La migrazione degli Slavi nell’Italia meridionale e in Sicilia alla fine del Medioevo  [*]

 

Momčilo Spremić

 

 

Archivio Storico Italiano, Vol. 138, No. 1 (503) (1980), pp. 3-15

 

 

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            1. Si possono distinguere, nel medioevo, due tipi di migrazioni: gli spostamenti organizzati di interi popoli, il trasferimento di singole persone o gruppi piuttosto piccoli. Le prime, di solito, durano un tempo piuttosto breve; le altre hanno un lungo decorso, qualche volta secolare. Tra queste ultime possiamo collocare la migrazione degli Slavi dalla penisola balcanica a quella appenninica.

 

 

            2. Nell’alto medioevo l’Italia meridionale fa parte dello Stato bizantino, come la costa adriatica orientale, che riconosce per lungo tempo la signoria dell'Impero di Costantinopoli. [1]

 

Subito dopo il loro insediamento nei paesi balcanici (seco. VI e VII) gli Slavi cominciano a passare nella vicina Italia, distante soltanto poche decine di miglia. [2] Paolo Diacono racconta che nel 642 sbarcano sulla costa meridionale del Gargano, presso Siponto, cioè nell’odierna Puglia settentrionale. [3]

 

 

*. Relazione presentata alla settima sessione del Convegno storico italo-jugoslavo, svoltosi a Lubiana dal 26 al 28 maggio 1978, sul tema: «L'emigrazione della popolazione tra le due sponde dell'Adriatico dal XV al XVIII secolo».

 

1. Sulla signoria bizantina in Dalmazia: J. Ferluga, Vizantijska uprava u Dalmaciji [Il governo bizantino in Dalmazia], Beograd 1955.

 

2. K. Kretschmer, Die italienischen Portolane des Mittelalters, Berlin 1909, pp. 248 e 313. Nel Canale d’Otranto, dove il Mare Adriatico è più stretto, la sua larghezza ammonta a soli 72 Km. M. Šunijć, Dalmacia u XV stoljeću [La Dalmazia nel secolo XV], Sarajevo 1967, p. 29.

 

3. Pauli Diaconi Historia Langobardorum, in Monumenta Germaniae Historica: Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum, saec. VI-IX, Hanover 1878, p. 125.

 

 

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Il trasferimento prosegue quando gli Arabi diventano forza egemone nella vasta regione del Mediterraneo ed anche del bacino adriatico. Dall’866 all’877 i Saraceni attaccano Ragusa, che, con le città vicine, viene salvata dalla flotta bizantina. [4] Subito dopo l’imperatore Basilio I fa traghettare molti Slavi in Puglia, affinché combattano contro i musulmani. Ma gli Slavi passano al servizio di questi, abbracciano l’Islam, e con loro avanzano nell’Italia meridionale, in Sicilia, spingendosi fino alla Spagna. Alcuni di loro fanno carriera tra i soldati. Nella prima metà del sec. X persino un emiro di Sicilia risulta di origine Slava, [5] e nel 926 il conte della Zacumia, Michele Višević, occupa la bizantina Siponto senza combattere, godendo ormai gli Slavi, in quella zona, di un forte appoggio. Quell’impresa inaugura un periodo di ulteriore popolamento del Gargano. Tutto lascia pensare che ciò avvenga con un processo lungo e tranquillo, i cui risultati si vedranno nel secolo successivo. Gli Slavi oltre alla Puglia popolano anche le regioni vicine, come ricorda André Guillou, esperto conoscitore dell’Italia meridionale bizantina: nella Calabria del X secolo vivono parecchi Serbi. Uno di loro, un certo Vukašin (nome tipicamente serbo), con i suoi quarantamila uomini nel 981 contrasta l’avanzata dell’imperatore Ottone II. [6] Coeva la presenza di Slavi in Sicilia: nel sec. X, a Palermo, risultano una « porta Sclavorum », un « quartiere » degli Slavi, la chiesa « dei Ragusei o degli Slavi ». [7]

 

 

4. Copioso ristretto degli annali di Ragusa di Giacomo di Pietro Luccari, Ragusa 1790, p. 10; Letopis popa Dukljanina [La Cronaca del prete di Dio- clea], ed. F. Šišić, Beograd-Zagreb 1928, p. 318.

