Gli slavi nell’Abruzzo Chietino

 

Troilo E.

 

Atti della Societa romana di antropologia. Roma

Vol. VI. Fasc. II. 1899, pp. 117-127

 

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Mentre gli studii sugli Slavi del Molise sono abbastanza numerosi, comprendendo una raccolta di lettere del Sig. De Rubertis di Acquaviva sugli abitanti di quella terra, pubblicate in Zara nel 1853; le interessanti note dell’Ascoli inserite nel Politecnico di Milano del marzo 1867; la relazione del prof. V. Makuscew di Varsavia fatta nel 1874, e poi le memorie del Vegezzi-Ruscalla «Le colonie serio-dalmate del circondario di Larino» e del Rolando «Escursione Storico-etnografica nei paesi Slavi della provincia di Campobasso» — nessun studio si trova invece sopra gli Slavi del Chietino, all’ infuori di qualche semplice accenno; come nel Profilo Antropologico d’Italia del Pullé e nel lavoro del D.r Livi: La distribuzione geografica dei caratteri antropologici in Italia (1).

 

In vero, il nucleo più importante degli Slavi del litorale meridionale dell’Adriatico, è certo quello del Molise; tuttavia le colonie ed infiltrazioni Slave nel Chietino sono più importanti di ciò che si creda, specialmente tenendo presente quel curioso fatto notato dal D.r Livi, di una forte brachicefalia, nei circondarii di Chieti e di Lanciano, dove si aspetterebbe trovare la dolicocefalia caratteristica dei Marrucini, Vestini, Frentani, antichi abitatori di quelle contrade.

 

* * *

 

Le colonie ed infiltrazioni Slave della provincia di Chieti, dal Trigno al Pescara, su cui non è dato dubitare per tradizioni locali,

 

 

(1) Rivista Italiana di Sociologia. Anno II. Fasc. 4.°

 

 

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che sarà bene raccogliere e coordinare, si possono distinguere in tre gruppi: del circondario di Vasto più a sud, del circondario di Lanciano nel centro, e di quello di Chieti a nord.

 

Nel primo si comprendono:

Vasto.

Cupello (ab. 8285).

Monteodorisio (ab. 2893).

Schiavi d’Abruzzo (ab. 3845).

 

Il gruppo centrale comprende:

Lanciano

Mozzagrogna e fraz. (ab. 3430).

Scorciosa (frazione di Fossacesia) (ab. 368).

S. Apollinare (frazione di S. Vito) (ab. 808).

Treglio (ab. 658).

e parecchie ville ora distrutte; come Stanazzo, Canaparo, Lazzaro e Cotellessa.

 

Il terzo gruppo attorno a Chieti, abbraccia:

Abbateggio (ab. 1007).

Forcabobolina (ab. 2235).

Casacanditella e fraz. (ab. 1633).

Vacri (ab. 1633), con qualche accenno a S. Silvestro e Francavilla a mare (1).

 

L’appellativo di Schiavoni è rimasto a tutti questi paesi (in dialetto Schiavune) ed ha un certo senso dispregiativo essendo derivato, come pare, da Schiavoni e Sciavi, per il commercio di Schiavi che in quella gente si faceva (2).

 

E v’è in proposito una tradizione a S. Apollinare secondo la quale i capi Slavi passati in Italia e fermatisi fra S. Vito e Lanciano, dettero i loro nomi proprii ai casali che abitarono, e cioè S. Apollinare, Treglio, Mozzagrogna per non farli chiamare genericamente Schiavi. Particolarmente poi, gli Abruzzesi, dicendo Schiavoni, vogliono indicare alcune ville intorno a Chieti e Lanciano, e distinguono appunto gli Schiavoni di Chieti e quelli di Lanciano, che è Mozzagrogna. Non bisogna però intendere che tutti questi paesi siano vere e proprie colonie, come quelle per esempio di Acquaviva e S. Felice nel Molise;

 

 

(1) Anelli. Note alla Cronaca vastese di Fra Serafino Razzi. (Vasto 1897).

 

(2) Marinelli. La Terra, (pag. 352).

