Il culto dell’Arcangelo tra Roma e il Gargano: i dies festi

 

Marco Trotta  [*]

 

In: Armando Gravina (a cura di), Atti – 37° Convegno Nazionale sulla Preistoria, Protostoria, Storia della Daunia

Archeoclub di San Severo, San Severo 2017

 

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- La basilica romana della via Salaria  132
- I dies festi garganici  133
- Il monte Orione  136
- L’8 maggio e il 29 settembre nella documentazione liturgica  138
- Il silenzio sui dies festi del santuario garganico  139
  Conclusione 
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  Bibliografia  142

 

Una recente indagine archeologica condotta nel santuario altomedievale di san Michele sul Gargano da un’équipe di studiosi dell’Università di Bari [1] ha offerto risultati utili per una più precisa indicazione cronologica dell’insediamento del culto garganico dell’Arcangelo [2].

 

Nell’area dell’avancorpo della Caverna, che si apre al di sotto dell’artificiale piano pavimentale della Grotta odierna, sono stati individuati, difatti, elementi architettonici ed evidenze archeologiche che mostrano rapporti di anteriorità rispetto alle circostanti strutture. Essi sono verosimilmente riferibili ai primi decenni del V secolo, a una fase cioè precedente sia alle fabbriche monumentali finanziate nel VII e VIII secolo dalla dinastia ducale dei Longobardi di Benevento che a quelle, anch’esse imponenti, della prima età bizantina [3].

 

A questo arco temporale sono da riportare, in particolare, gli interventi sulla facies rupestre dello spazio antistante alla Caverna [4] e gli scalini di roccia individuati su un grosso ronchio, già all’esterno del grande Speco, che portavano dopo un’aspra salita, all’ecclesia Apodonia, che accoglieva, secondo il Liber de apparitione (= Apparitio), il Sasso delle Impronte dell’Arcangelo [5].

 

 

*. Centro Studi Micaelici e Garganici.

1. L’indagine, condotta tra il 2010 e il 2011 e coordinata dalla prof.ssa Gioia Bertelli, è stata programmata dal Dipartimento di Studi classici e cristiani dell’Università di Bari, diretto dal prof. Giorgio Otranto, nell’ambito delle ricerche sul santuario garganico.

2. Cfr. Trotta 2012.

3. Donvito, Rotondo, Limoncelli in Trotta 2012, pp. 193-261: 245-258.

4. Costituiti per lo più da livellamenti del banco lapideo.

 

 

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La loro anteriorità rispetto alle articolate strutture delle fabbriche protobizantine è resa evidente dalla obliterazione avvenuta al momento della costruzione di uno dei poderosi muri di contenimento elevati lungo il pendio del rilievo montuoso. All’interno della Caverna, invece, sono venuti in luce i gradini, anch’essi ricavati nel banco roccioso, che conducevano alla basylica grandis, la cavità maggiore dello Speco, obliterati anch’essi al tempo della costruzione del primo livello della scalinata [6]. Strettamente connessa alla fase preparatoria dell’elevazione di due navate, all’interno delle quali correvano altrettante scalinate, è risultata la sistemazione dello stretto sentiero che fiancheggiava da sud-est la Caverna: inglobato con un’ardita soluzione nelle prime fabbriche elevate su questo lato del Monte, esso divenne, anche mediante il ricorso a una tettoia in legno, una struttura di accoglienza per i pellegrini, denominata longa porticus per la sua lunghezza di 40 metri circa [7].

 

 

 La basilica romana della via Salaria

 

La cronologia indicata per le evidenze archeologiche venute in luce negli ambienti tardoantichi del santuario di Monte Sant’Angelo rende possibile l’ipotesi che l’insediamento del culto micaelico garganico sia contemporaneo a quello che trovò luogo nel suburbio di Roma, al VII miglio della via Salaria, sul colle di Castel Giubileo, dove fu edificata una basilica a tre navate dedicata a san Michele, che nell’impianto planimetrico e nell’adozione del piede bizantino richiamava molto da vicino la chiesa ariana di Sant’Agata dei Goti [8].

 

La basilica della Salaria è fatta risalire al primo terzo del V secolo, stando alla prima recensione del Martirologio Geronimiano compilata tra gli anni 431-450 [9], che la cita espressamente, indicando al 29 settembre il suo natale, cioè l’anniversario della sua dedicazione [10].