5. K. Jreček, Istorija Srba [Storia dei Serbi], I, Beograd 1952, p. 115.

 

6.

·       Guillou, Migration et présence slaves en Italie du VIe au XIe siècle, « Zbornik radova Vizantoloskog instituta », 14 e 15 (1973), pp. 14-16;

·       Guillou et K. Tchèremissinoff, Note sur la culture arabe et la culture slave dans le Katépanat d'Italie, Xe-XIe s., «Mélanges de Fècole française de Rome», tomo 88, 2, 1976, p. 678.

 

7. V. di Giovanni, Il quartiere degli Schiavoni nel sec. X e la loggia de’ Catalani in Palermo nel 1771, «Archivio storico siciliano», II, 1867, pp. 40-64. Cfr. G. Gelcich, Colonie Slave nell'Italia meridionale, Spalato 1908, p. 6.

 

 

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Non è possibile constatare con precisione, in base a fonti attendibili, per quali vie e per quali ragioni ondate di Slavi migrino nell’Isola. Si può intuire soltanto che esiste un rapporto tra ciò e l’avvento degli Arabi e che il fenomeno è massiccio.

 

Della presenza di Slavi nell’Italia meridionale del sec. X esistono numerose testimonianze. Essi vivono soprattutto nell’area garganica, dove, tra 1043 e 1054, Serbi e altri Slavi risultano proprietari di terre nelle vicinanze di Vieste, Varano ed altre località. Fanno donativi di poderi al monastero di Santa Maria nelle Tremiti, e molti (questo è un dato particolarmente significativo) portano il nome di « zupan ». [8] Quando comincia la conquista normanna, Roberto il Guiscardo dispone di un contingente di Slavi. Nell’inverno 1054 si serve della loro conoscenza del terreno per fornirsi (in Calabria) di viveri, [9] il che significa che da tempo vivono in quella regione, come anche in Sicilia. È chiaro che molti Slavi, allora, nell’Italia meridionale e in Sicilia fanno i guerrieri, e un gruppo di loro avrebbe persino tentato di uccidere il duca Ruggero; [10] ma si può affermare con certezza che attendono anche alla lavorazione della terra, almeno quelli del Gargano. Pare che nell’XI secolo i gruppi slavi di Puglia e di Calabria siano ancora compatti. In un salterio greco dell’epoca, proveniente dall’Italia meridionale, sono effigiati gli apostoli Pietro e Paolo con in mano, ognuno di loro, un rotolo scritto in lingua slava con caratteri cirillici. André Guillou suppone che questo manoscritto provenga dal Gargano, dove nella prima metà del sec. XI vivono molti serbi. [11]

 

Dopo la conquista normanna dell’Italia meridionale, le notizie sui rapporti tra le popolazioni delle due sponde adriatiche sono più copiose.

 

 

8. A. Guillou, op. cit., p. 14; A. Guillou et K. Tchèremissinoff, op. cit., p. 678.

9. G. Malaterra, De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius, L. I, XVI, in Rerum italicarum scriptores,2 t. 5, p. 16.

10. G. Malaterra, op. cit., p. 56.

11. « On peut donc être tenté d’attribuer ce manuscrit à la region du Gargano, qui connaît des étabilissements serbes prospères dans la première moitié du XIe siècle mais ceci est une simple hypothèse »: A. Guillou et K. Tchèremissinoff, op. cit., p. 689.

 

 

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Lottando contro Bisanzio, i Normanni cercano di sottoporre al proprio potere i signori e le città della sponda orientale. Nel 1075 il « comes » normanno Amico (di Giovinazzo) conduce una vera e propria guerra in Dalmazia, di dove porta prigioniero il « re » croato con molta altra gente. [12] Nel 1081 Roberto il Guiscardo è aiutato dalle città dalmate nella sua lotta contro Bisanzio, e Ragusa ne riconosce l’autorità dal 1081 al 1085. [13] Poi i signori serbi della Zeta si imparentano coi Normanni, [14] e così le intense relazioni createsi tra i circoli al potere provocano un più intenso mescolarsi delle popolazioni. Esse continuano anche nel sec. XII, quando l’influsso (come pure il potere immediato) dei Normanni, diventa più forte sulla sponda balcanica. Si sa con certezza che Ragusa riconosce periodicamente la loro signoria, e che nel 1186 vi risiede un alto funzionario del re Guglielmo. [15]