 

 

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poiché in parecchi di essi non si hanno che infiltrazioni più o meno forti come in Vasto, Lanciano ecc.; ed altre sono vere colonie come Cupello, Mozzagrogna, Scorciosa ecc., fondate o ex novo con povere capanne di legna, paglia, canne e creta, o per riattazione di ville e casali distrutti, come avvenne pure nel Molise.

 

— Ciò posto, si domanda: Quale è il tempo dell’immigrazione di questi Slavi?

 

Le relazioni fra le genti del litorale abruzzese con quelle dell’opposta Dalmazia sono antichissime, e se ne tranno tracce pur nell’ epoca romana; ma è nel medio-evo che si cominciarono a stabilire correnti di emigrazione vera e propria, a cui avevano ben predisposto i continui rapporti commerciali esistenti fra le due rive. Sono ricordati infatti i traffici operati sulle nostre coste dalle barche di Schiavonia; le quali, come dice Luigi Anelli in una nota alla Cronica Vastese (1576-1577) di Fra Serafino Razzi, dai loro paesi portavano cera, corde, pesci in salamoia e cavalli, ricercati assai e chiamati schiavoni anche oggi, e caricavano frutta, olio, vino e grano.

 

Vasto era il porto dove gli Schiavoni di solito sbarcavano, per le nostre terre (mentre pel Molise era Termoli); essendo quella città punto ben adatto agli scambi; si che vi convenivano pure Veneziani, Milanesi, Genovesi, Fiorentini, (1) come si può rilevare da nomi di vie e contrade e specialmente di chiese, fra cui non mancava una dedicata dai mercanti slavi a S. Nicola, protettore del mare, e detta, appunto, S. Nicola degli Schiavoni, demolita nel 1638.

 

Naturalmente per determinare l’epoca della venuta definitiva degli Slavi del Chietino, possiamo giovarci anche dei dati riguardanti quelli del Molise, essendo più che probabile che essi siano venuti insieme e poi si siano divisi fra Termoli e Vasto. Trascurando quindi uno sbarco militare, a Siponto (Manfredonia) verso la metà del secolo VII, possiamo notare che gli Slavi si stabilirono primieramente sulle coste adriatiche meridionali ai tempi dell’ Imperatore Ottone (2) cioè intorno al mille; ed infatti nei documenti del tempo si parla già di paesi slavi,

 

 

(1) Anelli. Op. Cit.

 

(2) Mons. Sarnelli. Vescovi Sipontini.

 

 

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come Castrum Selavorum (Castelnuovo di Capitanata) e Castelluccium de Selavorum (1) (Castelluccio).

 

Più tardi, nel 1297, troviamo una bolla di Bonifacio VIII che parla di Castrum Acquevivae cum VASSALLIS SCLAVONIS (2).

 

Il Giustiniani poi nel suo Dizionario ragionato del Regno di Napoli, dice essere gli Schiavoni più antichi dell’Aragonese dinastia, e parla di una chiesa nel Vasto fatta da quelle genti e menzionata, secondo il Marchesani, nel 1362, (3) che può essere quella di S. Nicola degli Schiavoni. E il Marchesani stesso parla di una lapide a caratteri illirici trovata al Vasto, in quattro versi, l’ ultimo dei quali offriva

 

 

clic starebbe a ricordare il passaggio — egli dice — delli Schiavoni per la terra del Vasto.

 

Tutto considerato, si può ben dire che le immigrazioni vere e proprie risalgono al principio del 1400, quando, per le guerre combattute fra Aragonesi ed Angioini, v’ era grande richiesta di milizie straniere. — V’ ha infatti a Cupello la tradizione che Alfonso d’Aragona mandasse sulle coste della Dalmazia 600 galere a prendere soldati e genti che volessero venire, si dice, a ripopolare le contrade desertate dai Turchi. — È però questa, tradizione esagerata, sia pel numero delle navi aragonesi, sia per il preteso intento di ripopolare le terre; poiché le tristi invasioni dei Turchi si fecero frequenti nel secolo XVI; la più terribile essendo stata quella di Piali Bassà con 105 galee, nel 1566.