 

 

5. Apparitio 3, 19-24. Per la struttura dell’operetta cfr. Trotta 2012, pp. 63-84. Id. 2007, pp. 1331-1341: per il santuario del Sostenion cfr. Joannes Malalas, Chronographia, XVI, in P.G. XCVII, col. 600. L’ecclesia Apodonia e la basylica grandis (a cui si fa riferimento più avanti) sono citate in Apparitio 3, 23-24; 5, 4-7: Trotta 2012, pp. 73-78.

6. Cfr. Trotta 2012, pp. 73-78.

7. La longa porticus (Apparitio 5, 4-7), nel contesto delle fabbriche del santuario altomedievale, va identificata con la ‘galleria longobarda’ che accoglie il Lapidario del santuario.

8. Per questa basilica paleocristiana venuta in luce in seguito ai recenti scavi sulla collina di Castel Giubileo, che registra affinità planimetriche e metriche con Sant’Agata dei Goti, cfr. Bianchini, Vitti 2003, pp. 173-242:228-230.

9. Saxer 2001, pp. IX-X.

 

 

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Di questa basilica paleocristiana, la cui perdita si dava per scontata, un recente scavo sulla collina di Castel Giubileo, detto anche mons S. Angeli fino al XIII-XIV secolo, ha portato alla scoperta di molteplici elementi architettonici e a lunghi tratti delle sue fondazioni su cui, almeno parzialmente, è ricostruibile l’alzato andato distrutto [11]. La cronologia attribuita alle strutture rinvenute è venuta a confermare l’antica datazione avanzata in base agli anni della prima redazione del Martirologio appena citato. Nella prima metà del VII secolo la basilica, forse ingrandita da papa Simmaco (498-514), che l’avrebbe dotata di una scalinata e di acqua corrente [12], era meta di pellegrinaggi, come risulta da un passo dell’itinerario De locis sanctis martyrum [13]. Dopo la menzione nel Liber Pontificalis nella biografia di papa Leone III (759-816), in merito a un donativo del pontefice [14], il luogo di culto ricorre nei martirologi storici fino alla metà del IX secolo. Dopo questo tempo non si ha più notizia della sua presenza nell’area di Castel Giubileo [15].

 

 

 I dies festi garganici

 

La tesi della contemporaneità dei due insediamenti micaelici pare anche proponibile attraverso il rapporto che si coglie tra i dies festi dell’8 maggio e del 29 settembre di san Michele sul Gargano e il dies festus romano del 29 settembre di san Michele sulla via Salaria.

 

In questa sede vengono evidenziati maggiormente i dati riguardanti le due festività garganiche, sottolineando le motivazioni del ritardo del loro ingresso nella documentazione liturgica altomedievale rispetto a quello del dies festus romano, che se in quest’ambito testimonia un’indubbia preminenza cronologica, non può rivelarsi al contempo funzionale a rivendicare il primato temporale della basilica della Salaria sull’insediamento micaelico nella penisola italica.

 

 

10. III. Kalendas Octobris:… et dedicat(io) basilic(ae) s(an)cti michaelis. Una ulteriore e più precisa menzione della chiesa ricorre poi nello stesso Martirologio tramandato dal codice Bernensis (del 766-772): III. Kalendas Octobris. Romae. Via Salaria miliario VI. Dedicatio basilicae Angeli Michaelis: in Saxer 2001, p. 249.

11. Vd. n.6.

12. Cfr. Bianchini, Vitti 2003, pp.226-227; Saxer 2001A, pp. 493-632 :617: “ad s. Archangelum Michael b. ampliavit” (LP I262).

 

13. Duchesne 1892, p. 12: “Per eadem quoque venitur ad viam ad ecclesiam Sancti Michaelis, VII miliario ab urbe”: Valentini, Zucchetti 1942, p. 117. La differenza di un miglio tra il Martirologio Geronimiano e il De locis sanctis martyrum si spiega verosimilmente per il fatto che la chiesa insisteva tra il VI e il VII miglio della Salaria. A proposito, anche Saxer 2001, p. 249.

 

14. Duchesne 1892, p. 12: “Fecit et in basilica beati Archangeli quae ponitur in Septimo vestem de stauraci cum periculis in de blato”; Fiocchi Nicolai 1998, pp. 315-349: 344, n.57.