 

Quando l’Italia meridionale e la Sicilia cadono sotto il potere degli Hohenstaufen, continua il passaggio delle popolazioni dall’una all’altra sponda. In verità, dopo la IV crociata, la sempre più forte Venezia ostacola ed impedisce il commercio con la Puglia agli abitanti dei propri possedimenti sulla sponda orientale, ed è per questo che le fonti ragusee menzionano più frequentemente l’Italia meridionale e la Sicilia nei secc. XI e XII piuttosto che nel XIII. L’imperatore Federico II rispetta i privilegi degli abitanti di Dalmazia residenti in Puglia e si adopera per tutelarne i diritti. [16]

 

 

12. F. Racki, Documenta Historiae Croaticae periodum antiquam illustrantia, «MSHSM», VII, Zagabriae 1877, pp. 99, 355-457. Cfr. F. Šišić, Povijest Hrvata u vrijeme narodnih vladare [Storia dei Croati al tempo dei re nazionali], Zagreb 1925, pp. 550-551, 553-554.

13. Copioso ristretto cit., pp. 23-24; M. Orbin, Kralijevstvo Slovena [Il regno degli Slavi], Beograd 1968, p. 390.

14. Letopis popa Dukljanina cit., pp. 360-369.

15. J. Radonić, Acta et diplomata Ragusina [in seguito: Acta et diplomata Ragusina], I/1, Beograd 1934, pp. 7-9.

16. Chronica Ragusina Junii Restii item Joannis Gundulae, Zagabriae 1893, ed. Sp. Nodilo, p. 75; Acta et diplomata Ragusina, I/1, pp. 34-35.

 

 

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Appartengono proprio alla prima metà del sec. XIII i trattati di commercio stipulati tra Ragusa e parecchie città dell’Italia meridionale: [17] essi testimoniano le intense relazioni reciproche, che mobilitano vasti interessi e contribuiscono agli spostamenti di popolazione.

 

 

            3. Fino agli anni Ottanta del sec. XIII i dati sulla migrazione degli Slavi nell’Italia meridionale e in Sicilia provengono da fonti narrative, ma non manca il materiale diplomatico, che consente di capire meglio il processo migratorio e di seguire l’andamento verso la Puglia, la Sicilia, la Calabria.

 

Emerge allora non il trasferimento massiccio di alcune migliaia di persone, svoltosi in una volta sola, ma lo stillicidio di tante piccole emigrazioni provocate dalla lotta per l’esistenza. Copiosi i dati sulle persone vendute come schiave e portate in Italia di dove non fanno più ritorno. Alcuni esempi: nel 1281 un commerciante di Trani compra a Ragusa una certa Dragosti, proveniente dalla zona del fiume Vrbas in Bosnia, mentre Parisius di Barletta acquista le schiave Rodoslava e Prerada, ambedue di Bosnia. [18]

 

Agredisto di Bari e altri mercanti acquistano schiave provenienti dalla Bosnia. [19] Lo stesso accade l’anno seguente con alcune persone di Bosnia, Sirmio e altre località vicine, vendute a gente di Trani, Barletta e Giovinazzo. [20]

 

Il più antico materiale archivistico mostra che alla fine del Duecento almeno una diecina di persone viene trasportata annualmente in schiavitù da Ragusa alla Puglia. Ma la cifra aumenta, perché gli schiavi bosniaci non vengono acquistati solo in questa città, essendovi un altro mercato alla foce del Narenta, del quale però non sono stati conservati gli atti. Assumendo che i mercanti pugliesi acquistano schiavi soltanto in una diecina di luoghi,

 

 

17. Acta et diplomata Ragusina, I/1, pp. 12-20.

18. G. Čremošnik, Istoriski spomenici Dubrovačkog arhiva. Kancelariski i notarski spisi 1278-1301, Beograd 1932, pp. 45, 67, 69: n. 72, 148, 157.