 

Ma tuttavia essa accenna al fatto vero, ricordato pure da Risto Kovacic, (4) delle richieste di milizie da parte di Alfonso d’Aragona (che chiamò pure per riconquistare la Calabria, gli Albanesi, al cui capo, Demetrio Reres, nel 1448 dette il comando della contrada) ed accenna all’altro fatto capitale in cui convengono tutti, che è la causa generale delle immigrazioni slave,

 

 

(1) G. ed A. Magliano. Larino (1895).

 

(2) Lettere di Bonifacio VIII. Tomo 2.° p. 117.

 

(3) Marchesani. Storia del Vasto.

 

(4) Risto Kovacic. La penisola balcanica (La Terra di G. Marinelli).

 

 

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l’avanzarsi vittorioso cioè dei Turchi verso il litorale adriatico e la conseguente conquista, che fu completa nella penisola balcanica nel secolo XV.

 

Allora le genti Slave fuggendo a mano a mano innanzi alla furiosa invasione ed alla triste tirannia turchesca, trovarono aperta la via a trasferirsi nell’ opposto lido abruzzese, a loro, come si è detto, ben noto ed ospitale.

 

* * *

 

Il Rolando nella memoria citata, parlando degli Slavi del Molise — ed abbiamo osservato che dei dati relativi possiamo servirci anche per quelli del Chietino — dice (nel 1874) che un vecchio raccontava aver sentito da un arciprete nel 1854 che gli Slavi erano venuti 436 anni innanzi; cioè verso il 1418.

 

Con questo si può mettere a raffronto quanto ci apprende nella cronaca Vastese Fra Serafino Razzi (1).

 

Egli scrive:

 

Il 1. settembre 1577 fui ricerco di andare a una villa di Schiavoni, lontana circa due miglia (Cupello).... Ove è da notare, come havendo i Turchi da molti anni in qua presa e ridotta sotto il dominio tutta la Schiavonia fra terra e quasi alla marina dominando, molti popoli per non perdere fra loro la fede e per non istare sotto gl’ infedeli, se ne sono venuti passando il mare, in queste parti detti Abruzzi e detta Puglia e da i Ministri regii sono per pietà stati assegnati loro varii e diversi luoghi. Ove fermatisi sono habitati di sotto a capanne di paglia e sotto frascati. E poscia lavorando la terra e sementando et industriando hanno incominciato a murar case e tutta via si vanno argomentando. — .... E l’ istesso molto prima e specialmente verso la Puglia, come via a loro più diritta, fecero molti altri popoli della Grecia. Questo pertanto villaggio a cui fummo poi chiamati, fa d'intorno a 100 fuochi, et habitavano ancora per la maggior parte sotto capanne nette quali fanno fuochi, hanno camere, celiavo e stalla. Mantengono fra loro il favellare Schiavone.... Non hanno per ancora vigne.... ».

 

(Целият текст на Serafino Razzi е представен в: Monica De Rosa, I viaggi adriatici di Serafino Razzi (Edizioni digitali del CISVA), стр. 126)

 

 

— Ora a prima vista sembrerebbe che Fra Serafino non si riferisse ai primi del 1400 bensi molto più tardi, scrivendo egli nel 1577 e dicendo che quelli Schiavoni habitavano ancora in capanne,

 

 

(1) Fra Serafino Razzi Priore del Convento di S. Domenico nel Vasto. Cronaca Vastese (Anni 1576-1577). Annotata o pubblica da Luigi Anelli. (Vasto 1897).

 

 

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ed hanno incominciato a murar case, nè avevono per ancora vigne, e conservano il parlare Schiavone.

 

Ma bisogna notare che la colonia Slava, la quale fondò Cupello, appena venuta, si fermò in numero di 39 famiglie, come dice la tradizione nel contado di Monteodorisio distante poco più d’un miglio dall’attuale Cupello, e solo verso il 1500 cresciuta di numero e vessata dagli abitanti, si trasferì nella contrada detta Fonte delle Copelle, costruendovi case di terra, donde Villa Cupello, e Cupello d’oggi.