15. Bianchini, Vitti 2003, p. 219.

 

 

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L’odierna ricerca sull’origine dei dies festi garganici si pone in linea di continuità con il filone di indagine risalente alla fine degli anni 60 del secolo scorso inteso a recuperare il primo episodio dell’Apparitio, detto del Toro, attraverso lo studio e l’analisi del mito ad esso sotteso [16].

 

Largamente noto risulta il contenuto di questa sezione della legenda: un toro della mandria del predives Garganus, da tempo smarrito, viene finalmente trovato dopo un lungo inseguimento sulla soglia di una caverna del Monte posto a 12000 passi dalla città di Siponto. Preso dall’ira, il dominus del Monte gli scaglia contro una freccia che, come sviata come da un soffio di vento, torna indietro a colpirlo [17]. Gli esiti interpretativi dell’episodio hanno portato alla identificazione della figura del dominus Garganus col dio eponimo del Monte di Puglia e del Mont-Gargan o Mont-de-Gargan (l’odierno Mont Saint-Michel) che s’innalza sulla costa occidentale francese fra Normandia e Bretagna [18].

 

L’ultima rilettura del primo episodio del testo agiografico, che si conferma appartenere all’antico libellus [19] citato nella stessa operetta redatta nel VI secolo, pare segnare un ulteriore passo avanti nella pur matura ricerca sul culto garganico di Michele: essa, difatti, rende sempre meno ammissibile la riduzione del testo a “nucleo folclorico” [20] o a “rustico interludio” [21] della narrazione.

 

La fuga dell’animale dalla ricca mandria del dominus Gargano è risultata infatti rimandare

 

 

16. Vd.n.5.

17. Apparitio 2, 24-31:

 

“Erat in eadem civitate [di Siponto] predives quidam nomine Garganus, qui et ex eventu suo monti vocabulum indidit. Huius dum peccora, quorum infinita multitudine pollebat, passim per divexi montis latera pascerentur, contigit taurum, armenti congregis consortia spernentem, singularem incedere solitum et extremum, redeunte peccore, domum non esse regressum. Quem dominus, collecta multitudine servorum, per devia quaeque requirens, invenit tandem in vertice montis foribus cuiusdam adsistere speluncae, iraque permotus, cur solivagus incederet, arrepto arcu appetit illum sagitta toxicata. Quae velud venti flamine retorta, eum a quo iecta est mox reversa percussit”.

 

18. Cfr. Bronzini 1969, pp. 13-46: 16-28; Otranto 1983, pp. 235-239: 213-223; Lassandro 1983, pp. 199-209; Bronzini 1988/3, pp. 307-366 (=Bronzini 1991, pp. 295-353: 320-324); Trotta 2001; Id. 2004, pp. 147-164; Id. 2004A, pp. 217-259; Bronzini 2005, pp. 387-396; Trotta 2007, pp. 209- 218; Trotta 2007A, pp. 265-273; Id. 2012A, pp. 265-273.

 

19. Apparitio 1, 23: “Hanc mortalibus hoc modo cognitam [scil. ecclesiam] libellus in eadem ecclesia positus indicat”.

 

20. L’espressione è attribuita a “studiosi francesi e italiani” da J. Arnold 2000, pp. 567- 588: 571 [“French and Italian scholars have treated this account as a naive or folkloric kernel that transmits the historical event of the conversion of the site”]. Ma questo autore individua nell’episodio dell’Apparitio solo il rimando al mito di Ercole e Caco presente in Aen. 8, vv.184- 305.

 

21. Così l’episodio appare ad Everett 2002, pp. 364-391: 370, pur con i precisi rimandi a Virgilio: “But the episode constitutes little more than a rustic interlude”.

 

 

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al quadro astronomico che registra lo spostamento del punto vernale [22] dalla costellazione del Toro a quella dell’Ariete di 5 gradi ca., determinando l’’uscita’ del giorno dell’equinozio di primavera dalla costellazione del Toro e l’’ingresso’ in quella dell’Ariete. Tenendo presente che l’era astrologica dell’Ariete si svolge tra il 2100 a.C. ca. al 60 a.C. ca., è da considerare che lo spostamento del punto vernale di 5 gradi ca. si snoda nell’arco di 800 anni, individuabili tra il 1400 a. C. ca. e il 1300 a.C. ca.