19. G. Čremošnik, op. cit., pp. 45, 48, 59, 60 (№ 84, 85, 86b, 86e, 105, 110).

20. G. Čremošnik, op. cit., pp. 73, 74, 86, 92, 97 (№ 174, 182, 220, 261, 270).

 

 

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ne risulta che almeno un centinaio di persone passano annualmente dalla sponda adriatica orientale nell’Italia meridionale. Ma sono certamente di più, anche perché non sempre si hanno gli strumenti di vendita.

 

Quanto si è detto per il XIII secolo vale anche per il XIV e il XV. Alcuni esempi: questa volta riferentisi a Trani e a Barletta. Nel 1320 Matteo di Trani compra a Ragusa la schiava Stanem di Dobre e nello stesso anno Andreas de Thomasio de Trano stipula una società commerciale con un abitante di Ancona per la compravendita di schiavi. [21]

 

Nel 1399 un abitante di Trani acquista Biellosavam e Turissanam, ambedue schiave di Lašva (Bosnia), mentre altri mercanti di Trani comperano persone di condizione schiava. [22] Lo stesso fanno i loro colleghi di Barletta: nel 1268 Budislavam fiiam Veselchi de Vsora venduta a Vido magistri Andree de Barleto. Nello stesso anno Velna diviene proprietà di un padrone della stessa città. [23] Tra il 1369 e 1372 a Barletta sono vendute le schiave Radoslava (o Pribislava) filia Moymili de Uxora, Bogoslava, qualche anno più tardi, Gojcha filia qondam Radoslavi de Bossina. [24]

 

Come a Trani e Barletta, schiavi arrivano anche nelle altre città di Puglia, poi in Abruzzo, in Calabria e, si può dire, in tutte le regioni dell’Italia meridionale. Contemporaneamente ne vengono traghettati in Sicilia. Così nel 1320 il bosniaco Radoe è venduto a Bonsignorio, filio Petroni de Messina insule Sicilie, [25] e nell’anno seguente un siciliano acquista uno schiavo a Zara. [26] Nel 1401, passando vicino a Ragusa, il patrono unius charachie de Cecilia compera una schiava. [27]

 

 

21. M. Dinić, Iz Dubrovačkog arhiva [Dall’Archivio di Ragusa], III, Beograd 1967, p. 7.

 

22. Ibid., pp. 76-77.            23. Ibid., pp. 6, 23, 24.            24. Ibid., pp. 25, 26-27, 36.            25. Ibid., p. 55.

 

26. A. Teja, Aspetti della vita economica di Zara dal 1289 al 1409, « Rivista Dalmatica», Zara 1941-1942, p. 59.

27. M. Dinić, op. cit., pp. 80-82.

 

 

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Si sa con certezza che nel 1417 un navigatore di Sebenico trasporta schiavi in Sicilia. [28] Altri vengono trasportati, attraverso la Sicilia, in Sardegna e in Catalogna. [29]

 

Più dell’80 % degli schiavi portati in Italia meridionale e in Sicilia sono donne. Provengono da tutti i paesi slavi, ma specialmente dalla Bosnia, dove vivevano molti patarini. Anche se, per alcuni indizi, si può presumere che cristiani osservanti sono venduti come patarini, come provano gli interventi di alti funzionari dell’Italia meridionale e della Sicilia affinché questi vengano liberati.

 

Nel 1416 il viceré della Sicilia salva dalla schiavitù alcuni bosniaci, essendo stato constatato che non sono eretici. [30] Si può concludere che nel corso del medioevo migliaia di Slavi sono trasferiti come schiavi sulla sponda orientale, e trattandosi di merce, essi non ritornano più nel paese nativo. La vendita degli schiavi è dunque uno degli aspetti della « migrazione slava » nell’Italia meridionale e in Sicilia.

 

 

            4. Il traffico degli uomini è però un « affare brutto », e per questo, alla fine del XV secolo, le città di Dalmazia emanano disposizioni che vietano la compravendita di schiavi. Le autorità di Curzola ribadiscono che è particolarmente vietato l’acquisto di persone ai Siciliani, essendo questi, con i Catalani, grossi trafficanti schiavisti. Ciò fa diminuire il traffico di uomini nel sec. XV, ma questo non vuol dire che cessa la migrazione in Italia. Al contrario: sono escogitate altre forme per provvedere al trasporto di povera gente sulla sponda opposta, in una condizione simile a quella della schiavitù.