 

Fra Serafino parla quindi di questa origine più recente della Villa che fu appunto verso il 1500, mentre i suoi fondatori già da assai tempo innanzi avevano posto piede nell’Università di Monte Odorisio. Similmente sembra trascurare la prima tappa il Marchesani, il quale nella Storia del Vasto citata, parla della fondazione di Cupello come avvenuta nell’anno 1464.

 

Essendo — egli dice — l’ anno 1464, gli Schiavoni qui rifuggiti dalle provincie loro invase dal Turco, edificaronsi sulle distrutte ville Morrone e S. Pietro ad Aram, dei casolari con legna, canne, paglia e creta. Crebbe sui riti della chiesa loro questo nuovo popolo.

 

Ad ogni modo dunque, da tutto si può stabilire che le immigrazioni Slave nell’Abruzzo Chietino rimontano fino alla prima metà del secolo XV; seguitando di poi a venire altri nuclei, anche insieme agli Albanesi, come sostiene il Rolando. (1)

 

E bene qui notare che per se, la quistione se Slavi ed Albanesi siano venuti insieme, non è di grande importanza; ma diventa ben importante allorché per essa si sostiene che la venuta degli Slavi non risalga più in là della venuta degli Albanesi. Il Rolando desume la venuta insieme di Albanesi e Slavi, dalla vicinanza nel Molise di colonie Slave ed Albanesi. Ma questa vicinanza non vale e dimostrare la tesi cronologica, perchè potrebbe essere benissimo che gli Albanesi venuti dopo, si siano fermati accanto alle colonie Slave già stabilitesi nel Molise; e ciò tanto più in quanto non si capisce come queste due genti venute e passate insieme nel Molise, non abbiano fatto lo stesso nel Chietino;

 

 

(1) Le date delle immigrazioni albanesi sono ben precise. Giorgio Castriota (Scanderberg) venne nel 1462; seguito dal nipote Stresia con 5000 Albanesi che fondarono le colonie della Puglia.

 

Altri vennero dopo la morte del Castriota, allorché i Turchi occuparono l’Albania, e dettero origine alle colonie albanesi del Molise.

 

 

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dove troviamo una sola colonia albanese, Badessa, di là del Pescara, che è del secolo XVIII, e qualche tradizione accennante all’ origine albanese di S. Eusanio del Sangro, mentre altre tradizioni ne ricordano come fondatori gli Zingari. (1) — Nè l’unione nella venutasi accorda d’altra parte col fatto che Albanesi e Schiavoni hanno nutrito reciproci sentimenti di ostilità, sino a produrre nel Molise, dove si sono trovati accanto, assai sanguinose contese, di cui il Rolando stesso dà notizie.

 

Sicchè, pur ammettendo che alcuni Schiavoni possono esser venti con gli Albanesi, la vera immigrazione di quelli è anteriore alla venuta di questi e risale, come si è detto, alla prima metà del secolo XV. — Certo è che nella seconda metà di questo secolo, per gli Schiavoni, cresciuti di numero, troviamo molte disposizioni, che naturalmente riguardano pure gli altri stranieri affini Dalmatini, Epiroti ecc. Cosi, per esempio, in Lanciano, l’autorità dovette provvedere alla sicurezza dei cittadini con severe misure contro questi immigrati turbolenti e pericolosi, e Ferdinando II ai 22 maggio 1488 ordinava cacciarli addirittura dalla città.

 

Ma riammessi e cresciuti ancora diventando industriali e proprietarii, e ricominciando con le violenze il pericolo, ai 22 settembre 1500 un dispaccio regio ordina loro l’esilio a 50 miglia da Lanciano. E di qui si presenta una distinzione netta, fra Albanesi da una parte e Schiavoni, Dalmatini, Epiroti dall’ altra; poiché quelli rientrano in città e diventano industriali; questi si stabiliscono pel contado intorno, (2) nelle ville di Stanazzo, Canaparo, Lazzaro, Cotellessa ora distrutte e di Scorciosa e Mozzagrogna, detta appunto come si è avvertito, Schiavoni di Lanciano, esercitando l’agricoltura e la pastorizia; che è anche la caratteristica odierna degli Slovacchi sui margini ungheresi della Galizia; e intorno a Trieste, nella Slesia e nella Dalmazia interna (3).