 

In quest’arco cronologico, precisamente tra il 1375 a.C. ca. e il 1310 a.C. ca., la levata eliaca e il tramonto eliaco delle Pleiadi, il noto ammasso stellare aperto della costellazione del Toro, avvenivano a Tebe rispettivamente l’8 maggio e il 29 settembre, cioè nei giorni che dal V secolo in poi sono diventati i dies festi di san Michele sul Gargano. Questi riferimenti temporali sono emersi da un calcolo effettuato sui dati della Tavola dell’Enciclopedia di Pauly-Wissowa che illustra Le fasi eliache delle Pleiadi rilevate a Eliopoli, Alessandria, Babilonia, Rodi, Cizico e a Tebe tra il 1500 a.C. e il 500 d.C. [23]

 

Da quando il sorgere eliaco delle Pleiadi avveniva in corrispondenza dell’equinozio di primavera, vale a dire dall’era astrologica dell’Ariete, i due giorni di maggio e di settembre, per lo stretto rapporto con la stagione agricola primaverile e autunnale, hanno visto man mano confermata la loro natura di date cicliche più che di ricorrenze annuali [24].

 

Dal V secolo in poi, nel quadro della rinnovata concezione del tempo e della storia, i dies festi del santuario garganico sono stati considerati come i termini cronologici del tempo sacro dell’Arcangelo [25]:

 

 

22. Detto anche primo punto d’Ariete o punto gamma.

 

23. Cfr. Pauly, Wissowa 1952, p. 2503. Devo all’amico Celestino Furii i calcoli effettuati sui dati forniti da questa Enciclopedia. Vale rilevare in questo contesto che in Gaignebet, Lajoux 1986, pp. 248-249, è delineato il rapporto tra Orione, le Pleiadi e il culto micaelico, anche se esso è espresso in forma del tutto frammentaria e senza riferimenti puntuali al primo episodio dell’ Apparitio. I due autori rilevano tra l’altro che è proprio durante la levata e il tramonto delle Pleiadi che si svolge sul Gargano la funzione di psicopompo di Michele, cioè di accompagnatore delle anime nell’aldilà. Quanto ad Orione, viene notano che il gigante è rappresentato nei planisferi dell’antichità nell’atto di minacciare il toro con una clava, richiamando così alla memoria l’episodio del pastore Gargano. Anche Arechi 1994 pp. 71-109: 91, nella trattazione sui simboli di san Michele Maggiore di Pavia, riprende da Gaibegnet, Lajoux il discorso sulle festività di san Michele e il loro rapporto con le Pleiadi ma, come i due autori, non desume dal quadro sinottico dell’Enciclopedia di Pauly, Wissowa l’arco degli anni in cui le Pleiadi sorgono e tramontano rispettivamente l’8 maggio e il 29 settembre.

 

24. Cfr. Bronzini 1969, pp. 13-46:16, che ricorda come il 29 settembre e l’8 maggio erano le date ufficiali dell’apertura e della chiusura della “Regia Dogana della mena delle pecore in Puglia” istituita nel XV secolo da Alfonso d’Aragona.

 

25. Nel XIII secolo il tempo sacro a Michele di antica matrice agraria conosce la teorizzazione del “tempo escatologico” nella Legenda aurea di Iacopo da Varazze, in cui la figura dell’Arcangelo diventa protagonista del tempo della Vittoria del bene sul male. Per “il tempo di Michele” cfr. Le Goff 2014, p. 161.

 

 

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alla sua tutela è stato affidato l’arco temporale più fecondo dell’anno e del ciclo ottimale delle attività umane ad esso connesse. Vale in questo contesto tener presente che la matrice agraria delle due festività garganiche di san Michele è ravvisabile sin dal IV secolo anche nella città di Alessandria: qui le festività dell’Arcangelo del 6 giugno e del 18 ottobre coincidevano rispettivamente con l’esondazione primaverile del Nilo e la decrescita del livello del fiume, strettamente legata alla stagione più propizia per una semina dal promettente raccolto [26].

 

Con l’individuazione dello stretto rapporto tra i giorni festivi dell’Angelo e il sorgere e il tramonto delle Pleiadi, il primo episodio dell’historia garganica permette di riconosce nella figura del pastore Gargano che insegue il toro quella del gigante-cacciatore Orione che anche in cielo insegue vanamente le sette figlie di Pleione.