 

 

28. Ch. Verlinden, L’esclavange en Sicile au bas moyen âge, «Bulletin de rinstitute Historique belge de Rome», 35, 1963, p. 89.

 

29. Ch. Verlinden, L'esclavage sur la côte dalmate au bas moyen âge, « Bulletin de l'Institute Historique belge de Rome», 41, 1970, p. 69. Sulla tratta degli schiavi sulla costa dalmata vedi anche: Ch. Verlinden, Le relazioni economiche fra le due sponde adriatiche nel basso Medio Evo alla luce della tratta degli schiavi. Momenti e problemi della storia delle due sponde adriatiche, Roma 1973, pp. 103-139.

 

30. Ch. Verlinden, L’esclavange en Sicilie, p. 88.

 

 

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Nel Regno di Napoli è difficile trovare servi e domestici e quindi la Puglia se ne fornisce nella vasta regione che si stende dal Quarnero a Valona. [31]

 

I padroni conducono le persone di servizio nella propria città nativa. È così, che nel 1446 Ratko Radosalić, entrato al servizio di Antonio de Porzello, assume l’obbligo di ire Tranum ad standum et commorandum et famulandum cum dicto domino Antonio. [32] Nello stesso modo i domestici andavano a Manfredonia, [33] Barletta, Otranto, Lecce, San Severo, Bari, Bitonto, Polignano, Monopoli, Nola, Taranto. [34] I domestici arrivano nelle città abruzzesi, nella stessa Napoli, nella lontana e povera Calabria. [35] È possibile pensare che anche da loro, come prima dagli schiavi, vengano ripopolate tutte le regioni del Regno napoletano, ma soprattutto la Puglia. I domestici arrivano anche in Sicilia. [36]

 

Le persone di servizio che vanno in Italia provengono non solo dalla sponda adriatica orientale e dalle isole, ma anche dal retroterra balcanico. Si sa di nativi dei dintorni di Ragusa, ma anche di Cattaro, Grbalj, Segna e di località bosniache: di Trebigne, Nevesigne, Gatsco, « dalla zona della Drina », « de loco vocato Dubrave in Bosnia », « de Popovo de partibus Bosne » oppure semplicemente « de Bosna ». [37] Essi vengono assunti per un periodo piuttosto lungo, che di solito è di dieci anni.

 

 

31.

·       G. Cassandro, Lineamenti del diritto pubblico del Regno di Sicilia Citra Farum sotto gli Aragonesi, « Annali del Seminario Giuridico Economico della R. Università di Bari», anno VI, fasc. II, Bari 1934, p. 117;

·       F. Carabellese, La Puglia nel secolo XV, I, Bari 1901, p. 36;

·       G. Luzzatto, Storia del commercio, I, Firenze 1914, p. 297.

 

32. Archivio di Stato di Dubrovnik, Diversa Notariae [in seguito: Div. Not.], XXX, 10-10v.

 

33. Cfr. M. Spremić, La famiglia De Fiorio di Manfredonia, in Italica Belgradensia, I, 1975, pp. 248-250.

 

34. M. Spremić, Dubrovnik i Aragonci [Ragusa e gli Aragonesi], 1442-1495, Beograd 1971, p. 191.

 

35. Diversa Cancellariae [in seguito: Div. canc.], LXI, 247; Div. Not., LIV, 98v.

 

36. « Benedetto Magrinus de Cecilia » nel 1443 e nel 1447 ha preso a salario due persone, Pietro « de Sibilla » di Siracusa ne ha presa una nel 1454. « Cola Andree Columbo » di Catania, ma abitante a Messina, ha preso un servitore nel 1456; Div. Canc., LVIII, 119v; LX, 161; LXIV, 124v; Div. Not., XLI, 50.

 

37. M. Spremić, Dubrovnik i Aragonci, pp. 193-194.

 

 

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I padroni fanno maritare la servitù femminile in Italia: è chiaro quindi che quelle donne non tornano mai più nei Balcani. Molti giovani e molte ragazze, del resto, non saprebbero dove tornare, essendo stati espulsi dalla grande miseria. Ecco dunque che anche l’esodo dei domestici è uno degli aspetti dell’emigrazione slava in Sicilia.

