data molto antica (forse VII sec.), e rimase in esercizio sino all’età romana [149].

 

 

148. Ibid., col. 527 sg.

149. Ibid., col. 533.

 

 

98

 

La missione archeologica dell’Università di Roma del 1965 [150] ritrovò ben poco dei frammenti archittettonici visti dall’Orsi, mentre le terrecotte, depositate presso il Museo di Siracusa, vi rimasero per più di un sessantennio, donde passarono poi al Museo di Palermo, ove oggi si custodiscono. Nel 1965, piuttosto, furono eseguiti sondaggi e accertamenti alla base della nicchia nella parete rocciosa e altrove, senza però trarne vantaggio per l’età arcaica, e si raccolsero in superficie numerosi frammenti ceramici riferibili a età ellenistico-romana e bizantina [151]. A. M. Bisi nel 1970 ha dedicato un attento studio alle terrecotte, desumendone nuovi elementi a sostegno della ipotesi orsiana del santuario [152].

 

In zona adiacente al nostro laghetto, a sud, in alto, nella località detta Praie della medesima contrada, che mantiene la denominazione di origine araba Bugèber, trovasi una grotta, e al suo ingresso un edificio che utilizza — pare — resti di un antico tempio cossirese. Il D’Aietti, al quale dobbiamo la notizia, non esita a definire questo tempio « dell’oracolo », avanzando una congettura che, se rispondesse al vero, ne farebbe il sito di maggiore frequentazione cultuale dell’isola in età antica [153], Sta di fatto, comunque, che la contrada del ‘lago’ fu già allora, e dopo, un centro abitato di non poca importanza, sia per le ragioni dette, sia per la notevole quantità di altri reperti archeologici registrati dall’Orsi, come urne cinerarie fittili e calcaree, anfore, monete, per non parlare delle tipiche cisterne di foggia campanulata rivestite di cocciopesto, presenti in questa come in altre zone dell’isola.

 

A poco più di 2 km. in linea d’aria dal ‘ lago ‘ nella direzione del centro urbano, nei pressi dell’acropoli, in contrada Zubebe, sono osservabili gli avanzi di un edificio a pianta trapezoidale, identificato, come sappiamo, sin dal suo rinvenimento, col monastero fondato da Giovanni confessore e denominato San Basilio.

 

 

150. Cf. supra, nota 49.

 

151. Verger, Ricognizione cit., p. 132 sg.

 

152. A.M. Bisi, In margine ad alcune terrecotte puniche arcaiche di Pantelleria, in Scililia Archeologica, III, N. 10 (1970), pp. 17-26.

 

153. Il libro cit., pp. 181, 345 sg.

 

 

99

 

Tali avanzi, parzialmente interrati, su cui riferiscono l’Orsi, A. Mayr, A. Verger e il D’Aietti [154], sembrano di età romana, ma con evidenti tracce di successivi rimaneggiamenti e innesti. È interessante, fra l’altro, il particolare riportato dall’Orsi dell’abbattimento, per iniziativa dell’allora proprietario del fondo, dei muri di separazione di « sette piccoli ambienti » interni [155].

 

Mi sono così a lungo soffermato sulla contrada del ‘ lago ‘ e sulle zone viciniori, mettendo in evidenza le peculiarità della piccola conca idrica ad alto contenuto salino, la sua straordinaria bellezza, la breve distanza dal mare, la presenza di santuari, l’esistenza colà di un centro abitato, la relativa prossimità al monastero e all’acropoli, perché mi pare che questo complesso di circostanze renda ragionevolmente sostenibile l’ipotesi che l’isola abbia tratto la sua odierna denominazione proprio da quello che si può definire senza esitazione il suo elemento paesistico più vistoso e caratterizzante, ossia dal Bagno dell’Acqua. Questo « Specchio di Venere », come oggi localmente viene chiamato, tradisce anche a distanza, attraverso i depositi chimici sulla riva, di un bianco intenso, l’accentuata salinità delle sue acque, dando l’impressione all’osservatore, che riesce a dominarlo nell’insieme con un solo colpo d’occhio, di trovarsi di fronte a un bacino idrico per la formazione del sale, a una vera e propria salina. Un’impressione che, se riportata indietro nel tempo, a quando l’uso semantico di cui sopra si diceva era vivo e operante, può aver meritato a Cossyra l’appellativo di insula patellaris/patellaria, generando in questa maniera il toponimo che incontriamo ripetutamente attestato, in varie grafie, nelle fonti di estrazione bizantina, oltre che dall’Anonimo Ravennate. Tali grafie, piuttosto, dall’ammissione dell’esistenza di un toponimo latino tardo-antico/altomedievale *Palellaria traggono, tutte, chiare motivazioni riconducibili a fenomeni evolutivi fonetici ben documentati in area bizantina : così le oscillazioni λλ/λ [156] et τ/ττ [157],

 

 

154. Cf. supra, nota 53.

155. Orsi, Pantelleria cit., col. 518.

 

156. Cf. S.B. Psaltes, Grammatik der Byzantinischen Chroniken, Göttingen, 1913 (2a ediz. invariata, 1974), p. 127 sg.

 

157. Ibid., p. 131.

 

 

100

 

come il passaggio da i a ε [158] e la conseguente oscillazione ε/αι [159] nella penultima sillaba, ε > α nella seconda sillaba per assimilazione con la prima o vicinanza della liquida, o per entrambe le cause [160].

 

In che modo sarebbe avvenuto l’inserimento della nasale tra la prima e la seconda sillaba, testimoniato a partire dal sec. XI/XII, in àmbito linguistico latino, e da allora pressoché costante ? Il fenomeno troverebbe piena giustificazione nel contesto bizantino, che annovera una ricca gamma di epentesi di μ-ν dinanzi a consonanti (labiali e sibilanti, oltre che dentali) e vocali [161]. Nel caso specifico, tale fenomeno, che non ha lasciato tracce — come abbiamo visto — nella tradizione scritta bizantina, deve aver avuto una sua persistenza in tradizione orale, trasferendosi quindi su versante latino.

 

Il toponimo originario, in conclusione, viene ad acquistare per il tramite bizantino una facies grafico-fonetica che ne sfigura i connotati iniziali fino a cancellare ogni nozione della connessione semantico-lessicaie con patella. Tra gli esiti di questo processo, la formazione della nasale costituisce l’elemento che più d’ogni altro, a giudicare dall’insieme delle attestazioni latino-volgari, manifesta vitalità nel tempo, sorretto probabilmente all’origine, nella coscienza dei parlanti di lingua latina, dal meccanismo psicologico dell’apparente analogia con toponimi antico-medievali, siculi o di aree viciniori, come Pantalica, Panaria, Pantaleon, Panterga, Pandataria.

 

Rome

 

Giuseppe Scalia

 

 

158. Ibid., pp. 23-26.

 

159. Cf. : A.N. Jannaris, An Historical Greek Grammar chiefly of the Attic Dialect as Written and Spoken from Classical Antiquity down to the Present Time..., London, 1897, p. 53 sgg. ; Psaltes, Grammatik cit., p. 117 sg.

 

160. Ibid., pp. 10-13.

 

161. Ibid., pp. 78-83 (ντ a p. 79).

 

[Back to Main Page]