 

Come tutte le figure del mito [27], anche quella di Orione è stata resa disponibile a vivere la sua nuova vita in quella del pastore Garganus: funzionale all’epifania dell’Arcangelo, il suo mito è stato come rifondato e piegato ad un discorso agiografico per rispondere, tra persistenze e innovazioni, all’accoglimento della nuova religione affermatasi sulla Montagna pugliese.

 

 

 Il monte Orione

 

Il mito di Orione rintracciato nell’operetta agiografica risulta strettamente legato a un suo culto nella regione garganica, riconosciuto di recente [28] nel quadro dei culti riconducibili alla frequentazione degli Eubei sulle due sponde dell’Adriatico in età arcaica [29], per molto tempo rimasti al margine degli interessi della critica moderna [30].

 

 

26. Saxer 1985, pp. 357-426: 371-372; 376; Zanetti 1994, pp. 323-349: 331-348; Martin-Hisard 1994, pp. 351-373: 367-373.

27. Cfr. Calasso 2008 [1988], p. 38. Per la pratica della riattualizzazione del prodotto agiografico cfr. Boesch Gajano 1998, pp. 805-849: 807; 809.

28. Cfr. Rossignoli 2004, pp. 363-366.

 

29. Gli Eubei (gli Ioni/Eubei), presenti in Adriatico nel corso dell’VIII secolo, chiamavano questo mare, ritenuto periferico e di frontiera, Ionios kolpos. Nel loro immaginario, ha precisato Braccesi, “l’Adriatico non è thalassa, non è pélagos, non è pontos, ma è kolpos (Ionios o Adrias kolpos)”, cioè ‘golfo’. L’Adriatico non è quindi “mare degli Ioni” in quanto “mare degli Eubei”. Sulle coste di questo mare gli Eubei hanno disegnato la geografia dell’Odissea e dalle loro navi sono sbarcati, come attestano i racconti leggendari dei nostoi, Ulisse e la maga Circe, la cui sede è localizzata nei pressi del Gargano. Il mare Adriatico incomincia ad essere identificato come Adrias a partire dal IV secolo a.C., mentre in precedenza il nome definiva la parte di mare che dalla laguna di Venezia arrivava fino al Quarnaro. Cfr. Braccesi 19772, p. 37; Id. 2001, pp. 11-12; 24. Una sintesi dei lavori di Braccesi con i riferimenti alla Daunia e al Gargano è nel volume di Pacilli c.s. che ho potuto consultare grazie alla cortesia dell’autore.

 

30. Braccesi 19772, p. 7.

 

 

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Il rapporto della costellazione di Orione con le tempeste e i fenomeni pluviali [31] sembra strettamente riconducibile ai pericoli del mare, avvertiti in prossimità di Uria garganica, cioè nel punto terminale della rotta protostorica di navigazione nell’Adriatico meridionale [32]. Nella geografia nautica, infatti, la Testa del Promontorio pugliese si presentava come elemento discriminante in relazione alla pericolosità della traversata determinata dal mutamento dei venti e delle correnti, nonché dalla conformazione della costa [33].

 

Un indiretto riferimento a questo culto può essere agevolmente colto in Scilace di Karianda, un geografo di IV secolo a.C., autore di un Periplo aggiornato nel VI sotto il nome di Pseudo Scilace [34], che rende riconoscibile il Monte Gargano come Monte Orione in due brani della sua opera che indicano il promontorio della Daunia come terra di confine tra Iapigi e Sanniti. La lettura di Orìon òros, di Monte Orione, che nella lezione del codice che ne ha trasmesso il testo figura come Arìonos,

 

 

31. Va qui ricordato che il tempo più idoneo per una sicura navigazione era stabilito dalla comparsa delle Pleiadi nei cieli primaverili che facevano dimenticare per un certo tempo l’inclemenza di Orione, detto da Virgilio nimbosus Orion (Aen. I, 535). Cfr. Rossignoli 2004, pp. 363-366; Giannelli 1949, p. 538.