 

 

            5. Non emigrano soltanto schiavi e persone di servizio, ma anche barcaioli e naviganti, che faranno i traghettatori sulla costa italiana, restandovi per sempre, e così nel sec. XV molti Slavi diventano « habitatores » dell’Italia meridionale: « Nicolaus Sclavus de Ragusio, habitator Barlete », « Georgius Radosalich de Ragusio, habit ator Sancti Severi », « Franciscus Glavich, habitator in terra Litii », [38] ecc. Tra gli emigrati risultano anche mercanti, e cioè gente condotta sulla sponda italica da affari correnti che poi restano per sempre in Italia.

 

Nel sec. XV, oltre alle ragioni economiche, anche quelle politiche intensificano la migrazione. Con l’incalzare dell’avanzata turca gli Stati cristiani dei Balcani si disfanno e molti profughi si precipitano verso la costa. Alcuni muoiono, ma un numero cospicuo riesce a farsi portare in Italia, e ciò avviene dopo alcuni avvenimenti politici importanti, come dopo la fallita rivolta di Grbalj nel 1452, quando i profughi sono traghettati in Puglia con le navi ragusee e con quelle di Budua. [39] Tra 1454 e 1455 molti profughi, per lo più provenienti dalle terre del duca Stefano Vukčić, affollano la costa in cerca di una nave qualsiasi che li trasferisca oltre mare. Ve ne sono tanti che nel gennaio del 1455 il governo di Ragusa comincia a trasportarli nell’Italia meridionale a proprie spese. [40]

 

 

38. Codice Diplomatico Barese, XI, Bari 1931, pp. 253-254; Div. Canc., LXXXII, 106; Div. Not., XXXIX, 180.

 

39. N. Iorga, Notes et extraits pour servir à l’histoire des croisades au XVe siècle, III, Paris 1902, p. 291, nota 1.

 

40. Acta Minoris Consilii, XIII, 250. Cfr. S. Čirković, Herceg Stefan Vukčić-Kosaca i njegovo doba [Il duca Stefano Vukčić-Kosača e la sua epoca], Beograd 1964, pp. 215, 219, 220.

 

 

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Ciò accade anche a Spalato nel 1454, dove il comune paga due volte gli armatori per il trasporto di un grande numero di Bosniaci poveri in Puglia. [41] Sembra anche che lo stesso re Alfonso d’Aragona faccia trasportare profughi nel proprio Stato. [42] Dopo lo sfacelo del Despotato serbo (1459) e del Regno di Bosnia (1463) la costa adriatica è letteralmente invasa da profughi, tanto che le autorità ragusee decidono, nel febbraio del 1464, di pagare ancora per farli trasportare in Puglia, nele Marche, a Venezia, in altre località (adoperandosi anche affinché non ritornino più) e li forniscono di pane biscottato per il viaggio. Obbligano poi i propri sudditi che vanno in Italia ad imbarcare i profughi e a trasportarli in Puglia oppure nelle Marche. [43] Contemporaneamente molti « pauperum Bosinensium » vanno nelle regioni italiane. Sono tanti che, alla fine del secolo XV, il conte di Sebenico scrive a Venezia dicendo che tra la popolazione regna una psicosi di paura e che molti vogliono trasferirsi nelle Marche e in Puglia. [44] A Ragusa nel 1465 viene esplicitamente detto che gli emigrati sono « fugientes a Turchis ». [45] È così che la grande invasione ottomana intensifica il secolare processo dell’esodo degli Slavi in Italia, soprattutto dalla Dalmazia, dal litorale raguseo, dalla Bosnia e dalla Zeta. Nella nuova patria sono chiamati « Slavi », « Sciavi », « Schiavoni », e la loro terra d’origine « Sclavonia », termine con cui viene sottintesa la vasta regione situata tra l’Isonzo e la Bojana, non tenendo conto del territorio interno. [46]

 

 

41. M. Šunijć, O migracjiama « de partibus Sclavonie » u Markama do polovine XV stolieća (Ankona) [Sulle migrazioni « de partibus Sclavonie » nelle Marche fino alla metà del secolo XV (Ancona)], «Radovi Filozoffskog fakulteta u Sarajevu », 8, 1974-1975, p. 487.