 

 

(1) G. Finamore. Tradizioni popolari abruzzesi.

 

(2) L. Renzetti. Notizie istoriche sulla città di Lanciano (1878).

 

(3) Dante Veroni. In Austria e in Ungheria (Rivista politica e letteraria. Giugno 1899).

 

 

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— In conclusione dunque, le colonie, infiltrazioni e tracce Slave nell’ Abruzzo chietino rimontano intorno a cinque secoli addietro.

 

* * *

 

Circa alla quantità di questi stranieri, i dati non possono essere assai precisi. Il numero stesso però delle sedi occupate fra il Trigno e il Pescara, ci dice che non dovettero essere molto scarsi; benché si debba avvertire che, secondo diffuse notizie tradizionali, di cui s’è fatto cenno per S. Apollinare, Treglio e Mozzagrogna, gli Schiavoni solevano anche in pochissimi e in una sola famiglia pure, fermarsi nei luoghi che reputavano adatti.

 

Si ricorda che trentanove famiglie si fermarono al Cupello, dove, come dice Fra Serafino, crebbero et in numero et in facoltà, raggiungendo i cento fuochi nel tempo in cui il Frate scriveva, cioè nel 1577; riconoscendo con certi loro patti e convenzioni la Camera Regia e coloro dai quali prima riceverono il luogo per loro abitazione. E il Marchesani, parlando degli abitanti medesimi di Cupello, dice: Crebbe coi riti della loro chiesa il nuovo popolo.

 

Nè poi intorno al 1500 dovevano in Lanciano essere pochi gli Schiavoni, benché con essi fossero uniti anche Dalmatini ed Epiroti, come s’è visto, se più volte misero in pericolo i cittadini, donde i provvedimenti sopra ricordati; e se già prima, i Lancianesi avevano potuto con essi allestire due fuste, cioè due compagnie di soldati, da spedire in aiuto al re. Infine è certo che nel 1522 in Vasto accanto a 799 fuochi d’indigeni erano 50 fuochi di Schiavoni, i quali pagavano decime a quella università. (1)

 

Abbastanza rilevante dunque dovette essere il numero di questi Slavi; e se le influenze loro non appariscono molto nel paese, ciò dipende dal fatto che si irradiarono, come s’è detto, su una troppo vasta zona; mentre così non fecero gli Slavi del Molise, i quali oltre alla conservazione pura della lingua, usi ecc., nel 1881 ascendevano ancora a 4236. (2)

 

 

(1) Anelli. Op. Cit.

 

(2) Pullé. Profilo antropologico dell’ Italia.

 

 

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Ad ogni modo al tempo di Fra Serafino, gli Schiavoni conservavano il loro favellare, il quale, secondo l’Ascoli (1) che ha visitato oltre alle colonie del Molise, qualcuna anche del Chietino, come Vasto, è l’ illirico o serbo, cioè l’idioma che si parla con leggere variazioni, nella Dalmazia, Montenegro e Serbia.

 

Chiamavano essi — si dice nella Cronaca Vastese — il pane bruca, la carne mesa, il cacio sire, l'uova iaia, il vino vina, l’ acqua vode. Ma il Priore stesso aggiunge: Favellavano ancora i più Italiani per conto della conversazione e trafflche pei mercati di comprare e di vendere. Raccontano poi i contadini, e lo riporta pure il Rolando,

 

«che a molti di essi è avvenuto a Termoli o a Vasto, i punti che dicemmo essere stati quelli dello sbarco, d’incontrare negozianti Dalmatini con cui parlavano lo Schiavone e che essi facevano loro molte cortesie e si chiamavano bratia cioè fratelli. Un contadino anzi diceva — seguita il Rolando — che gli domandarono il suo casato e trovarono alcuni casati esistenti anche nei loro paesi e trovarono ancora che quei che li portavano avevano comuni le disposizioni morali; quelli erano ladri, quelli cortigiani, quegli altri pazzi».