 

32. Rossignoli 2004, p. 364. I pericoli del mare nei pressi del piccolo porto di Uria garganica giustificano in questa zona orientale del promontorio anche la presenza del culto a Venere Sosandra, ricordato anche da Catullo (XXXVI, 12), che viene testimoniato da dediche di marinai alla dea, vergate in greco e in latino, e databili a partire dal III secolo a.C. Cfr. Russi 1998, pp. 97-102. Ma è tutta la costa occidentale dell’Adriatico (dal Gargano al Conero e fino al delta del Po) a risultare pericolosa per la carenza di porti e di approdi sicuri; altrettanto insicura la costa orientale non tanto per la mancanza di approdi quanto per la pirateria praticata dalle popolazioni illiriche. Cfr. Braccesi 2001, pp. 13-14; 123, che tra l’altro ricorda i vari aggettivi con cui Orazio designava l’Adriatico (acer, improbus, iracundus, inquietus, raucus, ater) per sottolinearne la pericolosità.

 

33. Questa rotta marittima dalle bocche del Cattaro, battuta già dai Micenei, seguiva le correnti formate per la rottura dello zoccolo continentale e approdava al Gargano, dopo aver toccato Pelagosa e Tremiti, all’altezza del Grottone di Manaccora. Su questa rotta, che veniva a favorire i primi contatti fra Greci e indigeni italioti, viaggiava anche il mito di Diomede. L’ellenizzazione prima e la romanizzazione poi del territorio italico portò alla perdita della memoria di questo viaggio transmarino. Cfr. Pacilli c.s. che ricostruisce anche le rotte d’età storica per raggiungere il Gargano. Inoltre cfr. Braccesi 1988, p. 133 sgg.

 

34. Per Scilace di Karianda cfr. A. Peretti 1979. Stando alla redazione del Periplo, da riferire agli anni compresi tra il 338 e il 330 a.C., la testimonianza dello Pseudo Scilace va collocata in un tempo in cui il processo di colonizzazione greca è da considerarsi ormai prossimo alla conclusione. Alla fine del IV secolo anche le colonie dei Siracusani nel medio alto Adriatico, legate alle figure di Dionisio il Vecchio e di Dionisio il Giovane, sono destinate a tramontare con la fortuna dei Dionisii. Alla presenza dei Siracusani in Adriatico vanno riferite due colonie apule rimaste ignote. Per queste fondazioni cfr. Braccesi 19772, pp. 185-186; 247.

 

 

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va riportata al filologo Karl Müller, editore dei Geographi graeci minores, che ha emendato il nome del monte sulla base di considerazioni geografiche, litografiche e di riferimenti alle popolazioni che lo abitavano [35]. Strettamente riferita al Monte Orione risulta la città di Yrion, cioè Uria, negli ultimi decenni identificata con Vieste [36], che Müller ritiene abbia mutuato il nome da quello del Monte [37].

 

 

 L’8 maggio e il 29 settembre nella documentazione liturgica

 

I dies festi dell’8 maggio e del 29 settembre ricorrono nella documentazione liturgica solo a partire dalla prima metà dell’VIII secolo, risultando anche assenti, per le motivazioni che diremo, nella stessa Apparitio che ricostruisce l’historia del culto garganico dell’Arcangelo.

 

Quello primaverile dell’8 maggio è ritenuto già presente nel nucleo originario dell’Old englisch Martyrology, un calendario liturgico scritto in latino, ed oggi perduto, composto in Northumbria tra il 731 e il 740 da Acca vescovo di Hexham [38]. L’inventio della basilica garganica riferita a questo giorno ricorre esplicitamente nella sua traduzione in antico inglese, redatta nel IX secolo: [8 May]: Discovery of the Basilica of St Michael [39].

 

Sono invece due martirologi irlandesi della fine dell’VIII secolo composti nel monastero di Tallaght a trasmettere per la prima volta il doppio riferimento calendariale delle festività micaeliche garganiche [40]. Il Martirologio di Tallaght, redatto in prosa, le riferisce succintamente: la festività primaverile fissata al 9 maggio (e non all’8, forse per una svista del compilatore) è ricordata come Revelatio Michaelis archangeli, mentre quella autunnale del 29 settembre è trasmessa come Dedicatio basilicae Michaelis archangeli in Monte Gargano.

 

Il Martirologio di Óengus, così chiamato dal nome del compilatore, fa chiaro riferimento per la festività di maggio all’apparizione dell’Arcangelo sul Gargano. Le glosse che accompagnano le quartine di versi senari accennano alla sua prima manifestazione in Occidente attraverso la vicenda di Gargano ferito dalla sua freccia vanamente scagliata contro il toro.