 

42. M. Rešetar, Die serbokroatischen Kolonien Süditaliens, in Schriften der Balkankommission, linguistische Abteilung, IX, Wien 1911, p. 24.

 

43. R. Jeremić e J. Tadić, Prilozi za istorila zdravstene kulture starog Dubrovnika [Contributi alla storia della cultura sanitaria della Ragusa antica], II, Beograd 1939, p. 187.

 

44. M. Sunjić, Pomjeranje mletačkih granica u Dalmacia i odnosi sa susjedima tokoma XV stolieća [Spostamento dei confini veneziani in Dalmazia e le relazioni con i vicini nel corso del secolo XV], « Godisnjiak Društva istoricara Bosne i Hercegovine», 15, 1966, p. 59.

 

45. Acta Consili Rogatorum, XVIII, 190.

 

46. M. Sunjić, O migracjiana « de partibus Sclavonie » cit., p. 489. Una bibliografia sugli stanziamenti slavi nell’Italia meridionale è in M. Rešetar, op. cit., pp. 1-18.

 

 

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            6. La toponomastica dell’Italia del Sud testimonia resistenza di numerosi insediamenti slavi: i profughi si stanziano nelle città e nei villaggi preesistenti, ma fondano anche nuovi abitati e si spargono per tutto il Regno di Napoli. [47] Quelli di Lecce e Lanciano sono, nel sec. XV, abbastanza forti; gli immigrati di Giovinazzo e Trani hanno una Universitas tutta loro menzionata nel 1468 come « universitas Sclavorum Trani confirmatio certorum capitulorum », dal re di Napoli. [48] Solo nel Molise si costituiscono quindici insediamenti slavi. [49] Personale di servizio (per lo più donne), agricoltori, pastori, artigiani: queste le professioni degli Slavi in Italia. [50]

 

Il maggior numero di loro vive miseramente e chi di loro riesce a comperate un paio di buoi, un po’ di terra o una casetta può considerarsi fortunato, ma ben alla fine del Quattrocento, in Puglia, gli Slavi costituiscono ormai un fattore economico qualificato. Assai compatti e con uno status particolare, i loro abitanti ottengono privilegi speciali. Così nel 1492 il re di Napoli esenta i Ragusei stanziati a Trani dai tributi « terzarie picis et ferri »; [51]

 

 

47. Cfr.

·       G. Vegezzi-Ruscalla, Le colonie serbo-dalmate del circondario di Larino, provincia di Molise, Torino 1864;

·       J. Aranza, Woher die südslavischen Colonien in Suditalien, « Archiv für slävische Philologie », 14, 1892, pp. 78-82;

·       L. D’Addabbo, San Michele e una colonia serba, « Japigia », fasc. III, 1936, pp. 289-310;

·       G. Rohlfs, Ignote colonie slave sulla costa del Gargano, « Cercetari de linguistica», 3, 1958, pp. 409-413;

·       G. Rohlfs, Slavische Kolonisation in Süditalien, « Südostforschungen », 29, 1970, pp. 267-270;

·       F. Gestrin, Migracije iz Dalmacije v Italijo v 15 in 16 stoletiu [Le migrazioni dalla Dalmazia in Italia nel XV e XVL secolo], « Zgodovinski časopis », 30, 1976, pp. 269-276.

 

48. Testamenta, XXVI, 169. Cfr. V. Vitale, Trani dagli Angioini agli Spagnuoli, Bari 1912, p. 540, nota 2.

 

49. V. Makušev, O Slavjanah Molizskoga grafstva v južnoi Italij [Sugli Slavi della contea di Molise nell’Italia meridionale], Zapiski imperatorskoi akademii nauk, XVIII, Sanktpeterburg 1871, pp. 31-32.

 

50.

·       M. Šunjić, O migracijama « de partibus Sclavonie » cit., pp. 494-499;

·       S. Anselmi, Schiavoni e Albanesi nell’agricoltura marchigiana dei secoli XIV e XV, «Rivista di storia dell’agricoltura», 2, 1976, pp. 8-26;

·       F. Gestrin, Le relazioni economiche tra le due sponde adriatiche tra Quattro e Cinquecento, in Atti del Congresso internazionale sulle relazioni fra le due sponde adriatiche, 15-18 ottobre 1971, pp. 98-101;

·       F. Gestrin, Nota sulle antiche relazioni tra le due coste adriatiche, « Fano », 5, 1972, pp. 4-6.