 

In genere poi tutti gli Abruzzesi conoscono che tra loro anticamente vennero popoli Schiavoni, la cui terra sanno vagamente essere lontano, di là dal mare, detta Schiavonia; e anche oggi di questi stranieri Schiavoni si serba concetto di buona gente.

 

* * *

 

Dice di loro, infatti, Fra Serafino, dando anche altre notizie, che è bene riportare:

 

«Le donne quasi tutte venendo alla messa portavano a cintola come sogliono ì soldati, i pugnali, uno aspersorio con ispogna in cima; et in mano un mazzetto di candele per accenderle a i loro altari et in ispalla uno o due conocchie di lino, o vero una piccia di pane in grembo per offrire all’ altare essendo la domenica p. del mese. Arrivate alla porta della chiesa tuffano l’ aspressorio in una gran pila d’ acqua benedetta, e poi con essa girano per lo cimitero (che è intorno alla chiesa) dando l’ acquasanta alle sepolture coporte di grossi sassi e pietre, per cagione, credo che le fiere divoratrici non le scavino.

 

 

(1) Politecnico. Marzo 1867.

 

 

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Et il prete bisogna che tenga sempre buona provvisione d’acquasanta. Sono gli Schiavoni persone robuste e da fatiche. E si governano molto prudentemente in queste loro ville (allude agli altri paesi) e quali colonie, tenendoci il macello, le panetterie ed altre officine necessarie.

 

.... E sono benestanti, come quelli che nel sudore del volto loro adoperano bene la terra e la fanno pure assai fruttare....

 

Danno al prete loro per sua provvisione annuale oltre alle limosine particolari et offerte che sono assai, dalle venti alle ventiquattro some di grano, di tanto che sementano in quell’ ampio loro terraggio. Et ai religiosi che si mandano una volta la settimana ad accattare fanno amorevolmente la limosina di pane, di vino e di uova. Sieno eglino benedetti dal Signore che così trasferendosi nella nostra Italia, gli ha liberati dalle mani degli infedeli.... ». (1)

 

 

Anche il Rolando, parlando specialmente di quelli del Molise, dice che gli Schiavoni a differenza degli Albanesi sono pacifici, laboriosi e benveduti; e ciò è detto pure negli atti feudali di Larino a proposito di S. Felice slavo; ed è ricordata la maniera degli Schiavoni di fabbricar miseramente le case con paglia, canne, legna e creta; la loro laboriosità, il fatto d’avere la chiesa lontano dalla villa circa un tiro d’arco come dice la Cronaca Vastese; ed è detto infine:

 

«Mantengasi li habitatori robusti e con molta età.... sono di buono aspetto più li uomini che le donne; e benché sono di natione Schiavone, sono però affabili, cortesi.... Si esercitano generalmente alla coltura di territorii e vigne et horti; le donne filano alla rocca(2)

 

* * *

 

Tali le notizie ed i dati generici da me sin qui raccolti sopra gli Slavi del Chietino: questa gente straniera, che stabilitasi senza contrasti nell’Abruzzo, serba per qualche tempo, come risulta dai passi citati, la sua fisonomia; la stessa disegnata per gran parte degli Slavi d’oggi dell’Austria, dall’Auerbach:

 

 

(1) Cronaca Vastese cit.

 

(2) G. ed A. Magliano. Larino.

 

 

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race robuste quoique d’aspect misérable à cause de sa pauvreté, travailluse et digne d’une meilleur fortune; (1) fisonomia che ben presto però si fonde e si perde con quella del popolo che l’accolse.

 

Malgrado ciò, io spero poter al più presto recare qualche altro contributo, di carattere speciale, cioè dati antropologici e psicologici, usi, tradizioni, tracce nel dialetto dei luoghi, allo studio di quelle colonie ed infiltrazioni, tanto trascurate e pur cosi importanti, della mia terra natale.

 

E. Troilo.

 

 

(1) D. Veroni. Op. cit.

 

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