 

 

35. Cfr. Müller 1855, pp. 22-23.

36. Cfr. Lippolis 1988, pp. 183-201:186-189 (Lippolis 1984, pp. 171-196).

37. Cfr. Müller 1855, p. 23 in apparato.

38. Cfr. Lapidge 2005, pp. 29-78: 30-39 (The “Old Englisch Martyrology”); pp. 66-69 (Acca of Hexham).

39. Cfr. Lapidge 2005, p. 58; Olivieri 2011, pp. 305-317: 315-316, ritiene che il dies festus dell’8 maggio, presente in tre manoscritti medievali del Martirologio (B; C; E), sia stato inserito nel testo latino attaverso la mediazione dei pellegrini anglosassoni che avevano visitato il santuario del Gargano.

40. Cfr. Ó Riain 1990, pp. 21-38; Picard 2007, pp. 133-146: 138-139.

 

 

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Per il 29 settembre il Martirologio ricorda la vittoria di Michele, “il forte cavaliere vestito di bianco”, sull’ Anticristo [41].

 

Sempre alla fine dell’VIII secolo, in due codici del Martirologio Geronimiano, il Wissenburgensis e il Bernensis [42], il dies festus del 29 settembre è riferito sia alla dedicatio della basilica della Salaria che a quella del Gargano. Al latercolo che ricorda la festività romana, entrambi i codici presentano infatti l’aggiunta…vel in monte qui dicitur Gargani ubi multa mirabilia Deus ostendit [43].

 

A partire dal IX secolo, forse in coincidenza con il declino della chiesa romana, la memoria del dies festus di san Michele garganico entra in tutti i Martirologi, a partire da quello di Floro, con l’esplicito riferimento alla data del 29 settembre [44]. All’assunzione di questa data, accolta solo a livello colto e ufficiale, si sottrae, sul versante popolare, il Meridione della penisola che continua a celebrare, in controtendenza rispetto alla fusione della tradizione romana con quella garganica, la festa primaverile dell’8 maggio trasmessa in un calendario liturgico di Montecassino, il Casanatensis 641 dell’811-812 [45]. In questo ricordo s’inserisce prontamente la storiografia longobarda con Erchemperto, che àncora a questo giorno l’antica vittoria riportata da Grimoaldo sui Napoletani, e quindi la stessa inventio del santuario micaelico per strapparla agli odiati Bizantini e alla chiesa di Siponto [46].

 

 

 Il silenzio sui dies festi del santuario garganico

 

Il dies festus della basilica garganica, indicato come dies natalis, ricorre in un brano dell’ultima sezione dell’Apparitio, non risultando però ancorato ad una precisa data calendariale, ma riferito esclusivamente ai maxima miracula dispensati nella speciale ricorrenza dall’angelica virtus alla turba dei fedeli che salivano alla sacra spelunca anche dalle province circonvicine [47]. La particolare modalità della trasmissione del dies festus della basilica è stata probabilmente determinata dal tempo storico della composizione del testo agiografico,

 

 

41. Il testo in gaelico dei versi riferiti ai due giorni festivi sono riportati da Picard 2007, pp. 138-139.

42. Per una puntuale datazione dei due codici da ascriversi sempre nell’ultimo terzo dell’VIII secolo cfr. Otranto 1981, p. 431; Saxer 2001, p. VIII; Olivieri 2011, p. 309.

43. In AA.SS., Nov.2, II, p. 532. Cfr. Otranto 1981, pp. 431-432.

44. Cfr. Otranto 1981, pp. 423-442:433.

45. Cfr. Otranto 1981, p. 434.

46. Hist. Lang. Ben. 27: “octavo Idus maias, quo beati Michahelis archangeli sollemnia nos (scil. Langobardi) sollemniter celebramus”.

47. Apparitio 6, 27-28: ”Maxima [miracula] tamen eiusdem die natalis cum de provinciis circumpositis plus solito conflua turba recurrat”.