 

51. F. Trincherà, Codice Aragonese o sia lettere regie, ordinamenti ed altri atti governativi de’ sovrani Aragonesi in Napoli riguardanti l’amministrazione interna del reame e le relazioni all’estero, III, Napoli 1876, pp. 286-287.

 

 

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quattro anni prima aveva concesso agli immigrati di Trani un privilegio secondo il quale due dei quindici rappresentanti della città debbono essere « della natione Greca o Albanese o Schivona ». [52]

 

Alcune città come Cassano, Oria, Civitella del Tronto, Spinazzola, Ariano, essendo per lo più gli Slavi di modesta condizione economica, chiedono alla corte napoletana di non prendere in considerazione né « Slavi » né « Albanenses » per il censimento dei fuochi, perché è difficile far loro pagare i tributi. [53] Oltre a privilegi nelle singole città, gli immigrati godono (nel periodo aragonese) privilegi estesi a tutto il Regno. E così pagano solo la metà dei tributi previsti per i sudditi del re, anche se pare vengano censiti più volte, essendo un elemento mobile. [54] Tutto ciò contribuisce al consolidamento della loro posizione particolare, il che favorisce la durata dei loro insediamenti, anche se, col passare del tempo, gli immigrati si fondono con la popolazione indigena. Le colonie slave decadono prima dell’inizio del sec. XIX, e un’eccezione è costituita dai tre centri superstiti del Molise: Acquaviva, Collecroce, San Felice Slavo (ora San Felice del Molise) e Montemitro, dove la popolazione ancora oggi parla serbocroato.

 

 

            7. La conclusione porta a constatare che alla fine del medioevo migliaia di Slavi emigrano nell’Italia meridionale e in Sicilia. Le cause del loro esodo sono principalmente di ordine economico. L’Italia del sec. XIV e XV è un paese la cui economia raggiunge il suo pieno sviluppo, con città sempre più grandi e ricche.

 

 

52. I. Kukuljević-Sakcinski, Izvestje o putovanju kroz Dalmaciju u Napulj i Rim [La relazione del viaggio a Napoli e Roma attraverso la Dalmazia], « Arkiv za povjestnicu jugoslavensku », 4, 1857, pp. 347-348. Naturalmente, oltre agli Slavi, nell’Italia meridionale emigrarono anche Greci e Albanesi. Le loro migrazioni esorbitano da questo studio.

 

53. F. Trincherà, op. cit., Ili, pp. 41, 62, 336, 366-367. Conformemente a una tradizione, i coloni slavi nel Molise, vengono esonerati dal pagamento dei dazi per un periodo di cinquanta anni dopo l’immigrazione; R. Kovacic, Sprske naseobine u juznoi Itaiji [Stanziamenti serbi nell’Italia meridionale], «Glanik srpskog učenog društva», 62, 1885, p. 282.

 

54. R. Bianchini, Storia delle finanze del Regno di Napoli, Napoli 1859, pp. 139, 149; N. Jorga, op. cit., V, p. 198. Anche nelle Marche gli Slavi possono essere esentati dal pagamento di singole tasse: S. Anselmi, op. cit., p. 8.

 

 

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Per queste ragioni essa attrae ed accoglie la povera gente dei Balcani. La riprova è nel fatto che gli Italiani non si trasferiscono sulla costa adriatica orientale e nell’interno della penisola balcanica.

 

L’espansione turca intensifica il processo del trasferimento della popolazione in Italia. La migrazione ha un decorso relativamente tranquillo di cui non restano notizie drammatiche nelle fonti, come, per esempio, avviene nelle gravi crisi politiche oppure degli scontri bellici. Per i contemporanei, apparentemente, non accade nulla di speciale: il processo migratorio degli Slavi verso l’Adriatico occidentale è infatti costituito da destini individuali anche se di vaste dimensioni.

 

Belgrado

 

Momčilo Spremić

 

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