 

 

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che lascia emergere con varia evidenza l’eco delle vicende che hanno accompagnato l’introduzione del culto micaelico nella regione sipontino-garganica. Qui l’esercizio ufficiale del culto aveva atteso, forse per tutta la prima metà del V secolo, l’indispensabile riconoscimento papale della veridicità delle visiones angeliche al vescovo di Siponto, nonché quello riguardante la consacrazione della caverna da parte dello stesso Arcangelo, presentata come già autenticata dalla presenza delle sue orme impresse profondamente nel sasso [48]. Inoltre, la singolarità dell’insediamento cultuale in una caverna imponeva di affrontare, e al contempo di risolvere in termini positivi, la supposta coerenza tra ambiente grottale e mondo sotterraneo come ricettacolo di forze demoniache [49], che faceva avvertire come elemento ostativo per le pratiche rituali la semioscurità o la totale assenza della luce nei pochi spazi pianeggianti del grande speco [50].

 

Il considerevole arco cronologico coperto dalle relazioni ufficiali stabilite tra gli ambienti curiali sipontini e la Chiesa di Roma, attraverso accorti e solerti nuntii [51], rende verosimile che l’Apparitio garganica sia stata redatta in un tempo posteriore alla prima recensione del Martirologio Geronimiano, compilato tra il 431 e il 450 [52], che veniva a registrare a Roma, sulla via Salaria, la presenza di una basilica dedicata a san Michele, il cui anniversario della dedicazione cadeva il 29 settembre [53].

 

La testimonianza di questo Martirologio non sarà di certo sfuggita all’anonimo autore dell’Apparitio, che avrà attentamente considerato l’opportunità di non far menzione della festività garganica e di riferire della sua esistenza solo nei termini utilizzabili in un altro quadro narrativo. L’espressa indicazione dell’8 maggio e del 29 settembre come i dies festi esclusivi della basilica garganica avrebbe effettivamente ingenerato profonda perplessità in quanti erano a conoscenza che la festa autunnale del 29 settembre riguardava solamente il giorno della dedicazione della basilica romana in quanto già codificata e trasmessa dal Martirologio Geronimiano. In altre parole, la menzione delle due date avrebbe potuto suggerire che la basilica garganica celebrava, insieme con l’8 maggio, anche la festa autunnale del 29 settembre, ritenuta di esclusiva matrice romana. Va dunque avanzata l’ipotesi che il silenzio dell’Anonimo dell’Apparitio sia stata la scelta più idonea per non illustrare in un’operetta agiografica, le motivazioni di fondo del comune giorno festivo del 29 settembre che caratterizzava nel V secolo i due luoghi più noti del culto angelico nella penisola italica.

 

La citazione di differenti giorni di festa micaelici avrebbe, comunque,

 

 

48. Apparitio 3, 20-23.

49. Cfr. Fonseca 1989, pp. 926-950: 942.

50. Cfr. Trotta 2012, p. 30.

51. Cfr. Apparitio 4,2 8-30.

52. Cfr. Saxer 2001, p. VIII.

53. Vd.n.10.

 

 

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portato all’ammissione della esistenza, e quindi della coesistenza, di differenti giorni di festa micaelici [54].

 

 

 Conclusione

 

L’approfondimento sull’origine dei dies festi micaelici registrati tra V e VIII secolo nell’alto medioevo europeo è affidato alla futura ricerca.

 

Questa breve trattazione ha teso ad ancorare i giorni festivi garganici alla tradizione mitica del promontorio pugliese: in questo contesto l’8 maggio sarebbe strettamente legato all’apparizione di san Michele sul Gargano e il 29 settembre alla dedicatio della basilica, riproposta costantemente ai fedeli dalla Chiesa romana e da quella sipontina in ossequio all’esplicita rivendicazione della consacrazione della Caverna da parte dello stesso Arcangelo. Ipotizzata in questi termini la questione relativa ai due giorni festivi garganici, il dies festus romano del 29 settembre potrebbe riferirsi all’estensione della dedicatio della basilica pugliese a quella sorta sulla via Salaria.

 

In ultima analisi, i giorni festivi della basilica garganica e di quella romana della via Salaria potrebbero essere funzionali al riconoscimento del contemporaneo insediamento sul Gargano e a Roma del culto dell’Arcangelo nell’Occidente latino.

 

 

54. Everett 2002, p. 388, ha riferito la mancata indicazione del dies festus nell’Apparitio alla perplessità dell’autore di trasmettere le date dell’8 maggio e del 29 settembre perché giorni festivi comuni alla basilica romana e a quella del Gargano. Sfugge allo studioso l’originaria appartenenza di queste festività solo al santuario del Gargano. Sulle considerazioni di Everett cfr. Susi 2012, pp. 317-340: 329.

 

 

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